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Autore: Orso Scrive    06/08/2022    2 recensioni
In una nebbiosa notte d’autunno, due agenti del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale sono appostati in una strada deserta, in attesa dell’arrivo di un ladro di antichità. Ma non è un quadro come un altro, quello di cui il delinquente si è impadronito: una lunga scia di morti orribili lo ha sempre accompagnato…
Scritta: ottobre 2021; rivista: luglio - agosto 2022
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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PROLOGO

 

 

Notte di Halloween, 2021

 

 

 

«Che palle, non succede niente…» sbuffò Aurora, mettendosi in bocca l’ennesima sigaretta e facendo scattare lo Zippo.

L’odore di petrolio riempì l’abitacolo, la fiammella guizzò e il tubetto di carta e tabacco prese fuoco in punta. La ragazza ne trasse una lunga boccata che sbuffò da bocca e narici con evidente sollievo.

«Secondo me, ormai, il tuo amico Ceccarelli possiamo darlo per perduto. Quello se ne starà rintanato da qualche parte a ridere di noi, dammi retta. Che ne diresti di toglierci di qui e andarci a chiudere al calduccio in un bel pub fumoso, di quelli dove ti servono una bella pinta di sidro, o magari di idromele bollente?» domandò. Si strinse nelle spalle. «Così, giusto per dare almeno un minimo di senso a questa serata che hai deciso di rovinarmi.»

Alberto scoccò un’occhiata alla collega dai lunghi capelli rossi, come sempre sobriamente affascinante nel suo giubbotto di pelle nera intonato con i jeans e gli anfibi della medesima tonalità, e soppesò la proposta.

Il tenente Alberto Manfredi e il sottotenente Aurora Bresciani, carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, lavoravano sempre bene insieme. Quando non fingevano di azzuffarsi e di beccarsi, andavano d’amore e d’accordo. D’altronde, il loro era un rapporto speciale, strano, che si spingeva ben oltre gli orari di lavoro. A unirli era un legame unico, che non avrebbero saputo spiegare con esattezza nemmeno loro. Forse era per via di tutte le avventure che avevano passato insieme, chi poteva dirlo. O, forse, era soltanto un’amicizia tanto antica di cui non avrebbero saputo più spiegare nemmeno loro l’origine. Gli era sufficiente una semplice occhiata per intendersi a meraviglia.

Quasi sempre, almeno.

Qualche volta uno dei due capiva l’esatto apposto, e così ciò che stavano facendo andava a monte. Seguivano gli immancabili strepiti e litigi che, praticamente sempre, finivano con la vittoria totale di Aurora e la capitolazione di Alberto, costretto a riconoscere la superiorità assoluta – in ogni cosa – della sua collega. Non che questo fosse di necessità vero. Ma il carattere del sottotenente Bresciani era talmente pessimo che il tenente Manfredi aveva da molto tempo imparato a non contraddirla.

Almeno, non troppo.

Era piena notte.

La notte di Halloween.

Notte di fantasmi e di streghe.

Ma, anziché trascorrerla standosene stesi sul divano davanti al caminetto acceso, ad aspettare i bambini che sarebbero venuti a suonare il campanello per fare dolcetto o scherzetto, e magari guardando un bel film dell’orrore in televisione – oppure, perché no, andandosene a zonzo in cerca di quel mistero di cui ancora sapeva essere intriso il mondo – Alberto e Aurora la stavano passando decisamente male: appostati a bordo della vecchia Fiat Punto blu di Manfredi, posteggiata sul ciglio di una strada disconnessa e piena di buche, nei pressi di una villa in apparenza abbandonata, di cui scorgevano a malapena il cupo profilo buio e sinistro al di là del muro di cinta e del giardino incolto, avvinghiato dal cupo abbraccio della nebbia.

Erano seduti da almeno tre ore e mezzo e cominciavano ad avere freddo e a sentirsi anchilosare le gambe. I sedili mezzi sfondati del veicolo non aiutavano di certo. In giro non si vedeva anima viva. Non fosse stato per una zucca intagliata che spandeva un bagliore aranciato da sopra un muretto, avrebbero potuto pensare di essere finiti in una strada del tutto dimenticata da ogni essere vivente.

Manfredi fu tentato di accettare quella proposta. Ormai, potevano considerare inutile restare ancora appostati. Ma non gli andava di arrendersi. Non dopo aver atteso tanti anni che la soluzione di quel vecchio caso gli venisse finalmente messa davanti agli occhi.

«Ancora qualche minuto», disse Alberto. «È solo questione di avere ancora un poco di pazienza… sono certo che, tra pochissimo, Ceccarelli spunterà da dietro la curva.»

Aurora gli sbuffò una nuvola di fumo sul viso.

«Credici pure che quel ladrone verrà, Manfredino mio», lo canzonò. «Secondo me, come al solito, ti sei fatto prendere per il culo dal tuo informatore. Scommetto che gli hai dato i soliti cento euro, per questa soffiata.»

«Magari fossero stati solo cento euro», si lamentò Alberto. «Quel dannato esoso ha preteso tre bottiglie di whisky scozzese invecchiato, tra cui un Macallan di quindici anni, mi sono costate metà di quella miseria che chiamano stipendio.»

«Me lo immagino», sbottò Aurora, tagliente come una lama affilata. «Così ora avrà nel ripostiglio sei bottiglie: tre da parte tua per dirti che quel brigante di Ceccarelli stava arrivando qui per piazzare il quadro maledetto, e altre tre da parte di Ceccarelli per dirgli che qui ci saremmo stati noi ad aspettarlo e quindi di non venire.»

Alberto non rispose.

Mi sa che hai ragione. Ma io mica te lo dico.

Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce davanti a lei. Sarebbe stata capace di rinfacciargli la faccenda per un mese intero, forse anche di più.

Decise di deviare l’argomento e tornare verso la proposta della collega.

«Allora, facciamo così… aspettiamo ancora venti minuti, mezz’oretta al massimo… e poi ti offro io una pinta di idromele. Conosco un posticino, non troppo lontano, dove te ne servono uno che è una favola.»

Nello sguardo della ragazza lesse una luce assassina che lo fece rimpicciolire nel sedile.

«Un’altra mezz’ora chiusa qui dentro io non me la faccio, Manfredi!» ringhiò. «Mi sto congelando persino la figa, a stare su questo sedile. Ti concedo giusto altri dieci minuti, poi dovrai riconoscere di essere un idiota che si è fatto fregare e mica te la caverai con una sola pinta, stanne certo.»

Alberto sospirò, rassegnato.

Si sentiva dare dello stupido da parte di Aurora almeno dieci volte al giorno.

Un giorno scoppio e ti rispondo a tono e ti dico io, che cosa penso davvero di te

Ma quando mai? Non ne avrebbe mai avuto il coraggio, a meno che, quel giorno, non avesse aspirato al suicidio. Perché lei, se lui avesse parlato in quel modo, sarebbe di sicuro stata capace di ucciderlo.

Una morte lenta e dolorosa.

Ne era più che sicuro.

E anche di un’altra cosa era sicuro. Più che sicuro.

Era certo che lei gli leggesse nel pensiero. Ogni volta che, colto da un istante di orgoglio, tentava di replicare ai suoi insulti, lei lo fulminava con un’occhiata tale da farlo tornare subito nel suo angolino. Chiunque, al suo posto, le avrebbe mollato un calcio in culo e le avrebbe detto addio.

In effetti, erano in molti ad averlo fatto: Aurora Bresciani, con il suo disprezzo malcelato verso l’intero genere umano, non era una persona facile, ed erano pochissimi a desiderare la sua vicinanza, men che meno la sua amicizia. La sua rubrica telefonica non era affatto ricca di nomi, e le sue conversazioni via Whatsapp si contavano sulle dita di una mano sola. Su Facebook, dove aveva un profilo, non la cercava nessuno, a parte qualche incauto che, non conoscendola, si lasciava attrarre dal suo aspetto; ma bastavano poche parole perché colui o colei che aveva cercato un approccio tagliasse la corda. Le sue uscite serali con qualcuno, poi, erano talmente poche che, nel volgere di un anno intero, si potevano ridurre a meno di una manciata.

Era impopolare e, per quello che la riguardava, ne andava fiera.

Ciò nonostante, lui le voleva un gran bene. Senza di lei, sarebbe stato perso. La conosceva in pratica da sempre e, col tempo, lei era diventata la sua colonna. Il suo punto d’appoggio. Alberto Manfredi stava su solo grazie ad Aurora Bresciani. Ma neppure questo avrebbe mai detto ad alta voce di fronte a lei o a qualsiasi altra persona.

«Okay…» Si schiarì la gola. «Allora dieci minuti…»

La mano di Aurora gli si posò sul braccio. Per un attimo, pensò che volesse dirgli che aveva visto arrivare Ceccarelli.

Invece, era soltanto per minacciarlo, come al solito.

«Ma Manfredi, ti avverto: devi portarmi in un locale di quelli che ho in mente io, e non nei tuoi soliti baretti da due soldi sulla tangenziali dove ti rifilano una brodaglia insulsa e panini con il salame vecchi di un anno o due.» Il suo tono era velatamente minaccioso, carico di quell’ironia magnetica fatale e ineluttabile. La presa della sua mano sul braccio di lui si fece più stretta. «Non provare a fare l’avaraccio con me, perché mi incazzo di brutto.»

Alberto deglutì.

«Io non ho mai fatto l’avaraccio, né con te né con nessun altro», si schermì.

Aurora ridacchiò, lasciando scivolare un’altra nuvoletta di fumo.

«Raccontala a un’altra, questa storiella», commentò.

«Io...» cominciò Alberto, ma lei lo interruppe.

«Senti un po’, Manfredino: io comincio a essere stanca, oltre che infreddolita. Adesso chiudo gli occhi, giusto per dieci minuti. Se, trascorso questo lasso di tempo, il nostro amico non si fa vedere, ce ne andiamo al bar e basta appostamenti notturni fino all’anno prossimo.»

Trasse un’ultima boccata di fumo e si tolse di bocca la sigaretta. La schiacciò nel posacenere, che aveva già riempito di cicche. Si raggomitolò sul sedile e i capelli rossi le scivolarono sugli occhi.

«Io riposo, ma tu fai buona guardia, mi raccomando», lo canzonò.

Manfredi le rivolse uno sguardo e un sorrisetto. Avrebbe potuto provare a replicare qualcosa, ma non gli venne in mente nulla. Inoltre, negli occhi della sua amica lesse un’autentica stanchezza.

Quella notte si stava rivelando davvero pesante.

Ma non poteva finire così, in niente.

Non dopo tutto quello che li aveva condotti in quella strada, appostati in attesa che arrivasse un uomo con un quadro sotto il braccio.

Quella storia durava ormai da circa cinquecento anni, e Alberto Manfredi era più che deciso a porvi la parola fine quella notte stessa.

- - - - - - - - -

Nota dell’autore: i personaggi di Alberto Manfredi e Aurora Bresciani sono stati creati da me per una serie di romanzi o presunti tali che vorrei loro dedicare. Nel frattempo, mentre cerco di scrivere quelle storie più lunghe, sto scribacchiando anche qualche breve raccontino che li veda protagonisti. Ho pensato di intitolare questi raccontini “A&A – Strane Indagini” e questa è il primo della serie. Spero che possa almeno incuriosirvi!


 
   
 
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