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Autore: Calis_NB_Carpenter    03/08/2022    0 recensioni
Ambientato nell'universo di Fate, la storia si incentra sui personaggi di Arturia (Saber) e Alice di Sword Art Online.
Arturia sta formando la tavola rotonda e per l'occasione decide di invitare un cavaliere rinnegato che tempo prima aveva servito sotto suo padre. Tuttavia, il cavaliere è morto per malattia, lasciando una figlia senza genitori, Alice Zuberg, la quale inizierà a vivere a Camelot per prendere il posto del padre alla tavola rotonda. Tutto questo, peroterà Arturia e Alice a diventare molto legate, più di quanto potessero mai immaginare.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Incest, Spoiler!
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L’Arrivo a Camelot

 

 

Freddo pungente… insensibilità nelle mani… tremore e poi… calore. Una piacevole sensazione di calore, mai desiderata come in quel momento, iniziò a pervadersi sulle spalle della bambina. Ella scoprì, con i suoi grandi occhi azzurri, che la fonte di quel calore era una coperta malandata e bucata in alcuni punti. Anche se quella coperta era ormai uno straccio, lei la strinse forte, coprendosi le nude braccia. Non era vestita nel modo più adatto per quella fredda mattina: un vestito azzurro a maniche corte con gli orli della gonna bianchi e un grembiule del medesimo colore che le copriva il petto e teneva legato alla vita con un grande fiocco. Erano gli abiti di una campagnola, inadatti a viaggiare, ma non aveva certo deciso lei di salire su quel carro che la stava allontanando sempre di più da casa sua.

   La bambina guardò l’orizzonte, con sguardo triste e rassegnato. Fino a due giorni fa, riusciva ancora a vedere il suo villaggio, ma da quando avevano superato la foresta, non era più riuscita a vederlo. Si ricordava ancora come si era messa a piangere quella mattina dove aveva perso di vista la sua casa, tanto che il cavaliere che la stava scortando dovette fermarsi per farla calmare. Lui gli aveva ordinato di tacere, spaventandola, tanto da pensare che le sarebbe arrivato uno schiaffo… ma non accadde mai. Anche se il cavaliere l’aveva portata via dalla sua casa ed era severo nei suoi confronti, seguiva un codice cavalleresco e questo gli avrebbe sempre fermato la mano. In ogni caso, quella mattina era solo un ricordo, come il villaggio che era sparito per sempre dai suoi occhi.

   Stringendosi la coperta attorno alle spalle, la bambina avvicinò le mani a coppa alla bocca, alitandoci sopra e strofinandole per cercare di scaldarle. Lo sguardo si posò poi sul cavaliere che tanto la spaventava, ma che, per la prima volta da che erano in viaggio, le aveva mostrato gentilezza, dandogli l’unica fonte di calore che aveva. Tuttavia, questo non la rese felice. La sua felicità era rimasta indietro, su una scia di lacrime.

   «Ci siamo!»

   La voce del cavaliere, calma e profonda, le fece alzare lo sguardo verso la meta che avevano raggiunto. Circondata da massicce mura, con torri alte che sembravano giungere fino alle nuvole e maestosi cancelli sorvegliati da guardie vigili. Erano giunti alla fortezza di Camelot.

   «Il re ti sta aspettando!»

   La voce del cavaliere fece tornare la bambina alla realtà. Eppure, le sue parole l’avevano confusa: al villaggio le notizie giungevano a rilento, ma era certa di aver sentito che a regnare su Camelot fosse una donna. Tuttavia, non fece domande, mentre il carretto la stava portando dentro le mura della fortezza.

 

 

Il suono dell’acciaio che sbatteva contro altro acciaio riecheggiava nella sala. Scintille si generavano a ogni impatto. L’aria venne tagliata e altre scintile… altro acciaio contro acciaio… la solita routine di ogni mattina.

   «Maestà?»

   Un ultimo fendente. L’aria venne tagliata un’ultima volta, mentre la lama della spada restava immobile. Non un solo tremolio o imperfezione nella posizione: in caso di attacco, un altro fendente sarebbe stato pronto a colpire. Il suono della routine mattutina si fermò, facendo così udire il fiato affaticato di chi impugnava quella spada.

   «Mi sto esercitando!»

   «Lo vedo, ma Sir. Gabriel è tornato» disse il servo, chinando il capo in segno di rispetto.

   «Col cavaliere rinnegato?»

   «Non l’ho ancora visto, ma presumo di sì.»

   «Molto bene, vado a incontrarlo immediatamente.»

   «Certo, mia signora!»

   Il servo s’inchinò alla figura della donna che, dopo aver posato la spada sul tavolo della sala d’addestramento, lo superò con passo fiero e deciso. Gli faceva sempre strano rivolgersi a ella come re, ma la selezione determinata dalla leggenda aveva deciso che chiunque avesse estratto Excalibur dalla roccia, sarebbe diventato re. Ciò era avvenuto, ma a impugnare quella spada e a sedere sul trono fu una donna… no… una ragazza che si sarebbe potuta definire troppo giovane per il peso che doveva portare, ma aveva già ottenuto il rispetto e l’ammirazione delle corte. Ella era Arturia Pendragon.

 

 

La bambina rimase a bocca aperta. Dei cavalieri erano usciti dal castello, affiancando una ragazza vestita di bianco, con addosso un’armatura d’acciaio e una chioma bionda, come la sua, era tenuta legata da un fiocco nero, lasciando la frangia e alcune ciocche ai lati libere. Il suo sguardo si perse negli occhi verdi della ragazza che, per via della spada tenuta al fianco, capì subito chi ella fosse, anche se ciò la lasciò sorpresa. Il re di Camelot, Arturia Pendragon, era una ragazza e persino molto bella. Non aveva affatto l’aspetto che si aspettava, ma la spada all’interno del fodero dorato con ornamenti in blu era unica e solo il re di Camelot poteva possederla: la leggendaria Excalibur.

   Arturia fissò la bambina con sguardo confuso. Vide Sir. Gabriel e cercò attorno qualcun altro che potesse sembrargli il cavaliere rinnegato, ma non lo trovò. Tornò quindi a fissare la bambina, cominciando poi a rivolgersi a Sir. Gabriel, senza guardarlo.

   «Sir. Gabriel… chi sarebbe questa bambina?»

   «Ella è la figlia del cavaliere rinnegato» rispose Gabriel, restando inchinato al cospetto del suo re.

   «E perché è qui? Dov’è suo padre?»

   «Sono giunto al villaggio dove risiedeva, ma ho scoperto che è morto per una malattia.»

   Arturia non mostrò il men che minimo segno di dispiacere, restando impassibile. «E perché sua figlia è qui?»

   «Non potendo portare il padre qui, ho pensato di prendere lei. Al villaggio non sanno come sfamarla, dato che non ha nemmeno la madre, e mi hanno chiesto di portarla a Camelot.»

   Arturia spostò lo sguardo sul cavaliere. «Sir. Gabriel, Camelot vi sembra un orfanotrofio? Vi ho mandato a prendere un cavaliere per la tavola rotonda, non una bocca da sfamare.»

   «Lo comprendo, maestà, ma penso che questa bambina possa diventare un ottimo cavaliere col giusto addestramento.»

   Questa volta, Arturia corrugò la fronte. «Questa… è solo una bambina!»

   «Che non sarebbe sopravvissuta al prossimo inverno. In questo modo l’ho salvata e vi ho anche portato un valido candidato per la tavola rotonda.

   Arturia sospirò. Anche se non le piaceva l’idea di addestrare una bambina, non poteva negare che in questo modo Sir. Gabriel l’aveva salvata. Il suo sguardo tornò sulla bambina. «Come ti chiami?»

   «A… Alice Zuberg!» rispose timidamente la bambina.

   «Molto bene, Alice, da questo momento vivrai a Camelot. Ti addestrerai per prendere il posto di tuo padre come cavaliere, come lui lo fu per il mio.»

   Alice rimase senza parole. C’erano tante cose che avrebbe voluto dire, ma nessuna parola uscì dalla sua bocca. Troppe cose stavano accadendo in quel momento e non riusciva a metabolizzare.

   Poco dopo, vide Arturia fare un cenno ai cavalieri, i quali presero Alice e la portarono dentro il castello.

 

 

«Ancora!»

   Legno contro legno.

   «Schiva!»

   Un gemito, il rumore di suole che strusciano sul pavimento e un tonfo.

   «Ancora!»

   La serie di rumori e gemiti riprese, più e più volte. Ormai era diventato un circolo vizioso e le mani di Alice, strette alla piccola spada di legno, non riuscivano più a mantenere la presa.

   «Schiva!»

   Ancora il gemito, mentre Alice eseguiva l’ordine e tentava di schivare la spada di legno dell’addestratore. Stavolta, però, il circolo si spezzò: Alice non cadde a terra subito, ma venne colpita al fianco, perdendo il fiato. Spalancò la bocca, sputando gocce di saliva che caddero sul pavimento e successivamente anche lei si ritrovò nella stessa situazione. Si premette il fianco dolorante; il colpo di spada non era letale, dato che si trattava di un’arma d’addestramento, ma il colpo fu talmente forte e preciso che per una ragazzina che non aveva neanche mai fatto a pugni, era decisamente troppo. Le lacrime le rigarono il viso, colando sul pavimento.

   «Alzati e riprendi la spada!»

   L’ennesimo ordine dell’addestratore, ma stavolta non sarebbe riuscita a ubbidire: oltre al fianco, le mani, piene di vesciche, le facevano così male che non riusciva a toccare nulla, figuriamoci impugnare un’arma. Questo però non sembrava interessare all’uomo, avvicinandosi e tirando la bambina per i capelli.

   «Riprendi la spada!»

   «N… non ci riesco, le… le mani mi fanno male!»

   «Ti faccio male io se non riprendi quella spada!» La lanciò a terra, come se fosse un sacco di patate.

   Alice picchiò la faccia sul pavimento piastrellato, ferendosi le labbra con i denti all’impatto. Stavolta scoppiò in un pianto disperato, mentre con la mano si copriva la bocca che colava sangue. I suoi singhiozzi erano soffocati, ma il dolore era chiaro.

   «E tu saresti la figlia di Zuberg? Non vali nulla!»

   Un passo metallico riecheggiò nella sala d’addestramento. L’addestratore si voltò, capendo che qualcuno era entrato e intuì fosse una guardia o un cavaliere, ma prima che potesse posare lo sguardo su chi si era giunto, un dolore gli pervase la guancia sinistra. Un pugno, dato con un freddo guanto d’arme, lo aveva colpito con grande forza, tanto da farlo cadere a terra. Il suo sguardo, carico di rabbia, cercò colui che aveva osato colpirlo, ma appena se ne rese conto di chi fosse, i suoi occhi divennero terrorizzati.

   Arturia stava in piedi, di fronte all’addestratore, guardandolo con lo stesso sguardo freddo e insensibile che Alice aveva visto quando era stata portata al suo cospetto.

   «Maestà… perché?»

   «E me lo domandi pure? Significa che ritieni giuste le tue azioni, presumo.»

   «Non… non capisco!»

   «Vattene, non voglio vederti!»

   Lo sguardo di Arturia continuava a mostrare alcuna emozione, ma l’addestratore capì subito che non era il caso di indugiare oltre. Si alzò subito da terra e corse via, come un cagnolino con la coda tra le gambe.

   Alice osservò la scena che sarebbe stata anche divertente, ma la bocca, le mani e il fianco le facevano troppo male e il massimo che riuscì a fare fu di osservare in silenzio. Poi, in quel momento, Arturia si avvicinò a lei. L’armatura cigolava mentre si piegava sulle ginocchia per osservare la bambina da vicino.

   «Come ti senti?» fu la domanda del re di Camelot.

   La risposta di Alice fu il suo pianto che riprese. Cercava di premere sulle labbra, ma farlo le causava dolore alla mano e singhiozzare le causava fitte al fianco. Non poteva fare nulla che non le causasse dolore. Le lacrime caddero a dirotto sul pavimento.

   Arturia le afferrò delicatamente il viso e con i pollici le asciugò le lacrime. Le prese le mani dai polsi, per non farle alcun male e osservò le vesciche che ricoprivano i palmi e le dita. Pensò a quanto fosse stato folle l’addestratore a farla continuare così: persino lei non sarebbe riuscita a impugnare la spada se non per questione di vita o di morte, ma aveva anche più esperienza e si era già addestrata, mentre Alice no.

   «Per oggi hai finito con l’addestramento, ora occupiamoci di queste mani e del tuo labbro.»

 

 

In un solo giorno, Alice era passata dalla piazza interna di Camelot, alla sala di addestramento e ora si trovava nelle stanze private del re. Arturia l’aveva portata lì, facendo chiamare un dottore per controllare le sue ferite. Fortunatamente, il taglio al labbro non era grave, solo doloroso, mentre per le mani gli aveva dato un unguento, in modo da alleviare il dolore, ma bisognava lasciare che guarissero da sole. Tuttavia, con le mani in quello stato, Alice non era in grado di fare quasi nulla e per questo si trovava nell’imbarazzante situazione di essere spogliata da Arturia.

   Arturia aveva fatto preparare la vasca da bagno che teneva nelle sue stanze per lavare la piccola Alice, tuttavia, sapendo che ella non sarebbe riuscita a spogliarsi per il dolore alle mani, decise di occuparsene lei. Le sbottonò il vestito azzurro, per poi farlo scivolare sul suo gracile corpo, lasciandola in mutande e dato che era piccola, non aveva ancora un top o un reggiseno. Le mise il vestito steso sul letto, per poi afferrare le mutande e tirarle delicatamente verso il basso, ma qualcosa le stava trattenendo.

   «N… no!» esclamò Alice, stringendo l’elastico delle mutande. Questo le causava dolore, ma si vergognava all’idea di essere vista nuda, anche se Arturia era una ragazza.

   «Che stai facendo? Ti fai male così e poi non puoi certo fare il bagno con le mutande addosso.»

   «No… non… non voglio che guardiate!» Il volto era arrossato per l’imbarazzo e sembrava sul punto di piangere.

   Arturia sospirò. «Facciamo così, io te le tolgo, ma tengo gli occhi chiusi, va bene?»

   La risposta di Alice fu un cenno col capo e lasciò le mutande.

   Come promesso, Arturia chiuse gli occhi e le sfilò l’ultimo indumento che lanciò poi verso il letto. «Bene, ora ti metto nella vasca. Tranquilla, tengo gli occhi verso l’alto.»

   Alice si lasciò andare, mentre le forti mani di Arturia la presero alla vita, la sollevarono da terra, per poi venire immersa nella vasca piena d’acqua calda. La piacevole sensazione di calore pervase il corpo di Alice, la quale non si faceva un bagno da quando aveva lasciato il villaggio. Le mani bruciarono un po’, ma l’unguento aveva cominciato a fare effetto.

   A quel punto, un rumore, come qualcosa di leggero che veniva lasciato cadere a terra, la fece voltare e vide Arturia che si stava spogliando. Notò subito le braccia che erano decisamente più muscolose di quelle di qualsiasi donna avesse mai visto, ma non sembravano comunque quelle di un uomo. Il vestito bianco era stato lasciato cadere a terra, così come anche l’intimo, rivelando dei seni piccoli che però rendevano la ragazza più aggraziata. Se prima, con la sua armatura sembrava un cavaliere, in quel momento appariva come una normalissima ragazza.

   Arturia si sfilò il fiocco nero dai capelli, liberando così la sua fluente chioma bionda, per poi avvicinarsi alla vasca.

   «Che… che state facendo?» chiese Alice, spostandosi sull’altro lato della vasca.

   «Mi faccio un bagno.»

   «Ma… ma ci sono io!»

   «Non puoi certo lavarti da sola e a questo punto è meglio se entro anch’io.» Detto ciò, Arturia s’immerse nella vasca, rilasciando un sospiro di sollievo, seguito da un sorriso. Era la prima volta che Alice la vedeva mostrare qualche emozione.

   «P… posso lavarmi da sola, guardate!» Alice prese l’acqua con le mani e iniziò a strofinarla sul proprio corpo, ma venne subito fermata da una fitta.

   «Lo vedi? Non puoi lavarti da sola, lascia fare a me. E poi siamo entrambe femmine, no?»

   «Sì, ma…»

   «Niente “ma”! Adesso girati che ti lavo la schiena.»

   Alice esitò, ma poi ubbidì ad Arturia. Le porse la schiena e, poco dopo, senti le forti mani della ragazza passare sulle sue spalle, scivolando grazie al sapone che stava spargendo. La sensazione era piacevole e Alice cominciò a essere meno tesa. In fondo doveva dare ragione ad Arturia: erano entrambe femmine, non doveva vergognarsi. Mentre pensava ciò, le mani di Arturia cominciarono a passare anche sul suo petto e questo la fece arrossire e agitare.

   «E dai, stai ferma!»

   «Noooooo!»

Arturia ci mise parecchio a farla calmare e riuscire a lavarla, ma alla fine ci riuscì, anche se l’acqua della vasca era finita pure sul pavimento.

   «Accidenti, hai combinato un bel disastro.»

   «Mi… dispiace!» rispose Alice, imbarazzata.

   «Non importa, l’importante è che ora sei pulita.» A quel punto, la strinse in un abbraccio e sorrise. «E devo ammettere… che è stato divertente!»

   Alice sentì la stretta di Arturia. Non provò alcun imbarazzo, solo stupore per quello che le aveva detto e per la piccola risatina che il re fece.

   «Alice» continuò poi Arturia, «so bene che per te è tutto nuovo ed io sono la prima ad aver sbagliato. Ti ho affidata a un uomo che ti ha maltrattata, quando tu nemmeno avevi chiesto di venire qui, non sono stata… ospitale con te.»

   Alice girò la testa, guardando Arturia negli occhi.

   «Ti chiedo scusa, ma… non sapevo come comportarmi. Ho da pensare a questo regno e… non sapevo che fare con te, una bambina. Scusami!»

   Alice notò il dispiacere nello sguardo di Arturia e il suo gesto, così semplice, le sembrò il più adatto per ringraziarla di tutto. Le sue braccia si avvolsero alla vita del re di Camelot.

   «Maestà… voi… vi ringrazio!»

   Arturia fu sorpresa, ma anche rallegrata da quel gesto. La sua mano si posò sulla testa della bambina, accarezzandola.

   «Puoi chiamarmi Arturia quando siamo sole. Da questo momento, sarò io a prendermi cura di te.»

   
 
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