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Autore: Jamie_Sand    06/08/2022    3 recensioni
Nell’agosto del 2005, la preside McGranitt nota lo strano nome di un nato babbano che doveva iniziare a frequentare la scuola proprio quell’anno. Chiede dunque quindi al suo ex studente Harry Potter di portare lui stesso la lettera di ammissione a casa del bambino. Quando però Harry varca la soglia del cottage in cui vive il piccolo mago, si trova di fronte la copia esatta del suo defunto padrino e una donna che dice che quello non è altro che il figlio di Sirius Black.
Dal prologo:
- Come è possibile…? Lui e Sirius… - Sussurrò Harry, continuando a fissare il ragazzo, senza accorgersi di avere gli occhi pieni di lacrime.
Poi si voltò verso la donna, che teneva in mano una tazza piena di tea. - Sono identici, non è vero? - Chiese, con voce rotta.
- Non capisco. - Disse Harry, sempre più confuso. - Se Sirius avesse avuto una famiglia, addirittura un figlio, tutti noi lo avremmo saputo! -
- È complicato. - Rispose la donna. - Lascia che ti racconti la storia. -
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Sirius Black
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lascia che ti racconti la storia'
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Capitolo 23

 

Il due settembre, Janus fu il primo a svegliarsi in tutto il dormitorio di Grifondoro, ma spese almeno un’altra abbondante mezz’ora restando fermo sul letto a godersi l’atmosfera sonnacchiosa e rilassate che si respirava nella sua stanza, prima di alzarsi per raggiungere il bagno. Si lavò e si pettinò con estrema attenzione, deciso a fare buona impressione fin da subito, poi indossò la divisa con cura, sistemandosi per bene la cravatta e la camicia, che infilò nei pantaloni. 

Voleva che tutto fosse perfetto e, guardando il suo riflesso allo specchio, si decise che niente e nessuno sarebbe mai riuscito a rovinare quella prima giornata di lezioni. 

Con lo zaino sulle spalle, il ragazzino uscì silenziosamente dal dormitorio e poi dalla Sala Comune, ritrovandosi nei corridoi ancora vuoti della scuola. Passeggiò senza fretta, guardandosi intorno con interesse, immaginando suo padre alla sua età fare esattamente la stessa cosa in compagnia dei suoi amici.

A Hogwarts c'erano tantissime scalinate: alcune erano ampie e simili a quelle dei babbani, mentre altre erano un vero e proprio attentato alla vita degli studenti, con gradini che scomparivano all’improvviso o rampe che si muovevano portando nella direzione opposta a quella in cui si doveva andare. Tutta la struttura del castello sembrava essere un organismo vivente in continuo cambiamento, con i personaggi dei ritratti che si facevano visita uno con l’altro come se le loro tele fossero degli appartamenti e con le armature che di tanto in tanto sembravano muoversi.  

Quando raggiunse la Sala Grande per la colazione, dopo il suo lungo giro turistico del castello, si rese conto che non era più l’unico studente già in piedi, ma che disseminati lungo i quattro tavoli c’erano già parecchi Tassorosso, alcuni Corvonero e pochi Serpeverde. Al tavolo dei Grifondoro, invece, Hughie gli fece cenno di sedersi al suo fianco e il ragazzo obbedì, camminando a testa bassa fino a raggiungerlo. Si lasciò cadere sulla panca, diede un’occhiata alla colazione e poi al suo compagno di Casa. A contrario di lui, Hughie non sembrava molto interessato ad essere impeccabile: portava la cravatta allentata attorno al collo, la camicia aperta di due bottoni e rigorosamente fuori dai pantaloni e un paio di scarpe da ginnastica babbane. 

- Come è andata la tua prima notte? Hai pianto? - Gli chiese l’altro, ghignando. 

Janus aggrottò la fronte e scosse la testa. - No. - Rispose perplesso. - Tu hai pianto, la tua prima notte? - Domandò poi a sua volta. 

- Certo. - Rispose il ragazzo, come se fosse ovvio, prima di infilzare una salsiccia. - Come si fa a non piangere la prima notte lontano da casa? - 

Janus sorrise, anche se era ancora un po’ sorpreso, e poi si riempì il piatto di uova strapazzate, accompagnate da una fetta di pane ben tostato. - Una volta mia madre mi ha mandato in campeggio, lì effettivamente ho pianto e mi sono fatto anche venire a riprendere in piena notte. - Narrò senza un motivo e con un tono leggero. - Non vedo l’ora di iniziare le lezioni. - Aggiunse poi, parlando più a sé che all’altro. 

- Quali hai, oggi? - Chiese Hughie. 

Janus si frugò nelle tasche della toga, tirando fuori il foglietto su cui aveva appuntato l’orario di tutta la settimana. - Le prime due ore di storia della magia, poi trasfigurazione, pozioni… subito pranzo incantesimi e basta. - Disse, infilando di nuovo in tasca il foglietto. - Nel pomeriggio voglio fare una passeggiata in biblioteca, Hermione dice che è molto ben fornita, magari mi metto a studiare un po’.  - 

Hughie fece una faccia schifata. - Tu sei pazzo se il primo giorno ti vuoi mettere a studiare. - Sentenziò, scuotendo la testa. - Senti, che ne dici se oggi pomeriggio piuttosto ce ne andassimo da Hagrid? Non vuoi conoscere l’ippogrifo di tuo padre? - 

- Fierobecco? Pensavo lo avessero liberato. -  

Hughie scosse la testa. - No, no, è sempre stato qui, ma con un altro nome. - Rispose. 

La Sala Grande, intorno a loro, si stava man mano riempiendo di studenti e studentesse emozionati per l’imminente inizio delle lezioni. Janus notò Klaus, uno dei suoi compagni di stanza, sedersi davanti a lui, dall’altra parte del tavolo. Si trattava di un ragazzino alto, dagli ispidi capelli castani e dagli occhi scuri, che, nonostante avesse undici anni proprio come lui, appariva già come uno studente molto più grande. Infatti, a contrario di Janus che era sempre il più piccolo tra tutti gli altri suoi coetanei, Klaus era robusto e prestante come un adulto. 

- Black. - Esordì, appoggiando teatralmente, e con un tonfo, un grosso libro rilegato in pelle sulla superficie legnosa del tavolo e aprendolo davanti a lui. - Sei un rettilofono? - 

A quella domanda Hughie sobbalzò e Janus per poco non si strozzò con il succo di zucca, ma poi posò con calma il bicchiere sul tavolo e si ricompose, assumendo un’espressione sorpresa. - Cos’è un rettilofono? - Chiese con nonchalance, cercando di ignorare gli sguardi insistenti dei suoi due compagni di Casa. 

Klaus assunse un’espressione molto scettica. - Mi prendi in giro? - Lo accusò alzando entrambe le sopracciglia, prima di iniziare a sfogliare il grosso libro che aveva portato con sé. - Hai fatto strani suoni sibilanti per tutta la notte mentre dormivi, e poi ho letto qui che c’è un ramo della tua famiglia in cui si parla serpentese. -

- Mi dispiace ma non so proprio di cosa tu stia parlando. - Negò ancora Janus. 

- Quindi sei imparentato con Serpeverde? - Gli chiese Hughie, osservandolo bene. 

Janus sbuffò e incrociò le braccia sul petto. - A parte che Salazar Serpeverde non era l’unico rettilofono in tutto il mondo… - 

- Allora sai di cosa stiamo parlando. - Ribatté Klaus con un che di vittorioso nella voce, prima di rivolgersi a Hughie. - Comunque no, gli ultimi discendenti di Serpeverde erano i Gaunt. Ad ogni modo, Black, leggi questo libro quando hai tempo, scoprirai un sacco di cose interessanti, come ad esempio… ah, sì, ecco: lo sapevi che i tuoi parenti volevano rendere legale la caccia al babbano? L’ho letto qui, guarda… e poi ho scoperto che per voi era normale combinare matrimoni tra consanguinei; perfino i genitori di tuo padre erano cugini? Forse è per questo che… -  

- Non sono miei parenti quelli. - Lo interruppe gelidamente Janus, lanciando un’occhiata sprezzante a quel libro. - E poi perché stai facendo questa sorta di… ricerca? -  

L’altro chiuse il libro di scatto, come se si fosse sentito improvvisamente in imbarazzo, ma non diede nessun altro segno di disagio. Sulla copertina di pelle, delle lettere dorate formavano il titolo “nobiltà di natura: genealogia magica”. 

- Mio padre è uno storico della magia esperto in genealogia. - Spiegò di fretta. - Tu ti sei messo a parlare in serpentese nel sonno, quindi mi sono messo a cercare qualche informazione per vedere se avevo ragione. E poi credevo che ti avrebbe fatto piacere scoprire da dove vieni, visto che sei stato via per così tanto tempo. -   

- Grazie per il pensiero ma io so già da dove vengo. E di certo non da questi qui che facevano la caccia al babbano e che si sposavano tra cugini. - Ribadì Janus. - E quello non era serpentese. - 

- Guarda che non è per forza una cosa negativa. - Sottolineò Hughie. - Potenzialmente potremmo farci una passeggiata nella Camera dei Segreti, dato che tu puoi aprirla. - 

Klaus spalancò gli occhi come colto da un’illuminazione, mentre Janus chiese: - Cos’è questa Camera dei Segreti? - 

- Un posto creato da Serpeverde. - Rispose Klaus. - Dentro c’era un grosso basilisco che voleva far fuori tutti i nati babbani della scuola, ma poi Harry Potter lo ha ucciso e il suo scheletro è ancora lì, tutto intero, con tanto di denti velenosi capaci di uccidere un horcrux. Nessuno c’è mai più entrato dato che serve qualcuno che sappia parlare in serpentese. - 

Janus esitò per un istante e poi far rimbalzare lo sguardo tra i due con una velocità tale da farlo apparire nervoso. - Mi sembra una cosa inutilmente pericolosa - Commentò. 

- A me sembra una cosa divertente. - Ribatté Hughie tra sé e sé.  

- Ma quindi tu e tuo padre parlavate in serpentese tra voi? - Domandò Klaus curioso.

Janus scosse la testa. - Ho preso questa cosa da mio nonno e mio zio. E poi avevo un anno e mezzo quando io e mamma ce ne siamo andati da Grimmauld Place, quindi non è che io abbia avuto chissà quanto tempo per parlare con lui in generale. - Rispose amaramente. - Potete non dire a nessuno di questa cosa, per favore? -  

Klaus alzò le spalle. - Sì, non ti preoccupare. - Approvò. - Ma, aspetta… non è che sei una sorta di aspirante mago oscuro, vero? - 

Janus aprì la bocca per rispondere, gonfio di indignazione, ma Hughie lo anticipò: - Blackie è solo un ragazzino di undici anni come tanti altri. - Disse con sicurezza. - E poi ci sono tanti maghi per bene che sono dei rettilofoni. -  

- Potremmo evitare di usare quella parola in luoghi pubblici? - Sbuffò Janus. 

- Allora diciamo che parli italiano? - Buttò lì Hughie.

Nello stesso momento, come se fosse apparsa dal nulla, Annie si sedette dall’altra parte del tavolo, accanto a Klaus. - Chi è che parla italiano? - Esordì allegra. 

Hughie e Klaus si limitarono a fare un cenno verso Janus, che annuì incerto. 

- Davvero? Dai, dimmi qualcosa! - 

Il giovane si lasciò andare a una risatina nervosa. - Hem… hola, cómo estás? -

- Quello è spagnolo. - Obiettò Annie, guardandolo perplessa. 

- Annie, cosa fanno i tuoi nel mondo dei babbani? - Le chiese Klaus, nel goffo tentativo di togliere l’amico dall’imbarazzo.

- Sono entrambi psicologi, hanno uno studio insieme a Londra. - Rispose lei.

Klaus e Hughie si scambiarono uno sguardo dubbioso. - Ed è un lavoro pericoloso? - 

Questa volta toccò ad Annie essere perplessa. - Be’ no… - Rispose incerta. - Non sapete cosa sia uno psicologo, vero? - 

- Io sì. Mia madre mi ci mandava e ci andava anche lei. - Disse Janus, pentendosene all’istante. - Non che io ne abbia mai avuto bisogno. - Si affrettò ad aggiungere. 

- Guarda che non c’è mica niente di male. - Obiettò Annie. 

- Ma che cos’è questo psicocoso, Annie? - Domandò Hughie, curioso. 

- È una persona da cui vai per poter parlare senza essere mai giudicato e che ti aiuta a risolvere alcuni problemi. - Spiegò Annie. - Tu perché ci andavi, Janus? - 

Janus si sentì arrossire e si maledì. - Ci andavo solo perché mia madre mi obbligava, te l’ho detto, non avevo nessuna vera problematica. - Ribatté. - Però lei ci andava perché era triste per mio padre, da quel che so. - 

Lei lo guardò come se non ci credesse affatto e poi si rivolse agli altri due. - E i vostri genitori cosa fanno? - 

- Papà è il Ministro, mentre mamma un auror. - Raccontò Hughie come se si trattassero di due lavori comuni e umili. - Il padre di Klaus è uno storico della magia, mentre sua madre, se non sbaglio, dovrebbe lavorare alla Gazzetta del Profeta, vero? - 

Il ragazzo annuì. - Sì, lei si occupa di cronaca rosa. - Spiegò, prima di guardare Janus: - Tua madre invece di cosa si occupa? - 

- Lei insegna, ma si occupa anche di critica d’arte e saggistica. - Rispose Janus. 

Una campanella annunciò l’imminente inizio delle lezioni, e dunque i quattro studenti si alzarono per avviarsi nelle rispettive classi. 

- Certo che i babbani fanno lavori proprio strani. - Commentò Klaus, camminando verso l’uscita della Sala Grande. - I genitori di Annie vengono pagati per ascoltare i problemi altrui, mentre alla mamma di Janus basta fare qualche critica a qualche quadro. - 

Hughie raggiunse i suoi compagni del quarto anno, mentre Janus, Klaus e Annie si affrettarono a raggiungere il terzo piano per la lezione di storia della magia insieme ai Tassorosso, che risultò noiosa a tutta la classe tranne che a Klaus, che invece riteneva storia una materia molto interessante. 

- Stavo per addormentarmi, lo giuro. - Si lamentò Janus, due ore dopo, percorrendo il corridoio che li avrebbe portati verso l’aula di trasfigurazione. 

- Tu non ne capisci il fascino. - Lo bacchettò Klaus. - È importante sapere chi c’è stato prima di noi perché così possiamo capire meglio noi stessi. - 

- Come dici tu, Hopper. - Lo assecondò Annie, salendo le scale. 

Trasfigurazione si rivelò fortunatamente un entusiasmante. La insegnava la preside in persona, che fece loro un discorso sulla materia per poi trasfigurare una civetta in un calice d’acqua e viceversa. Tutti rimasero impressionati, ma si resero presto conto che ci sarebbe voluto un bel po' di tempo prima che diventassero abbastanza bravi da trasfigurare un animale in un calice. 

Come alla scuola babbana, Janus prese appunti con facilità e fu felice di notare che non ci fosse ancora troppa pratica con la bacchetta: anche se si era un po’ esercitato a casa, aveva paura di non essere bravo come tutti gli altri. 

Poi però la McGranitt diede a ciascuno di loro un fiammifero da trasformare in un ago, cosa che lo fece piombare nell’angoscia. Alla fine della lezione, il fiammifero di Janus era diventato tutto d’argento, ma non aveva minimamente l’aspetto di un ago. 

- Come hai fatto? - Gli chiese Klaus, mentre tutti e tre si avviavano verso il sotterraneo per la prima lezione di pozioni. 

- Mi sono esercitato un po’ a casa, infatti speravo che andasse un po’ meglio. - Spiegò lui, alzando le spalle. - Trovo che trasfigurazione sia una materia molto interessante. Mi piacerebbe diventare animagus un giorno. -

- Magari sarai un cane anche tu. - Buttò lì Klaus e poi, sotto lo sguardo interrogativo di Annie, aggiunse: - Suo padre si trasformava in un cane nero, è così che è scappato da Azkaban, l’ho letto sulla figurina delle cioccorane. -

- Lui è sulle figurine delle cioccorane? Insieme a Silente e Harry e Merlino? - Chiese Janus, guardando l’amico sorpreso.

- Sì, ma appare solo nell’edizione che mettono in commercio ogni anno per l’anniversario della fine della guerra. - Spiegò Klaus. 

- Cioccorane? Cosa sono? E cos’è Azkaban? - Domandò invece Annie. 

- Comunque dopo te ne do una. - Aggiunse in fretta Klaus mentre camminavano lungo un corridoio molto affollato, per poi guardare la ragazzina al suo fianco. - Le cioccorane sono delle rane di cioccolato con dentro delle figurine con i maghi e le streghe che hanno fatto qualcosa che li ha resi famosi. Nel caso del signor Black è stato… morire, credo, ma anche scappare da Azkaban, la prigione dei maghi. - 

- Sì, ma era innocente. - Si affrettò a dire Janus.  

- … era un posto davvero terrificante Azkaban. - Continuò Klaus, come se l’altro non avesse parlato. - Con i dissennatori che ti facevano uscire fuori di senno nel giro di qualche anno, celle di pochi metri senza nemmeno dei veri letti. Meno male che il Ministro Shacklebolt ha cambiato un po’ le cose. -  

- Perché, adesso com’è? - Domandò Janus, con interesse. 

- Ci sono ancora i dissennatori, dato che nessuno sa come liberarsene, ma le condizioni di vita dei prigionieri sono migliorate parecchio. - Raccontò Klaus. - Adesso si punta alle riabilitazione piuttosto che alla punizione. Infatti già il prossimo anno i primi mangiamorte, quelli che hanno commesso reati di minore entità, cominceranno ad essere rilasciati. Ma nessuno è veramente d'accordo con questa cosa. - 

- Chissà come mai. - Mormorò Janus, rabbrividendo.

L’aula di pozioni era fredda, umida e un po’ tetra, ma a Janus piaceva, anche se le pareti erano piene zeppe di scaffali su cui erano poggiati tanti barattoli di vetro in cui galleggiano animali immersi in un liquido giallognolo. I banchi non erano come quelli che occupavano le altre classi, ma si trattava di tavoli molto più grandi e non di legno circondati da sgabelli alti. 

Una volta entrati, Janus notò che gli studenti di Serpeverde, con cui avrebbe dovuto dividere quella prima lezione di pozioni, erano già arrivati e si erano sistemati occupando i due tavoli sulla destra; i tre Grifondoro, dunque, si accomodarono dall’altra parte dell’aula insieme al resto degli studenti della loro Casa. 

Janus, seduto su uno di quegli alti sgabelli, tirò fuori dal suo zaino il manuale di pozioni nuovo di zecca, la piuma e un paio di fogli di pergamena, senza badare troppo a chi aveva intorno e nemmeno agli sguardi che alcuni studenti dal tavolo di Serpeverde gli stavano lanciando. In fin dei conti era abituato a cose del genere, dato che era stato il ragazzino strano fin dai tempi dell’asilo, inoltre Harry lo aveva avvertito sul fatto che, nonostante la guerra fosse finita da parecchi anni, ci fossero ancora famiglie di maghi convinti della loro superiorità di purosangue. Lui, figlio dell’ultimo Black e di una comune babbana, rappresentava ciò che di più sbagliato ci potesse essere nel mondo. 

- Black, quella lì ti fissa in modo strano. - Lo avvertì Klaus, dandogli una gomitata e facendo un cenno verso il lato della classe occupato dai Serpeverde. 

Janus guardò nella direzione dell’amico, dove Faye se ne stava seduta, un po’ in disparte, con gli occhi puntati proprio verso di lui. - L’ho conosciuta al Ghirigoro quando sono andato a comprare i libri. - Spiegò. - Si chiama Faye. Faye Selwyn. - 

- Non sembra molto simpatica. - Commentò Annie, voltandosi verso di lei senza ritegno.

- Credo che non lo sia affatto. - Annuì Janus. 

La Serpeverde da prima sembrò fulminare i tre Grifondoro con lo sguardo, poi fece uno strano sorrisetto e li salutò muovendo la mano nella loro direzione. - Ciao, Black. - Disse, senza preoccuparsi di attirare l’attenzione dell’intera aula. 

Senza un apparente motivo logico, Janus sentì la sua gola farsi improvvisamente molto secca, mentre le sue guance molto calde. Si limitò a ricambiare il saluto di lei a volume bassissimo, sotto le occhiate perplesse dei Serpeverde a cui la ragazzina proprio non badava, a contrario di lui che, invece, si sentiva un po’ troppi sguardi addosso. 

- Sul serio, Selwyn? - Intervenne un ragazzino dai capelli chiari, quello che la sera prima, alle barchette, si era ad Annie e Janus con il nome di Abner Rowle. - Perché parli a questi qui? Una babbana, un mezzo babbano e un traditore del proprio sangue… -  

Mentre tra i Grifondoro la tensione salì quasi nell'immediato, Faye si voltò verso il compagno di Casa rivolgendogli un sorrisetto mellifluo e molto difficile da comprendere.  

- Che succede, Rowle? - Le chiese con voce leggiadra. - Pensi ancora di essere nel 1998? - 

- Purtroppo no. Se fossimo nel 1998 quello sgorbio lì non starebbe deturpando la mia vista in questo momento. - Ghignò Rowle, facendo un cenno verso Annie, le cui labbra si piegarono verso il basso. - E scommetto che neanche quel finto Black ci avrebbe degnato della sua presenza, se ne sarebbe rimasto ben nascosto in America. A quanto pare quello di nascondersi è un vizio di famiglia. - 

- Cosa intendi dire, scusa? - Gli chiese Janus. 

L’altro sogghignò e poi alzò le spalle. - Non era tuo padre quello che si nascondeva nella vecchia casa di sua madre mentre tutti gli altri combattevano contro il Signore Oscuro? Sì… sai, quello che è uscito una volta sola in un anno e ci ha anche rimesso e penne. - 

Janus non ribatté. Non gli piaceva discutere e, anzi, aveva imparato dalla scuola babbana che ignorare i bulli solitamente era un buon modo per toglierseli di torno. Quello era stato il suo approccio da quando, dopo aver trasformato i capelli di un bambino in un ammasso di vermi per sbaglio all’età di otto anni, sua madre gli aveva detto di essere delusa, estremamente delusa, dal suo continuo reagire male alle prese in giro degli altri bambini. Dopotutto era la quinta scuola che avrebbero dovuto cambiare in pochi anni. 

Anche in quel caso, davanti ad Abner Rowle, Janus non disse una parola, ma fu invece la Serpeverde a parlare al posto suo: - Lascia stare, Black. Credo che Rowle sia geloso del fatto che vai meglio di lui in trasfigurazione nonostante tu sia cresciuto tra i babbani. - Disse Faye.

- Attenta, tu. - Sibilò Rowle in risposta. - Non vorrai mica fare la fine di mammina, vero, Faye? - 

Accadde tutto in un millesimo di secondo. Faye sfoderò la bacchetta puntandola nella direzione del compagno di Casa, ma forse senza nessuna vera intenzione di lanciare un incantesimo verso Rowle, che invece non ricambiò il favore. Il Serpeverde urlò una formula magica come se fosse una cosa normale per lui lanciare incantesimi contro una persona, e il corpo di lei venne scaraventato contro uno degli scaffali pieni di barattoli, scatenando il caos tra gli studenti.  

Con una stoicità che Janus le invidiò, Faye si alzò in piedi quasi nell’immediato, ma con uno sguardo talmente duro negli occhi che faceva quasi paura. Fece un passo verso il suo compagno di Casa con l’andamento di una che sicuramente lo avrebbe preso a pugni e quando il ragazzo levò di nuovo la bacchetta davanti a sé, qualcosa fece scattare il Grifondoro in avanti ancor prima di pensare di farlo: non conosceva nessun incantesimo di disarmo, ma non poteva di certo stare lì, fermo a guardare mentre Rowle schiantava nuovamente Selwyn. No, lui non avrebbe fatto finta di niente come per anni avevano fatto i suoi compagni di classe quando qualcuno lo prendeva di mira, lui non si sarebbe voltato dall’altra parte.

Nonostante non avesse mai avuto la stazza da linebacker*, fu piuttosto facile atterrare Rowle un istante prima che pronunciasse un’altra formula, anche se se ne pentì quasi subito. - Hem… scusa. - Disse, mentre entrambi erano ancora a terra. - Non ti sei fatto male, vero? - 

- Che sta succedendo qui? - La voce di Lumacorno, appena apparso sulla soglia dell’aula, era quasi disperata. - Le mie scorte di veleno di veleno di acromantula… e tutti i miei crini di unicorno… - Quasi piagnucolò, dirigendosi verso l’ammasso di barattoli rotti. 

- Black e Selwyn mi hanno attaccato, signore. - Raccontò Rowle, tornando in piedi.

Tra gli studenti si alzarono cori indignati e non: metà dei Serpeverde dava ragione a Rowle, mentre l’altra metà si teneva fuori, mentre la totalità di Grifondoro si era schierata dalla parte di Janus e Faye. 

- Basta, basta! - Esclamò Lumacorno, con fare sbrigativo. - Mi duole molto, ma temo che tutti e tre voi dobbiate seguirmi… non è concepibile che devastiate l’aula di pozioni durante il primo giorno, anzi, durante la prima lezione di pozioni in assoluto. Avanti, andiamo. Cerchiamo il professor Paciock, così che si possa occupare anche di lei, signor Black. Dopotutto è lui il direttore di Grifondoro. -  

Janus rivolse un fugace sguardo terrorizzato a Klaus ed Annie, prima di obbedire docilmente, seguendo il professor Lumacorno e i due Serpeverde fuori dall’aula e poi su verso le scale. Camminarono in silenzio per quei corridoi affollati, il cuore di lui tormentato dal terrore di essere espulso, finché non raggiunsero la porta dell’ufficio del professor Paciock, direttore della casa di Grifondoro. 

Lumacorno bussò e, quando udì una voce che la invitava ad entrare, spalancò la porta, varcando la soglia con Janus, Faye e Rowle al seguito. 

Si trattava di una stanza quadrata, caotica e piena zeppa di piante come se fosse una serra. Dentro, il giovane professore stava prendendo un tè con la preside, che ricambiò i loro sguardi in modo severo. 

- Buongiorno Neville… signora preside. - Disse Lumacorno, a modo di saluto. 

- Horace, che succede? - Domandò subito la McGranitt, passando gli occhi da Lumacorno agli studenti e viceversa. 

- C'è stato un piccolo screzio: a quanto pare Black e Selwyn hanno attaccato il signor Rowle causano una vera devastazione dell’aula di pozioni. Ho pensato fosse giusto informare il professor Paciock. -  

- Io non ho attaccato nessuno e nemmeno Black! Anzi, casomai il contrario! - Sbottò Faye, piena di indignazione. - Cioè… in un certo senso Black ha attaccato Rowle, ma solo perché pensava che avessi bisogno di aiuto. E, tra parentesi, non ne avevo bisogno. - 

- Non è vero! - Esclamò Rowle. 

- Invece è vero. - Ribatté Faye, e Janus pensò che avesse troppa tenacia per essere conservata tutta in quel corpo minuscolo. - E hai detto anche cose razziste su quella lì, la nata babbana bruttina… e anche cose cattive sul signor Black! Non lui, ovviamente, ma l’altro… Sirius Black! - 

La McGranitt alzò una mano poco prima che Rowle aprisse bocca per rispondere e poi sospirò e scosse la testa. - Qual è l’entità dei danni, professore? - Domandò a Lumacorno. 

- Ho perso tutto il veleno di acromantula! Lei lo sa quanto è raro, signora preside. Per non parlare dei crini di unicorno! - Rispose il professore di pozioni.  

- Una settimana di punizione per tutti e tre. - Sentenziò, senza curarsi di Neville, consapevole di quanto il suo ex studente detestasse punire gli alunni. - Il signor Gazza avrà sicuramente bisogno di una mano per sistemare il vecchio archivio scolastico e voi lo aiuterete, chiaramente senza magia. - 

Janus sentì il suo petto improvvisamente vuoto. Mai alla scuola babbana aveva ricevuto una punizione. - M-ma io non ho fatto niente. - Mormorò, con le labbra piegate verso il basso. - Pensavo che… lui ha tirato fuori la bacchetta e… la prego, non mi espella! - 

La McGranitt gli lanciò un’occhiata penetrante. - Se dovessi espellere uno studente ogni volta che si azzuffa con altri allora non ci sarebbero più maghi diplomati in tutto il Regno Unito. Ma il professor Paciock dovrà scrivere a sua madre. Questo è quanto. - 

Janus sospirò con aria sconfitta. Era solo il primo giorno e già era finito nei guai, e la colpa era solo di Faye Selwyn. 

Prima di seguire Lumacorno nuovamente fuori dall’aula, il Grifondoro scoccò alla ragazzina un’occhiata raggelante e poi decise: si sarebbe tenuto lontano, molto lontano, da quella lì.


Mentre Janus cercava di muovere i suoi primi goffi passi nel mondo dei maghi, Hazel, a Londra, affrontava la solitudine di una casa vuota. Janus le mancava tantissimo e nonostante le sue giornate fossero scandite dalla solita routine fatta di lezioni e ricerca, passando dunque tantissimo tempo occupata, stava facendo fatica ad abituarsi a quella spiacevole sensazione di vuoto che provava ogni volta che si ritrovava in quella casa vuota la sera. Per troppo tempo aveva vissuto in funzione di suo figlio, rinunciando alla propria individualità al punto tale di dimenticare quasi sé stessa, e adesso che si ritrovava sola la vita le appariva più grigia e insensata che mai. Di tanto in tanto si concedeva un tè dai Weasley, un rapido pranzo in compagnia di qualche sua collega e qualche cena da Harry e Ginny nella loro graziosa casetta di Godric’s Hollow, ma la sua vita sociale iniziava e terminava lì, in quella cerchia ristrettissima di persone. 

Inoltre, quando il lavoro glielo concedeva, le piaceva accompagnare Molly a fare compere a Diagon Alley, fingendosi una strega come ai tempi di Grimmauld Place, con la differenza che, adesso, tutti sapevano benissimo chi in realtà lei fosse. 

Camminavano tra i negozi, compravano le cose necessarie e poi si accomodavano alla gelateria Fortebraccio (gestita dalla figlia e dal figlio di Florian, scomparso durante la guerra) o al Paiolo Magico. Spesso a loro si univa anche Andromeda, e Hazel aveva sempre la strana impressione di aver trovato in loro qualcosa di simile a due madri. 

Fu in una di quelle mattinate che Hazel si imbatté per la prima volta in Narcissa e nel resto della famiglia Malfoy. Sebbene le due sorelle Black avessero chiarito dopo la guerra, tra loro era rimasta una certa freddezza, forse soprattutto per colpa di Lucius che, nonostante avesse abbandonato la vecchia via, manteneva ancora qualche posizione non del tutto ortodossa nei confronti dei babbani. 

Hazel, dal canto suo, trovava sia la moglie che il marito piuttosto spocchiosi e antipatici, ma non Draco, che invece non sembrava affatto il ragazzino malvagio di cui aveva sentito parlare tanti anni prima. Lui, infatti, anche se probabilmente contro il parere dei suoi genitori, aveva addirittura un buon rapporto con il cuginetto Teddy, e confidò a Hazel che un giorno gli sarebbe piaciuto addirittura poter conoscere Janus. 

Hazel era stata anche sulla tomba di Lily e James, ritrovandosi a pensare tristemente e per l’ennesima volta al fatto che Sirius non aveva avuto nemmeno un degno funerale. Anche dopo tutti quegli anni, e nonostante il vuoto che lui le aveva lasciato dentro, non era ancora riuscita a convincersi del tutto del fatto che fosse morto. L’unica cosa di cui invece era certa era che, nel caso in cui lui fosse magicamente tornato in vita, tra di loro le cose non sarebbero di certo tornate come una volta. Le aveva spezzato il cuore diversi mesi prima di sparire dietro quel velo, le aveva modificato la memoria condannandola lontana da tutti quelli a cui teneva per molti anni: quel tipo di dolore non poteva essere semplicemente cancellato come se niente fosse successo. 

Fu in quei giorni che, per la prima volta, Hazel pensò seriamente che fosse giunto il momento di rifarsi una vita, uscire con qualcuno in modo serio, costruire qualcosa di solido. Il problema era solo uno: non aveva idea di come fare, dato che a Londra non conosceva nessuno o quasi.   

Così Hazel si affidò completamente nelle mani di Charlie e Ginny, che le fecero conoscere una quantità impressionante di uomini, senza però nessun risultato. 

- Mi spieghi cosa aveva che non andava Baston? È perfetto! - Sbottò Ginny, una sera, dopo l’ennesimo appuntamento inconcludente che si era svolto solo il giorno prima. 

- È perfetto se ciò che cerchi è un atleta da strapazzo capace di parlare sempre e solo di pluffe e boccini svolazzanti e scope da corsa. - Ribatté Hazel. - Non è il mio tipo. - 

Si trovava alla Tana, in compagnia di quelli che erano diventati ormai i suoi Cupido personali. 

Charlie, dall'altra parte del tavolo della cucina, sospirò arreso. - Puoi spiegarci qual è il tuo tipo, allora? - Domandò alzando gli occhi al cielo.  

- Be’ deve essere affidabile, preciso, paziente, serio. Non mi basta che sia semplicemente carino, non ho mica più quindici anni. - Iniziò lei. - E poi deve essere intelligente, curioso, acculturato e deve avere delle ambizioni: anche se a vederlo così poteva non sembrare, Sirius conosceva tante cose, parlava francese, aveva letto quasi tutta l’opera di Shakespeare e suonava discretamente il pianoforte. - 

- Potremmo farle conoscere quel cugino di Fleur, che ne dici, Ginny? Quello che indossa sempre quel papillon, come si chiama… - Fece Charlie, con fare pensieroso. 

- Philippe. - Rispose Ginny. - Ma lui non è molto affidabile, ha nove figli sparsi in nove paesi diversi, non fa al caso nostro. -  

- Allora che ne dici del figlio del fratello della prozia Muriel? - 

- Bertholdt? Lui è un brav’uomo, è vero, ma non credo proprio che sia uno che suona il pianoforte e che parla francese. - Osservò Ginny. - Forse Hazel dovrebbe abbassare un po’ i suoi standard. Insomma, Sirius sarà stato anche un bell’uomo, affascinante e tutto il resto, ma era tutto tranne che affidabile, preciso e paziente. - 

- Questo è vero, ma io ero molto innamorata di lui quindi non mi importava. - Spiegò Hazel. - Comunque qui stiamo parlando un po’ troppo di me e un po’ troppo poco di Dora, non credete? -  

I due si scambiarono uno sguardo perplesso. - Che c’entra Tonks? - Chiese Charlie. 

Hazel sbuffò e poi intrecciò le mani davanti a sé. - Perché non la inviti ad uscire? - 

Charlie sgranò gli occhi, guardando Hazel come se l’avesse appena colpito con un forte schiaffo. - Be’... lei è un po’ diversa rispetto a qualche anno fa. - Rispose con cautela. 

- Sì, Dora è ancora parecchio giù di morale per Remus. - Continuò Ginny. - Lei lo ha visto morire. Nessuno ha mai voglia di parlarne ma, Hazel, devi capire che la battaglia di Hogwarts è stata davvero tremenda. Se poi a questo si aggiunge anche l’omicidio di Ted Tonks e tutto quello che i Mangiamorte hanno fatto patire alla sua famiglia… direi che non possiamo fa altro che capire la povera Dora. - 

Hazel sospirò. D’un tratto la temperatura della stanza era crollata e una valanga di tristezza e brutti ricordi sembrava averli seppelliti. Alzò lo sguardo e vide negli occhi dei Weasley tutto il loro dolore e le ferite ancora aperte di quella battaglia in cui avevano perso Fred e decine di altre persone care. 

Poi la porta d’ingresso alle spalle di Hazel si spalancò con uno scricchiolio, rompendo il silenzio che si era venuto a creare, e quando la donna si voltò in quella direzione notò la presenza di Percy, che era appena entrato con le sue due figliolette al seguito. Molly e Lucy erano gemelle si somigliavano talmente tanto che quasi era difficile riconoscerle: entrambe avevano i capelli di un rosso intenso, diverso da quello che solitamente accomunava tutti gli altri Weasley, ma mentre Molly aveva gli occhi castani della madre, Lucy aveva ereditato quelli azzurri del padre. 

Hazel le aveva viste solo una volta, di sfuggita, per le vie di Diagon Alley insieme alla loro madre, Audrey. Lei e Percy si erano conosciuti a scuola, ma si erano avvicinati solo dopo, al Ministero. Si erano amati, sposati, avevano avuto le loro due figlie ma poi i due si erano lasciati, circa tre anni prima, per quelle che Percy chiamava “incomprensioni caratteriali”, ma quasi tutti in famiglia pensavano che Audrey lo avesse tradito.  

- Buonasera. - Salutò Percy, mentre le figlie correvano al piano di sopra. - Ciao, Hazel. -

- Percival. - Disse lei, a modo di saluto. - Non sapevo che ci fossi anche tu stasera, altrimenti ti avrei riportato quel libro sulla politica magica del ‘700. - 

- Lo hai già finito? - Domandò lui, sorpreso, mentre si sedeva composto al suo fianco. 

- Sì, ieri. Di ritorno dal mio appuntamento con Oliver Baston ho sentito la necessità di leggere qualcosa, dato che credevo di essermi instupidita. - Rispose lei, sospirando. 

- Davvero sei uscita con quell’idiota? Per Godric… avrà parlato solo di quidditch! - 

Hazel annuì e sospirò di nuovo. - Lascia stare. - Gemette. - Piuttosto, dimmi, tu come sei messo con Schopenhauer? Guarda che poi ti interrogo. -

- È deprimente, ma non così complesso. Ad ogni modo le tue note a bordo pagina mi aiutano parecchio, ma direi che non rientra tra i miei preferiti. - 

- Figurati, io lo detesto, era un tipo decisamente incoerente, predicava bene e razzolava male, malissimo. Non mi sorprende che tutti preferissero Hegel a quei tempi. -

- Esattamente. Predicava tanto l’ascesi, condannava l’invidia e la gelosia e poi era il primo a rodersi il fegato perché Hegel aveva più successo di lui. - 

- Percy, io sono veramente commossa. Ti facevo troppo un tipo da Schopenhauer. - 

- Così mi offendi, cara. - 

Charlie e Ginny si scambiarono un’occhiata perplessa, come se si fossero persi qualcosa. 

- Hazel, sul serio leggi i mattoni noiosissimi di Percy? - Domandò la ragazza, con cautela. 

Hazel fece sì con la testa. - Pensa che lui legge i miei e li capisce anche. - Disse. - È molto portato, si vede che è uno che pensa. Anche con l’arte non se la cava male, cosa rara per un mago, dato che per voi è una disciplina costituita da quadri parlanti. - 

Charlie per poco non cadde dalla sedia, improvvisamente colto da una rivelazione. - Voi due dovete uscire insieme! - Gridò. 

Ci fu un attimo di silenzio nel quale tra gli occhi di Percy comparve una ruga, poi Hazel scoppiò a ridere, scuotendo la testa. - Percy è troppo piccolo. - Argomentò.  

- Guarda che ha solo un anno in meno di Oliver. - Obiettò Charlie. 

- Ad ogni modo non posso uscire con nessuno di voi Weasley. - Ribatté Hazel. - E se potessi punterei tutto su Bill, senza offesa, ragazzi. - 

- Sì, Hazel, aspetta e spera che quello lì lasci Fleur. - Rise Ginny. 

- Effettivamente non posso competere. - Convenne Hazel. 

Ci fu nuovamente qualche secondo di silenzio, e poi Percy parlò: - Perché non puoi uscire con nessuno di noi? -  

Hazel sgranò gli occhi con fare sorpreso. - Perché voi siete come una famiglia per me, sarebbe strano. Cosa pensi che direbbe Molly a riguardo? - 

- Tu piaci a nostra madre. - Si mise in mezzo Ginny. - Molto più di quanto le piacesse Fleur all’inizio, questo è certo, e lei e Bill si sono addirittura sposati. Inoltre credo che papà impazzirebbe dalla gioia se uno dei suoi figli si mettesse con una babbana. Certo, i vostri pargoli verrebbero fuori noiosi e saccenti, ma sono sicura che tutti li amerebbero lo stesso. -

Hazel fece una risatina acuta e nervosa, mentre Percy prese a tormentarsi nervosamente le mani appoggiate sul tavolo. 

Lei non sapeva per qualche motivo ma, nonostante la cosa le creasse non poco imbarazzo, non pensava che quella di Charlie fosse del tutto una cattiva idea. Durante quelle ultime lei e Percy avevano parlato molto; mai di loro stessi, sempre e solo di libri, ma avevano comunque parlato. 

Prese un respiro profondo e si voltò per poterlo guardare. - Magari potremmo farlo per davvero. - Disse ostentando naturalezza. - Non la parte dei pargoli, ovviamente. - 

- Sì, potremmo uscire una volta. - Convenne lui, ma molto più rigido. 

- Da amici. - 

- Certamente. - 

- Senza alcun impegno. -

Accadde così che, in qualche modo, Hazel Rains iniziò ad uscire con il Weasley meno Weasley della storia.  

Le settimane presero a rincorrersi rapide verso l’inizio di ottobre. Iniziarono le prime piogge autunnali e con loro anche lo strano legame che unì Hazel e Percy molto più velocemente del previsto. Passavano molto tempo insieme; leggevano e soprattutto parlavano come Hazel non faceva da tempo con nessuno. Finirono così in poche settimane ad aprirsi uno con l’altra, raccontandosi tutto quello che era andato storto nella loro vita durante tutti quegli anni di guerra e di perdita. Percy parlò di Fred, del suo senso di colpa per non essere tornato in famiglia prima, dell’ambizione che l’aveva quasi rovinato. Si sentiva un fallito sotto ogni punto di vista: faceva un lavoro noioso che non lo soddisfava più, il suo matrimonio era fallito ed ora si era ridotto a vedere le sue figlie una volta a settimana e solo se Audrey glielo permetteva, e la sua famiglia d’origine era stata frantumata in mille pezzi da un lutto dilaniante. L’età adulta non gli aveva regalato nulla di ciò che aveva sperato e questa era una delle tante cose che aveva in comune con Hazel: lei, come lui, aveva avuto dei sogni, delle speranze, aveva sognato in grande ed era riuscita ad ottenere solo una briciola di quanto si aspettava. Certo, insegnare le piaceva, proprio come le piaceva scrivere, ma da quanto tempo non prendeva un pennello in mano? 

Nonostante avessero fatto il possibile per tenere quella loro frequentazione segreta, a tutti fu palese quasi fin da subito che tra i due era nato qualcosa, anche se nessuno si spiegava bene come questo fosse accaduto. 

E poi, una gelida sera di metà ottobre, Percy la baciò davanti alla porta di casa e, la stessa sera, fecero l’amore per la prima volta. 

Era stato faticoso per Hazel tornare ad uscire con qualcuno dopo la morte di Sirius. Spesso le risultava complicato anche solo lasciarsi toccare senza sentirsi in colpa, ma con Percy fu diverso, fu… rigenerante, nuovo, giusto.

- A cosa pensi? - Le domandò lui, osservandola nella penombra della camera da letto. 

Hazel esitò per qualche secondo, ma si voltò nella sua direzione, stesa su un fianco, e poi sorrise. - Sai, di solito, subito dopo averlo fatto mi sciolgo in lacrime. - Confessò. 

- E perché mai? - 

Lei, di nuovo, si prese qualche secondo in più per rispondere, quasi come se stesse cercando le parole più giuste, ma stavolta Percy la anticipò: 

- È perché pensi ancora a lui? - Le chiese con sincero interesse. - Pensi ancora a Sirius? - 

- No, non mentre… sarebbe un po’ strano, non credi? - Disse Hazel facendo una risata vagamente sconvolta. - Però sì, ci penso ancora molto. È stato il mio primo amore, speravo che fosse anche l’ultimo e di passare tutta la mia vita insieme a lui, inoltre è il padre di Janus. Scommetto che per te è lo stesso con Audrey. - 

Percy sospirò. - Non proprio, no. - Rispose pensieroso. - Le voglio bene, questo è ovvio, ma tra noi non c’è mai stato lo struggente amore di cui mi parli tu. Lei se ne lamentava spesso, diceva che non sembravo veramente umano, che stare con me era come stare con un pezzo di ghiaccio, che a trent’anni e dopo pochi anni di matrimonio le cose non erano così che dovevano essere, e il bello è che aveva ragione. - 

- Ma tu non mi sembri un pezzo di ghiaccio. - Obiettò Hazel. - Perlomeno non in contesti come questo qui. In realtà mi hai piacevolmente sorpresa, Percival. - 

Lui trattenne una breve risata e poi scosse la testa. - Sei troppo gentile. - 

- Ma dico sul serio! - Insistette lei. - Da uno come te mi aspettavo del sesso standard e noioso in posizione canonica, al buio e in perfetto silenzio, e invece te la sei cavata. -  

- Tu invece sei stata decisamente come mi aspettavo. - Svelò Percy. 

- Cioè? - 

- Cioè una che ama avere il controllo della situazione, che fa tutto lei e tu non ci capisci niente. - Spiegò il mago. - Ma la cosa non mi disturba, alla fine non sono mai stato quel tipo di uomo che usa il suo apparato come metafora di dominazione. -

- Apparato? Questo si che è un nome particolare da dare ad un cazzo. - Rise Hazel, prendendolo in giro. - Ad ogni modo, sappi che non sono stata sempre così e che, anzi, da giovane ero esattamente l’opposto: una perfetta preda. - 

- E poi, cosa è successo? - 

Hazel si strinse nelle spalle. - E poi Sirius è morto e io sono stata per molti molti anni da sola. - Spiegò. - Quando sono tornata ad uscire con qualcuno ero così terrorizzata all’idea che prima o poi ci sarei dovuta andare a letto che l’unico modo per farlo è stato mantenere il controllo, fare tutto io, non lasciarmi toccare. È stato orribile, me ne sono andata via di corsa da casa sua in lacrime e ho pianto per tutto il tragitto verso il mio appartamento, ma in qualche modo mi sono sbloccata. - 

- Però hai continuato a piangere anche tutte le altre volte, hai detto. - Le ricordò lui. 

- Ma non stavolta. - Disse lei, e senza un perché si sentì un po’ in imbarazzo. - Comunque basta parlare della mia noiosissima e disastrosa vita amorosa, dimmi della tua. -  

- Non c’è molto da dire. - Ammise Percy. - La mia prima ragazza ce l’ho avuta durante il sesto anno a Hogwarts, era una Corvonero, ci siamo lasciati qualche mese dopo la fine della scuola. Poi c’è stata Audrey e dopo solo qualche frequentazione inconcludente. E tu, dopo Sirius? Non ti sei mai più innamorata? - 

Hazel scosse la testa. - Però una volta ci sono andata molto vicino. - Mormorò, ma sorridendo, prima di iniziare a raccontare: - Dopo la fine della guerra ho passato un periodo veramente oscuro; ero sola, con un bambino di quattro anni a cui badare e un vuoto talmente grande nel cuore… ero così triste, Perce, così triste che, di notte, mentre fissavo il soffitto sdraiata sul mio letto, mi ritrovavo a fare pensieri terribili. - La sua espressione mutò di botto facendo sparire il sorriso che aveva sulle labbra pochi istanti prima. - Pensavo che vivere stesse diventando un po’ troppo faticoso per me, che tanto qualcuno si sarebbe preso cura di Janus una volta arrivata la lettera per Hogwarts, che dopotutto lui non aveva bisogno di me. Facevo pensieri del genere così spesso, pensavo di continuo a tutti i modi che potevo trovare per farmi fuori, eppure non ne avevo il coraggio. Insomma, ero come bloccata in un limbo: da una parte sarei voluta morire, ma dall’altra non lo volevo abbastanza da farla finita. Così sono andata da uno psicologo, che è una figura professionale che si occupa della salute mentale. -  

- E ti sei innamorata di questo psicologo? - Domandò Percy. 

- No, no. - Rispose subito Hazel, scuotendo la testa. - Lo psicologo da cui andavo lavorava in uno studio in cui c’erano tanti altri terapeuti e lì, ogni giovedì alle sei del pomeriggio, mi imbattevo sempre nello stesso ragazzo, Ryan. Dopo mesi di brevi conversazioni sul tempo, lui mi chiese di prendere un caffè in sua compagnia e io ho detto di sì e da lì abbiamo cominciato ad uscire insieme per più di un anno. Lui è stato l’unico che ha conosciuto mio figlio, anche se non in veste di fidanzato, dato che non abbiamo mai ufficializzato la nostra relazione o quello che era. Non ha saltato nemmeno un saggio di violino, nemmeno una partita di football. Quando poi lui ha lasciato New York per trasferirsi a San Francisco, Janus ne ha sofferto davvero tanto. Ryan era la cosa più vicina ad una figura paterna che avesse mai avuto, a parte Remus ovviamente, ma anche lui non c’era più ormai e da parecchio. Da quel momento ho deciso che non mi sarei mai più avvicinata ad un uomo finché Jan non fosse partito per Hogwarts. Aveva già perso suo padre e poi Remus, non volevo che soffrisse ancora. Lui è la persona più importante della mia vita. -  

Percy tacque, facendo piombare Hazel nel dubbio di aver parlato troppo. Lo conosceva da poco, troppo poco, e lei gli aveva appena raccontato di aver pensato di uccidersi, cosa le era venuto in mente? Ma, soprattutto, da quando si apriva con quella facilità? Sirius ci aveva messo tutta l’estate per tirarle fuori qualcosa del suo passato, perché con quel Weasley le cose dovevano essere diverse? Si maledì e si diede della stupida mentre la spiacevole sensazione di essersi esposta troppo la stritolava. 

- Mi ricordi mia madre. - Parlò Percy, facendola sobbalzare. 

- Sul serio ti ricordo Molly? E perché? - Domandò ridendo. 

- Sei fragile e forte come lei, e poi il modo in cui parli di tuo figlio… lui è sempre al primo posto per te e non è una cosa così scontata. - Spiegò il mago. 

- Be’, grazie, Perce… anche se “mi ricordi mia madre” non è proprio la frase che ogni donna sogna di sentirsi dire dopo averci dato dentro per ore. - Rispose Hazel, perplessa e divertita insieme. 

Lui alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. - E io che volevo farti un complimento. - 

- Sei pessimo nei complimenti. - Ribatté lei sorridendo, per poi tornare seria subito dopo essersi voltata per guardare l’ora. - È molto tardi. - Disse. 

Non voleva chiedergli direttamente di andarsene, ma ancora non se la sentiva di dormire con qualcuno al suo fianco. Non gli era mai più capitato da quando aveva lasciato Grimmauld Place tanti anni prima e sperò che Percy lo capisse da solo. 

- Sì, direi che è ora che io vada via. - Disse per fortuna il mago, alzandosi dal letto e sollevandola dalla responsabilità di mandarlo via. - Senti… lo so che non dobbiamo vederci per forza tutti i giorni, ma domani a pranzo ho delle ore libere, quindi… - 

- Domani starò tutto il giorno all'università. - Lo bloccò subito lei, ma poi si rese conto di essere stata un po’ troppo brusca e aggiunse: - Però puoi venire con me a mangiare un panino nel bar della facoltà. So che non è una gran proposta. - 

- Mh, sì, perché no. - Rispose Percy infilandosi i pantaloni. - Come ci si arriva? - 

- Devi prendere il treno da Londra, è facile. Ma se non ti va non fa niente. -

- A te va? - 

Hazel esitò, arricciando un po’ il naso. - Non è che non mi va… è che preferirei andarci piano, tutto qui. Non bruciare le tappe, mantenere una certa indipendenza emotiva e tante altre cose del genere. - Disse. - Io ho bisogno di più tempo delle altre persone, da questo punto di vista sono io il pezzo di ghiaccio, non te. -

- Più tempo. - Ripeté Percy e Hazel annuì. - A me sta bene, anzi, credo che sia la cosa più sana per entrambi. Prenditi tutto il tempo necessario. - 

- Sei sicuro che non pensi che io sia un po’ troppo… troppo? - 

Il mago sorrise. - I miei fratelli e mia sorella pensano che tu sia troppo fuori dalla mia portata ma, a parte questo… no, direi proprio di no. - 



 

Ciao a tutt*

questa volta metto il mio inutile commento qui sotto. Allora, da dove cominciare… ci ho messo un po’ più del solito a pubblicare questo capitolo perché proprio non mi convinceva. Pur essendo un capitolo di passaggio, mette in tavola un bel po’ di cose e prepara le basi per ciò che potrebbe accadere dopo, quindi ci tenevo che fosse scritto bene. Il punto è che la forma mi piace pure, solo che… bo, questa storia mi sfugge di mano di continuo, che vi devo dire, ha una vita propria e spesso mi sento come se non fossi nemmeno io a decidere cosa deve accadere (ha senso?). 

Comunque fatemi sapere cosa ne pensate. 


Note: 

*Linebacker: nel football è praticamente un difensore e solitamente sono molto grossi e molto aggressivi. 




 
   
 
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