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Autore: lolloshima    31/07/2022    4 recensioni
Che cosa sarebbe accaduto se Ushijima e Oikawa non si fossero mai conosciuti ai tempi della scuola?
Questo racconto partecipa al contest #vorreincontrartitra100anni indetto dal gruppo Facebook Hurt-Comfort Italia, dove i personaggi principali si incontrano per la prima volta in un modo o in un contesto differente rispetto a quello descritto nel fandom canonico.
Questa opportunità mi ha fatto pensare a Tooru e Wakatoshi non più giovani e con delle carriere affermate.
Ma non per questo immuni alle emozioni.
Buona lettura!
Genere: Hurt/Comfort, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Tooru Oikawa, Wakatoshi Ushijima
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Prompt:

111 – ingrassare

121 – prezzo da pagare

164 – leggenda giapponese

 

* * *

Dalla sua comoda poltrona in prima classe, l’uomo guardava tristemente il via vai frenetico delle persone in transito all’interno della stazione di Tokyo. Aveva appeso l’impermeabile accanto al sedile e appoggiato il cappello su quello libero al suo fianco.

In una mano, appoggiata sul tavolino davanti a sé, teneva entrambi i guanti di pelle. L’altra sorreggeva il mento, il gomito appoggiato al bracciolo.

Ogni tanto lo sguardo si distoglieva dallo sfondo e si focalizzava sul riflesso del suo volto sul vetro: rughe marcate solcavano la fronte, e due occhiaie evidenti tradivano notti insonni. O lacrime recenti.

Da tanto, troppo tempo non tornava a casa, e ora era costretto a farlo per la più triste della circostanze.

Girò appena la testa quando un passeggero si accinse a prendere posto nella poltrona di fronte alla sua, dopo aver rumorosamente posizionato il suo ingombrante bagaglio nel vano sopra il sedile.

Non gli sfuggirono i capelli vaporosi e il fisico atletico, fasciato da una polo verde chiaro e da un paio di jeans abbastanza aderenti da far intuire la consistenza soda delle natiche. Portava occhiali da vista con montatura leggera e una mascherina chirurgica sul volto. Nonostante le rughe intorno agli occhi castani tradissero un’età non più giovanile, poteva senz’altro definirsi ancora un bell’uomo. Teneva sottobraccio un giubbotto sportivo, che gettò in una delle poltrone libere.

Aveva un che di familiare che incuriosì l’uomo già seduto.

Il nuovo arrivato si lasciò andare sul sedile senza trattenere un sonoro sospiro, e fissò la persona che sedeva di fronte a lui e che aveva ripreso a guardare fuori dal finestrino.

“Ma tu sei… Ushijima Wakatoshi!”

Ushijima girò il volto sorpreso.

“Mi scusi, ci conosciamo?”

“Beh, chi non conosce la leggenda del Giappone! Anzi, congratulazioni per la nomina, signor Ministro dello Sport!”

“La ringrazio, lei è troppo gentile” rispose Ushijima con la consueta educazione, per nulla imbarazzato.

“Mi scusi, mi tolga una curiosità, se non disturbo” continuò, approfittando di quell’interruzione ai suoi pensieri. “Ho la sensazione di averla già incontrata da qualche parte…”

Oikawa si tolse la mascherina e allungò una mano verso l’altro attraverso il tavolino che li divideva.

“Scusami, sono stato scortese, non mi sono neanche presentato. No, non ci conosciamo personalmente. Io mi chiamo Tooru Oikawa, anch’io ho giocato a pallavolo…”

“...il CT dell’argentina, ma certo. Ora, senza la mascherina, l’ho riconosciuta.”

La lunga carriera sportiva di Ushijima, sfociata nella recente nomina a Ministro dello Sport del Giappone, gli rendeva impossibile non conoscere il famoso Oikawa Tooru, giocatore di grande talento, tanto da diventare capitano e ora allenatore della nazionale di pallavolo del suo paese.

Per una strana somma di fattori, lui e Oikawa non si erano mai incontrati in una partita ufficiale, neppure quell’unica volta in cui Giappone e Argentina si era scontrati durante le olimpiadi.

Ushijima inghiottì la mano dell’altro nella sua. La stretta che si scambiarono sembrò ad entrambi più forte del necessario e decisamente più lunga del dovuto.

“Lei parla molto bene la mia lingua. Se non sbaglio, ha origini giapponesi, giusto?”

“Sì, sono nato e per un po’ cresciuto qui, nella Prefettura di Miyagi. Prima di finire le medie mio padre è stato trasferito all’estero per lavoro, e noi della famiglia lo abbiamo seguito. Però non ho mai smesso di interessarmi alla pallavolo di questo paese. E conosco bene le imprese sportive del grande ‘Cannone del Giappone’”.

“Sì, ma era tempo tempo fa” sul viso serio di Ushijima comparve un sorriso appena accennato, al ricordo di quei tempi spensierati, quando vincere le partite era l’unica sua preoccupazione. “Anche io conosco la sua fama. Ho sempre seguito e ammirato le carriere dei grandi giocatori… come lei”.

“Senti, mettiamo le cose in chiaro. In Argentina non siamo rigidi come qui in Giappone, ci chiamiamo per nome e non usiamo il ‘lei’. Possiamo evitare inutili formalismi e almeno darci del tu?”

“E va bene… Oikawa-san.”

Era già qualcosa. La bocca di Tooru si allargò in un sorriso luminoso, che fece risaltare le rughe attorno alle labbra e nello stesso tempo esplodere il candore dei suoi denti perfetti.

Ushijima sentì una fitta inspiegabile allo stomaco e distolse lo sguardo, riportandolo sulle immagini che si alternavano velocissime al di là del finestrino.

Intanto Oikawa guardava distrattamente in giro e tamburellava sul tavolino con le dita, visibilmente annoiato.

“E… dove stai andando, Waka?” riprese per rompere il silenzio.

“A Sendai. Torno a casa.”

“Anche io scendo a Sendai! Che coincidenza!” Dopo un attimo Oikawa si batté leggermente la fronte con il palmo della mano. “E’ vero, tu hai frequentato la Shiratorizawa! Credo che sarebbe stata anche la mia scuola, se fossi rimasto in Giappone. Non esiste una squadra liceale migliore in tutta la prefettura per quanto riguarda lo sport!”

“Già…”

Un silenzio imbarazzato calò nuovamente tra loro.

Oikawa capì il massaggio e si impose di tenere a bada il suo solito entusiasmo.

Il treno si fermò in una stazione, e altri passeggeri entrarono nella carrozza. Nel ripartire, il convoglio ebbe uno scossone, e le loro gambe si toccarono sotto il tavolino. Ushijima ritrasse la sua repentinamente, senza voltarsi.

A Oikawa sembrò evidente che l’altro volesse stare tranquillo.

“Scusa la mia invadenza, non avevo intenzione di disturbarti” disse e si dedicò a cercare qualcosa nella borsa. Ne estrasse una rivista di pallavolo, accavallò una gamba e si appoggiò comodo sul sedile, fingendo di leggerla.

In realtà, nascosto dietro alle pagine del giornale, controllava con la coda dell’occhio il volto di Ushijima. Quell’uomo gli sembrava molto triste, e così solo…

“Mia madre.”

Oikawa sobbalzò a quelle parole improvvise e inaspettate. Spostò lo sguardo sul finestrino e incrociò gli occhi di Ushijima, che lo stava guardando attraverso il riflesso sul vetro.

“Come, scusa?” chiese Oikawa, imbarazzato per essere stato scoperto a fissarlo.

“Torno a casa per mia madre. Per il suo funerale.”

Tooru rimase impietrito, con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati.

“Mi… mi dispiace tanto…” riuscì solo a dire in un soffio.

“Ti ringrazio. Non ci vedevamo da molto tempo. Da quando sono diventato professionista non ho fatto altro che girare il mondo e… non sono stato molto presente con la famiglia. Il prezzo da pagare per la fama è la solitudine….” un nodo alla gola gli impedì di continuare, sentì gli occhi pizzicare e gonfiarsi di lacrime, e abbassò lo sguardo sulle sue ginocchia.

Istintivamente Oikawa allungò una mano e la posò sopra quella grande e rugosa dell’altro, che non la ritrasse.

“Davvero, mi dispiace.”

Rimasero in quella posizione qualche secondo, finché Ushijima fece scivolare discretamente la mano, con la scusa di prendere il cellulare dalla tasca interna della giacca del completo sartoriale.

Finse di controllare l’arrivo di nuovi messaggi, fino a quando non sentì di aver ripreso il controllo delle proprie emozioni.

Solo allora sollevò nuovamente lo sguardo verso Oikawa, che nel frattempo aveva continuato a guardarlo, rispettando i suoi tempi. Per un attimo fu ingoiato dai suoi occhi castani e penetranti e ancora, improvvisamente, sentì quella strana sensazione alla bocca dello stomaco.

Gli era riconoscente per la sua discreta vicinanza, e si sentì in dovere di riprendere la conversazione.

“Quindi, avremmo potuto essere compagni di scuola, eh? E magari saresti diventato tu il capitano della squadra della Shiratorizawa!”

“Ha ha, non credo proprio. Sei tu la leggenda, non dimenticarlo. E comunque non lo sapremo mai, la mia vita è sempre stata in Argentina.”

“Capisco. Ti sei sposato lì, hai una famiglia?”

“Ci sono andato molto vicino. Ma poi non ha funzionato.”

“Ah. E lei, è argentina?”

“Lui. Era un lui. Giapponese. Un amico di infanzia, lo conoscevo fin da bambino. Hajime Iwaizumi, forse l’hai conosciuto, giocava nella squadra di pallavolo dell’Aoba Josai. Ci hai mai giocato contro? Poi è diventato un famoso preparatore atletico.”

Certo che lo conosceva. Aveva sempre fatto parte del suo lavoro ricordarsi di tutti i suoi avversari, conoscerne a memoria pregi e difetti, capirne potenzialità e punti deboli. Hajime Iwaizumi. Uno schiacciatore laterale di talento, un gran fisico e una tenacia di ferro. Lo immaginò mentre teneva il suo affascinante interlocutore tra le braccia e lo baciava, e sentì un fortissimo istinto di spaccargli la faccia a suon di pugni. O di cannonate.

“No, non mi sembra di ricordarlo...”

“Non ho mai interrotto i contatti con lui, ci siamo incontrati abbastanza spesso in questi anni. E alla fine ci siamo innamorati. Abbiamo addirittura pensato di sposarci. Ma la distanza non è una buona alleata dell’amore. Sai com’è... E’ da lui che sto andando”.

Ushijima si stupì nell’accorgersi di aver smesso di respirare. E non riusciva a dire niente.

“Lui nel frattempo si è sposato” continuò tranquillamente Oikawa, vedendo che l’altro non parlava. “Una donna. E ha avuto due bellissimi bambini, due gemelli. Di cui ho l’onore di essere il padrino. Naturalmente anche loro giocano a pallavolo. Tra un paio di giorni si diplomano, e non posso certo mancare.“

Ushijima aveva continuato a trattenere il fiato per tutto il tempo. Quando Oikawa finì la sua spiegazione, l’aria ricominciò ad entrare nei suoi polmoni.

“Sai, ho pensato spesso a come sarebbe stata la mia vita se non avessi seguito mio padre in Argentina, se fossi rimasto qui, se avessi giocato a pallavolo insieme ad Hajime…”

“Se tu fossi rimasto in Giappone, saresti venuto alla Shiratorizawa, avresti giocato con me.”

A Oikawa scappò una piccola risata, che Ushijima trovò, ancora una volta, irresistibile.

“Non è bene lasciarsi ingannare dalla nostalgia di quel che poteva essere. Non poteva essere nient’altro, altrimenti lo sarebbe stato” aggiunse distrattamente.

Tooru adesso lo guardava incantato, i gomiti appoggiati al tavolino e il viso abbandonato sui palmi delle mani. Gli occhi gli si inumidirono.

“Ehm, l’ho letto una volta, da qualche parte…” si affrettò ad aggiungere Ushijima per dissolvere l’imbarazzo quasi palpabile.

“E tu? Moglie? Figli? Qualche piccolo ‘Cannone del Giappone’ che circola per casa?”

“Io ho avuto per moltissimi anni una sola moglie. La più ingombrante delle mogli.” Adesso era Oikawa a non respirare e Ushijima lo notò subito. ”La pallavolo” si affrettò a precisare. “Sono stato sposato con lo sport per tutti questi anni, e in un certo senso lo sono ancora ma… No, niente figli, né mogli. Né mariti. Sai com’è…”

Oikawa non distoglieva da lui quegli occhi vispi, indagatori e penetranti e Ushijima fu costretto ad abbassare i suoi in preda ad una sensazione per lui sconosciuta, o che forse aveva dimenticato e che riappariva dopo tanti anni, facendolo ripiombare all’improvviso nei corridoi del liceo, quando era in preda ai primi batticuori d’amore.

Cercando una via di fuga a quella sensazione imbarazzante, si concentrò su quanto lo aspettava nei giorni successivi. Era rimasto l’unico parente stretto di sua madre, e avrebbe dovuto occuparsi della lunga ed estenuante cerimonia della cremazione.

L’indomani avrebbe dovuto incontrare il Noukanshi (1), e poi sarebbe iniziato il lungo periodo di Otsuya (2), la veglia, e infine la tradizionale cena per salutare degnamente la defunta. Cena alla quale avrebbe partecipato solo lui.

Il tutto attraverso un rito lungo e lento che doveva aiutare chi rimaneva, cioè lui, a riflettere e rendere il suo dolore un nutrimento spirituale.

Come se gli leggesse in quei tristi pensieri, Oikawa si sporse verso di lui, sfoderando il suo sorriso più affascinante, che gli fece perdere l’equilibrio. Ushijima ringraziò il fatto di essere seduto su un sedile imbottito, altrimenti temeva che sarebbe potuto cadere a terra.

“Senti, ti andrebbe una birra?”

Ushijima lo guardò come se avesse visto un fantasma.

“Ushijima-sama! Non mi dire che stai calcolando le calorie della birra!” lo apostrofò serio.

A Ushijima scappò una piccola risata. “Forza dell’abitudine. Tu, piuttosto, non temi di ingrassare? Cosa direbbero i tuoi ragazzi se perdessi quel fisico invidiabile?” Si bloccò subito, stupito da se stesso per essersi preso quella inopportuna confidenza con uno sconosciuto. “Perdonami, sono stato indiscreto...”

“Ti ricordo che sono il CT! Sono i miei ragazzi che devono restare in forma per giocare, non io! E poi loro sono troppo impegnati a sopravvivere ai miei allenamenti per preoccuparsi del mio fisico.”

I due scoppiarono a ridere.

Sapevano entrambi quanto Oikawa avesse torto.

Ushijima sospettava che almeno la metà dei giocatori sbavasse dietro al corpo ancora tonico e asciutto del loro allenatore. Oikawa, invece, lo sapeva con certezza.

“E in ogni caso, da buon preparatore atletico, so perfettamente come smaltire una o due birrette.” E spero di farlo quanto prima, pensò tra sé. “Allora, ti va?”

“Lasciami passare in hotel a posare la borsa e farmi una doccia.”

“Puoi posarla a casa mia. Ho una casa grande e vuota. C’è spazio sufficiente per la tua borsa. E anche la doccia lo è. Grande”.

Il treno ebbe un nuovo scossone, e ancora una volta le loro gambe si toccarono. Nessuno dei due la spostò.

Quando il treno arrivò a Sendai era già calata la sera, ma la stazione era illuminata a giorno.

In mezzo alle poche persone che si affrettavano verso i binari, un distinto signore, con un impermeabile appoggiato sulle spalle e un elegante cappello, e un uomo giovanile in abiti sportivi, si avviavano fianco a fianco verso l’uscita, parlando tranquillamente.

Man mano che procedevano, le loro spalle si avvicinavano, fino a sfiorarsi.

* * *

Il Ministro dello Sport, Ushijima Wakatoshi, non passò mai in hotel, a lasciare la borsa.

Quella notte, dopo aver fatto l’amore, con la schiena nuda appoggiata al torace dell’altro, che lo cingeva con le braccia, prima di addormentarsi Oikawa aveva detto semplicemente: “Vengo con te”.

Il giorno dopo, insieme, avevano partecipato ai riti funebri preparatori alla cremazione.

Insieme, avevano allacciato il Kimono della madre di Wakatoshi da destra a sinistra, il contrario che in vita.

Insieme, avevano scelto e posizionato accanto al corpo gli oggetti per lei più significativi.

Insieme, avevano cenato e brindato in suo onore.

Insieme, avevano assistito al funerale e al noukotsu (3), quando l’anima della defunta si era staccata definitivamente dal corpo.

Dopo, Oikawa, in disparte, aveva osservato Ushijima mentre raccoglieva le ossa della madre e le posizionava nell’urna (4).

Il giorno successivo, si erano presentati insieme alla cerimonia del diploma dei figli di Hajime, dove Ushijima era stato accolto come un supereroe, e avevano partecipato ai festeggiamenti che erano seguiti.

Alla fine della cena, allegri e un po’ brilli, si erano guardati negli occhi e si erano presi per mano.

“Andiamo a casa”.

Non si sarebbero lasciati mai più.


* * *

NOTE

(1) Nella cerimonia funebre giapponese è il “maestro di deposizione nella bara” o “accompagnatore dei morti”, colui che si occupa della cura del defunto prima della cremazione.

(2) La veglia, dove parenti e amici possono visitare e salutare il defunto e partecipare ad una ricca cena che diviene momento di condivisione del dolore.

(3) Momento in cui i parenti stretti assistono alla cremazione vera e propria (Kasou).

(4) Momenti della cerimonia funebre. Secondo il rito tradizionale giapponese, dopo la cremazione ogni familiare ha delle bacchette con le quali raccoglie i resti del proprio caro per posizionarli all’interno di un’urna.

   
 
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