Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Tomoe_Akatsuki    09/08/2022    0 recensioni
Parte 1 di "Accollay - concerto No.1 in A minor"
Di Leone, non si sa praticamente nulla.
È un sicario spietato, dal costante sangue freddo. I suoi lavori sono puliti e non sembra neanche poi così tanto interessato ai soldi, nonostante venga pagato abbondantemente.
L'unico che sembra sapere qualcosa di lui è Polpo, l'uomo che l'ha salvato quando è arrivato a Napoli e che gli dà gli incarichi, ma anche lui ha la bocca cucita al riguardo del suo sicario perfetto.
Giorno Giovanna è un ragazzo che dimostra meno anni di quelli che ha, maltrattato dal padre e considerato inutile dal resto della famiglia. L'unico a dimostrare affetto per lui è il fratellino Diego, silenzioso, dagli occhi grandi, che non piange mai.
L'inizio è una roba da niente, vista e rivista in film e nella realtà. Una parte di droga mancante alla partita data in custodia, il mafioso di turno che uccide l'intera famiglia del colpevole.
Uno dei figli riesce a scappare e allora si dà inizio alla sua caccia. Una vendetta deve essere completa, se no non è una vendetta.
Ma, c'è un ma.
E il ma è che Giorno si imbatte in Leone, iniziando così la sua di vendetta.
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cioccolata, Giorno Giovanna, Leone Abbacchio, Secco
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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Il rumore della rotella dell'accendino. La fiamma riflessa sui suoi occhiali scuri. Il gusto di tabacco sulla lingua.
«Allora, come stai Leone?» chiese l'uomo seduto davanti a lui, da un lungo naso aquilino e grande presenza fisica.
«Bene.» rispose Leone, il tono freddo e neutrale, sbuffando una nuvola di fumo - in sintesi, voleva dire "andiamo al sodo".
«Va bene, parliamo d'affari. Questo grasso bastardo si sta impicciando nei nostri affari.» disse Polpo, facendo scorrere la fotografia del soggetto in questione verso di lui.
Un uomo con non meno di quarant'anni, troppi soldi nel portafoglio - Leone poteva dire tranquillamente che il bel completo che indossava era un Armani - e che ne voleva altri fatti in modo altrettanto semplice.
«Lo sai, Maurizio è un uomo ragionevole e voleva fare una piccola chiaccherata. Ma questo tizio non ne ha voluto sapere. Forse ascolterà te.» continuò Polpo, alzando lo sguardo su di lui. «Viene in città ogni martedì. Sei libero il martedì?»
Leone spense la sigaretta nel portacenere.
«Sì, sono libero martedì.»
Prese la fotografia, se la infilò in tasca ed uscì dal negozio.

~

«Bentornato signor Ciambella!» salutò l'uomo addetto alla reception, venendo però bellamente ignorato dall'individuo a cui era diretto il saluto e dalle sue guardie del corpo.
  «Avete mezz'ora. Vedete di fare un buon lavoro.» ordinò Ciambella una volta entrati nell'appartamento, facendo cenno ai ragazzi di levarsi di torno velocemente. Poi vedendo la donna che lo stava aspettando voltarsi verso di lui, aggiunse con la mente già altrove:«Avete un'ora.»
Il capo dei ragazzi, Sugo, annuì - abbastanza giovane, dai lunghi capelli mossi, che sembrava uno di quei rocker degli anni ottanta -, dando veloci ordini agli altri per disporre i punti di guardia e poi tirare fuori una valigia, contente la droga da tagliare. Ma neanche il tempo di aprire i pacchetti che la ricetrasmittente suonò.
«Sono io, Tartufo, da sotto. C'è qui uno che vuole parlare con il Capo.»
«Che aspetto ha?» chiese Sugo, anche se aveva già intuito che tipo di persona potesse essere.
«Serio.» una pausa in cui ebbe l'impressione di sentire un'altra voce, più grave di quella di Tartufo, poi:«Viene su.».
Un colpo di pistola, la ricetrasmittente cadde e la comunicazione si interruppe.
«Non mi piace per niente.» mormorò Sugo.
«Pesto, andate ad aspettarlo all'ingresso.» ordinò, e prima di uscire dalla stanza sfilò la pistola dalla cintura.
  Pesto fece cenno agli altri di seguirlo con il capo, mentre apriva la porta e si guardava incontro guardingo. Puntò la pistola sull'ascensore, osservando i numeri illuminarsi uno dopo l'altro, mentre l'ascensore saliva e l'aria si faceva tesa.
L'atteso ding si fece sentire insieme alle armi che vennero caricate e scaricate contro la porta, creando una nebbia che non permetteva di vedere ad un palmo dal naso.
Pesto fece segno di fermarsi, per dare tempo alla nebbia di diradarsi, che mostrò il corpo morto di Tartufo e ricoperto di sangue, appeso in modo da premere il tasto per il piano.
Pesto avanzò verso esso, la pistola sempre puntata e pronto a scattare al minimo segnale, entrò nell'ascensore e non trovò niente di anomalo - se non sangue e la ricetrasmittente rotta.
«Voi andate dentro dal capo, rimango io di guardia.» ordinò agli altri, facendo cenno di tornare nell'appartamento.
Uscì dall'ascensore, rasserenato di non aver dovuto aver a che fare con il sicario di turno - gli era già capitato di avere a che fare con alcuni di essi e non gli era piaciuto per niente. Giusto per sicurezza, controllò la rampa delle scale, sporgendosi dalla ringhiera.
Gesto che gli fu fatale, poiché venne afferrato dalla cravatta da una mano che spuntò da sotto il pianerottolo e buttato giù.

«Capo, sono io, Sugo. Ne hanno mandato un altro.» disse il ragazzo bussando alla porta della camera da letto.
«Sistematelo velocemente, come avete fatto con gli altri.» borbottò Ciambella, senza interrompere ciò che stava facendo - era un punto abbastanza stimolante considerando i versi che Sugo udì.
«È uno bravo questo, Franco.»
Come a confermare le sue parole, udirono una scarica di fucile insieme a diversi colpi di pistola, poi silenzio più assoluto - la scarica contro la porta dell'ascensore.
«Merda.» imprecò Ciambella, poi insieme ad un fruscio di lenzuola ordinò:«Vattene velocemente fuori di qui donna se ci tieni alla pelle.» e si presentò sulla porta reggendosi i pantaloni con una mano, la camicia e la giacca nell'altra.
Imboccarono il corridoio e Sugo ordinò a Branzino, il più giovane del gruppo, di andare a controllare la porta sulle scale d'emergenza - inutile dire che venne ucciso anche lui, per mezzo di un cappio sottile che calò dal soffitto e gli spezzò l'osso del collo togliendoli respiro e contatto con il pavimento.
  Sugo e Ciambella incontrarono gli altri mandati dentro da Pesto - che ci aveva lasciato le penne, nel mentre - vagare per il salotto senza avere idea di cosa fare.
«Che fate lì impalati? Andate a controllare il balcone!» ordinò Ciambella con un gesto spazientito e i tre obbedirono, armi pronte all'uso e occhio vigile. Ma non abbastanza, perché un colpo di pistola fece chiudere la tapparella alle loro spalle, bloccandoli lì fuori. Furono messi fuori gioco da un altro paio di colpi che ruppero il vetro della porta-finestra.
Quando un occhio - coperto dalla lente rotonda di un paio di occhiali scuri - oscurò il buco lasciato da un proiettile, Ciambella capì che era seriamente in pericolo di vita e l'ansia gli si dipinse sul suo volto.
«Stai indietro!» gli urlò giusto in tempo Sugo, spingendolo dietro una delle colonne portanti e prendendosi lui in pieno la scarica di fucile che rese la tapparella più simile ad un groviera che ad una, appunto, tapparella.
  Con il panico che montava dentro di lui - ma una microscopica parte di lui rimaneva razionale, se no sarebbe crollato a terra implorando pietà - Ciambella raggiunse l'armadio che fungeva da armeria, prese due pistole cariche, di infilò vari caricatori nelle tasche e passando davanti allo specchio dell'entrata, prese la cornetta e compose il 112, cercando di riprendere a respirare normalmente - difficile, quando sai che puoi morire tra mezzo secondo.
«112, qual'è la sua emergenza?» chiese una voce femminile all'altro capo della linea.
«Un tizio vuole uccidermi.» rispose Ciambella, guardandosi intorno e sentendo il sudore colare dalla fronte.
«Okay, stii in linea. La metto in contatto con un poliziotto, okay? Lei stii in linea.»
Ciambella mugugnò qualcosa in risposta che la donna interpretò come un sì, mentre indietreggiava e appoggiava la spalla al muro, cercando di riprende la calma - tentativo inutile, perché più provava più si agitava.
Dal buio alle sue spalle comparve un coltello che venne puntato alla gola. Si congelò sul posto
«Qui agente Polpet. Come posso aiutarla?»
«La richiamo io.» disse Ciambella cercando di mantenere un tono calmo, e mise giù la chiamata, sotto lo sguardo del sicario incaricato di ucciderlo.
Allontanò lentamente la cornetta dall'orecchio, e l'uomo gli mise un biglietto davanti al naso.
«Chiama questo numero.» ordinò, premendo ulteriormente il coltello contro la sua gola.
Ciambella ubbidì e riappoggiò la cornetta all'orecchio, sapendo con chi avrebbe parlato.
«Se mi chiami vuol dire che il nostro comune amico Leone ti ha trovato. Bene bene. Apri quelle cazzo di orecchie perché non mi ripeterò una seconda volta. Appena esci da lì, prendi il tuo culo e lo spedisci via da questa città. Non voglio più vedere la tua fottuta faccia grassa. Capito?»
«Sì.» mormorò Ciambella.
«Lasciami parlare con il nostro comune amico.»
Leone gli sfilò la cornetta di mano.
«Pronto?»
«Assicurati che abbia capito. Poi lascialo andare.»
Leone allontanò la cornetta, in modo che l'uomo dall'altra parte potesse sentire anche Ciambella.
«Hai capito?» il rumore delle sirene della polizia indicò che avevano già rintracciato la telefonata.
Ciambella annuì.
«Allora dillo.»
«H-ho capito.»
«Bene.»
Leone gli rimise la cornetta in mano e ritornò nell'ombra da cui era arrivato.

   
 
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