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Autore: ValePeach_    08/08/2022    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 14





 
Camille avrebbe tanto voluto potersi concedere del tempo per metabolizzare lo sconvolgimento provocatole dalle rivelazioni di John.
Avrebbe anche voluto riflettere sugli strani sentimenti scaturiti dalla sua vicinanza e dal suo tocco, ma non ne ebbe la possibilità: non appena Phoebe apparve sulla soglia del salotto, le fu subito chiaro che qualcosa di tragico era successo. A parte il fatto che nessuno si sarebbe presentato a quell’ora della sera presso conoscenti, era il suo aspetto a rivelare la drammaticità del momento: era pallida come un fantasma, tutta scarmigliata, aveva il vestito sporco di fango, il che faceva presumere fosse venuta a piedi da Southlake Castle, e tremava come una foglia. Per il freddo o l’inquietudine era difficile stabilirlo, ma alla giovane non sfuggirono le lacrime che le scendevano lungo le guance.
«Phoebe, santo cielo, ma cosa vi è successo?» domandò preoccupata, prendendola per le spalle e accompagnandola al divano. Lei però non rispose, limitandosi ad agitare la testa in segno di diniego e continuando a piangere silenziosamente.
Camille non sapeva che fare. Alzò gli occhi su John in cerca di aiuto, ma sembrava completamente immerso nei suoi pensieri: lo sguardo fisso su Phoebe, la fronte corrucciata, una mano che faceva oscillare distrattamente il bicchiere con dentro il brandy e l’altra appoggiata al mento. Non lo aveva mai visto così concentrato come in quel momento.  
«Montgomery» disse lui alla fine, richiamando l’attenzione del maggiordomo. «Abbiate la cortesia di portare del tè per la signorina… e andate a chiamare mio padre. Qualsiasi cosa sia successa, non deve restarne all’oscuro.»
«Come desiderate, milord» rispose lui con la solita cordialità e impassibilità di sempre, come se non avesse appena accolto in casa una signorina sconvolta.
A quel punto Camille, dopo che il signor Montgomery si fu congedato con un inchino formale, prese la mano gelida di Phoebe fra le sue, chiedendole di nuovo cosa l’avesse spinta a compiere un gesto tanto folle quale mettersi a camminare da sola e in piena notte nel bel mezzo della brughiera e alla mercé di chicchessia, balordi o animali che fossero.
«Oh Camille, non avete idea» singhiozzò Phoebe. «Si tratta del duca, lui… mi ha cacciata.»
«Cosa ha fatto?» domandò sgomenta. «E perché mai?»
«Perché…» iniziò, ma le lacrime non le facevano prendere respiro. «Oggi c’è stata la lettura del testamento della duchessa e…» di nuovo si bloccò, singhiozzando.
«E… cosa?»
«La duchessa… lei…»
«Lei vi ha lasciato in eredità tutta la sua fortuna» furono le parole di zio Vincent.
Tutti e tre i presenti si voltarono verso l’anziano visconte, che silenzioso entrava nel salotto e si sedeva sulla poltrona di fronte a loro. Anche John si avvicinò, porgendo un bicchiere di liquore al padre.
«Come… come fate a saperlo?»
«So tutto di voi, signorina Simmons. Io e il defunto duca eravamo amici sin dai tempi di Eton e non ci siamo mai nascosti nulla. Sebbene la duchessa si sia ben guardata dal rivelarmi la verità, ho capito ogni cosa non appena vi ha presentata come sua pupilla. Sapendo inoltre che oggi ci sarebbe stata lettura del testamento, non ho fatto altro che unire tutte le linee.»
«Dunque sapete chi sono» non si trattava di una domanda.
«Sì.»
«Qualcuno per favore vuole dirmi che succede?» chiese Camille. Capiva lo sconvolgimento del momento, ma non sopportava quell’inutile attesa… serviva solo ad aumentare ancora di più il suo stato di ansia.
«La signorina Simmons» iniziò a dire zio Vincent. «È la nipote della duchessa.»
«Cosa?» disse in un sussurro, voltandosi verso l’amica. «È… è la verità, Phoebe?» chiese poi e lei annuì, mentre nuove lacrime iniziavano a scendere.
Camille non poteva credere alle sue orecchie. Certo si era sempre chiesta come mai una duchessa avesse scelto come sua pupilla proprio Phoebe: una signorina senza titolo e dote, proveniente dalla lontana campagna del Lincolnshire e apparentemente figlia di nessuno. Mai però avrebbe potuto pensare una cosa del genere. Phoebe, la sua timida e dolce amica, nipote illegittima di Susan Wortham.
Santo cielo, quello sì che era uno scandalo!
Non osava nemmeno immaginare cosa sarebbe successo se i giornali ne fossero venuti a conoscenza. Avrebbero inventato le peggio cose su Phoebe ed ora che la duchessa era stata uccisa e lei aveva per le mani il suo intero patrimonio… un pensiero orribile si fece strada nella sua mente, che prontamente cacciò via. Non conosceva Phoebe da molto, ma era pronta a mettere le mani sul fuoco riguardo la sua innocenza. Nulla invece poteva dire a proposito di John, perché a giudicare dalla durezza dei suoi occhi pareva già ritenerla colpevole di un atto così diabolico.
«Giuro che non lo sapevo» disse disperata.
«Non avete mai avuto alcun sospetto?» chiese appunto lui con fin troppa gentilezza. Camille lo guardò storto per quella mancanza di tatto, ma era troppo concentrato su Phoebe per notarla. «Dopotutto, vi sarete pur chiesta almeno una volta come mai vi abbia voluta qui.»
«Certo che l’ho fatto, ma lei ha sempre risposto perché era stata amica della mia defunta zia… come potevo immaginare di essere sua nipote?»
«E non vi ha mai accennato ad una eredità?» domandò di nuovo e la giovane comprese che la stava interrogando. Lì, davanti a zio Vincent, come un’impostora qualunque e sotto quella malcelata cortesia. Le ribollì il sangue nelle vene.
«No, mai… anche se, a dire la verità, mi aveva parlato più volte di una dote» disse Phoebe ignara di tutto. «Continuava a ripetermi che la prossima primavera avrei debuttato a Londra come sua protetta e, in quanto tale, non potevo presentarmi a mani vuote. Si era limitata tuttavia a rivelarmi che si trattava di cinquemila sterline, per questo quando il notaio ha richiesto la mia presenza non mi sono insospettita: credevo dovesse solo formalizzare quella somma.»
«E invece adesso a quanto ammonta il vostro patrimonio?» domandò Camille al posto di John.
Phoebe sospirò affranta.
«Il notaio ha detto che con la dote che il defunto duca non ha mai incassato e gli interessi maturati sopra di essa in quasi cinquant’anni… circa ottantamila sterline.»
Camille si strozzò con la sua stessa saliva nel sentire quella cifra ed era sicura di essere rimasta a bocca aperta come un’allocca. Anche il senso di giustizia nei confronti dell’amica vacillò per un attimo, perché anche se non era una spia e nemmeno un’investigatrice esperta, era abbastanza sveglia da capire che ottantamila sterline erano un ottimo movente per qualsiasi omicidio.
«Il duca sapeva dell’esistenza di quella somma?» chiese John, sempre più scuro in viso.
«Presumo di sì, vista la reazione che ha avuto. Ma non posso certo biasimarlo: è stato uno shock per tutti. La povera marchesa è svenuta all’istante e le c’è voluto un po’ per riprendersi.»
«Non capisco» intervenne Camille. «Non dovrebbe essere il duca ad ereditare? Com’è possibile che lo abbia fatto Phoebe?»
«Il duca eredita titolo e terre, Camille, ma quel denaro non era vincolato alla tenuta: era solo della duchessa. È chiaro che sarebbe dovuto andare al figlio, e probabilmente lui si aspettava così, ma il fatto è che se Susan avesse voluto, avrebbe potuto lasciare la sua intera eredità alla sguattera» furono le parole di zio Vincent.
«E adesso cosa succederà?» chiese preoccupata.
«Niente» disse il visconte. «La signorina Simmons potrà restare qui tutto il tempo che vorrà e sperando che la notizia non sia già arrivata alle orecchie della stampa ad opera di qualche sleale servitore, manterremo il giusto riserbo. Se queste erano le volontà della duchessa, le rispetteremo… e per quanto riguarda il comportamento del duca e della marchesa, andrò a parlare con loro personalmente. Capisco siano rimasti sconvolti, ma ciò non li giustifica affatto. Cacciare di casa una signorina sola e senza nessuno a proteggerla! Davvero una condotta riprovevole.»
«Ben detto» approvò Camille. «Avrebbe potuto succederti qualsiasi cosa.»
«Vi sono grata per le vostre parole, mi rincuorano molto, ma non serve che vi schieriate dalla mia parte: io non ho alcuna intenzione di accettare quel denaro.»
«Perché?» fece zio Vincent. «La duchessa voleva così.»
«È la mia decisione» disse, cercando di trattenere le lacrime. «Io non ho mai voluto niente di tutto questo. Stavo bene nel piccolo villaggio di Brusbury e ho accettato di venire qui solo perché è stata la signora Stubborn ad insistere. Dopo la morte di mia zia è stata lei a prendersi cura di me e rifiutando mi sembrava come di farle un torto. E poi la prospettiva di stare accanto ad una duchessa era intrigante, soprattutto per quanto riguardava l’ambito matrimoniale: avrei potuto conoscere un modesto gentiluomo di campagna e vivere una vita quanto meno agiata, prospettiva decisamente migliore rispetto ad un contadino o artigiano di paese. Ma se solo avessi saputo la verità, me ne sarei rimasta al cottage. Per questo ho deciso di andarmene: rinuncerò all’eredità e tornerò a casa mia. Sarà come se non fossi mai esistita.»
«Ma non puoi andartene. Insomma, noi… noi siamo amiche!»
«Sono desolata, Camille, dico davvero, ma non voglio rimanere qui un giorno di più» e come a voler interrompere definitivamente il discorso, la signora Potter si presentò nel salotto dicendo che la camera della signorina era stata preparata e con essa anche il bagno. Disse che le avrebbe giovato, dopo la lunga camminata e dopo tutta l’agitazione della giornata.
«Siete stata molto gentile, signora Potter» disse zio Vincent. «Venite, mia cara, lasciate che vi accompagni» e così anche loro uscirono dal salotto.
Rimasero solo lei e John. Di nuovo. E in silenzio.
Camille era a dir poco sconvolta. Era sicura ci fosse un limite agli accadimenti che potevano essere assimilati in un giorno e quel particolare giorno ne erano successi troppi: prima il litigio con John, poi il signor Sterling e il corteggiamento, poi ancora John e il suo passato da spia ed infine Phoebe che era la nipote illegittima della duchessa. Erano davvero troppe cose.
Sospirò frustrata, il mal di testa ormai martellante, poi guardò prima John e a seguire il bicchiere di brandy che teneva in mano. Con uno scatto si alzò dal divano e senza dire nulla si avvicinò, glie lo rubò dalle mani e buttò giù il contenuto in un solo sorso.
Purtroppo, non essendo abituata a bere liquore, iniziò a tossire, mentre sentiva la gola e il petto andare a fuoco. Il tutto condito dalla detestabile risatina di John.
«Avete intenzione di ubriacarvi per un mese?» le chiese, riprendendo il bicchiere e guardandosi bene dal riempirlo nuovamente.
«Al diavolo» imprecò Camille a bassa voce. «Ma come fate a berlo?»
«Abitudine.»
«Ha un sapore orribile.»
«E non avete mai assaggiato la vodka russa.»
«La cosa?»
«La vodka.»
«Non so perché, ma in questo momento ne vorrei una bottiglia intera.»
«Se volete farvi contorcere le budella e star male per una settimana, fate pure.»
«Vi prego, smettetela.»
«Di fare cosa?» chiese sulla difensiva. «Non sto facendo niente.»
«Appunto!» esclamò arrabbiata.
John sospirò. «Si può sapere che vi prende all’improvviso? Capisco siate frastornata, ma…»
«Ovvio che lo sono» sbottò, sempre più infuriata. «Pare vi siate messi tutti d’accordo per farmi venire una crisi di nervi! Quello che però mi fa rabbrividire di più è che da quando Phoebe ha detto di aver ereditato il patrimonio della duchessa, voi l’avete già etichettata come colpevole. E non fate quello sguardo sorpreso, perché ho capito che stavate cercando di interrogarla poco fa. A proposito, il fare gentile non vi si addice affatto.»
«Avete finito?»
«Potrei stare qui tutta la notte solo per farvi dispetto, dovreste saperlo ormai» disse, incrociando le braccia al petto. Le venne l’istinto di pestare anche un piede per terra, ma riuscì a trattenersi.
«Molto bene, allora potete ritirarvi» disse invece John sbrigativo spingendola via. Camille cercò di non far caso al calore delle sue mani sulle spalle, impuntandosi con i piedi e rigirandosi verso di lui.
«Parlavo sul serio: Phoebe è innocente.»
«Non ci scommetterei troppo.»
«Ma io sì! La conosco e so che non sarebbe capace di una cosa simile. È buona, gentile e poi l’avete sentita, no? Vuole andarsene, per cui cercate il vostro assassino da un’altra parte.»
«Rimarreste sorpresa nel sapere che spesso sono i meno sospettabili i fautori dei più atroci delitti.»
«Non questa volta» disse risoluta. «Che motivo avrebbe avuto altrimenti di uccidere la duchessa se ora vuole rinunciare all’eredità?»
«Ma non l’ha ancora fatto, giusto? Potrebbe per qualsiasi motivo cambiare idea e in men che non si dica sparire con appresso ottantamila sterline.»
«Davvero non ci riuscite a fidarvi di me.»
«Mi fido di voi, Camille.»
«Allora dovreste indirizzare i vostri sforzi altrove… verso il duca, ad esempio, o la marchesa.»
«Loro sono già sulla lista.»
«Molto bene, allora andremo a parlarci domani stesso. Phoebe sarà di sicuro troppo sconvolta per voler uscire e fermare zio Vincent sarà semplice: basterà che diciate che andremo noi a Southlake.»
«Non se ne parla.»
«Dopodomani allora.»
«No!»
«Non vorrete starvene con le mani in mano dopo che l’hanno brutalmente cacciata di casa neanche fosse una reietta!»
John le mise di nuovo le mani sulle spalle e la girò verso la porta. «Ovvio che non lo farò» disse, spingendola affinché prendesse la via delle scale che portavano alle stanze private.
«Allora quando andremo?»
«Io andrò domani, voi mai.»
«Cosa? No, aspettate» disse, afferrando con le mani gli stipiti della porta. «Non erano questi i patti.»
«Erano esattamente questi» fece John spingendola ancora, ma lei puntò i piedi.
«Affatto! Eravamo d’accordo che avremmo collaborato!»
«Sì, ma vi ho anche fatto promettere che avreste fatto tutto ciò che dicevo. Su, è ora di ritirarvi» e la spinse di nuovo.
Camille fu costretta ad avanzare trascinando i piedi, lasciando che lui la spingesse fino all’inizio delle scale. A quel punto si girò un’ultima volta, aprì la bocca e…
«No.»
«Non sapete nemmeno cosa stavo per chiedervi!»
«So perfettamente cosa stavate per chiedermi… e la risposta è sempre no. E poi domani non avete un certo pic-nic con un certo gentiluomo a cui partecipare?»
«E voi come fate a saperlo?»
«Sono una spia, so sempre tutto.»
«Dunque mi avete spiata?»
John si irrigidì.
«Non vi ho spiata… me lo ha detto Daniel che glie lo ha riferito la signora Potter.»
«Farò finta di crederci» disse sorniona, mentre si scostava e iniziava a salire i gradini. Poi però si voltò e vide John ancora fermo sulla soglia delle scale intento ad osservarla.
Non era la prima volta che la guardava in quel modo. A Londra quegli occhi avrebbero fatto intendere a chiunque che fra loro c’era ben più di una semplice amicizia ed era più che sicura che all’interno della società si fossero creati scandali per molto meno. Lì però non erano a Londra… erano lontani mille miglia dal ton e dai giornali scandalistici e le libertà che un uomo poteva prendersi con una giovane erano molto diverse.
Camille non avrebbe mai avuto il coraggio di fare o ricambiare uno sguardo del genere e detto francamente non aveva nemmeno idea di come interpretarlo. Sembrava promettere cose che lei non avrebbe conosciuto fino alla prima notte di nozze… cose peccaminose, lussuriose; cose che le signore sussurravano a bassa voce e con la bocca coperta dai ventagli. Quelle cose per cui Heather, ad esempio, se ne restava intontita e a sorridere per tutto il giorno con le guance rosse.
Anche lei in quel momento aveva le guance che andavano a fuoco. E il respiro corto. E uno strano formicolio alle gambe. E se non fosse perché quella sera aveva già provato quelle sensazioni un paio di volte, avrebbe creduto di sentirsi male.
Invece era colpa di John. Come sempre.
Era un pensiero che stentava a credere reale e lo trovava quasi assurdo, ma forse si stava sul serio infatuando di lui. Non era un caso infatti se quel mattino aveva sofferto tanto al pensiero di essere detestata e quello sconforto aveva acceso qualcosa dentro di lei. La sua successiva confessione e il modo in cui l’aveva sfiorata invece avevano dato luogo ad una consapevolezza.
Era stato un istante, come un lampo prima del temporale, e sicuramente si sbagliava di grosso vista la sua inesperienza, ma più pensava al modo in cui John la guardava e più non poteva fare a meno di sentirsi desiderata.
Non era come sentirsi belli. Di commenti sulla sua bellezza ne riceveva ogni giorno. Era molto più profondo. Quando John la guardava, Camille sentiva come se al mondo esistesse soltanto lei, perché a nessun altro riservava quell’attenzione particolare che le faceva asciugare la gola e respirare male.
Come ora. E lei si chiese cosa sarebbe successo se anziché salire le scale, fosse riscesa e gli si fosse messa di fronte. E cosa sarebbe successo prima, nel salotto, se il maggiordomo non li avesse interrotti? E dopo che scioccamente lo aveva abbracciato?
Camille sapeva la risposta e un sospiro le sfuggì dalle labbra.
Non poteva essere semplice curiosità. Non più. Se così fosse stato, avrebbe provato le stesse sensazioni con il signor Sterling. Ma di lui ricordava solo la bellezza e quello le fece capire che non era stata una buona idea accettare di incontrarlo per un pic-nic. Come non era stata una buona idea accettare il suo corteggiamento. Ma era stata presa alla sprovvista e soprattutto non aveva ancora saputo la verità su John.
John…
Si riscosse come da un sogno, rendendosi conto di essere rimasta ferma immobile sulle scale come una statua. Esattamente come lui.
«Camille…» sussurrò, facendo uno scalino.
Lei trasalì al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere e, da grande vigliacca, fece due passi indietro. John allora si fermò.
«I-io… vado a vedere se Phoebe ha bisogno di qualcosa» disse tutto d’un fiato, girando sui tacchi, o sulle pantofole in quel caso, e avviandosi di gran carriera verso la camera dell’amica. In fondo meritava le sue attenzioni molto più dei suoi strani slanci sentimentali nei confronti di John. A quelli avrebbe pensato più tardi, quando le avrebbero impedito di prendere sonno.
Così, una volta arrivata davanti alla porta, bussò piano e un timido “Avanti” sopraggiunse dall’altro lato.
«Camille, immaginavo fossi tu» disse Phoebe, sedendosi contro la spalliera del letto e sistemando le coperte.
«Non volevo disturbarti.»
«Non mi disturbi affatto.»
«Sono venuta a sincerarmi che ti fosti sistemata e ti fosti un pochino calmata.»
«Sì, grazie… siete stati tutto fin troppo gentili. Non so davvero come farò a sdebitarmi e mi sento in colpa per aver creato tanto trambusto.»
«Non è stata colpa tua» disse Camille, sedendosi sul letto accanto a lei e abbracciandola. Phoebe ricambiò con una stretta ancora più forte, trattenendo a stento le lacrime.
«Oh Camille, come vorrei poter cancellare tutto questo.»
«Lo so, nessuno si aspettava un risvolto del genere… ma davvero vuoi andartene? Capisco la foga del momento, ma hai sentito zio Vincent: puoi rimanere qui tutto il tempo che vorrai.»
«Lo so, ma non voglio. Ero seria quando ho detto che voglio tornare a casa mia: io sono nata e cresciuta in campagna, sono abituata a stare all’aria aperta, a correre, ad aiutare la signora Stubborn e suo marito con gli animali… non sono fatta per stare seduta su di un divano a fare niente tutto il giorno.»
«Posso immaginarlo, ma se restassi non dovresti preoccuparti mai più di nulla.»
«Non m’importa. E poi quale gentiluomo vorrebbe sposarmi sapendo che sono una nipote illegittima? Qualora accettassi l’eredità sarebbero interessati solamente alle migliaia di sterline di cui verrebbero in possesso e se invece le rifiutassi diventerei uno scarto a mia volta.»
«Non devi dire queste cose, non tutti sono meschini e crudeli come il duca.»
«Può darsi, ma non voglio passare il resto della mia vita ad affrontare le chiacchiere e gli sguardi indiscreti degli altri nobili.»
«Con ottantamila sterline appresso non credo ti guarderebbero tanto di malocchio.»
«Non le accetterei in ogni caso. Sono una maledizione, quei soldi… e l’omicidio della duchessa ne è la prova.»
«Credi che il duca c’entri qualcosa?» non poté fare a meno di chiedere.
«Non lo so… non ci ho mai avuto molto a che fare. Sebbene abitassimo sotto lo stesso tetto, ci avrò parlato al massimo cinque volte. Però posso dirti che litigavano spesso. La duchessa diceva che non era meritevole del titolo che portava, soprattutto perché nonostante i suoi quarant’anni continuava a preferire le amanti piuttosto che trovare una moglie e generare un erede… diceva che non era in grado di badare alla tenuta e che continuando in quel modo l’avrebbe mandata in rovina.»
«Davvero diceva così?»
Phoebe annuì. «Era sempre molto affranta per la questione del matrimonio e più insisteva, più il duca si infuriava. In ultimo era riuscita ad avere un accordo: la prossima primavera sarebbe venuto con noi a Londra, con la speranza che finalmente riuscisse a trovare una giovane adeguata.»
Camille rimase un po’ delusa da quelle parole. Credeva di essere riuscita a scoprire qualcosa di interessante, ma il comportamento della duchessa non era diverso da quello delle altre madri. E uccidere la propria genitrice perché insisteva affinché prendesse moglie le sembrava un tantino esagerato.
Così era punto e a capo.
«Ora cerca di riposare» disse alla fine, alzandosi e dirigendosi alla porta. «E se hai bisogno di qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi. La mia porta è proprio l’ultima in fondo al corridoio.»
«Non preoccuparti, lo farò. Grazie Camille, sei un’amica sincera.»
Lei sorrise, lasciando definitivamente la camera di Phoebe per dirigersi nella sua.
Si stese nel letto, ma com’era ovvio non riuscì a prendere sonno. Erano troppi i pensieri che aveva per la testa: Phoebe, il signor Sterling, John… cosa doveva fare con loro? Affrontarli o continuare a fare finta di niente?
Dire che era spaventata dai suoi sentimenti e dalle conseguenze che le sue future azioni avrebbero provocato era dir poco e per quello, non fosse stato perché era sull’orlo di scoppiare a piangere, quasi si mise a ridere di sé stessa.
Trovava assurdo il fatto che da quando aveva debuttato in società la sua unica preoccupazione era stata quella di rimanere sola ed ora che non solo aveva trovato un corteggiatore adeguato, ma addirittura sembrava trovarsi a metà via fra due uomini, voleva solo scappare.
Lo aveva fatto quel pomeriggio quando aveva creduto che il signor Sterling la stesse per baciare, cosa che sicuramente non avrebbe mai fatto, e ora per colpa della sua impulsività era costretta a partecipare ad un pic-nic a cui avrebbe fatto volentieri a meno. Poi lo aveva rifatto poco prima sulle scale, quando John si era avvicinato a lei.
Si vantava tanto di essere socievole e civettuola, ma la realtà dei fatti aveva mostrato che non era altro se non una gran codarda.
Sbuffò rumorosamente, decidendo di alzarsi e di scrivere una lettera ad Heather. Poco importava se non aveva alcuna intenzione di calcolarla, era arrivato per lei il momento di tornare a prendere il posto di sorella maggiore che le spettava.
Innanzitutto le chiese come mai non aveva più risposto. Capiva che si stava divertendo alla Reggia, ma avrebbe potuto quanto meno trovare qualche minuto per scriverle; poi le raccontò di tutti i recenti avvenimenti, fatta eccezione per John e il suo passato da spia, e infine la implorò di tornare. Aveva un disperato bisogno di parlare con lei e ricevere qualche consiglio, perché era più che sicura che se avesse continuato a fare di testa sua, avrebbe combinato solo un pasticcio dietro l’altro.
Ripose con cura la lettera, che avrebbe dato a Montgomery il mattino seguente, e sperando di riuscire a chiudere gli occhi almeno per qualche ora, si rimise sotto alle coperte.
   
 
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