Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Tomoe_Akatsuki    09/08/2022    1 recensioni
È una calda serata di agosto, quando Okuyasu si rende conto che non tutto è come sembra.
È in un'altra calda serata di agosto, un paio di giorni dopo, che Josuke si rende conto che ciò che cercava era sempre stato lì.
[Post-Diamond Is Unbreakable]
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Josuke Higashikata, Okuyasu Nijimura
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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My friends say
I should act my age
What's my age again?
What's my age again?
[What's my age again?| Blik-182]

Okuyasu ha ventitré anni, ma se ne sente sedici - i sedici che gli hanno regalato l'allegra vita che sta vivendo e un paio di cicatrici non sue, che se chiude gli occhi le vede chiare e frastagliate sul corpo del proprietario.
Come ogni cosa che non gli quadra, l'ha attribuita alla sua stupidaggine, nonostante l'istinto gli dicesse che no, non era così - ha bisogno di Keicho in quei momenti, ma Keicho non c'è più, da sette anni, dai suoi fantastici sedici anni.
Così ha lasciato la questione da parte e non ci ha più pensato.
Almeno fino alla sera che è il preludio di ciò che avrebbe segnato gli altri sedici anni della sua vita.
Ma dobbiamo partire da diversi giorni dopo, all'ora di pranzo di una calda e afosa giornata di agosto, in una trattoria ben conosciuta, la Trattoria Trussardi.

«Non muori di caldo con la divisa addosso?»
Così Okuyasu salutò Josuke, sedendosi davanti a lui, con i gomiti appoggiati allo schienale, dopo aver afferrato la sedia da un tavolo ancora vuoto.
«Ci sono abituato, Oku.» rispose sorridente Josuke, riempendo il bicchiere.
  Josuke, era il più fortunato tra i due, in quelle calde giornate.
Al contrario di suo nonno che girava in bicicletta, quando era di pattuglia Josuke aveva una volante nuova di zecca dotata di aria condizionata che gli permetteva facilmente di sopportare il caldo. E se non era in giro ma a sbrigare questioni burocratiche in centrale, anche lì se ne stava bene al fresco - non che fosse uno che si lamentava del caldo.
«Fortunato te... Tonio non ne vuole sapere di mettere un ventilatore anche in cucina, oltre che qui in sala.» si lamentò Okuyasu, sfilandosi la bandana che gli copriva il capo e prendendosi in pieno l'aria del ventilatore girevole, con un sospiro di sollievo.
Josuke sbuffò una risata divertito.
  Okuyasu lavorava ormai da diversi anni insieme all'italiano, che per qualche motivo non comprensibile ai ragazzi aveva deciso di mettere le radici un po' più a lungo del solito. Così facendo, la trattoria si era fatta una buona clientela e Tonio faceva fatica a gestire tutto da solo. La scelta era ricaduta su Okuyasu, con la scusa che così avrebbe potuto trovare una soluzione per guarire suo padre studiando lui, oltre al fatto che trovasse che fosse bravo in cucina - in realtà si era solo affezionato a quel gangster dal cuore tenero che lo andava a trovare minimo una volta a settimana.
  «Stasera sei libero?» chiese Okuyasu, cambiando il filo del discorso.
«Ovviamente. Se non mi addormento sul divano.» specificò Josuke, facendo ridere entrambi.
«È successo qualcosa?» aggiunse poi, ricordandosi che se Okuyasu voleva combinare una delle sue, semplicemente suonava il campanello di casa sua, senza alcun preavviso.
«Naa... Cioè sì, ma niente di grave, bro.» sdrammatizzò Okuyasu, venendo chiamato poi da Tonio, che aveva bisogno di lui in cucina.
«Non disturbarti a pagare, offro io.» disse alzandosi.
«Ma così mi vizi!» tentò di protestare Josuke, anche se il suo sorriso dava l'impressione contraria.
«Per te sempre, Josuke!» e Okuyasu modellò le sillabe del nome in quella maniera che piaceva tanto all'amico.

~

Il fatto che Josuke vivesse ancora da sua madre era spesso argomento di disappunto per la donna - le nottate che ogni tanto faceva, giocare ai videogiochi monopolizzando il televisore quando magari c'era un programma che lei voleva vedere, i dispetti fatti mangiandole i suoi dolci -.
Come quando Okuyasu si presentò a mezzanotte meno dieci, e suonò il campanello diverse volte, che ovviamente Josuke non sentì, addormentato profondamente - e scompostamente - sul divano.
«Alza il tuo culo da lì, Josuke. Okuyasu ti sta aspettando da un quarto d'ora.» lo svegliò Tomoko, una via di mezzo tra l'incazzata e l'addormentata.
  «Ehy Josuke!» lo accolse la voce roca e grattata di Okuyasu, quando uscì.
«Ehy Oku» lo salutò lui, la voce ancora impastata dal sonno, sopprimendo uno sbadiglio.
«Quella l'hai rubata?» chiese poi, vedendo la moto dietro all'amico.
«Sistemiamo poi tutto dopo con Crazy Diamond.» liquidò l'argomento Okuyasu con un gesto della mano.
«Dovrei arrestarti.» osservò Josuke, il sorriso che tornava sul suo volto mentre infilava le mani in tasca - era uno di quei sorrisi che metteva su quando faceva la ramanzina, ma poi stava al gioco (e a Okuyasu piacevano tanto, perché il suo bro era il suo compagno d'avventure).
«Sì, e poi arrestare te stesso per complicità.» ribatté Okuyasu montando in sella.
«La stiamo comunque rubando.»
Josuke salì dietro di lui e passò le braccia intorno ai suoi fianchi, in un gesto abituale - ma che non faceva più da tanto tempo e che gli procurò in brivido di calore.
«La stiamo prendendo in prestito.» precisò Okuyasu, per poi muovere il polso e far scattare la moto in avanti, lasciandosi la città alle spalle.

Il viaggio in sé non fu lungo, dovevano solo raggiungere le colline fuori città, da cui si vedeva il mare illuminato dalle stelle, poiché erano piuttosto vicine al costa.
Ma ciò che lo rese piacevole fu il ricordo di quanti ne avevano fatti così, attaccati uno all'altro per sentirsi nel caso parlassero, con il vento che scompigliava i pompadour e il ruggito delle moto sotto di loro quando acceleravano.
Okuyasu si rese conto che era anni che non andavano più in moto - oltretutto sempre moto prese in prestito - e il suo battito cardiaco fece una capriola a quella considerazione, nostralgico e felice di essere di nuovo in sella.
  «È... è dove stavi per fare la stessa fine di Keicho.» disse Josuke, quando spense la moto e il silenzio tornò a fargli compagnia.
Non era né una domanda né un'osservazione, ma un dato di fatto.
Il ricordo di Red Hot Chili Pepper fu uno sprazzo dorato nella mente di Okuyasu, insieme alla sensazione di essere trascinato in cavi elettrici - troppo piccoli per un corpo umano, ma che in qualche maniera passava, solo per finire elettrizzato pochi secondi dopo.
«Sì.» rispose Okuyasu, appoggiandosi alla moto dietro lui.
Josuke lasciò che lo sguardo vagasse sul volto dell'amico, fattosi improvvisamente serio - Okuyasu e serietà erano due cose che si vedevano insieme raramente e se succedeva vuol dire che era qualcosa di preoccupante -, per poi spostarlo all'orizzonte, sul mare argenteo davanti a loro, non volendo risultare insistente nei confronti dell'amico.
«Di cosa volevi parlarmi?» chiese, il tono basso, come se avesse paura di rompere il silenzio notturno attorno a loro, infilando le mani in tasca.
  Okuyasu, contro tutti i buoni propositi che si era fatto, esitò. Le parole rimanevano bloccate sulla lingua.
L'ansia che non l'aveva portato a parlare prima - l'ansia di essere giudicato, deriso - tornò a farsi sentire e lo inceppò.
Scosse il capo. No, non poteva starsene zitto proprio adesso, non dopo aver trascinato Josuke lì, nonostante l'amico era sul punto di addormentarsi in piedi - aveva visto come ogni tanto gli calasse la palpebra e scappasse uno sbadiglio.
Prese un respiro profondo, e parlò.
«Ho conosciuto una ragazza tempo fa. Ci siamo sentiti per un po', venerdì scorso siamo riusciti a combinare qualcosa e siamo usciti insieme. È andata bene, tutto sommato. Siamo finiti sul divano di casa mia a limonarci e s'era capito che voleva andare oltre. Mi ha tolto i pantaloni e io ho acceso la tv. Lei allora mi ha guardato, mi ha chiesto quanti anni avessi, e quando gli ho risposto ventitré lei se n'è andata.»
Fece una pausa, e si accorse solo in quel momento che Josuke lo stava guardando, gli occhi azzurri in attesa.
«Io volevo semplicemente evitare di spaventare mio padre con rumori strani. È abituato a sentire la tv la sera tardi, per cui ho pensato che potesse essere una buona copertura. Ma lei non ha voluto sentire spiegazioni e se n'è andata.»
Alzò lo sguardo dal terreno davanti a lui, allungandolo sul mare e osservandone distrattamente i riflessi delle stelle.
«Non avevo realizzato cosa volesse effettivamente dire avere ventitré anni. Sono sempre state cifre che andavano avanti, ma io sentivo ancora sedici anni, i sedici di quando ho incontrato te, ho perso Keicho, e abbiamo sconfitto Yoshikage Kira. È stato uno schiaffo capirlo. Nessuno vuole un ventitreenne.»
Abbassò il capo, e mosse il suo peso da destra a sinistra a viceversa, leggermente a disagio con il silenzio che si era venuto a creare.
«Dovresti comportarti come qualcuno della tua età.» disse Josuke dopo un po', questa volta guardando lui il mare e facendo voltare di scatto l'amico.
Quelle non erano usuali parole da Josuke - non parole che Okuyasu si sarebbe aspettato da Josuke.
«O almeno, questo è quello che ti direbbe Koichi.» specificò Josuke, alzando le spalle.
«E tu cosa diresti?» chiese Okuyasu, il tono meno graffiato ma più roco rispetto a prima.
Chissà perché voleva saperlo così ardentemente. Sentiva come se non avesse avuto quella risposta, un pezzo della sua gioia sarebbe scomparsa - e continuava a non capirne il perché.
  «Sii te stesso. Non farti questi problemi per gli altri.» e vedendo come lo sguardo di Okuyasu fosse concentrato tutto sul suo volto, aggiunse un «O qualcosa del genere» dal tono lievemente imbarazzato.
Okuyasu annuì, anche se non sembrava molto contento - la sua aria riflessiva dava sempre quest'impressione.
«E comunque a me va bene così come sei, Oku.» disse Josuke, colpendo scherzosamente la spalla dell'amico con la propria, volendo alleggerire l'atmosfera fattasi pesante, con parole che non avevano ancora capito di dover dire.
«Anche tu vai bene così come sei, Josuke. Con la tua fissa per i capelli e tutto il resto.» gli rispose Okuyasu, un sorriso radioso gli illuminava il volto.
  Normalmente, al nominare dei suoi capelli, Josuke si sarebbe arrabbiato e avrebbe ridotto male il malcapitato di turno. Ma sapeva bene che Okuyasu non aveva mai intenzione di offendere, per cui si limitò a ridere al commento.
«Sono l'unica cosa a cui abbia senso dare importanza.» disse, poggiando il capo sulla spalla dell'amico.
«Ci sarebbero anche le donne.» osservò Okuyasu, alzando un sopracciglio al suo gesto, ma non scostandosi.
«Lo sai che sono più tipo da "vero amore", Oku.»
Okuyasu ridacchiò, una risata meno rumorosa ma comunque divertita, vibrante nel petto.
«Dici sempre così, ma come farai a sapere quando sarà il "vero amore"?» chiese curioso di quel dettaglio che non era ancora riuscito a conoscere dell'amico.
«Qualcuno che ti fa ridere e ti rende felice, ti comprende meglio degli altri,  qualcuno con cui vai d'accordo qualunque cosa accada...»
La sua voce cadde nel silenzio, insieme ad una consapevolezza che si fece largo in entrambi, rendendo l'atmosfera imbarazzata - ma Josuke non si spostò da quella posizione, che trovava comunque confortante nonostante la situazione creatasi.
«Sembra che tu stia parlando di me.» osservò Okuyasu, dopo aver deglutito a disagio, un sorriso imbarazzato sulle labbra.
«Già.» rispose Josuke, arrossendo vivente e ringraziando il buio notturno. In quel momento voleva solo sotterrarsi dall'imbarazzo e dalla sua stupidità.
Un sospiro di frustrazione percorse Okuyasu, che si passò la mano sul volto.
«Dannazione.... È così imbarazzante.» una breve risata nervosa lasciò le sue labbra.
  Oh era fin troppo imbarazzante ed entrambi sentivano le guance in fiamme, ma non avevano idea di cosa dire o fare per rimediare alla situazione - ci tenevano troppo all'altro per combinare qualche disastro irrimediabile e non osavano muoversi da quella posizione.
Nessuno dei due osava muovere lo sguardo dal mare davanti a loro, completamente immobilizzati dall'imbarazzo.
«Se... se così fosse... per te non sarebbe un problema?» azzardò a chiedere Josuke, mordendosi il labbro, mentre una strana ansia stava crescendo dentro di lui, mentre alzava la testa dalla spalla dell'amico.
«Io... No, non sarebbe un problema.» anche Okuyasu si morse il labbro.
«Aaahhh, sono così confuso.» esclamò scuotendo il capo.
«Anch'io.» la semplicità e l'innocenza con cui Josuke lo disse, gli fece finalmente spostare lo sguardo sull'amico e ne incontro i grandi occhi azzurri, confusi come i suoi.
«Però... non penso mi dispiacerebbe.» osservò Okuyasu, abbassando lo sguardo.
  In fondo si erano piaciuti fin da subito, nonostante il loro primo incontro fosse stato abbastanza violento. Ma Okuyasu era rimasto affascinato dalla figura di Josuke, dai suoi modi di fare, da Josuke in sé, e aveva deciso che magari poteva azzardarsi ad avvicinarsi a lui. E ne era nata la combo Josuke-Okuyasu, la più forte combinazione.
  Josuke si morse ancora una volta il labbro, prima di avvicinarsi al volto dell'amico e sussurrare imbarazzato:«Posso?»
Okuyasu, che aveva la bocca secca e si sentiva in fiamme - e non per il caldo estivo - annuì, senza alzare lo sguardo.
Josuke pose il pollice sul suo mento, delicatamente, inclinò la testa quel poco che serviva e raccogliendo il coraggio per compiere quel piccolo gesto, posò le labbra su quelle dell'amico.
Le palpebre di Okuyasu si spalancarono al contatto - le labbra di Josuke erano così morbide, nonostante avesse passato gli ultimi dieci minuti a mordersele -, per poi calare poco alla volta, fino a chiudersi completamente, mentre tutto il suo corpo si rilassava a quel tocco così gentile.
  Josuke non si spinse oltre, e dopo quella che sembrò un'eternità, si staccò, ritrovandosi pure più imbarazzato di prima. Ma posando lo sguardo sul volto di Okuyasu si rese conto che anche lui era nella sua stessa situazione.
I loro occhi si incontrarono e in entrambi crebbe una risata incrottollata, dettata dalla pura felicità del momento, mentre si abbracciarono, le lacrime di gioia che si formavano agli angoli degli occhi.

   
 
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