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Autore: Swan_Time_Traveller    05/08/2022    0 recensioni
[Prequel su Eddie Munson, il primo di una trilogia, che presenta la famiglia di origine del personaggio e le vicende che hanno portato alla sua nascita.]
"Andarsene, in un posto lontano. Ovunque, purché i giudizi affilati della gente di Hawkins non la raggiungessero: nella mente di Liz però, quelle parole sarebbero risuonate ugualmente, a prescindere dal suo nuovo inizio. E davvero si parlava di questo, di un capitolo da aprire ex novo? Era tutto nelle sue mani, e tutto dipendeva da lei, inclusa la vita che nove mesi dopo avrebbe cambiato la sua esistenza per sempre: forse era proprio quello il punto, settembre. Il momento in cui quella nascita sarebbe stata concreta, l'attimo in cui sarebbe diventata una madre.
Le incognite erano però troppe, così come la vergogna, le lacrime versate mentre suo padre, Christopher Munson, le ripeteva di non tornare a casa mai più.
Tutto quel di cui Liz era sicura era scappare. Fuggire, allontanarsi per sempre da una cittadina che le aveva voltato le spalle, assieme alla sua intera famiglia."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eddie Munson, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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It’s all about the Kennedys
 
Era una mattinata di lavoro intenso in officina ad Hawkins: dall’ufficio dello sceriffo erano arrivate due automobili che necessitavano di riparazioni abbastanza veloci, ma comunque da farsi in giornata. In  più, come al solito, qualche collega a casa che si dava per malato il giorno stesso non mancava mai. Wayne era arrivato in officina puntuale, sorprendendosi quasi del fatto che, pur essendo presto, l’aria ad Hawkins sembrava molto più mite rispetto a qualche giorno prima: evidentemente, anche in quella cittadina dimenticata da Dio la bella stagione stava timidamente facendo il suo arrivo.
“Munson è arrivata una lettera per te.” Bofonchiò il capo, già sudato e sporco di olio motore. “Mi spieghi perché il postino adesso ha il brutto vizio di venire qui al posto di casa tua?” Continuò, scuotendo la testa e proseguendo il suo lavoro. Wayne ormai conosceva il soggetto, e si risparmiò qualsiasi risposta o spiegazione, perché il suo capo non aveva voglia di ascoltare storie: faceva domande, poi tornava a smanettare nei cofani di qualche automobile.
Sulla scrivania, nell’ufficio accoglienza clienti, c’era effettivamente una busta: il timbro postale non sembrava dell’Indiana. Afferrandola, Wayne comprese subito il mittente e scartò immediatamente l’involucro, leggendo velocemente e promettendosi di prendere del tempo, verso sera, per godere a pieno del racconto della sorella. Al lavoro immediatamente su una delle due auto dello sceriffo, Wayne abbozzò un sorriso sotto i baffi, ripensando alle parole lette repentinamente che conteneva quella lettera: all’improvviso le preoccupazioni per la sorella si affievolirono un po’, pensando al fatto che avesse trovato un lavoro e una sorta di stabilità, ma soprattutto … Una casa in cui sembrava che Liz fosse accettata e benvoluta. Questo, non per colpa ovviamente di sua sorella, non era scontato.
Per tutta la giornata di lavoro Wayne Munson fu accompagnato dal pensiero di sua sorella e da ciò che in quella lettera era scritto; in realtà aveva già messo in conto di andarla a trovare, ma il suo capo non  gli aveva concesso nemmeno pochi giorni di riposo se non a settembre. Quel mese, teoricamente, doveva nascere suo nipote: sì, non c’era dubbio, Wayne era certo che sarebbe stato un maschio.

Il riscatto degli uomini della famiglia Munson.

Tutto sommato quindi settembre non sarebbe stato un brutto momento per lasciare la città per un paio di settimane, ma comunque era troppo presto per poter fare dei programmi e, ancora di più, alimentare le speranze di Elizabeth, che sicuramente non vedeva l’ora di rivedere suo fratello. Di rientro da lavoro, Wayne ebbe cura di nascondere bene la lettera arrivata in officina, con l’obiettivo di rispondere adeguatamente dopo cena, in camera, e lontano dagli occhi indiscreti di Christopher Munson. Quest’ultimo, quella sera, era non stranamente di pessimo umore: la causa che stava sostenendo assieme ad alcuni colleghi era più spinosa del previsto e lo lasciava insonne da ormai svariate notti. E proprio perché, per la prima volta da quando sua figlia era andata via di casa, Christopher non riusciva a dormire per nulla (e solo a causa del lavoro), ebbe finalmente modo di vedere sua moglie Ella nelle sue stesse condizioni. In genere si metteva a letto con  lui e poi, ad una cert’ora, usciva dalle lenzuola per sgattaiolare in cucina a fare non si sa bene cosa, secondo la testa di Christopher.


Finita la cena, svoltasi in un silenzio quasi da film, Ella iniziò a sparecchiare sotto l’occhio vigile di Christopher, che sembrava osservare entrambi i familiari con disappunto. “Mi spieghi cosa fai tutte le notti in cucina?” Chiese improvvisamente il capofamiglia, con un tono decisamente polemico. Ella lo guardò di sfuggita e, dopo aver riposto gli ultimi piatti nel lavello, fece spallucce. “Il dottore mi ha detto che devo prendere delle medicine, e sempre ad una cert’ora. Nulla di grave Christopher.” Replicò lei, quasi flebilmente. L’uomo si irrigidì e borbottò: “Ed io invece avevo l’impressione che l’orario l’avessi scelto tu per non farti vedere, non  il medico. Pensi sia scemo?” L’ultima parola aveva subìto un’inclinazione amareggiata, e i toni si stavano decisamente alzando. Wayne sospirò e disse: “Non penso ci sia da arrabbiarsi papà. La mamma sa certamente quello che fa, e pure il dottore.” Christopher Munson si voltò velocemente verso il figlio e, sgranando gli occhi esclamò: “Tua madre con ogni probabilità prende dei sonniferi alle mie spalle e secondo te è normale?! In questa famiglia è rimasto qualcuno con un po’ di sale in zucca o no?!” Le finestre potevano praticamente tremare, a giudicare dai toni che stavano aumentando a dismisura. Ella si era impietrita, e aveva la testa abbassata: non sembrava volesse replicare.
“Come può una madre dormire sonni tranquilli sapendo che sua figlia è chissà dove?” Inaspettatamente, dopo pochi minuti di silenzio, Ella alzò lo sguardo, rigato dalle lacrime e parlò: fissava negli occhi suo marito, probabilmente umiliata dall’ennesimo attacco rivoltole, insostenibile considerato il peso che quegli eventi stavano avendo su di lei. Wayne si voltò verso sua madre, quasi incredulo: ricordando le parole che Liz gli aveva rivolto nella lettera proprio circa Ella e il suo atteggiamento, certamente quella scena meritava di essere riferita nella risposta che le avrebbe inviato la mattina dopo.
Christopher Munson era ancora più sorpreso del figlio, e stava guardando sua moglie mentre il viso assumeva un colorito sempre più acceso: “Tua figlia è diventata lo zimbello di questa città e la vergogna di questa famiglia! Non devi nemmeno più considerarla parte dell’albero genealogico, e nemmeno un posto a tavola per le feste. Qui funziona così. Sonni tranquilli! Quelli non dovevi farli la volta in cui hai acconsentito a mandarla a quella maledetta festa! Di quei Sinclair che Robert Kennedy fra poco porta alla Casa Bianca con sé, alla faccia delle premesse!” Iniziò ad urlare, ma senza muoversi dalla sedia: era incredibile quanto potesse uscire dalla sua bocca, e quanto al contempo il suo corpo rimanesse fisso e apparentemente imperturbabile. “Sul serio, dove pensate che sia rimasta incinta quella dannata?! Eh? A quella festa schifosa, ecco dove! E la colpa sarebbe mia?!” Proseguì, senza nemmeno preoccuparsi di sua moglie, che stava piangendo sempre più rumorosamente.

Wayne sospirò e, stringendo entrambe le mani per rilasciare quella tensione che avrebbe voluto volentieri scaricare su suo padre, si girò verso quest’ultimo e ribatté, mantenendo il tono piatto: “Hai finito?” Di nuovo, il silenzio. Suo padre strabuzzò gli occhi, chiaramente fuori di sé per ciò che stava accadendo in quella casa, dove era sempre solito far regnare la tranquillità e il rigore. Wayne Munson non attese repliche, e decise di infierire un altro colpo al suo avversario: “Hai finito di straparlare, per una volta in questa vita? In questa famiglia che stai riducendo a brandelli?!” Christopher Munson aprì la bocca, ma Wayne non era intenzionato a farlo parlare, non ancora. A differenza di suo padre, si alzò dalla sedia e, avvicinandosi a sua mamma, le prese entrambe le mani e guardandola negli occhi, le disse: “Elizabeth sta bene, è al sicuro. E’ in buone mani.” Ella scoppiò nuovamente a piangere, stavolta rincuorata dalle parole che suo figlio aveva appena pronunciato, e che le davano speranza, almeno per sua figlia, alla quale non aveva avuto il coraggio di dare conforto.
Per Christopher Munson quello era l’apice dell’assurdo: continuò a guardare la scena esterrefatto e, dopo aver sentito suo figlio pronunciare tali parole, balbettò. “Come fai … Come fai a sapere dove si trova quella?!” Wayne lasciò le mani della madre e, tornando a guardare suo padre, con una smorfia di disprezzo, replicò: “Quella ha un nome. Elizabeth Munson, Cristo! Ed è mia sorella e tua figlia!” Tuonò, questa volta per dare una direzione definitiva a quella conversazione. Poi proseguì, abbassando la voce: “So benissimo che nessuno dei due utilizzerà queste informazioni a dovere, ma non voglio rimpianti. Mamma è tua succube e tu chiaramente hai fatto la tua misera scelta.” Si fermò un attimo, per poi riprendere il discorso: “Elizabeth è a Dallas. Accolta da una famiglia meritevole e seguita da un medico. Lavora al Book Depository  e ha appena ottenuto un ufficio tutto suo. Per la prima volta sento mia sorella felice, e meno critica nei confronti di se stessa. Qualcuno di questa famiglia doveva brillare, prima o poi.” Le ultime parole furono quasi sputate da Wayne, che era stato ascoltato attentamente da Ella, ma anche da Christopher, il quale era ormai del colore della lava.
 
“Non so se essere più disgustato dalle tue parole, dal fatto che lei si trovi a Dallas o dal suo lavoro. Quella l’ha fatto per indispettirmi, cosa credete? Va a lavorare dove hanno sparato al Presidente Kennedy! E’ talmente palese che quella ragazza voglia farmi morire di un colpo secco, che però a nessuno in questa famiglia importa.” Esclamò Christopher Munson, sbattendo sul finale la mano sul tavolo, e facendo trasalire Ella, che continuava a singhiozzare. “E comunque su una cosa hai ragione, ragazzo. Noi non andremo a Dallas. Non andremo in alcun luogo dove lei sarà. Mai. E se vuoi continuare a inseguire quell’anima, libero di farlo, ma non davanti al mio naso.” Concluse, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi al salotto.
Wayne guardò sua madre, la quale, a sguardo basso, aveva aperto il rubinetto per lavare le stoviglie della cena. Scosse la testa e, prima che suo padre si mettesse sul divano, replicò: “Non c’è pericolo. Ho raggiunto un accordo col mio capo e il caravan è quasi pronto. Toglierò il disturbo prima che voi ve ne accorgiate. E con me siete a quota due figli.” Prese il pacchetto di sigarette che aveva lasciato sulla mensola e, prima di uscire sul retro a fumare rivolse uno sguardo ancora ai suoi genitori: “Comunque papà, non tutto gira attorno ai Kennedy.”
Sbatté la porta e si appoggiò alla cancellata: mentre inspirava il fumo della sigaretta appena accesa, rivolse uno sguardo alle stelle, luminose quanto la sera in cui aveva salutato sua sorella. La lettera che avrebbe scritto prima di andare a letto sarebbe stata ricca di notizie: poteva finalmente dirle che il caravan era davvero quasi realtà, mancavano pochi aggiustamenti e anche lui sarebbe uscito di casa. Poteva addirittura pensare di recarsi a Dallas con quello a settembre, per farle una sorpresa. Ma quest’ultimo dettaglio Wayne l’avrebbe omesso.

Sorrise.
Forse, tutto sommato, il nuovo inizio non sarebbe stato solo di sua sorella.
   
 
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