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Autore: miss_MZ93    28/07/2022    3 recensioni
Marinette ed Adrien hanno ormai diciotto anni. Le loro vite continuano ad essere minacciate dalla presenza di Papillon ma qualcosa sta per cambiare. Gli anni iniziano a farsi sentire e gli equilibri fragili che esistevano tra i due ragazzi iniziano a spezzarsi. Tra Adrien e Marinette qualcosa cambierà radicalmente, lasciando uno spiraglio per qualcuno che, in segreto, non ha mai smesso di provare grandi sentimenti per Marinette.
Tra dolci e sensuali drammi, i nostri protagonisti dovranno affrontare anche un nuovo pericolo per Ladybug.
Ho iniziato a scrivere la storia prima dell'uscita della terza stagione, quindi mancheranno alcuni personaggi o dettagli particolari.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Luka Couffaine, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono passati ormai alcuni giorni dall’ultima volta che Chat Noir è passato a trovarmi ed io non posso che trovarmi sempre in un limbo tra preoccupazione e sollievo. La prima, sicuramente diretta alla sua salute, il secondo più che altro perché sembra aver capito che non deve forzare Plagg se ancora non si sono ripresi del tutto. È quasi una dolce tortura, aspettare di vederlo arrivare e sperare che non lo faccia.
Il week end è ormai quasi arrivato alla fine ed io non ho fatto che pensare a Chat Noir, a tutto ciò che può riguardarlo, dalle ferite subite, all’ultima volta che ci siamo visti sul mio balcone. Non riesco a togliermi dai pensieri la sua espressione, le mie mani sul suo volto ed il suo comportamento particolarmente strano. C’è poi una parte di me che continua a rivivere il suo sguardo, quegli occhi carichi di qualcosa di simile al desiderio che rivedevo nei miei qualche tempo fa. Non posso ignorare quello che ho letto in lui mentre eravamo così vicini ma, allo stesso modo, non posso convincermi di qualcosa che non sia lui stesso a confessarmi. Ho provato con tutta me stessa a non pensare a tutto questo ma ogni volta che tentavo di concentrarmi su un libro da sfogliare, un compito da terminare o qualunque altra cosa, piccoli dettagli mi riportavano la mente a quel momento.

Anche adesso, mentre sono sulla mia terrazza a godermi il tramonto di questa domenica ormai estiva, non riesco a concentrarmi su altro. Tikki ha più volte cercato di capire cosa mi stesse succedendo ma parlare con lei non è servito a molto. Mi ha lasciata qui sola, ridacchiando mentre si rintanava in casa. Penso abbia capito quanto io sia lontana dal riuscire ad avere una conversazione normale con chiunque.
L’unico momento in cui la mia mente sembra svuotarsi, è quando il sole tinge il cielo di rosso ed arancione con qualche sfumatura di azzurro e blu. Un panorama meraviglioso che colora gli edifici di Parigi con dolcezza.
Un profumo invade le mie narici, facendomi spalancare gli occhi dalla sorpresa. Non sono sicura che sia poi così positiva. Sospiro lentamente, cercando di recuperare una qualche calma che sembra scomparsa due secondi fa.
Mi volto lentamente, cercando di nascondere al meglio delle mie capacità la rabbia che sento crescere in me. Non può essere davvero qui, non adesso, non dopo che sembrava che entrambi si fossero feriti più di quanto non volesse ammettere a Ladybug.
Quando i miei occhi incontrano quelli di questo gatto nero, qualcosa in me si blocca. Il suo sguardo sembra dolce, quasi tenero mentre mi osserva da quella che, a mio parere, è una distanza davvero troppo breve. Certo, essere riuscita a sentire il suo profumo mi avrebbe dovuta avvertire della sua vicinanza ma non immaginavo che voltandomi me lo sarei trovato a pochi centimetri.
Come scottata da quella situazione, socchiudo più volte gli occhi, sperando di riportare un po’ di lucidità in me. Tutto risulta inutile, specialmente quando il suo sorriso malizioso mi fa capire quanto la mia espressione debba essere leggibile.
Con la gola secca e le parole morte in bocca, mi costringo ad allontanarmi da lui tanto da riuscire a respirare qualcosa che non sia il suo aroma.
Chat Noir continua a guardarmi come se avesse colto una bambina con il volto sporco di cioccolato. Non so dire di preciso cosa possa aver visto in me che a me stessa sembra stia sfuggendo ma quando muove un passo verso di me, il mio sguardo scivola distrattamente sul suo corpo, forse per sfuggire da quegli occhi verdi che stavano iniziando a farmi sentire molto a disagio.
Senza nemmeno accorgermene, inizio a scrutare la sua figura con attenzione, ritrovandomi a passare dalla tensione alla rabbia in pochi minuti. Basta davvero solo uno sguardo per riportare il mondo a girare come dovrebbe ed io torno a pensare a quanto possa essere completamente stupido e folle.
“Come sei ridotto?!”
Come se le mie parole avessero potuto metterlo al tappeto, i passi di Chat Noir si bloccano a poco più di un metro da me.
Mi volto rientrando velocemente in camera per afferrare la crema che avevo spalmato tempo fa sulla mia cicatrice e riemergo giusto in tempo per vederlo passarsi freneticamente la mano tra i ciuffi biondi. Appena il suo sguardo mi ritrova a pochi passi da sé, la sua voce torna a sfiorarmi.
“Tutto bene?”
Scuoto la testa, con il cuore diviso a metà tra la rabbia ed il divertimento.
“Non dovresti andartene in giro conciato così”
Con le mani indico il suo corpo, lasciando a lui il compito di capire il motivo della mia rabbia.
“Non ti devi preoccupare, principessa, sto bene”
Alzo gli occhi al cielo, afferrando la sua mano e costringendolo a sedersi sulla sdraio che tengo in terrazza.
Mi inginocchio accanto a lui, cercando di non lasciarmi andare agli insulti. Possibile che non riesca mai a capire quanto sia pericoloso trasformarsi in queste condizioni? Non ha alcun riguardo per sé stesso o per Plagg!
Afferro il barattolo della pomata e ne prendo una generosa dose prima di posare le mie mani sul suo braccio ed iniziare a spalmarla con attenzione.
Prendersi cura di lui attira tutta la mia attenzione e solo la preoccupazione per tutte quelle macchie scure mi distrae quanto basta dal non notare quanto le mie mani si stiano muovendo sul suo corpo.
Solo quando il suo sguardo sembra potermi incendiare mi accorgo di aver lasciato le sue braccia per raggiungere il suo petto. La tuta ancora trasparente lascia intravedere delle scottature lievi, niente di così preoccupante in verità ma basta il rossore di quella parte di pelle per farmi perdere la calma. Detesto vederlo sofferente, anche se lui sembra star meglio rispetto a quanto io riesca a credere.
Lo sguardo di Chat Noir diventa un ricordo lontano, un pensiero leggero, quello che ormai riempie la mia mente non è altro che il suo corpo. Questa pelle così liscia, tonica, morbida, chiara ma al contempo arrossata dalle scottature. Mi accorgo appena di aver aperto la bocca da non so quanto tempo. I miei occhi non riescono a lasciare la sua figura ma, in particolar modo, le mie mani che stanno toccando il corpo di questo gatto, lo stesso sul quale non mi ero mai soffermata troppo, non prima di qualche settimana fa.
Sotto le mie dita, sento il petto di Chat Noir vibrare, come se fosse vinto da una qualche risata o da un sospiro pesante. I miei occhi si spostano solo un istante sui suoi, trovandoli incredibilmente profondi e con un guizzo che, nell’ultima settimana, sembra aver preso posto fisso in lui.
Continuiamo ad osservarci per un momento infinito, fin quando Chat Noir non decide di interrompere quella connessione tra noi, spostando il suo sguardo sulla città che ci circonda. Mi rendo conto appena di essere in una situazione scomoda, con una mano ferma sul braccio sinistro del mio compagno di battaglie e l’altra sul suo torace, intenta a saggiare la sua pelle più che a spalmare la pomata che avevo raccolto per lui.
I miei pensieri, però, sembrano tornati quanto più chiari possibili e, invece di provare l’imbarazzo che dovrei, riemerge la rabbia di poco prima e tutti i momenti in cui questo gatto si è comportato da stupido negli ultimi giorni, esattamente come sta facendo adesso.
È questo il motivo che mi spinge a continuare a medicarlo come se nulla fosse, in attesa che la tensione tra noi svanisca e che torni ad avvolgerci una situazione più consona ad una discussione. Impiego qualche minuto buono a calmare il mio cuore, scosso da tutti questi sentimenti; nel mentre, gli occhi di Chat Noir mi lanciano, di tanto in tanto, sguardi furtivi, prima carichi di imbarazzo, poi solamente di curiosità, probabilmente per l’espressione turbata che può vedere sul mio volto.
“Marinette, qualcosa non va?”
Una risata nervosa esce dalle mie labbra, ormai tirate in una linea dritta.
“Mari?”
“Non pensare che me ne sia dimenticata solo perché sei ferito”
Sento i suoi occhi osservarmi in cerca di qualche dettaglio ma più mi osserva più mi riesce facile ricordare tutti i pensieri di questi ultimi giorni.
“Di cosa stai parlando?”
“Ti sei comportato in modo strano tutta la settimana”
“S-strano?”
“Non credere che non me ne sia accorta, ti sei inventato una marea di scuse solamente per non rimanere qui con me”
“Cosa?”
La sua voce sembra velata di incredulità ma la mia mente è talmente concentrata sui propri pensieri che non riesco nemmeno a trovare la forza di guardarlo in volto invece che continuare ad osservare quelle ferite che cospargono il suo corpo.
“Mi spieghi cosa ti ho fatto?”
“Scusa?”
“Dimmi cosa ho fatto per allontanarti così da me”
Il silenzio ci avvolge per qualche istante prima che lui decida di lasciarmi con l’unica parola che mai avrebbe dovuto pronunciare.
“Niente”
Se la mia irritazione prima sembrava essere appena accettabile, in questo momento la rabbia scorre libera dentro di me, annebbiando ogni mio più piccolo pensiero lucido. Sulla terrazza che mi ha vista crescere, le mie urla iniziano a disperdersi e nemmeno il pensiero che i miei genitori o qualche vicino possa sentirci mi sfiora.
“Non permetterti di rispondermi così!”
Livida in volto, riesco solamente ad alzarmi in piedi, mettendo quanta più distanza tra me e quel corpo che ormai stavo accarezzando più del necessario.
“Ma…”
“Ma niente! Ti sei comportato stranamente tutta la settimana e mi vieni a dire che non ho fatto niente? Pensi che io sia stupida?!”
“Cosa?! Marinette, no, calmati”
“Non dirmi che devo calmarmi!”
“Marinette, aspetta”
“Se ho fatto qualcosa di sbagliato devi dirmelo!”
Non riesco nemmeno a ricordare quando si sia alzato dalla sedia anche lui, eppure ci ritroviamo così, faccia a faccia, con pochi centimetri che ci separano.
“Marinette, non posso dirti che hai fatto qualcosa se non è vero!”
“Come posso crederti?! Ogni volta che sei venuto a trovarmi ti sono bastati pochi minuti per decidere che non ero nemmeno degna di un tuo sguardo! Evidentemente… Devo aver fatto qualcosa che ti ha dato fastidio”
I toni si abbassano lentamente, riportandoci ad una conversazione quasi civile.
“Non posso cambiare la situazione se non mi dici cosa sia successo”
“Non devi cambiare niente”
La calma momentanea che sembrava avermi colta mi abbandona velocemente come si è presentata. I miei occhi tornano nei suoi e solo adesso mi rendo conto di aver provato a guardare ovunque tranne il suo viso.
“Dimmi cosa sta succedendo!”
“Niente”
“Chat Noir, maledizione! Cosa vieni a fare qui se poi non vuoi nemmeno passare del tempo con me?!”
“Non ho mai detto questo”
“Ma è quello che fai! Ogni volta scappi da me come se ti avessi insultato, dimmi cosa ho fatto!”
“Non è qualcosa che hai fatto tu!”
“E allora cosa?! Cosa diamine è…”
Il vuoto, solo questo mi rimane in mente. I miei neuroni sembrano morti in un solo istante, vinti da una calma piatta che ha invaso ogni parte di me. Solo una cosa sembra aver preso vita propria ed è il mio cuore, solamente lui pare aver iniziato una corsa folle verso un punto irraggiungibile.
I miei occhi rimangono paralizzati, così come tutto il mio corpo, incapace di compiere anche solo un movimento. Per un momento, un solo istante, mi sembra che anche il tempo abbia smesso di scorrere e questo solo per lui. Chat Noir.
Chat Noir che si è avvicinato così velocemente da non darmi il tempo di reagire. Chat Noir che ha nascosto i suoi occhi sotto quei ciuffi biondo miele. Chat Noir che, in un impeto di non so quale sentimento o emozione, o forse solamente per zittirmi, ha sfiorato il mio volto.
Quel contatto, quella sensazione, quel calore mi avvolgono senza darmi modo di riflettere, senza darmi modo di capire cosa stesse per succedere, senza potermi preparare psicologicamente. Perché sì, mi sarei dovuta preparare. Perché sì, mi causerà altri problemi. Perché, in fondo, non mi sarei mai potuta sentir pronta a sentire le sue labbra sulle mie.
Dolce, sentito, leggero, come un fiore che segue la brezza della primavera e vola lontano dal suo albero madre. Questo bacio non è come niente avuto finora, non mi ha lasciato un fuoco dentro ma un incendio in piena regola, qualcosa che sembra aver devastato il mio corpo per poi ricrearlo e plasmarlo su un nuovo centro, lui.
Le sue labbra sono così morbide e piene che distrattamente trovo il tempo di chiedermi perché, prima di questo momento, non mi sia mai resa conto di quanto fossero assolutamente perfette ed incredibilmente invitanti. Mi sono sorpresa più volte ad osservargli questa parte del viso ma mai mi sarei aspettare una sensazione simile nell’averle su di me. Non mi importa più niente di tutti quei problemi che pensavo di dover risolvere, non mi importa più nemmeno di capire perché si sia comportato così, non ho nemmeno più voglia di chiarire la situazione con Adrien e, sinceramente, non ricordo nemmeno più i baci scambiati con Luka.
È bastato lui, Chat Noir, le sue labbra, in verità, per azzerare la mia vita, resettarla completamente e farla ripartire a suo piacimento.
Com’è possibile?
Qualcosa in me si spezza irrimediabilmente quando lui decide di allontanarsi, lasciandomi senza quella sensazione che avevo iniziato in questo momento ad assaporare con tutta me stessa. Ne sento la mancanza, la mancanza di quelle labbra, la mancanza di quell’esplosione che stava prendendo vita dentro di me, la mancanza di quel bacio appena accennato che non pensavo di volere e che, con mia sorpresa, mi rendo conto di aver aspettato per troppo tempo.
La sua fronte si appoggia alla mia, forse per mantenere un qualche contatto con me, forse solamente per poter nascondere al meglio i suoi occhi dai miei. Nulla sembra più avere senso dopo quel bacio ma quella sensazione provata mentre le sue labbra toccavano le mie non riesce a lasciarmi. Non posso pensare a null’altro, non ci riesco, come se avesse distrutto la mia capacità di immaginare qualcosa che non sia quello che è appena successo.
“Scusa. Non doveva succedere”
Un momento, basta questo, un secondo, un istante solo per sentire davvero qualcosa rompersi dentro di me. Non è un rumore sordo, qualcosa di percepibile eppure sono sicura che qualcosa sia stato malamente frantumato nel profondo del mio corpo.
Succube della confusione incredibilmente prepotente alla quale lui ha dato vita, mi accorgo appena del suo volto che si discosta dal mio e del suo corpo che sparisce dalla mia vista, lontano, come un gatto sui tetti di Parigi.

“Non doveva succedere”
Ho trascorso tutta la notte a pensare a quello che è successo con Chat Noir senza riuscire a chiudere occhio nemmeno un istante. Ho provato a concentrarmi su qualunque altra cosa ma nulla sembrava minimamente interessante, come se non sfiorasse nemmeno la mia mente. Scoop televisivi, programmi vari, nemmeno leggere mi è stato d’aiuto ed alla fine mi sono ritrovata con una pila di libri e riviste spiegazzate.
Inutile cercare di nasconderlo, ho continuato a rivivere quel bacio fino alle prime luci dell’alba, passando dal fuoco puro che scorreva nelle mie vene al gelo totale quando ripensavo alle parole di Chat Noir.
“Non doveva succedere”
“Non doveva succedere”
“Non doveva succedere”
Perché? Perché non doveva succedere? Perché, se non doveva succedere, è successo? Perché, se non doveva succedere, ma è successo, ha voluto gettar fango su qualcosa che mi ha fatta sentire come mai prima?
Le domande si sono sovrapposte così tanto da diventare un miscuglio informe nella mia mente. Ogni cosa ruotava attorno a quei dubbi ed alla sensazione orrenda di essere stata rifiutata, un’altra volta. Quel che è peggio, però, è che il pensiero di essere io la causa dello strano comportamento di Chat Noir si è trasformato nella certezza che in me ci sia davvero qualcosa di sbagliato.
Adrien, il ragazzo dolce e perfetto si è rivelato senza scrupoli e senza tatto nei miei confronti, cosa che non era mai successa con nessun altro.
Luka si è trovato ad essere quasi un burattino, comandato dai miei desideri, da quelle sensazioni che mi spingevano a volerlo al mio fianco. Quello che ha ottenuto, però, è solo il cuore spezzato ed un peso colossale sulle spalle.
Come se non fosse abbastanza, adesso anche Chat Noir si è reso conto di aver commesso un errore a baciarmi ed io non posso che leggerci dentro un sentimento confuso, non un’infatuazione, non un amore, solo uno sbaglio. Uno sbaglio perché, quella sbagliata, sono io.
A nulla è servita la preoccupazione dei miei genitori che mi hanno vista in silenzio durante tutta la cena, a nulla è servita l’apprensione di Tikki, a nulla è servito provare a non pensarci. La mia mente tornava sempre a quel momento e più lo rivivevo come qualcosa di magico, peggio mi sentivo.
C’è qualcosa in me che non è come dovrebbe essere, c’è qualcosa che avvicina le persone solo per allontanarle in un modo triste e doloroso, c’è qualcosa che non mi permette di essere felice se non da sola.
Un sospiro esce dalle mie labbra quando sento il rumore della sveglia del telefono, un chiaro segno che la mia nottata insonne sia terminata e che una giornata lunga e faticosa sia appena iniziata.
Con una lentezza disarmante, riesco ad alzarmi e dirigermi in bagno per preparami. Vestirmi sembra quasi una condanna, però riesco ugualmente ad afferrare una maglietta corta nera ed un paio di pantaloncini chiari in cotone leggero. Distrattamente mi accorgo che quella t-shirt è la stessa che indossavo la prima volta che Chat Noir si è comportato in quel modo folle. Le sue parole di ieri tornano a bussare alla mia mente dopo un record di quasi cinque minuti in cui ero riuscita ad ignorare quel fastidio.
“Non doveva succedere”
Torno in camera solamente per gettare quella stoffa in un punto indistinto della stanza ed afferrare un’altra maglietta. Questa volta, opto per qualcosa di altrettanto corto ma di colore più tenue. Non mi importa nemmeno di capire se le tonalità di ciò che indosso stiano bene accostate anche se, essendo una futura stilista, dovrebbe essere la cosa più importante nella scelta del mio outfit. Oggi, però, i ricordi di quel che è successo ieri non mi permettono nemmeno di concentrarmi due secondi.
Seduta davanti ad uno specchio, afferro il correttore e cerco di rimediare alla notte insonne ma il risultato non è dei migliori. Speravo di riuscire a mascherare le occhiaie concentrandomi sulla pettinatura ma tutto ciò che ho ottenuto è stato di risaltare quel rossore con una coda alta che, quasi per miracolo, è riuscita a recuperare anche le ciocche più corte.
Infilo alcuni quaderni nello zaino e richiamo Tikki per avviarmi all’istituto. Passando accanto a mia madre, la sento invitarmi a colazione. Vorrei tanto potermi beare di quelle delizie appena sfornate ma il mio stomaco non sembra così convinto di aver fame. Per non farla preoccupare, afferro qualcosa dal tavolo e lo lascio scivolare in un sacchetto che infilo nello zaino. Quasi dimentico i biscotti per Tikki ma appena voltato l’angolo mi ricordo di prenderli dalla cucina. Anche le normali abitudini sembrano confuse in questa giornata.
Con una lentezza degna di una qualunque lumaca, riesco ad avviarmi verso l’istituto.
Con mia sorpresa, arrivo davanti alla struttura quando ancora sembra desolata. Insegnanti e studenti non sono ancora arrivati ed io mi prendo del tempo per assaporare quell’ultimo barlume di tranquillità nella confusione che regna sovrana nella mia mente.
Quando pochi minuti più tardi la gente che passa inizia ad aumentare, i miei compagni di classe non tardano a farsi notare ed anche le loro espressioni sconvolte nel trovarmi davanti all’istituto di prima mattina. Non sono più la ritardataria di qualche anno fa ma questo non significa che io non ami dormire ed arrivare giusto qualche minuto prima del suono della campanella.
La loro sorpresa dura pochi istanti, sormontata dalla voce di Alya.
“Marinette, stai bene? Te lo devo dire, amica mia, non hai una bella cera”
È normale che lei abbia notato le occhiaie profonde che disegnano il mio volto, ciò che è strana è la sua preoccupazione. Alya più di chiunque altro sa quante notti io abbia trascorso in bianco per finire qualche compito o qualche creazione e non si è mai dimostrata così apprensiva. Probabilmente ho scritto in faccia che c’è qualcosa che mi turbi più della notte insonne. A volte mi sento in colpa per doverle nascondere continuamente parti della mia vita ma se solo lei sapesse quello che è successo con Chat Noir ieri sera, la mia esistenza verrebbe sconvolta per sempre. Non solo dovrei spiegarle il rapporto tra me e quel gatto randagio ma dovrei anche dirle perché la sua vicinanza in queste settimane mi abbia aiutata e come mi abbia spinta ad accettare di dover lasciar libero Luka. Di conseguenza, le domande su di lui non tarderebbero ed io passerei probabilmente le prossime due settimane a cercare di farle capire ogni cosa. Anche se volessi confidarmi con lei, anche se volessi davvero sfogarmi con Alya, ci sarebbe sempre una parte di me che lei non potrebbe mai conoscere, quella che riguarda Tikki, Papillon e la mia trasformazione in Ladybug.
Mentre io seguo il filo dei miei pensieri arruffati, Alya attende con pazienza una risposta da me.
“Marin…”
“Sto bene, Alya. Non ho dormito molto questa notte, non è niente”
Riesco persino ad impormi un leggero sorriso e questo sembra rassicurarla abbastanza da lasciarsi convincere dalle mie parole.
La mattina sembra trascorrere così lentamente che nemmeno seguire la lancetta dell’orologio appeso in classe sembra aiutarmi a sopportare questa agonia. Quando anche l’ultima campanella della mattina suona, un sospiro annoiato esce dalle mie labbra. Il momento peggiore della giornata è arrivato, la pausa pranzo.
Alya mi trascina alla mensa scolastica come nostro solito ed afferra due vassoi che riempie di delizie. Peccato che il mio stomaco ancora non senta la necessità di dover mangiare qualcosa e che io non abbia nessuna voglia di ingurgitare del cibo che non mi soddisfi.
Sedute al solito tavolo, circondate dal solito gruppo di amici, mi ritrovo ad osservare la finestra che lascia vedere il cielo limpido fuori dalla struttura.
“Marinette?”
Un borbottio annoiato, non riesco a dir niente di più. Forse perché non ho voglia di essere coinvolta in una conversazione infinita su qualunque sia l’argomento delle loro discussioni. Forse perché questi pensieri mi tormentano senza lasciarmi focalizzare su altro. Forse semplicemente perché, per una volta, vorrei sapere cosa lui stia facendo e perché abbia pronunciato proprio quella frase lasciandomi con questo senso di vuoto.
“Marinette, sei con noi?”
“Sì, Alya”
“Non mi sembra. È da dieci minuti che ti parlo e sono sicura che tu non abbia ascoltato una sola parola”
“Hai ragione”
“Cosa?”
Sbuffo di nuovo, forse per la millesima volta e cerco di risponderle con qualcosa di più articolato che comprenda un soggetto, un predicato e, magari, anche un complemento.
“Hai ragione, Alya. Non ho ascoltato nulla e me ne dispiace ma oggi non è la migliore delle giornate”
“Mari, vuoi dirmi cosa ti è successo?”
Come attirati da quello scambio di battute, l’attenzione di tutta la classe viene dirottato su di noi ed io inizio a non poterne più. In questa stanza non c’è privacy, in questo istituto non c’è privacy, in questa città non c’è privacy ed io, in questo momento, ne ho solo un disperato bisogno.
“Non ho dormito questa notte, tutto qui”
“Passare una notte in bianco non ti ha mai chiuso lo stomaco”
Su questo ha ragione, sono sempre stata una buona forchetta, ho sempre amato mangiare e ne ho sempre avuto un disperato bisogno, un po’ per recuperare le energie spese durante le battaglie, un po’ perché adoro sentire il sapore delle pietanze.
“Non ho fame”
“Me ne sono accorta ma non capisco perché. Cosa ti sta succedendo?”
“Niente”
“Mari, parlami. Sono la tua migliore amica”
Una stilettata al cuore probabilmente mi avrebbe ferito di meno. Ha ragione, ha dannatamente ragione ma come posso spiegargli ogni cosa senza spiegarle nulla? Che rompicapo.
Gli sguardi che ci osservano non aiutano la situazione ed io non posso che prendere tempo per trovare una bugia credibile da esporle.
“Alya, non è il momento”
Quelle parole bastano a placare il suo interesse per qualche minuto, fin quando l’attenzione dei nostri compagni non torna a rivolgersi ad altro.
Sicura di non poter essere ascoltata da nessuno, Alya si avvicina a me, in cerca di conferme che io non posso darle.
“È per lui?”
“Eh? Chi?”
“Come chi? Il biondino che non ti ha tolto gli occhi di dosso un solo istante da quando ti sei seduta”
Alya e le sue congetture. Dovrebbe diventare un libro, sicuramente avrebbe successo.
“Alya, ti prego”
“Dai, Marinette, non puoi essere così cieca da non essertene accorta”
“Non mi interessa”
“Non è vero e lo sai anche tu”
Un sospiro lascia le sue labbra mentre cerco di ricordare quando il nostro rapporto sia peggiorato tanto.
“Mari…”
“Non mi interessa che lui mi guardi o meno, va bene? Se adesso si alzasse e venisse da me a dirmi che mi ama non mi importerebbe”
I miei occhi tornano a specchiarsi in quel polpettone informe nel mio piatto.
“Mi ha fatta stare troppo male, Alya. Te lo chiedo per favore, smettila di parlarmi di lui”
“Ma Mari…”
“Niente ma”
“Ma sta venendo proprio qui, adesso”
Il mio sguardo si alza dal tavolo e segue quello della mia amica che osserva Adrien avvicinarsi. Per un breve istante, il mio cervello pensa che davvero lui possa volermi dire che mi ama, proprio come quello che ho appena detto ad Alya ma quando lo vedo fermarsi davanti a me con un sorriso finto, il mio cervello non regge. Mi alzo di scatto, lasciando entrambi confusi e mi avvio con il vassoio verso l’uscita della mensa. Non ho bisogno delle sue frasi strane, dei suoi comportamenti ambigui o che dia modo ai nostri più cari amici di crearsi aspettative ancora più grandi di quelle che già hanno. Soprattutto, non è lui il biondino dagli occhi verdi con il quale vorrei parlare. Il rumore dei miei passi mi avvolge oltre la porta che lascia libero accesso alle strutture scolastiche. Quando, però, raggiungo le scale verso il primo piano, a quello si aggiunge un secondo suono, altri due piedi che sembrano seguirmi. Convinta che Alya mi stia ormai perseguitando, mi fermo cercando un tono duro che non sembri follemente arrabbiato.
“Alya, smettila di seguirmi, ti ho detto che non mi interessa cosa faccia o dica”
Il silenzio mi avvolge ma quei passi tornano a riempire lo spazio attorno a me ed io non ho più la voglia o la forza di sembrare calma.
“Per favore, vattene”
Mi volto arrabbiata, quasi come se volessi vomitarle addosso tutto ciò che nell’ultimo periodo mi ha ferita.
“Per la millesima volta, Alya, devi smettere di crearti questi castelli in aria! Io e Adr…”
Le parole mi muoiono in gola, sorpresa di non trovare la mia migliore ed impicciona amica alle spalle ma il biondino che mi sta causando problemi seri nel dimenticarmi di lui.
“Cosa stavi dicendo?”
Mi si forma un groppo in gola che non mi permette di rispondergli. Non potrei mai gestire una situazione del genere, nemmeno se non fossi reduce da una nottata insonne ed un processo di autodistruzione del mio ego.
“Marinette?”
“Niente”
“Mari…”
“Se vuoi saperlo, chiedilo al tuo migliore amico. Già che ci sei, fammi un favore e digli di smetterla con queste stupidaggini e di convincere anche la sua ragazza”
Mi volto nuovamente per avviarmi non so nemmeno io bene dove ma in un qualche posto dove poter passare la pausa pranzo da sola con i miei pensieri, o i miei tormenti.
“Mari…”
La sua voce mi blocca nuovamente, costringendomi a raccogliere la poca pazienza rimasta. Il silenzio ci avvolge, fin quando un flebile sussurro non arriva alle mie orecchie, qualcosa di incomprensibile, solamente parole bisbigliate appena che mi porta a voltarmi verso il mio interlocutore.
Quando però i miei occhi lo sfiorano, lo vedo voltarsi e lasciarmi da sola, in cerca di una qualche spiegazione che so non arriverà mai.
Sbuffo per la centesima volta da quando mi sono alzata questa mattina e riprendo la mia corsa verso un luogo più tranquillo. Non riuscirò mai a capire quel ragazzo, non riuscirò mai a scoprire cosa passi per la sua testa.

Chiunque abbia detto che il Miraculous della Coccinella rappresenti la Fortuna, non ha tenuto in conto la sorte che mi perseguita. Questo lunedì, non potrebbe essere più terribile, nemmeno se mi sforzarsi di immaginare qualcosa di peggio che avere la mente concentrata unicamente su Chat Noir, su quel bacio, sulle sue parole, sul mio sentirmi inadeguata e sbagliata in ogni relazione umana e ritrovarmi accanto la causa dei miei pensieri. Se non indossassi questa meravigliosa maschera rossa, non credo avrei il coraggio di rivolgergli la parola, anche se si trattasse solamente di vagliare un piano d’azione che è ciò che stiamo facendo mentre aspettiamo un nuovo attacco da un nemico che, a quanto pare, adora api, vespe, farfalle, falene ed ogni insetto o simile che possiede un paio di ali.
“Coccinellina, sicura di star bene?”
“Sì, concentrati sul piano”
“Va bene”
Il suo tono sommesso mi fa capire quanto possa essere stata dura con lui ma, in questo momento, con tutto quello che mi preoccupa, questo è l’ultimo pensiero che riesce ad infiltrarsi nella mia mente.
La ragazza dalle ali splendenti torna a parlare con i suoi sottoposti, lanciando un attacco che ci avvolge in una nube scura.
Api e vespe ci circondano creando un vortice che ci separa dal mondo esterno. Tutto si tinge di nero con solo pochi spruzzi di sole e la mia vista diventa un senso quasi inutilizzabile. Il piano che avevamo escogitato sfuma nelle tenebre che ci avvolgono mentre la mia mente cerca una soluzione ma se i miei occhi non riescono a riconoscere niente in questa oscurità, il mio cervello non riesce a pensare a nulla. Nonostante la situazione, ancora rivedo la scena di ieri sera, proprio non riesco a dimenticarla.
Un attimo di distrazione ed un ronzio mi avvolge. Centinaia di api e vespe dal manto dorato iniziano a scagliarsi su di me. Per quanto io provi ad allontanarle o a schivare i loro colpi, molti di questi attacchi riescono a raggiungermi, lasciandomi con un fastidioso senso di dolore generale. I miei occhi non riescono ad abituarsi a quel buio quasi assoluto e la situazione peggiora quando mi rendo conto che Chat Noir non si trovi più al mio fianco. Quando quei piccoli mostri dorati hanno iniziato a rinchiudermi in questo bozzolo, devono averci separati irrimediabilmente. Forse sarebbe più semplice se lui fosse al mio fianco o, forse, i miei pensieri sarebbero solo più confusi di quanto non siano già.
Mentre tento di prevedere quanti più colpi possibile, mi rendo conto di sentirmi terribilmente stanca e dolorante. I miei passi diventano sempre più lenti, affaticati mentre quelle creature non si allontanano un secondo dal mio corpo. Riesco a percepire le loro ali sfiorarmi, il loro ronzio nelle orecchie ma nulla di più. Bastano pochi minuti per ritrovarmi in ginocchio sull’asfalto nero e ancor meno per capire quanto la situazione sia grave. Quando anche la mia testa sembra andar incontro alla superficie ruvida sotto al miei piedi, il buio che mi avvolgeva svanisce improvvisamente. Le tenebre lasciano i miei occhi ed io torno a bearmi del sole caldo. Per quanto, però, possa sentirmi sollevata, non riesco a capire il motivo di quel cambiamento se non dopo qualche istante. Il mio sguardo ritrova Chat Noir intento ad osservarmi con un contenitore tra le mani, dove probabilmente ha intrappolato l’akuma nemica. La mia testa inizia a vorticare improvvisamente, quasi sconvolta da tutta questa situazione o forse da qualcosa che ancora non mi è chiaro. Con molta fatica, raggiungo il mio compagno, liberando l’akuma dal potere malvagio di Papillon.
Mi accorgo distrattamente di essere finita, non so come, tra le braccia di Chat Noir che mi guarda preoccupato e sempre più arrabbiato. Impiego qualche minuto a rendermi conto del suo sguardo, intento ad osservare il mio costume. Quando anche i miei occhi raggiungono la mia tuta, la trovo piena di tagli e graffi ovunque. La superficie coperta dal tessuto magico è ridotto a brandelli, tanto basta per nascondere la mia identità ma non per evitare che il mio corpo si ricopra ti ferite più o meno profonde. Sono quasi sicura che alcune avranno bisogno di più di qualche giorno per guarire, altre probabilmente in poche ore riusciranno a svanire grazie al potere di Tikki e della pomata del Maestro Fu. Quello che mi preoccupa maggiormente è, però, la creatura che ho lasciato si ferisse assieme a me. Che io mi ferisca è quasi un’abitudine vista la mia sbadataggine ma che lei stia male mi fa soffrire più di qualunque taglio.
La preoccupazione per Tikki mi rende folle, quasi pronta a trasformarmi davanti a tutta la città pur di capire come stia lei. In questo momento, se non avessi Chat Noir a ricordarmi di non fare cose avventate, sarei finita tra le grinfie di Papillon come una stupida.
Per quanto, però, io sia grata al mio collega per avermi salvata, non posso non pensare che, in fondo, sia colpa sua se mi ritrovo in queste condizioni. Riemergendo da questi pensieri del tutto fuori luogo, lascio che Chat Noir mi riporti con i piedi per terra, dove lo guardo un’ultima volta prima di accennare un saluto poco convinto e barcollare in direzione di casa.
Una voce mi raggiunge, ovattata e leggera.
“Lascia che ti aiuti”
Per quanto io non possa permettere a Chat Noir di scoprire la mia identità, so anche di non avere le forze necessarie per camminare ancora per molto. Affranta, debole e preoccupata per mille cose e forse anche più, mi convinco a lasciarmi aiutare dal mio compagno che mi affianca velocemente.
I suoi occhi tornano a specchiarsi nei miei ed in quel verde profondo ritrovo una persona terribilmente preoccupata. Sposta lo sguardo dal mio volto alla tuta che indosso un paio di volte prima di sospirare. Lo vedo piegarsi leggermente e prendermi in braccio con quell’aria scura che gli dipinge il volto.
“Chat...”
“Ti porto in un posto sicuro”
Le sue mani stringono il mio corpo, regalandomi un po’ di pace ed un senso di sicurezza che non credevo di poter sentire nuovamente in sua presenza.
Mentre Chat Noir salta da un tetto all’altro senza il minimo sforzo, la mia mente riprende a vagare tra ricordi e pensieri e nessuno di questi mi aiuta a far chiarezza dentro di me.
Da una parte, non provo che rabbia per questo gatto nero, sentimento che non riesco a reprimere, per quanto io possa sforzarmi. Quello che è successo tra noi, tra Chat Noir e Marinette, ha lasciato un segno profondo in me, una confusione incredibile ed una sofferenza che non sapevo di poter provare di nuovo, non dopo essere stata così male per Adrien. Ancora non capisco come abbia potuto baciarmi per poi dirmi che non sarebbe dovuto succedere, ancora non capisco il comportamento strano che nell’ultimo periodo lo ha stravolto quando vedeva Marinette, ancora non capisco con precisione io cosa abbia provato con le sue labbra sulle mie o perché quel gesto mi sia sembrato dannatamente perfetto, come se fosse l’unica cosa giusta in un mare di confusione.
Dall’altra parte, Chat Noir si è sempre comportato da gentiluomo con Ladybug e più volte mi sono trovata a pensare a come gli avrei affidato la mia stessa vita, sicura che lui mi avrebbe sempre protetta, a qualunque costo e, in effetti, è sempre stato così. Non ha mai esitato, arrivando a sacrificarsi per me, per salvare Parigi e gli akumizzati. Più volte mi ha protetta, mi ha salvata, esattamente come sta facendo adesso, cercando un posto sicuro in cui poterci riprendere da questo scontro.
Queste due parti di me, però, non riescono a trovare pace, continuando a scontrarsi dentro di me. Rabbia e gratitudine, dolore e tranquillità, nulla ha senso eppure tutto trova un equilibrio in una lotta feroce. Senza nemmeno accorgermene, le mie braccia scivolano sul suo collo, stringendolo a me. Nel silenzio della notte, con il vento che ci avvolge durante questa nostra corsa, un pianto silenzioso si libera dai miei occhi. Calde lacrime scivolano sui tetti di Parigi, ricordandomi quanto una persona possa rendermi felice e schiacciarmi completamente.
La mia mente, debole, fragile e confusa, non riesce a non pensare che, se solo lui sapesse chi sono realmente, forse capirebbe la confusione che in questo momento regna dentro di me ma questo non potrà mai accadere, mai.
La mia testa si rende leggera, quasi avvolta dalle nubi che sembrano adombrarla. Vedo distrattamente Chat Noir lasciarmi su di un letto e poi il buio, il buio profondo.

Quando riapro gli occhi, mi rendo conto velocemente di essere tornata la ragazzina spaesata dal mondo che la circonda ed avere lasciato i panni da eroina di Parigi.
“Tikki...”
Il mio primo pensiero va al mio dolce Kwami, a quella creaturina che so di aver ferito, di nuovo, come purtroppo continua a succedere sempre più spesso.
“Ladybug... Ti sei svegliata”
La voce di Tikki mi raggiunge anche se ovattata. Mi alzo dal letto ed un capogiro mi coglie impreparata, costringendomi a tornare sdraiata. La sua figura rossa e nera mi raggiunge lentamente, stanca per lo sforzo fatto durante l’ultima battaglia. Osservo attentamente il suo corpo e, per quanto mi sforzi di trovare qualche segno della mia ultima lotta, la trovo perfettamente sana, come se non avessi mai subito certe ferite. Tentando di capire come sia possibile, o se semplicemente io abbia sognato quella battaglia furiosa, rivolgo la mia attenzione al mio corpo. I miei vestiti sono completamente a brandelli, tanto che chiunque si preoccuperebbe per me vedendomi in quelle condizioni. Tra gli strati di tessuto, il mio corpo appare segnato da tagli ovunque. Solo alcune ferite sembrano ancora pronte a sanguinare ma, per lo più, si tratta di qualcosa di superficiale che guarirà in breve tempo.
“Stai bene?”
Nonostante sia io quella in condizioni peggiori, la mia preoccupazione non può che essere rivolta a lei.
“Non preoccuparti, non mi sono ferita in modo grave questa volta”
Sospiro, un po’ per il sollievo datomi dalle sue parole, un po’ per il fastidio che provo nel sapere che lei sia costantemente in pericolo a causa mia e della mia confusione.
“Mi dispiace, Tikki”
La vedo scuotere la testa e regalarmi un dolce sorriso, come sempre. Non potrei mai ringraziarla abbastanza per tutto ciò che è costretta a sopportare per rimanere al mio fianco.
“Ladybug?”
Una voce molto famigliare mi raggiunge, creando in me il panico più profondo.
“Chat Noir?”
Solo adesso mi rendo conto di come Tikki abbia evitato di chiamarmi per nome al mio risveglio. Osservando meglio la stanza, riesco a notare piccoli dettagli che prima non avevo visto. Quello spazio, quelle pareti, quella struttura io le conosco molto bene. Accanto al mio letto, una tenda bianca in tessuto divide la camera, isolandomi da qualunque cosa si trovi nella metà a me oscurata. Mentre osservo quelle pareti ed i mobili che la adornano, una figura scura inizia a muoversi, rivelandomi la posizione del mio compagno. Seduto a terra, lo vedo alzarsi lentamente e raggiungere un secondo letto, a me nascosto. Nonostante la tenda ci separi, l’ansia di trovarmi nei panni di Marinette con lui vicino non riesce ad abbandonarmi.
I miei occhi tornano su Tikki, cercando di non osservare per troppo tempo la figura del mio compagno di battaglie. In questo momento, il fatto che lui mi abbia salvata, che lui abbia sconfitto il nemico o tutto ciò che ha fatto per me in questi anni, spariscono velocemente, lasciando posto solamente ai ricordi dell’ultima volta che l’ho visto, dell’ultima volta in cui ho provato a curare le sue ferite, dell’ultima volta in cui mi ha parlato, aprendo una voragine dentro di me con quella sua frase stupida. Tutti i dubbi degli ultimi giorni tornano ad affacciarsi nella mia mente.
“Ladybug, stai male?”
La voce di Tikki riporta la mia attenzione su di lei che, intenta ad osservarmi, cerca di sorridere della mia espressione addolorata.
“Non ti preoccupare, non è… Niente”
Mi occorre molta forza per pronunciare quelle parole, quando invece vorrei solamente lasciarmi sopraffare da tutta questa serie di sensazioni poco positive.
Tikki si avvicina al mio volto ed asciuga qualche lacrima che non mi ero nemmeno accorta di aver lasciato evadere dai miei occhi. Questa situazione è davvero incredibile. Mai mi sarei aspettata di poter piangere così tanto in così poco tempo e mai avrei pensato che sarebbe stato per colpa di Chat Noir.
“Non piangere, si sistemerà tutto”
È solo un sussurro, parole che si perdono nel vento e che spero non arrivino alle orecchie del supereroe di Parigi. Non saprei cosa inventarmi per spiegare il perché io stia piangendo per colpa sua senza che lui riesca a capire il perché dovrebbe esserne il motivo principale.
“Ladybug? Come ti senti?”
Vedo Tikki asciugarmi un’altra lacrima e la sua espressione basta per costringermi ad osservare il soffitto cercando di impedirmi di piangere ancora. Devo essere forte, lo devo a Tikki che, nonostante non sia perfettamente in forma, continua ad interessarsi solo a me, devo essere forte per Chat Noir che è preoccupato per Ladybug e devo essere forte per Marinette, perché non si merita di soffrire ancora per un semplice ragazzo.
Sospiro profondamente mentre un pensiero si insinua nella mia mente. Chat Noir non è un semplice ragazzo, non lo è mai stato e mai lo sarà.
“Sto bene”
So di star mentendo alla persona che forse mi conosce meglio di chiunque altro ma spero davvero che non voglia indagare oltre. Ho bisogno che mi creda o, per lo meno, che finga di credermi. Ho bisogno di tempo.
“Lady…”
“Grazie per avermi portata al sicuro”
“Non avrei mai potuto lasciarti in un momento simile”
Il silenzio torna ad avvolgerci mentre in me un nuovo dubbio sorge.
“Perché mi hai portata proprio all’istituto Dupont?”
“Eh? Ah, e-ecco io…”
Sembra rifletterci un attimo, tempo che mi basta per capire che deve esserci un motivo che non può dirmi.
“Non potevo portarti in ospedale ed ho pensato che ormai non ci fosse più nessuno qui”
L’infermeria della scuola è sempre l’ultima ala a chiudere poiché se qualcuno dovesse farsi male, la struttura non potrebbe permettersi di non aiutare gli studenti. Ne andrebbe del prestigio dell’istituto. Per questo sono un po’ sorpresa. Pensavo che gli ultimi corsi terminassero nel tardo pomeriggio ma, a quanto pare, non c’è più nessuno all’interno della scuola. Il silenzio regna sovrano in queste mura.
“A questo proposito. Hai bisogno di cure”
Un’ultima occhiata ai numerosi tagli che la mia pelle presenta, mi costringono ad ammettere che abbia ragione. Ho bisogno di arrivare a casa e lasciare che la pomata del Maestro mi aiuti, di nuovo.
La mano guantata di Chat Noir si infiltra oltre la tenda che ci separa. La vedo posare sul comodino accanto a me la confezione contenente la crema e ritirarsi.
“Grazie”
Afferro il barattolo ma prima di iniziare a spalmare la composizione dai poteri curativi su tutto il mio corpo, un pensiero mi avvolge.
“Posso chiederti un’ultima cosa?”
“Tutto ciò che vuoi”
Un sorriso dolce mi sfiora le labbra. Chat Noir sarà sempre Chat Noir. Quando io avrò bisogno di lui, sono sicura che lo vedrò correre in mio aiuto.
“Potresti uscire?”
“Come?”
Un rossore generale mi coglie, forse impreparata alla sua confusione.
“B-beh io dovrei s-spogliarmi e…”
“Ah! S-sì, certo, subito!”
La sua figura si alza velocemente, raggiungendo la porta in due falcate. Il cigolio della porta si ferma e la sua voce torna a farsi sentire.
“Rimango qui fuori”
“S-sì. Grazie”
La porta si richiude dietro di lui ed io finalmente sono libera di rimanere in intimo ed osservarmi allo specchio dell’infermeria che si trova dalla parte della stanza che occupava Chat Noir.
Il riflesso mi rimanda un corpo messo forse peggio di quanto potesse sembrarmi prima. Afferro velocemente la pomata ed avvolgo il mio corpo con uno strato abbondante di crema. Alcuni lividi, i più piccoli e superficiali, lasciano presto posto a macchie di un rosa leggero mentre quelle più profonde tentano di rimarginarsi ma so bene che una volta tornata a casa avrò bisogno di cerotti e bende.
Una volta terminato, richiudo la confezione ed osservo i miei vestiti. Non si potrebbero nemmeno definire in questo modo, in realtà, quanto l’insieme di tessuti colorati informi e strappati in più punti.
“Come faccio a tornare a casa adesso?”
“Marinette, forse ho io la soluzione”
Tikki mi guarda speranzosa indicandomi qualcosa che non avevo nemmeno considerato.
Afferro il camice dell’infermiera e lo indosso senza pensarci troppo. Non posso permettermi di aspettare qualcosa di più comodo o bello. In fondo, devo solo riuscire ad arrivare a casa. Accanto al lettino, trovo anche un rotolo di carta che solitamente l’infermiera utilizza per ricoprirne la superficie. Strappo vari strati e, trafficando con forbici e una sottomarca di colla, riesco a ricavarne una maschera che copre quanto più possibile il mio volto. Allo stesso modo dò vita ad una bandana che nasconde perfettamente i miei capelli. Allo specchio, sembro appena uscita da una festa in maschera ed è l’unica consolazione che posso permettermi.
Dopo aver finito di sistemare al meglio tutto ciò che può aiutare a nascondermi, respiro profondamente un paio di volte, in cerca della forza di affrontare Chat Noir con la determinazione che dovrebbe avere Ladybug e non con la sofferenza che caratterizza Marinette.
Afferro la pomata del mio compagno ed una busta di plastica in cui racchiudo i miei vestiti fatti a pezzi. Quando apro la porta, ritrovo Chat Noir appoggiato di schiena al muro accanto a me.
Appena si accorge che sto uscendo dalla stanza, il panico sembra attraversarlo. Lo vedo voltarsi velocemente, probabilmente diviso tra il desiderio di vedermi senza maschera ed il rispetto per le mie scelte.
“Chat Noir, voltati”
“Ladybug, se lo faccio vedrò chi sei”
“Non ti preoccupare”
Si gratta la testa nervosamente prima di sbuffare e voltarsi verso di me, lentamente.
Quando i suoi occhi incontrano i miei, la situazione diventa quasi tragicomica e, non riuscendo a trattenersi, lo vedo scoppiare in una risata profonda.
Tikki esce dal suo nascondiglio per osservare la situazione. Le risate di Chat Noir la coinvolgono sempre più e mentre io prendo a somigliare sempre più ad un bel pomodoro maturo, i loro volti vengono percorsi da qualche lacrima.
“Volete smetterla? Non avevo molta scelta!”
“Scusa”
Guardo Tikki sbuffando ma tutto ciò che riesco a fare e sorriderle teneramente. Sono contenta che non si sia fatta troppo male e che possa trovare divertente anche una situazione simile.
“Ladybug, sembri il personaggio di un videogioco!”
Alzo gli occhi al cielo, ignorando la battuta sciocca di quel gatto e mi avvicino a lui, porgendogli la pomata.
“Grazie, micetto”
Un piccolo sorriso mi sfiora ma viene subito smorzato dai soliti mille pensieri.
“Ladybug?”
I miei occhi tornano nei suoi, dove trovano un terreno indeciso. Non credevo che Chat Noir avrebbe mai potuto mostrare dubbi nei suoi gesti eppure eccolo qui, davanti a me, con quello sguardo perso.
La sua mano destra torna a scompigliare quella chioma bionda mentre io mi perdo in quel comportamento involontario. I suoi occhi si posano ovunque, tranne che su di me. Solo dopo qualche secondo riesce a tornare a guardarmi intensamente. In quel verde profondo non trovo il solito giocherellone e buffone ma qualcuno che sembra avere un bisogno smisurato di un confronto serio.
“Ladybug, capisco di non poter sapere niente della tua vita perché potrei scoprire chi tu sia ma…”
Il suo sguardo si tinge sempre più di determinazione mista a preoccupazione. In quel verde, vedo solo una grande distesa di confusione ma, in quella stessa agitazione, trovo qualcosa di molto simile alla calma più profonda.
“So cosa stai passando. O meglio, so che se in questo momento sei vestita in questo modo, è solo perché hai dei problemi che ti affliggono impedendoti di pensare lucidamente”
Il suo sguardo torna ad osservare il pavimento di fronte a sé.
“So cosa significa. Non è divertente doversi nascondere per non far preoccupare gli altri e, sinceramente, quando ho visto Plagg soffrire… Non credevo che lui potesse ferirsi a causa mia, non avrei mai voluto che succedesse”
I suoi occhi tornano nei miei mentre sento qualcosa premere alla bocca dello stomaco. Mi ero sbagliata. Quando pensavo che lui non avesse rispetto per la sua salute o per quella di Plagg, mi ero completamente sbagliata. La persona che ho davanti non è un ragazzo pronto a tutto pur di correre tra i tetti della città, quanto un ragazzo dolce e premuroso che tenta solamente di affrontare questa situazione come sto facendo io. Nella mia mente non so quante volte l’ho accusato di non prestare troppa attenzione alla sua condizione o a quella di Plagg. La verità è che io non conosco nulla del suo rapporto con il Kwami della Distruzione e solo adesso mi rendo conto di quanto lui si preoccupi per quella creaturina millenaria, così come io penso sempre a Tikki.
La preoccupazione nei suoi occhi, però, sembra lasciar posto ad un debole ma sincero sorriso.
“Solo noi sappiamo cosa significhi affrontare queste situazioni. Se tu… Se avessi bisogno di parlare con qualcuno, di sfogarti o anche solamente di passare del tempo tra battute stupide e qualche risata, sappi che io sarò sempre qui per te”
Un singhiozzo esce dalle mie labbra e nemmeno provo a fermarlo. Le lacrime iniziano a bagnare la mia maschera improvvisata mentre io mi lascio andare raggiungendo le sue braccia.
Un misto di emozioni vivono in me, felicità, tristezza, mille pensieri e forse anche di più, il desiderio di dirgli quanto male mi abbia fatto e quanto invece mi sia stato di aiuto finora.
Qui, tra le sue braccia, avvolta dal suo profumo, dal suo calore e dal suo affetto, non riesco a fermare quel pianto che sembravo tenere chiuso dentro di me da troppo tempo. Solo un ringraziamento, biascicato tra un singhiozzo e l’altro, riesce ad uscire dalla mia bocca mentre lo sento stringermi più forte a sé.

***

Buon pomeriggio a tutti!! Ammetto di aver amato ogni parte di questo capitolo e di averla odiata profondamente allo stesso tempo ^^'
Voi cosa ne pensate? Cosa sarà successo a Chat Noir in questi giorni? Perché dopo il tanto tanto tanto atteso e benedetto bacio le ha lasciato quella frase davvero infelice? Fatemelo sapere nei commenti, sono molto curiosa ❤️
Come sempre grazie a tutti peraver letto la mia storia e per continuare ad aspettare i miei nuovi capitoli ❤️ A presto!
miss_MZ93
  
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