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Autore: Zobeyde    10/08/2022    3 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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UN POSTO TRANQUILLO

 

 

Pineville era una piccola città dell’entroterra, situata sul Red River.
Era sorprendentemente graziosa e ben tenuta pensò Jim, mentre girovagava per il centro: una versione in miniatura e meno caotica di New Orleans, con tanto verde, negozi e villette che esponevano con orgoglio la bandiera stelle e strisce. Anzi, forse fin troppo graziosa e ben tenuta per uno che aveva trascorso tutta la notte dentro un puzzolente vagone merci.
La sera prima era saltato sull’ultimo treno in partenza da New Orleans senza fermarsi troppo a riflettere; non aveva molto denaro con sé e doveva razionarlo se voleva lasciare lo Stato e mettere più distanza possibile tra lui e Solomon Blake. Così, aveva sfruttato un incantesimo per rendersi invisibile durante la ronda di ispezione e si era sistemato alla bene e meglio tra i grossi sacchi di iuta pieni di cotone, con l’intenzione di riposare almeno qualche ora.
Tuttavia, il lento dondolio e i cigolii del treno, così familiari alle sue orecchie, lo avevano cullato come un bambino, così aveva finito per risvegliarsi il mattino seguente alla stazione di Pineville.
Non che avesse un’idea precisa su dove andare o su cosa fare, una volta lasciata New Orleans: ormai non c’era più niente che lo trattenesse lì, niente che lo trattenesse in nessun posto, a dire il vero. Avrebbe potuto lasciarsi trasportare oltre il confine seguendo la Northeastern Railroad, scegliere una città a caso e ingegnarsi per trovare un alloggio e un modo per racimolare qualche soldo...
Già...e poi? Era quello il vero problema. Ma decise che ci avrebbe pensato dopo aver trovato qualcosa da mettere nello stomaco.
Entrò in una piccola caffetteria, ma non appena ebbe preso posto si accorse degli sguardi diffidenti degli altri avventori. Sì, decisamente quella cittadina era troppo a modo perché un giovane vagabondo, arrivato da chissà dove e chissà con quali intenzioni, non destasse preoccupazione.
Si decise a levare subito le tende senza ordinare niente appena vide entrare due poliziotti: se avessero iniziato a riempirlo di domande su chi era e cosa ci faceva lì, in quella tranquilla domenica mattina, cosa avrebbe potuto inventarsi? Perché aveva il sospetto che se avesse raccontato la verità, cioè che era uno stregone, che era ricercato da una setta, dall’oligarchia di una città invisibile tra le Alpi svizzere e da una strega malvagia imprigionata dietro gli specchi che voleva scatenare l’Apocalisse, lo avrebbero internato in manicomio.
L’ultima cosa che voleva era essere costretto a usare la magia contro degli ignari Mancanti. Non poteva fermarsi più del necessario.
Fortunatamente, un manifesto indicava la presenza, appena fuori città, di una parrocchia metodista dove venivano offerti pasti caldi ai bisognosi: in quel momento lui era affamato e bisognoso, tanto valeva approfittarne.
Si trattava di una chiesetta di campagna imbiancata, col campanile a punta e un piccolo cimitero sul retro. Nel capanno attiguo era stata allestita una mensa e Jim si mise pazientemente in coda assieme a un folto gruppo di mezzadri, anziani, vedove e un’intera famiglia con una nidiata di ragazzini cenciosi. Quando giunse il suo turno, una signora dalla pelle nera e il sorriso gentile gli consegnò una scodella di riso insieme a un tozzo di pane e gli augurò buon pranzo assieme a un “che Dio ti benedica”.
Se solo sapesse che sta dando da mangiare al Diavolo...
Sedette all’ombra di un pino accanto alla chiesa, da cui proveniva un coro di voci gospel che stava intonando Wade in the Water. Ma una volta messo a tacere lo stomaco, la sua testa fu di nuovo aggredita dai pensieri.
Qual era il prossimo passo? Dove sarebbe andato? Sentiva un peso schiacciante sui polmoni e le lacrime premere in fondo alla gola mentre tornavano a velargli la vista. Se le asciugò con foga: mettersi a piangere non avrebbe cancellato quello che aveva fatto, né gli avrebbe procurato un posto dove stare.
Il primo pensiero era stato tornare da suo padre ad Avalon: erano trascorsi anni, ma magari col tempo avrebbero potuto tornare a essere una famiglia, riprendere da dove la loro vita si era interrotta per colpa di Solomon Blake...
Ma aveva scacciato quell’idea quasi subito: se Blake per una volta aveva detto il vero, non era solo di lui e del Decanato che doveva preoccuparsi: i seguaci di Lucindra erano ancora là fuori, ma non aveva idea di quanti fossero, né di dove si nascondessero...forse per tutto quel tempo erano stati in agguato a New Orleans, in attesa del momento in cui si sarebbe finalmente liberato del controllo dell’Arcistregone dell’Ovest...
Chi gli diceva che non lo avessero già raggiunto a Pineville? Che non lo avrebbero seguito fino in New Jersey? Era così egoista da rischiare di mettere di nuovo in pericolo suo padre?
Ma chi altri avrebbe potuto aiutarlo? Se non poteva più contare su Maurice e Margot, né su Solomon Blake...
Era rimasto solo. Definitivamente stavolta. Lo era sempre stato, solo che prima si rifiutava di ammetterlo: non avrebbe mai avuto una vita normale, non quando di fronte a sé aveva un centinaio di anni da vivere...e non avrebbe potuto raggiungere la sua gente ad Arcanta, che aveva conosciuto di lui solo l’ennesimo inganno architettato dal suo maestro e per cui a conti fatti sarebbe per sempre stato il Nemico...
Ancora una volta gli venne una nostalgia terribile del circo: tra quei tendoni aveva vissuto gli anni più felici della sua vita e non se ne era mai reso conto. Aveva trovato una famiglia, numerosa, pacchiana e disfunzionale, ma in cui nessuno lo aveva mai fatto sentire sbagliato. Ripensò al continuo bisticciare dei gemelli Svanmör, alle battute fuori luogo di Rodrigo, allo spezzatino insipido di Dot; alle imprecazioni colorite di Antonio; alla faccia paonazza di Maurice quando Jim lo mandava fuori dai gangheri e al sorrisetto complice di Margot quando copriva le sue marachelle; pensò ad Arthur, all’ultimo momento che avevano condiviso da veri amici, seduti di notte sul bordo di quel vagone a bere e parlare, prima che Jim decidesse di voltare le spalle a tutto questo per inseguire la magia.
Prima che Solomon Blake arrivasse nella sua vita e come un uragano spazzasse via ogni cosa sul suo cammino. Solomon Blake...che ne era stato di lui? Era davvero morto? Oppure si era già messo sulle sue tracce? Jim continuava a rivedere il corpo disarticolato e privo di sensi dello stregone, nel caos della biblioteca distrutta, fragile e indifeso come non lo aveva mai visto...
Per quanto odiasse l’idea di essere stato manipolato, una parte di Jim non riusciva ad accettare che fosse diventato suo nemico...
La ferita alla spalla sinistra, inflittagli dal mostro creato dalla Magia Vuota di Lucindra, irradiò una scossa improvvisa.
Non ha mai tenuto davvero a te, sibilò una vocina rancorosa nella sua testa. Smettila di rimuginarci sopra: era solo uno stronzo egoista.
Ma era pur sempre il mio maestro.
E tu per lui eri uno strumento!
Non volevo fargli del male. Il rimorso tornò ad assalirlo, così come le lacrime. Avrei dovuto almeno accertarmi che stesse bene...
Sei scappato perché ha cercato di imprigionarti. Se è andata a finire così è perché se l’è cercata..!
«Figliolo, posso disturbarti?»
Jim trasalì. Un uomo anziano, magro, col volto coperto di macchie e rughe, lo stava fissando con uno sguardo che esprimeva solennità, ma anche una sorta di calore rassicurante.
«Ti ho visto qui seduto al fresco e mi sono detto: “ha due braccia giovani e l’aria riposata, di sicuro non mi dirà di no”.»
«“No” a cosa?»
«Mi serve una spintarella.» L’uomo indicò una vecchia “Tin Lizzy” dalla carrozzeria verde sbiadito ferma sul ciglio della strada. «Ogni tanto fa i capricci, neanche lei è più giovane come una volta!»
Jim acconsentì. L’uomo disse di chiamarsi Richard Foley, frequentatore abituale di quella parrocchia, presso cui lui e sua moglie facevano spesso volontariato.
«Stamattina appena sveglio la signora Foley mi fa: “sai che c’è? Ho fatto così tanta marmellata che c’è da sfamare un esercito! Vedi di portarne un po’ al reverendo Brown» spiegò, mentre sedeva in auto. «Ma se non mi vede tornare penserà che ho lasciato lo Stato con il malloppo!»
Provarono a far partire l’auto a manovella; Richard sedette al volante e manovrò la leva di avviamento, mentre Jim girava la barra di metallo con tutta la forza che aveva.
«Occhio a non romperti il braccio» lo avvertì il vecchio.
Jim impartì un paio di altri giri, ma la manovella scattò nella direzione opposta all’improvviso, e il ragazzo ebbe appena il tempo di saltare all’indietro per non essere colpito in pieno. L’auto ruttò e tossì, poi però tacque del tutto.
«Ho paura che il motore sia andato» ansimò Jim, notando che dal radiatore fuoriuscivano fili di fumo. «Le conviene far venire un carro attrezzi.»
«Ma porc...Oggi è pure domenica! Non troverò mai un meccanico aperto.»
Jim esitò. «Ehm, posso darle un’occhiata io.»
«Te ne intendi di auto?»
«Un pochino» mentì lui spudoratamente.
I lineamenti spigolosi di Richard si aprirono in un sorriso enorme. «Deve essere il mio giorno fortunato! Prego, è tutta tua!»
Aperto il cofano ed esaminato il contenuto, Jim gli chiese di allontanarsi di qualche passo, per motivi di sicurezza.
«Sei tu l’esperto!» si limitò a brontolare Richard.
Jim tornò a fissare la matassa di cavi, tubi e altre componenti a lui del tutto sconosciute, poi agitò le dita ed evocò un incantesimo. «Fatto. Provi adesso.»
Un po’ scettico, Richard riprovò ad azionare la leva di avviamento. Questa volta, il motore si mise a fare le fusa, pronto alla partenza.
«Accidenti, ragazzo» commentò, impressionato. «Sei un mago per caso?»
Jim sogghignò, fingendo di pulirsi le mani dal grasso. «Qualcosa del genere.»
«Come minimo mi toccherà riempirti di marmellate ora.» Si grattò la testa, pensieroso, e poi aggiunse: «Anzi, ti faccio una proposta: alla fattoria ho un trattore fermo da settimane. Io non mi azzardo a metterci mano, era mio figlio che se ne occupava prima...faresti questa tua magia anche con lui?»
Lo hai imbrogliato abbastanza, non accettare. «Ecco, io...»
«Come ti chiami?»
«Ji...» fece lui di getto, ma subito dopo ci ripensò: se della gente pericolosa lo stava cercando non conveniva diffondere il suo nome con leggerezza: «Arthur. Arthur King.»
«Ti offro la cena, Arthur. Più una tinozza d’acqua calda e un letto pulito per stanotte. Mi sembra che non te la stia passando troppo bene, è così?»
Jim arrossì. «Sissignore.»
«Allora è perfetto, no? Sali forza, non è molto distante.»
Jim era combattuto: si era guadagnato la fiducia di quel tipo con un trucco, ma del resto, la prospettiva di tornare a dormire in un vagone non lo allettava nemmeno un po’...
«Ok, la ringrazio.»
La piccola fattoria di Richard gli ricordò dolorosamente quella di suo padre in New Jersey: un cortile spettinato, un capanno, galline panciute che scorrazzavano per l’aia e il bestiame che sbuffava nella stalla. Sotto il portico di legno li attendeva una donna minuscola, nera e rotonda: «Alla buonora!»
«La vecchia Lizzy ne ha combinata una delle sue» replicò Richard come se stesse raccontando le bricconate di un nipotino. «Ma le marmellate sono arrivate a destinazione, non preoccuparti.»
La donna però guardò oltre, all’indirizzo di Jim. «Abbiamo ospiti?»
Richard tolse il cappello mentre entrava in casa. «Arthur ci darà una mano col trattore, è una specie di mago dei motori! Senza di lui sarei rimasto a piedi.»
«Ah sì?» La donna misurò Jim dalla testa ai piedi e il cipiglio sospettoso. «Buono a sapersi: da quando è arrivato quel vecchio catorcio ci ha portato solo rogne e sta sempre in mezzo ai piedi!»
«Un po’ come sua madre» ridacchiò Richard, precedendolo nel capanno. Una volta esaminato il trattore, Jim gli chiese, sempre per motivi di sicurezza, se poteva lasciarlo lavorare da solo.
«Un momento!» disse Richard, mentre Jim lo chiudeva fuori.
«Non si preoccupi, è in ottime mani...»
«Certo, certo.» Richard gli rivolse un sorriso sghembo. «Ma forse ti può essere utile una chiave inglese, che ne pensi? O preferisci smontarlo a mani nude?»
«Ah.» Jim avvampò, dandosi dell’idiota. «No, giusto...magari potrebbe prestarmene una.»
Richard gli consegnò la sua cassetta degli attrezzi, poi gli augurò buon lavoro e lo lasciò in pace. Jim sfiorò con le dita il macchinario, che riprese vita in un attimo, borbottando allegramente, ma si trattenne un paio d’ore per dare l’impressione di averci faticato su almeno un po’; distribuì in giro qualche attrezzo, schizzò qua e là olio per motore, dopodiché si sedette al volante e attese.
Sto solo dando una mano, cercò di auto convincersi. Non sto imbrogliando nessuno: non sono come Solomon Blake.
Lui usava la magia esclusivamente per il proprio tornaconto, senza preoccuparsi delle conseguenze su chi gli stava intorno: Jim aveva bisogno di un tetto sopra la testa, era vero, ma almeno non stava ferendo nessuno, anzi. Si stava rendendo utile, cosa importava se lo faceva con mezzi Mancanti o con la magia?
Verso sera, tornò a bussare alla fattoria per annunciare a Richard che il trattore era tornato come nuovo.
«Te l’avevo detto» gongolò il contadino rivolto a sua moglie. «Il nostro incontro è stato una benedizione!»
Invitò subito Jim a entrare, ma la signora Foley lo bloccò sull’uscio: «Benedizione o no, non entrerai nella mia cucina senza aver prima fatto un bagno e tolto quei vestiti sporchi di grasso. Piano di sopra, ultima porta in fondo al corridoio: puoi usare la stanza di Walter.»
Richard le rivolse uno sguardo sorpreso. «Ma...Judith.»
«Cosa? Hai visto quanto è alto, i tuoi vestiti di sicuro non gli stanno» replicò la donna con fare brusco. «E poi, tanto a lui mica dispiace.»
Jim colse il leggero tremore sulle labbra di Richard, prima che borbottasse: «Certo, hai ragione. Usa pure la sua stanza.»
Perplesso, Jim raggiunse la camera indicatagli, dove la signora Foley gli aveva preparato un bagno. Immerso nell’acqua calda, Jim immaginò la propria routine in quella casa, di svegliarsi tutte le mattine in quel letto, di scendere a fare colazione, ascoltare i battibecchi dei due coniugi e seguire poi Richard a lavoro. Forse gli avrebbero proposto di restare fino al Giorno del Ringraziamento. Forse gli avrebbero proposto di restare per sempre.
Un posto tranquillo, una vita semplice che lui non avrebbe mai avuto, ma che in quel momento desiderava maledettamente. Evidentemente il figlio dei Foley non la pensava allo stesso modo, magari a lui quella famiglia stava stretta. Magari glie l’avrebbe ceduta volentieri, assieme al vecchio trattore da aggiustare...
Aprì l’armadio e indossò una camicia di flanella e una salopette di jeans. Mentre si guardava allo specchio, si accorse della presenza di un’uniforme militare avvolta nel cellophane. Dentro una scatolina di latta, inoltre, trovò diverse medaglie al valore e una fotografia che ritraeva un giovane soldato dalla carnagione mulatta e lo stesso sorriso rassicurante di Richard. “Tanto a lui mica dispiace”.
Jim ripensò al tremolio sulle labbra del vecchio e qualcosa nel profondo di lui diede uno strattone. Walter non aveva lasciato la fattoria. Walter era morto in Guerra.
Si sentì uno stronzo anche solo per aver pensato di occupare il posto di quel ragazzo nella sua famiglia, nel cuore dei suoi genitori, soprattutto dal momento che era entrato in casa sua con l’inganno. Era davvero migliore di Blake, alla fine?
Un vociare all’esterno lo distolse da quei pensieri: scostò le tende e vide che nel cortile era parcheggiata una Ford Lincoln nera e che due uomini stavano parlando con Richard e Judith. Uno di loro a un certo punto tirò fuori un distintivo e Jim sentì il battito del cuore accelerare. La polizia...
Che cosa volevano? Non aveva fatto niente di male da quando era lì! Forse qualche benpensante di Pineville aveva allertato le autorità...
Percorse la stanza avanti e indietro, scervellandosi su cosa fare, il panico che cresceva. Doveva mostrarsi? Parlare con quei due agenti e spiegare con calma la situazione? E se gli avessero chiesto i documenti? Come avrebbe spiegato a Richard e Judith che non si chiamava affatto Arthur King?
La soluzione migliore ancora una volta gli sembrò di ricorrere alla magia: un semplice incantesimo di malia per indurre i piedipiatti ad andarsene e convincere i signori Foley che si era trattato solo di un malinteso...
Stai ancora una volta scegliendo la scorciatoia.” Gli parve di sentire la voce di Solomon Blake nella testa. “La via dell’inganno, dell’illusione: te l’avevo detto che i nostri ambiti avevano molto in comune”.
Jim strizzò gli occhi, per mettere fine a quei pensieri. No, avrebbe risolto la cosa in un altro modo. Scese al piano di sotto e raggiunse i coniugi Foley in cortile: Richard stava raccontando all’agente in che modo si erano incontrati, mentre Judith si stringeva le braccia con atteggiamento apprensivo.
Non appena Jim ebbe fatto la sua comparsa, piombò il silenzio.
«Arthur» disse Richard e a Jim si strinse il cuore nel vedere la sua espressione spaventata. «Questi due signori vogliono parlare con te di una cosa successa a New Orleans.»
Jim provò a deglutire. «Di che si tratta?»
«Ci è stata segnalata un’aggressione alla Piantagione Winters, al 225 di Heatherfield Lane» disse uno dei due agenti, pelle olivastra, sguardo arcigno e un neo sporgente in mezzo alla fronte. «La vittima corrispondeva al nome di Solomon Blake, un professore e occultista europeo che si è trasferito nella proprietà quest’estate.»
Un terrore disperato e soffocante afferrò Jim alla gola, impedendogli di respirare. No...
«Il suo corpo è stato rinvenuto senza vita» continuò il poliziotto, dando un’occhiata veloce al suo taccuino. «L’ipotesi più plausibile ci è sembrata quella di un furto. Sai dirci qualcosa in proposito?»
Jim scosse piano la testa, consapevole del colorito cadaverico che aveva assunto la sua faccia e delle gocce di sudore che gli si stavano addensando sulle tempie. «Non ne so nulla.»
«Pare che Blake non vivesse da solo» disse l’altro agente, biondo, stempiato e con il sorriso spavaldo. «In città dicono che era sempre accompagnato da un ragazzo raccattato da un circo. La descrizione pare corrispondere.»
Richard continuava a passare lo sguardo dai poliziotti a Jim e viceversa, sempre più confuso. «No, questo non è proprio possibile. Arthur è un bravo ragazzo...»
«Ha detto di non averlo mai visto prima di questo pomeriggio.»
«Io...è vero, ma vi rendete conto che lo state accusando di omicidio?!»
Sì, se ne rendevano perfettamente conto. E dalle loro espressioni sembrava che non ci fossero dubbi a riguardo.
«Vieni con noi, Arthur» disse gentilmente il poliziotto biondo. «Ci spiegherai meglio la situazione in commissariato...»
La testa di Jim era andata completamente in panne, mentre guardava il poliziotto col neo avvicinarsi a lui con le manette; senza un soldo per la cauzione lo avrebbero sbattuto dritto in galera e anche col miglior avvocato al mondo non sarebbe riuscito a spiegare a un giudice cosa era accaduto realmente in casa di Blake. E negli Stati Uniti una condanna per omicidio significava una sola cosa: sedia elettrica.
«Un momento! Andiamo, è solo un ragazzo!» esclamò Richard. «L’ho trovato alla mensa dei poveri, se avesse ammazzato qualcuno avrebbe già lasciato lo Stato!»
«Chi lo sa» borbottò lo sbirro col neo. «Magari è in cerca della prossima vittima.»
Jim serrò i pugni lungo il corpo.
«Ascolta, figliolo!» Richard gli toccò una spalla. «Non dire niente senza un avvocato, hai capito? Sono sicuro che si sistemerà tutto, vedrai...»
«Richard» disse piano Judith. «Lui non è Walt. Lascia che gli agenti facciano il loro lavoro.»
Dopodiché, rientrò in casa senza rivolgere a Jim nemmeno uno sguardo.
Jim si voltò verso Richard, cercando di mostrarsi calmo. «Andrà tutto bene, non si preoccupi. Grazie per essere stato gentile con me.»
Il vecchio continuò a protestare, mentre Jim allungava le mani per permettere al poliziotto col neo di mettergli le manette.
Va bene così. Forse era l’unico modo in cui poteva andare a finire quella storia: non aveva ancora trovato il suo posto nel mondo perché non esisteva al mondo un posto per lui. Se fosse scomparso avrebbe risolto un bel po’ di problemi, tanto per cominciare Lucindra non avrebbe mai potuto sacrificare milioni di Mancanti per mettere in atto il suo piano...
Mentre si sforzava di accettare la sua sorte però, il suo sguardo cadde sulle mani del poliziotto e un brivido lo scosse da cima a fondo: lungo le sue dita correvano sottili linee nere, come se le avesse intinte nell’inchiostro...
La ferita alla spalla si risvegliò di colpo, procurandoli una fitta di dolore e Jim si ritrasse. «Stammi lontano.»
Come ogni elemento del Tutto era connesso intimamente, così era per il Vuoto, anche in esso vigeva il Principio della Corrispondenza: il simile riconosceva sempre il simile.
Lui capì che Jim sapeva e sorrise. «Se ci seguirai senza fare storie il vecchio vivrà.»
«E se invece vi facessi fare la fine di Blake?»
«Potresti provarci» replicò serafico il finto poliziotto. «Magari inizieresti ad apprezzare il dono che la nostra Bona Domina ti ha fatto.»
«Arthur» disse Richard esitante. «Che succede? Conosci quest’uomo?»
Il poliziotto si scambiò uno sguardo d’intesa col suo complice e prima che Jim potesse intervenire, quello contrasse la mano e l’automobile di Richard si sollevò in aria, producendo una serie di cigolii.
«No!»
L’auto sfrecciò verso Richard. Il vecchio non ebbe nemmeno il riflesso di gridare, mentre guardava inerme quelle milleseicento libbre di ferro venirgli addosso. Jim agì d’istinto: saltò e riapparve davanti all’uomo, gettò in aria il braccio e un istante prima che l’auto li colpisse venne tagliata a metà. Le due parti della carrozzeria caddero a terra come gusci vuoti con un sonoro schianto. Richard si rannicchiò su se stesso, portandosi le mani alla testa e solo allora riuscì a gridare.
Jim avrebbe voluto rassicurarlo, ma i due stregoni stavano avanzando verso di loro con le mani sollevate.
«Richard!»
Era Judith, corsa immediatamente fuori attirata dal baccano. Jim le urlò di tornare dentro, ma uno dei due maghi puntò contro di lei la mano, strinse le dita e la donna fu issata in aria con uno strillo, le gambe che sbattevano all’impazzata mentre si portava le mani alla gola.
«Lasciala andare!» gridò Jim disperato.
«Rallegrati, ragazzo» gli disse lo Zelota con un sorriso vittorioso, il trench che gli fluttuava dietro come un mantello. «Le loro vite Mancanti non sono niente in confronto al grande destino che ti attende: sarai l’iniziatore di una nuova era per la nostra razza, così come è scritto.»
Serrò le dita e Judith emise un gemito strozzato. Richard le corse vicino, urlando il suo nome, impotente e terrorizzato. Il loro dolore trafisse Jim come un coltello.
Altre vite innocenti sulla tua coscienza, discepolo.”
No, non sarebbe finita in quel modo. Non lo avrebbe permesso.
Ancora una volta sentì ruggirgli nel petto il richiamo del Vuoto, con le sue promesse di onnipotenza e di vendetta. Tutto ciò che chiedeva era di essere liberato.
I due Zeloti lo fissarono con un misto di ammirazione e timore reverenziale, mentre serpenti di energia oscura si avviluppavano frementi attorno al suo corpo.
«Come è stato profetizzato» sussurrò lo stregone biondo con occhi pieni di commozione.
Ma Jim non ascoltava. Ogni altra voce era soffocata dal fragore della rabbia e dalla fame insaziabile del Vuoto.
Una propaggine oscura si liberò dal ragazzo e saettò verso lo Zelota con il neo come una freccia. Lo trafisse in pieno petto, prima che avesse modo di reagire, trapassandolo da parte a parte. Le sue urla di dolore erano dolci alle sue orecchie.
Poi, come una scultura di sabbia divorata dal vento, si sgretolò in un turbine di polvere nera e di lui rimasero soltanto i vestiti che indossava.
L’altro Zelota indietreggiò e sollevò le mani tremanti.
Jim diresse contro di lui gli artigli del Vuoto e una volta appurato che fosse inutile affrontarlo, lo Zelota provò a saltare. Ma non fu abbastanza veloce.
Come se una forza mostruosa lo stesse risucchiando dall’interno, il suo intero corpo si attorcigliò sotto i vestiti, con un terrificante scricchiolare di ossa. La spina dorsale si spezzò di netto, le articolazioni si smembrarono, finché il suo corpo non fu inghiottito nel nulla. In quell’istante, Judith fu liberata dall’incantesimo e cadde tra le braccia del marito.
Lentamente, Jim sentì la morsa del Vuoto abbandonarlo, le sue spire ritirarsi e tornò solo, in quel cortile silenzioso, dove si era appena consumata la tragedia.
Udì i passi incerti di Richard dietro di lui e la sua voce incrinata dalla paura: «Che...che cosa sei tu?»
Un mostro pensò Jim, guardandosi le mani; il Vuoto lo aveva definitivamente marchiato, lasciandogli le dita tinte di nero fino al palmo.
«Le ho mentito» disse, continuando a dare loro le spalle. Anche dopo tutto quello che aveva visto, non avrebbe sopportato le loro espressioni in quel momento. «Non mi chiamo davvero Arthur. E non ne capisco nulla di motori.»
Mosse piano le dita, mentre evocava un ultimo incantesimo. «Farvi dimenticare è il solo modo che ho per sdebitarmi.»
Prima che l’ultimo ricordo di quella giornata venisse cancellato dalla loro memoria, Jim saltò, lasciando i Foley tremanti e abbracciati l’uno all’altra a domandarsi cosa avesse ridotto in quelle condizioni la loro vecchia auto
  
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