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Autore: Orso Scrive    08/08/2022    2 recensioni
In una nebbiosa notte d’autunno, due agenti del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale sono appostati in una strada deserta, in attesa dell’arrivo di un ladro di antichità. Ma non è un quadro come un altro, quello di cui il delinquente si è impadronito: una lunga scia di morti orribili lo ha sempre accompagnato…
Scritta: ottobre 2021; rivista: luglio - agosto 2022
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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1.

 

 

Campagne fiorentine, 1501

 

 

Distesa sull’erba punteggiata di fiori variopinti, completamente nuda, una mano languidamente abbandonata contro il pube florido di peluria biondiccia e il braccio piegato a sostenere il capo, i capelli disciolti sulle spalle che brillavano come pietre preziose nei raggi del sole, madonna Fiammetta Ambrogiuoli sembrava davvero un’antica divinità discesa dal cielo per riempire il mondo intero della sua bellezza.

Per quanto abile e concentrato, per quanto fosse ritenuto uno tra i migliori di tutti i pittori minori della sua epoca – uno di quelli il cui nome non si sarebbe perpetuato nei secoli, ma le cui opere sarebbero rimaste per sempre sotto gli occhi di tutti, nelle chiese di campagna come nelle ville signorili, capolavori inattesi e nascosti nei luoghi più impensati – Francesco il Bianco stentava a trarre dal suo pennello la capacità di tramutare quell’opera d’arte vivente in un insieme di vernice e olio.

L’immagine che andava formandosi lentamente sulla tela riusciva soltanto in parte a restituire la leggiadria di quel corpo, l’armonia di quelle forme, la dolcezza evanescente di quello sguardo che sembrava appartenere all’empireo. La perfezione era là, di fronte a lui. Chi mai avrebbe potuto pensare di trasporla attraverso l’arte di un uomo qualsiasi? Era una vera sfida al divino che si celava in lei.

Il pittore si sentiva sempre più inadatto, come se il compito affidatogli fosse inappropriato, superiore alle sue capacità. Dopo l’ennesima pennellata insoddisfacente, il Bianco gettò via il pennello, irritato.

«Ah, ma quando mai…!» sbottò, portandosi le mani alla testa.

Madonna Fiammetta lo guardò con un sorriso delicato.

Erano già dieci giorni che, ogni mattina, posava per quel pittore girovago a cui suo marito aveva dato l’incarico di ritrarla nei panni di Venere. Non era stanca, né si vergognava di mostrarsi nuda di fronte a quell’uomo, non celebre eppure degno di figurare nel novero dei più alti artisti. Un giovane gradevole, dolce, di buona compagnia. Le piaceva stendersi di fronte a lui. Amava osservarlo mentre lavorava con alacrità, la lingua stretta tra i denti, lo sguardo concentrato, la mano che si muoveva rapida e sicura, una stilla leggera di sudore che, dalla tempia, scivolava lungo la guancia glabra e da lì sul collo; eppure cominciava a credere che il pittore stesse chiedendo troppo a se stesso: non passava mattina, infatti, che il Bianco non facesse una scenata per quella che riteneva la sua incapacità di procedere in maniera adeguata con l’opera.

Madonna Fiammetta lo fissò mentre si aggirava attorno alla tela come un’anima in pena.

Lo trovava molto attraente, giovane e fresco. Doveva il suo soprannome al candore immacolato della pelle e al colore dei capelli, tanto biondi da apparire quasi bianchi, specialmente quando la luce li colpiva dall’alto, come in questo momento. Non le sarebbe affatto dispiaciuto donarsi a lui, trarre insieme reciproco piacere e, in questo modo, ispirarlo al meglio per il suo ritratto. D’altra parte, non le era affatto sfuggito come lo sguardo dell’artista indugiasse sul suo corpo ben oltre il tempo che era necessario a trasferire i suoi tratti sulla tela.

Si alzò e, drappeggiatasi attorno al corpo un lungo velo azzurro e quasi trasparente, che non celava per niente la bellezza delle sue forme – anzi, le esaltava, caricandole di eccitante mistero – gli si avvicinò con passo leggero, facendo frusciare l’erbetta sotto i suoi piedi nudi.

Percepiva lo scoramento del pittore, il suo senso d’impotenza. Malgrado ciò, sbirciando il quadro, a lei parve di avere sotto gli occhi un vero capolavoro. Non riusciva a comprendere che cosa gli mancasse per potersi dire soddisfatto.

«Non c’è la necessaria commozione, non c’è quell’enigma che la vostra figura emana, madonna», disse il Bianco, come se le avesse letto nel pensiero. «In voi io scorgo qualcosa di profondo, di estraniante… qualcosa che non appartiene a questo nostro mondo, così come noi lo concepiamo. Ma io non sono che un gretto pittore di campagna, e la mia arte non può davvero trasporre sulla tela ciò che scorgo in voi. Non mi è consentito di eternare l’ardore che, come una fiamma bruciante, emana dalla vostra anima.»

«Messere», rispose Fiammetta, con la sua voce flautata. «Io vi giuro che il modo in cui mi avete ritratta è meraviglioso, e…»

«E questo non basta!» la interruppe il pittore.

Il suo sguardo si era fatto truce, le sue mani si aprivano e si chiudevano a scatti. C’era qualcosa di spaventoso, adesso, in lui. Qualcosa che indusse madonna Fiammetta a muovere un involontario passo all’indietro.

«Ma io so che cosa devo fare!» urlò il Bianco, fuori di sé. «So dove dovrò recarmi affinché la mia arte possa davvero dirsi completa e in me arda quella fiamma che mi condurrà a creare il capolavoro della mia vita!»

Afferrata la tela dal cavalletto, Francesco il Bianco se la mise sotto braccio e fuggì. A nulla valsero i richiami di madonna Fiammetta, che tentò di richiamarlo indietro e farlo ragionare.

Nel volgere di pochi minuti, il pittore era già balzato in sella al suo destriero e si era allontanato al gran galoppo attraverso le campagne fiorentine.

 
   
 
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