Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Vitani    09/08/2022    1 recensioni
Dopo la sconfitta di Gargoyle, i superstiti del Nuovo Nautilus cercano lentamente di far tornare alla normalità le proprie esistenze. Non è semplice, quando si è vissuta un'avventura come la loro.
Electra ha visto morire l'uomo che amava e si trova da sola con un bambino da crescere. Nadia non riesce a smettere di guardare al passato nonostante abbia ormai la vita che desidera.
Presto, troppo presto, l'incubo di Atlantide torna ad addensarsi sul futuro.
E, stavolta, sembra esigere la vita dei suoi Figli.
Basteranno a salvarli l'abnegazione di una madre, il legame di una sorella e di un fratello?
Basterà il comandamento di un padre, "vivi"?
Basterà l'amore?
"Nadia, noi non siamo obbligati a dare o ricevere amore. Noi siamo amore."
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Medina Ra Lugensius, Nadia Ra Arwol, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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L’AVVENTURA DI TIA

 

 

 

 

Val-d’Isère, Francia, 1904

 

 

 

«Che meraviglia!» esclamò Nadia.

«Hai proprio ragione, abbiamo fatto benissimo a scegliere questo posto!» rispose Jean, aprendo le finestre della loro camera d’albergo.

«Non mi sembra vero che ci siamo finalmente potuti permettere una vacanza sulle Alpi», sospirò Nadia. «Di solito siamo sempre a corto di soldi.»

Jean ridacchiò.

«Chiedo scusa.»

Per dire il vero, quella vacanza se l’erano potuta permettere grazie all’aiuto di Hanson, che aveva deciso di concedersi una settimana di ferie dal lavoro e li aveva raggiunti in Francia col solo scopo di fare una rimpatriata coi suoi vecchi amici.

Così erano partiti per ritrovarsi a Val-d’Isère, nota zona sciistica nel cuore delle Alpi francesi, un paesino a quasi duemila metri sul livello del mare. C’erano Jean, Nadia, Anne Marie e Philippe, oltre naturalmente a Sanson, Marie, Anita, Grandis e lo stesso Hanson. Quest’ultimo aveva voluto invitare anche Electra, che aveva però declinato l’invito e mandato Etienne al suo posto.

L’albergo era grazioso, un’accogliente baita in legno e pietra che sembrava antica, ed era circondato da un prato verdissimo di erba da pascolo. Distava dal paese solo poche centinaia di metri, percorribili a piedi grazie a uno sterrato che scendeva giù dalla collina in direzione del fiume.

Etienne aveva finito di disfare i suoi bagagli e stava aiutando Jean e Nadia a sistemare i loro.

Anne Marie, dal canto suo, era alla ricerca dei giocattoli che aveva portato con sé.

«Bambola dove?» domandò a Etienne.

«Ora la troviamo, abbi pazienza.»

Dall’alto dei suoi due anni, la bambina comandava come una piccola despota.

Seduta sul letto dei suoi genitori, guardava Etienne con aria assorta.

«Sicuro?»

«Sì.»

Philippe, intanto, si era affacciato a sua volta alla finestra.

«Papà, che nuvole sono quelle?» chiese.

«Sono altocumuli.»

«Perché si chiamano altocumuli?»

«Perché hanno un’altitudine che varia da 2500 a 6000 metri», si intromise Etienne, «e formano ghiaccio sui velivoli.»

«Molto bene, Etienne», si complimentò Jean. «Vedo che stai studiando!»

«Per un pilota conoscere le nuvole è fondamentale.»

Ficcò la mano in un borsone, ne tirò fuori una bambola di porcellana con un vestito verde a balze.

«Ecco, Tia», e gliela lanciò sul letto.

In una delle altre stanze, Anita stava piagnucolando.

«Chissà che succede», si chiese Nadia. «Era raffreddata, speriamo non le sia salita la febbre.»

Tic toc tic toc tic toc.

Riconobbero il rumore degli stivali col tacco di Grandis, in corridoio.

La porta della camera si spalancò.

«Ragazzi?»

La donna s’affacciò, già in tenuta da sci, sorridente e roboante come suo solito.

«Che ne dite di questo per andare sulla neve?»

Nadia rise.

«Direi che va benissimo, Grandis.»

Anita, intanto, piangeva più forte.

«Che casino», borbottò Jean, ridacchiando a sua volta.

C’era da aspettarselo, era sempre così ogni volta che decidevano di organizzare qualcosa tutti insieme.

 

Un paio d’ore e qualche valigia più tardi, dopo essersi cambiati e fatti un bagno, scesero nella sala ristorante. Anita, fortunatamente, non aveva la febbre e se ne stava tranquilla in braccio a Sanson, che di tanto in tanto le soffiava il nasino.

«Quindi qual è il programma per domani?» chiese Marie.

«Saliamo in vetta in mattinata», rispose Sanson, «ci fermiamo a mangiare in uno dei rifugi lungo il percorso e torniamo giù nel primo pomeriggio.»

«Oh, ma Anita e Anne sono ancora troppo piccole! Le porti tu in braccio fino in cima?»

Sanson rise e mostrò i muscoli: «Perché no?»

Marie si trattenne dal dargli una sberla.

«Non c’è problema», si intromise Nadia. «A me non interessa salire sulla montagna, rimango io con le bambine. Tu vai pure, Marie, non preoccuparti.»

«Stessa cosa», aggiunse Etienne. «E ho promesso di insegnare a Philippe a sciare, quindi rimarremo qui in zona.»

«Va bene, va bene», disse Sanson. «Vorrà dire che saliremo io, Jean, Marie e Hanson, non è vero, Hanson?»

Hanson, che stava scendendo le scale, sobbalzò: «V-va bene!»

Non era particolarmente sicuro riguardo alle sue doti atletiche…

«Vengo anche io con voi», sospirò Grandis, «o voi tre rammolliti chissà dove potreste finire!»

Nadia rise.

«Coraggio, Grandis.»

La sala ristorante si aprì sotto di loro, un ambiente rustico e accogliente come il resto dell’albergo, con pareti rivestite di legno e travi a vista. L’aria era piena del chiacchiericcio dei villeggianti, alcuni appena tornati dalle piste sorseggiavano bicchieri di liquore e vino caldo. Sedettero a un tavolo di legno che era stato loro riservato.

«Che mangiamo?» chiese Etienne. «Io voglio provare la raclette!»

«Anche la carne arrosto sembra ottima!»

Nadia fece una smorfia.

«Io assaggerò i formaggi.»

Addossato a una parete della stanza stava un pianoforte verticale, evidentemente a disposizione di chi avesse avuto voglia di suonare.

Etienne, dopo mangiato, non si fece pregare.

«Cosa vi va di ascoltare?», chiese. «Musica popolare, Debussy o un allegretto di Beethoven?»

Anne-Marie, dal suo seggiolone, si agitò: «Anche io!»

Etienne rise e la prese in braccio.

«Va bene, va bene. Facciamo ascoltare loro come suoniamo la tua filastrocca.»

Sedette al pianoforte e si sistemò la bambina sulle ginocchia.

«Mani così», le disse, e le mise l’indice sul “LA”.

La bambina rise e premette le dita a caso sui tasti del piano.

Etienne riprese le note, improvvisò una piccola melodia.

«Belle, o ma si belle...», canticchiò.

Anne Marie rideva. Per tutta la sera la sala fu allietata dalla sua voce squillante e serena e dal pianoforte di Etienne. Nadia li osservò da lontano, tutto il tempo. Era una visione che, in qualche modo, la rasserenava. Più tardi, quando portò un'esausta Anne e profondamente addormentata Anne in camera, restò a vegliarla a lungo. Qualsiasi fosse stato il futuro che la attendeva, era grata che avesse Etienne accanto. Era grata che fossero tutti quanti una grande famiglia, che si volessero bene. Almeno non sarebbe stata sola com'era toccato a lei da bambina. Non avrebbe mai sperimentato una tale, disumana sofferenza.

Diede alla piccola un bacio sulla fronte e andò a sua volta a letto.

L'indomani sarebbe stata una lunga giornata.

 

«Avete preso tutto?», chiese Jean.

Gli altri annuirono.

«Sì!»

«Le borracce e il pranzo?»

«Sì!»

«Cappello e vestiti di scorta?»

«Sì!»

Nadia gli si avvicinò.

«Mi raccomando, Jean, siate prudenti.»

Jean le sorrise, gli occhi azzurri accesi di buonumore.

«Stai tranquilla, ce la caveremo. Tu piuttosto, mi raccomando i bambini.»

«Nessun problema.»

Era ancora mattino presto e l'hotel era silenzioso, ma come loro anche altri turisti avevano deciso di tentare la scalata quando ancora il grosso dei villeggianti riposava. Sarebbe stato un tragitto piuttosto lungo fino in cima e la buona occasione per Jean di provare un po' della nuova attrezzatura che aveva portato. Modificata da lui, naturalmente, per migliorare le prestazioni sulla neve.

Anche Etienne era sveglio e stava preparando l'attrezzatura per Philippe. La giornata era fredda ma limpida, l'ideale per divertirsi sulla neve. Certo, i bambini potevano dormire quanto preferivano. Sarebbero rimasti nei pressi dell'albergo, dopotutto. Etienne, però, ci teneva a salutare gli altri prima che partissero. Si avvicinò al gruppo e augurò loro di divertirsi. Grandis, che non vedeva l'ora di andare, lo abbracciò stretto.

«Grazie, Etienne. Vieni anche tu la prossima volta, eh!»

Etienne, un pelo a disagio, annuì.

«Senz'altro.»

Nadia ridacchiò.

Proprio in quel momento sentirono Anne Marie che dalla sua stanza chiamava la madre.

«La principessa si è svegliata», disse Nadia. «Vado a darle la colazione.»

Tornò poco dopo, con in braccio un'assonnata Anne che a sua volta stringeva un biberon di latte tiepido e biscotti. Etienne lanciò un'occhiata a entrambe, poi tornò a dedicarsi agli sci e ai bastoncini. Si prospettava una mattina tranquilla, per fortuna.

 

Ogni tanto le capita di ripensare a quel giorno.

Non che lo ricordi davvero, naturalmente, era troppo piccola.

Però affiorano delle sensazioni che riconduce infallibilmente a quella mattina, ancora dopo anni.

Ricorda benissimo le risate di suo fratello Philippe, per esempio, e di averlo visto rotolare con gli sci e tutto, poco lontano dal prato.

Ricorda anche che Nadia si era distratta per un attimo, non sa perché. Forse per via di Anita che piagnucolava, tanto per cambiare.

Poi era successo che aveva visto qualcosa ed era andata verso il bosco.

 

Anne era seduta ai piedi delle scale che portavano all'ingresso dell'hotel. Giocava con la sua bambola, le aveva messo in testa il suo cappellino e stava cercando di farla stare in piedi con scarsi risultati. Voleva farla sciare insieme a Philippe. Sua madre era seduta con Anita su una panca lì vicino, era ormai pomeriggio e stava provando a far dormire la bambina un paio d'ore. Poi sarebbe stata la volta di Anne, che di dormire proprio non aveva voglia e infatti stava cercando di approfittare di ogni minuto ancora libero. Le piaceva, quel posto. C'erano molti alberi poco lontano che la incuriosivano. Voleva chiedere a Etienne come si chiamassero, e anche come faceva l'acqua della vasca da bagno a riscaldarsi. Etienne però era sempre stato con Philippe, tutto il giorno. Una cosa che a lei invece non piaceva per niente. Chissà, magari se gliel'avesse chiesto, Etienne l'avrebbe accompagnata a vedere gli alberi. Avrebbe provato, decise. Si alzò in piedi.

«Anne?» Nadia la chiamò. «Che fai? Non ti allontanare da sola.»

Anne osservò la madre come se non avesse capito. Quelle non erano parole che per lei avessero senso. Non andava da nessuna parte da sola.

«Etí», rispose, con occhi interrogativi.

Nadia sorrise e si alzò.

«Vuoi proprio bene a Etienne, vero? Va bene, ti accompagno.»

Non ebbe il tempo di muovere un passo che Anita iniziò a piangere. Tormentata dal raffreddore e dalla mancanza dei suoi genitori, la bambina era stata nervosa e inconsolabile per tutto il giorno. Nadia si voltò, la prese in braccio.

«Oh, Anita! Non piangere. Andiamo a sciacquare il nasino, forza.»

Anita, per tutta risposta, urlò più forte.

Anne sbuffò. Quella bambina piagnucolosa era sempre fra i piedi.

 

Poco male, avrebbe fatto da sola.

Era quello che avrebbe pensato se fosse stata un po' più grande.

Invece, a due anni e qualcosa, Tia voleva solo andare da Etienne per scoprire che nomi avessero gli alberi del bosco.

Così si era alzata in piedi ed era corsa via, mentre sua madre ancora badava ad Anita, che era un po' più grande di Tia eppure tanto più insicura e bisognosa di attenzioni.

Tanto più umana, avrebbe detto qualche anno dopo qualcuno, e Tia non si sentiva di obiettare.

Comunque non ci era mai arrivata da Etienne.

Era stata colpa di una farfalla.

Una grossa farfalla nera con le ali che sembravano di velluto, strana ma non impossibile da trovare a quelle altitudini (l'avrebbe spiegato Philippe, appassionato di insetti, quella sera stessa).

Era volata dritta in faccia a Tia, che aveva sentito perfino il rumore del battito delle ali sulle guance, poi s'era posata poco distante, lungo il sentiero che conduceva al bosco.

Chissà che voleva da lei, quella farfalla.

Magari salutarla o mostrarle un tesoro segreto.

Tia non lo sapeva.

L'aveva seguita, però, e aveva preso la via del bosco.

 

«Sei stato bravissimo, Philippe. Secondo me tempo un paio di giorni e riuscirai a seguire gli altri sulle piste facili.»

«Davvero?»

«Sì.»

Etienne e Philippe, con gli sci sottobraccio, stavano tornando verso l'albergo. Philippe era raggiante, con le guance arrossate e lo sguardo orgoglioso.

«Non vedo l'ora di dirlo a papà. Quando torna?»

Etienne guardò il cielo, valutando la posizione del sole.

«Secondo me ne avranno ancora per almeno un'ora. Erano saliti piuttosto in alto.»

Sentì, poco lontano, il piagnucolio di Anita.

«Direi di andare a dirlo a tua madre, intanto. Dev'essere con Anita.»

Era un pianto nervoso, quello della bambina, Etienne lo capì subito. Certo, potevano esserci mille spiegazioni. Non era coi suoi genitori e stava poco bene. Magari era stanca, o aveva fame. Non seppe perché ma si affrettò.

«Andiamo», disse a Philippe, prendendogli una mano.

Vide Nadia da lontano, in piedi con Anita in braccio. Era strana, sembrava pietrificata.

Corse da lei, col cuore in gola.

«Nadia?»

Lei sobbalzò sentendosi chiamare, si voltò verso Etienne con gli occhi sbarrati, impauriti.

«Che succede?»

Etienne glielo chiese ma non ottenne risposta, lei era come muta, impotente, tremava con in braccio una bambina che non era sua figlia. Etienne si guardò intorno, vide la bambola di Anne per terra, abbandonata vicino alle scale. Deglutì.

«Dov'è Tia?»

Nadia non rispose, si guardò intorno spaesata, poi guardò Etienne e riuscì a fare segno di no con la testa.

«Non lo so, non...»

 

Etienne stette un attimo in silenzio, poi annuì piano e le si avvicinò.

Alto quanto lei, a quattordici anni, le prese il viso fra le mani e la guardò a lungo negli occhi.

Non piangeva, Nadia.

Aveva paura.

Etienne, pur col cuore in gola, le sorrise.

«Stai tranquilla. La trovo io.»

Le accarezzò una guancia.

«Tu aspetta qui. Appena torna Jean avvertilo. Non può essersi allontanata tanto. Philippe, stai con tua madre.»

Il bambino annuì, prendendo la madre per la stoffa del cappotto.

Etienne, a quel punto, si allontanò di qualche passo e si guardò attorno. Era il momento di riflettere.

«Voleva venire da te.»

La voce di Nadia, stentorea. Etienne annuì. Dunque Tia si era allontanata nella loro direzione ma, invece di proseguire verso il campo aperto doveva avere cambiato idea. Se non era rientrata in albergo, ed era evidente di no, doveva avere preso per qualche motivo il sentiero che andava al bosco, l'unico percorribile nelle immediate vicinanze.

Etienne corse in quella direzione. Eccole lì, infatti, sulla superficie di quel po' di neve caduta il giorno prima, le piccole impronte delle scarpette da bambina.

 

Tia non si rende conto del tempo che passa.

Insegue la farfalla, gioca con la farfalla.

Pensa di riuscire a tornare indietro.

Poi si guarda intorno, vede il bosco, fronde verdi tutte uguali.

Non c'è nessun tesoro, non sa qual è la strada da prendere.

Rimane immobile, si accuccia ai piedi di un albero, fra le radici.

Non pensa a niente e non si agita, non è che abbia paura.

Si sente sola, però.

Una solitudine che aumenta man mano che la luce del giorno si fa più tenue.

Aspetta, Tia.

Ci sono notti in cui fa brutti sogni, sogna la porta di casa spalancata, notte fonda, notte buia, e lei non riesce a entrare, come se una forza la tenesse fuori.

È sola.

Sola come in quell'incubo.

Sta per piangere, piccole lacrime agli angoli degli occhi.

Singhiozza sottovoce, inghiotte le lacrime.

È sola, si fa buio.

 

«Tia!»

 

Lo sente prima di vederlo.

Non sente il richiamo, no.

Sente una presenza farsi strada in mezzo agli alberi, ed è una presenza benevola, come una luce, una luce azzurra che rischiara il buio.

Lui s'affaccia fra i cespugli, coi capelli scuri arruffati, gli occhi preoccupati e il respiro affannato per la corsa.

Le sorride.

«Non facevi che piangere, da piccolina», sono le prime parole che le dice.

Le si avvicina, la abbraccia con delicatezza.

«La prossima volta urla, almeno ti sento.»

Tia stringe con le manine il giubbotto, affonda più che può fra quelle braccia tanto dolci.

Chiude gli occhi e dall'oscurità oltre le palpebre ode il battito regolare del cuore di lui e sente, sempre, quell'energia gentile, quella luce che nutre e che porta pace.

 

Etienne sedette per un po' con Tia ai piedi dell'albero, tranquillizzandola.

«Dai», le disse poi. «Dobbiamo tornare. Sono tutti preoccupati. A quest'ora sarà rientrato anche tuo padre.»

Tia non si mosse, era come addormentata fra le sue braccia. Etienne ridacchiò.

«Ho capito, principessina. Sei stanca. Ti porto in braccio io, così arriviamo prima che si faccia buio. Ho segnato la strada, comunque.»

 

Col senno di poi Tia può dirlo, non era stanchezza.

Ricorda bene quel momento. Era così piccola eppure ha stampato nella memoria l'istante in cui ha visto Etienne comparire fra gli alberi.

E prima ancora, l'istante in cui ha percepito la luce di lui aprire la strada in un mondo che diventava sempre più ostile.

Era stata una sensazione fisica, di tepore, di braccia rassicuranti, di cuore che batte.

Lui l'aveva presa in braccio, lei gli si era affidata.

S'era affidata a quell'energia gentile, che le sussurrava che non era sola, che non sarebbe mai più stata sola.

L'unico altro come lei.

Quand'erano tornati in albergo Tia aveva cercato gli occhi di sua madre.

Li aveva trovati, aveva capito.

Etienne l'aveva data in braccio a Jean e lei s'era sentita come mozzata di un arto, aveva sentito il freddo, la confusione, la paura.

Dalle braccia di Jean, che le parlava all'orecchio di cose che non ricorda, aveva cercato Etienne e aveva trovato il suo sguardo. Sembrava smarrito, come lei.

S'erano guardati a lungo, la bambina e il ragazzo, e lei avrebbe voluto dirgli tante cose ma non riusciva, perché la bocca e il pensiero cosciente erano quelli di una bambina anche se la mente vedeva già oltre.

Allora lui aveva sorriso, cristallino, limpido, e con una mano le aveva accarezzato la testa.

Lei s'era appoggiata a quella mano con tutte le forze.

L'unico altro come lei.

Non l'avrebbe lasciato mai più.






 

N.d.A. Ok, so che molti di voi mi staranno odiando ma come potete vedere continuo, lenta ma inesorabile continuo a pubblicare capitoli! XD (E continuerò.) Dopo quest'ultimo capitolo la storia è pronta a entrare nel vivo, perché i personaggi sono finalmente apparsi tutti. Ah, la canzone che Etienne canta a Tia è "Belle", dalla colonna sonora dei film di Belle & Sebastien (ovviamente lui non poteva conoscerla ma va be', la adoro e ci stava troppo). Se ancora c'è qualcuno che mi legge io vi ringrazio in anticipo e vi auguro buon agosto, con la speranza di risentirci di nuovo prima della fine del mese! 

   
 
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