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Autore: Iaiasdream    11/08/2022    0 recensioni
Vincenzo Gargano, ricco novantenne proprietario terriero, muore lasciando tutti i suoi averi al figlio Diomede e ai due nipoti Stefano e Carmine, a patto che a scadenza di un anno dalla sua morte, uno dei due prenda moglie.
Per non rischiare di perdere tutto, poiché Stefano dieci anni addietro tagliò i ponti con l'intera famiglia, Diomede cerca di affrettare i tempi accettando la proposta di sua cugina Rita Ferrara, facendo sposare Carmine con la procugina Marella.
Il giovane, però, è contrario, poiché innamorato di Arianna, figlia adottiva del cugino di suo padre, da tutti chiamata Aria.
Carmine sembra propenso a non voler piegarsi a quel obbligo e decide con la sua amata di scappare insieme, ma il destino sembra essergli avverso e proprio il giorno previsto per il matrimonio, degli imprevisti inaspettati cambieranno i loro progetti.
A complicare la situazione è anche il ritorno di Stefano, il quale porta con sé un segreto che riguarda Arianna e che insieme dovranno scoprire poiché prima di morire, Vincenzo era propenso a rivelare qualcosa di sconvolgente.
Tra misteri, intrighi e passioni, non mancherà il forte sentimento che travolgerà i due giovani.
Tutti i diritti sono riservati
Genere: Erotico, Mistero, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Capitolo 13
 
Gli occhi della signorina Palmulli, segretaria nello studio notarile Dedonno, donnetta scialba di mezza età, si muovevano a destra e a manca seguendo quell’andirivieni del notaio, il quale parlottava tra sé e sé torturandosi il labbro inferiore con l’indice e il pollice della mano destra.
L’aveva trovato nello studio che parlava nervosamente al telefono con qualcuno. Era stata rimproverata per essere entrata con la chiave, ma la donna di mezza età, non l’aveva fatto con qualche scopo, era il suo lavoro, dopotutto, aprire lo studio notarile alle nove, prima dell’arrivo del suo datore. Cosa ne sapeva che ci fosse già lui?
Aveva provato finanche a giustificarsi, ma l’uomo non aveva voluto sentir ragioni: con un urlo le aveva detto di uscire e di farsi gli affari suoi. La poveretta si era recata alla reception chiudendosi la porta alle spalle come se avesse visto il diavolo in persona.
Erano giorni che l’uomo aveva i nervi a fior di pelle, non che fosse un tipo tranquillo, ma vederlo in quello stato per lei era la prima volta.
Qualche giorno addietro, Dedonno aveva ricevuto la visita di un uomo, la segretaria era stata mandata fuori a prendere un caffè e il suo capo le aveva fatto capire che se quel caffè fosse durato parecchie ore, non gli avrebbe dato fastidio e quest’ultima aveva accettato senza chiedersi il perché di tanto mistero. Quando era ritornata, l’uomo misterioso non c’era più, in compenso aveva lasciato il Notaio che sembrava avesse il diavolo alle calcagna. Le aveva fatto chiudere lo studio in anticipo di un’ora, congedandosi con la scusa di un forte mal di testa.
Il giorno dopo, come sempre, era ritornata ad aprire e dopo aver dato una veloce rinfrescata all’ambiente, aveva preso posto alla scrivania della reception per portare avanti il lavoro arretrato, quello che il notaio lasciava sempre per mala volontà. Al ché, dopo qualche minuto si era presentata una donna con i capelli corti neri, vestita per bene e con un viso tanto affascinante quanto malizioso, si era avvicinata a lei dicendole che aveva bisogno di parlarle. La segretaria l’aveva avvisata che il notaio non si sarebbe presentato se non dopo le dieci, ma quella non le aveva nemmeno dato il tempo di finire la frase che aprendo il portafogli, le aveva allungato una rara banconota da cinquecento, aggiungendo che se le avesse fatto un favore, quella si sarebbe raddoppiata.
La segretaria, dal canto suo, fissando quel pezzo di carta viola da dietro le spesse lenti degli occhiali quadrati, fu tentata di rifiutare, poi però si ricordò del collier d’oro che era esposto nella vetrina della gioielleria accanto allo studio e che ogni giorno si posizionava davanti alla lastra di vetro, permettendo alla sua immagine riflessa di indossarlo. Le stava proprio a pennello e pensò che quella donna, chiunque l’avesse messa sulla sua strada e qualunque cosa volesse, era cascata a fagiolo.
Senza se e senza ma aveva accettato di aiutarla.
Si era fatta ripromettere di tenere la bocca chiusa, e si era fatta rifilare l’intero fascicolo con su scritto il nome dei Gargano.
Non era stato facile cercarlo, poiché mai avrebbe potuto immaginare che un semplice fascicolo di poche pagine sul testamento di un defunto, Dedonno lo avesse potuto rinchiudere in cassaforte.
La foga di potersi permettere di comprare quel pezzo d’oro le aveva finanche fatto passare dalla mente il perché quella donna aveva pagato una cifra così assurda per della scartoffia che andava solo archiviata.
Fatto sta, che accettò l’altra banconota gemella e si cucì la bocca fino a quel giorno. Ritornata al presente, solo in quel momento collegò tutto, ricordò ciò che aveva fatto e, vuoi per l’ansia, vuoi per la paura, le si plasmò in corpo come un istinto di sopravvivenza che la fece reagire, si alzò dalla sua postazione, afferrò un fazzoletto usa e getta, lo strinse tra le mani, si piazzò a pochi passi dall’uomo e fermandolo disse: «Dottore, io non mi sento tanto bene. Volevo dirle che mi prenderò qualche giorno di ferie», sapeva già che l’uomo non avrebbe avuto compassione, infatti fu mandata al diavolo senza tanti preamboli, ma solo dopo qualche ora dal suo allontanamento, a Dedonno gli si accese la lampadina del sospetto.
Il fascicolo che conteneva tutte le prove della sua combutta con Diomede Gargano, conservato nella cassaforte, era scomparso e l’unica che conosceva la combinazione, oltre a lui, era proprio la sua segretaria.
 
***
 
Dalla sera in cui Erminia aveva fatto intendere di essere stata l’artefice della lettera, Stefano non aveva avuto più modo di poterle chiedere spiegazioni. La donna si era inspiegabilmente rintanata nella sua camera e non permetteva a nessuno di oltrepassare la soglia: aveva mal di testa.
Era risaputo il problema alla cervicale che ogni tanto faceva la sua comparsa prendendola alla sprovvista e ogni volta che le veniva, il tempo cambiava. Giorni dopo, infatti, piovve, e quando pioveva nelle campagne di Murgella, la terra si allagava.
Caso volle che Diomede, quella mattina stessa, dovette recarsi in paese per degli affari da sbrigare ed, essendo che la strada principale che portava alla tenuta era inagibile per via dell’acquazzone, dovette ritardare il rientro. A quel punto, il fotografo non vide miglior occasione per indagare indisturbato nella stanza di suo nonno.
Prima però, di mettersi al lavoro, avvisò Aria con un messaggio, la quale, anche se mal volentieri, dovette far ritorno al casale, poiché nonna Erminia aveva chiesto la sua presenza, ciò nonostante fu contenta di leggere quel messaggio perché per l’ennesima volta aveva avuto la prova di come si poteva fidare del giovane. Gli lasciò campo libero, avvisandolo che lo avrebbe raggiunto non appena si fosse liberata dell’impegno con sua nonna.
Stefano non perse altro tempo. Accertatosi che sua madre dormisse e che effettivamente non c’era pericolo che suo padre potesse tornare da un momento all’altro, si recò davanti alla porta della camera di suo nonno, ma nel momento in cui andò per abbassare la maniglia, si accorse che era chiusa a chiave. Lì per lì rimase sconcertato. Com’era possibile? L’ultima volta era stato lui a chiuderla, proprio il giorno del suo ritorno. Sua madre non avrebbe avuto interesse di recarsi lì. Che fosse stato suo padre? Era ovvio che nascondesse qualcosa, lo aveva capito quella stessa mattina, quando aveva trovato anche la porta del suo studio chiusa a chiave.
Dopo aver avuto quel piccolo screzio con i cugini sul futuro delle scuderie, non si erano più incontrati, Diomede non aveva neanche avuto la briga di chiedere spiegazioni sulla sua intromissione e tantomeno il giovane se ne era preoccupato. Poi però un pensiero fugace gli balenò per la mente: e se Erminia centrasse qualcosa? In fondo era lei ad avere libero arbitrio in quella camera. Che l’avesse chiusa quella stessa sera che l’aveva incontrata in casa sua?
Se fosse così, perché l’avrebbe fatto?
Che motivo aveva di chiudere a chiave la camera se lei stessa aveva fatto capire al giovane di averlo attirato a Murgella con quel mistero?
Non c’era altra scelta se non quella di chiederglielo direttamente.
Si recò in casa sua, senza far caso a Mina che, quando lo vide comparire davanti alla porta, fu folgorata da un brivido di piacere che la bloccò senza lasciarle modo di reagire. Di lì passò anche sua madre la quale, vedendola impalata, le chiese che cosa le fosse preso.
«Ma quanto può essere bello?» sospirò sua figlia ancora intontita da tanto piacere.
«Chi?»
«Stefano, il figlio di tuo cugino.» specificò.
Nel sentire quel nome, Rita volse lo sguardo nella stessa direzione in cui erano puntati gli occhi della ragazza e, non vedendo nessuno, le chiese se si sentisse bene, al ché, Mina ritornò alla realtà, imbronciandosi e insistendo che il ragazzo era entrato e si era inoltrato nel corridoio che conduceva alle camere da letto.
Rita, presa dall’euforia, senza trapelare le sue emozioni, chiese alla figlia di andare in cucina e prepararle una tisana alle erbe. Non ci fu bisogno d’insistere, che la ragazza eseguì quell’ordine anche se controvoglia.
Con la via libera, Rita s’inoltrò anch’essa nel corridoio sperando che sua figlia non avesse preso un abbaglio. Si sbagliava. Mina aveva ragione, Stefano era proprio lì e camminava spedito, chissà dove.
Poco le interessava, alzò il passo per raggiungerlo e riuscire a fermarlo. Quando gli afferrò l’avambraccio, fu sorpresa di notare un sorriso affettuoso sulle sue labbra, sorriso che disparve non appena il giovane si accorse di lei.
Prima di divincolarsi dalla sua presa, Stefano le chiese con riluttanza che cosa volesse ancora.
Lei sorrise e con voce accattivante disse: «Abitiamo vicini, ma è impossibile incontrarci. Volendo restare soli…»
«Perché dovremmo restare soli, noi due?» la interruppe prontamente il giovane.
«Perché… penso che abbiamo molte cose da dirci» ribatté con voce smielata, accorciando la distanza che il giovane aveva imposto, per allungare la mano verso il suo braccio muscoloso e accarezzarglielo con le lunghe unghie pittate.
Stefano le permise quel contatto, irrigidendosi subito dopo.
«Non essere scortese con me – continuò la donna – so bene che tra te e tuo padre non scorre buon sangue. So anche che vuole togliere il lavoro ai miei fratelli. Io… potrei aiutarti se solo tu lo volessi.»
Le unghie avevano lasciato il posto alle dita e infine al palmo della mano. Il fotografo sentì quel tocco serpeggiare sulla sua pelle, minaccioso e beffardo. Sì, si sentì beffato da quella donna che era da sempre l’amante di suo padre e la rovina di sua madre, così rivedendo la figura di quest’ultima marchiata dalle botte del marito e paragonandola al viso ben curato e libero da segni d’età avanzata di quella donna che gli stava davanti, ebbe uno scatto d’ira istintivo: l’afferrò dalle spalle e, senza nemmeno darle il tempo di urlare per lo spavento, la spinse violentemente contro il muro, intimandole a poca distanza dal suo volto di lasciarlo in pace.
«Credi che sia uno stupido? – chiese tremando dalla rabbia – credi che non sappia quello che avete fatto a mia madre?»
Rita, invece di sorprendersi da quelle parole, allungò le labbra carnose e rosse in un sorriso di scherno, poi mordendosi la parte inferiore mormorò: «Adesso si spiega il perché del tuo allontanamento e dell’odio che tuo nonno ha provato verso tuo padre. Il diletto figlio sapeva tutto. Non sei stato poi tanto furbo, caro Diomede. E prendevamo per rincoglionita quella specie di moglie»
«Chiudi quella bocca! - esclamò il giovane scuotendola nervoso – che razza di donna sei? Come cazzo ha potuto preferire…»
«Me a tua madre? – concluse lei alzando il mento, fiera – posso darti una dimostrazione, se vuoi…» 
Sdegnato da quell’atteggiamento, il giovane lasciò la presa, accennò due passi indietro, mentre la donna con uno scatto gli afferrò il viso e si allungò verso di lui baciandolo.
Nonostante Stefano fosse più forte di lei, non riuscì ad allontanarla subito e caso volle che proprio in quell’istante passasse di lì proprio Aria che nel vedere la scena, rimase all’inizio sconcertata, poi man mano che metabolizzava la situazione si sentì delusa e arrabbiata.
Indietreggiò e senza volerlo andò a colpire con la gamba una sedia di vimini posta come abbellimento all’angolo del corridoio, catturando così l’attenzione dei due.
Stefano riuscì a liberarsi da quella morsa velenosa e quando si accorse della giovane, si sentì mancare un battito. Sussurrò il suo nome, mentre con gli occhi cristallini cercava disperatamente quali emozioni volessero rispecchiare i suoi.
L’unica ferma nella realtà parve essere proprio Rita, che non accortasi della figlia di suo fratello, continuava a guardare Stefano come un predatore affamato, leccandosi le labbra umide.
Aria non riusciva a poter dare una descrizione a quel che provava, oltre al miscuglio di rabbia e delusione, sentiva anche quel lieve ma intenso sprazzo di gelosia e proprio questa le bastò per reagire d’istinto, se ne andò via correndo.
Il giovane scattò in avanti, dimenticandosi delle mani di Rita che continuavano a tenerlo dalle braccia. Si volse a guardarla e fu come se rivedere quel volto tanto affascinante quanto malizioso, lo avesse riportato al presente. Con fare brusco, l’allontanò lanciandole un’occhiata torva, poi si pulì le labbra con il dorso del polso come a voler cancellare quel sapore amaro e corse via per raggiungere Aria.
La pioggia cadeva a dirotto colpendo qualsiasi cosa trovava sul proprio cammino. Aria tagliava il suo passaggio continuando a correre. Aveva il fiatone e non riuscì a capire se i rivoli che le si disegnavano copiosi sulle guance dipendessero dalla pioggia o dalle lacrime.
Sentiva l’impulso di piangere, ma per qualche strano motivo si rifiutò di farlo.
Perché mai doveva farlo per Stefano? Perché doveva essere gelosa? Lui non era Carmine. Lo conosceva da poco più di una settimana, cosa le importava a chi donava i suoi baci?
Un’altra vocina che strigliava i meandri della sua mente, tentò con tutte le forze di far valere la propria ragione e cioè che il bacio nelle scuderie, il vederlo ogni giorno e sapere che lui era dalla sua parte, stavano dissipando l’amore per Carmine e avevano acceso qualcosa di indescrivibile nel suo cuore. Perciò quella gelosia non era dovuta solo al fatto che quel giovane, di cui lei si poteva fidare, avesse baciato la donna che la odiava da sempre, bensì giustificava qualcosa di più forte.
Mentre correva e ripensava a questo, pregò la pioggia di cancellarle quegli assurdi pensieri, ma a un tratto, si sentì afferrare per una spalla e se chi la stava fermando, non l’avesse retta, sarebbe di sicuro caduta sul fango.
Era Stefano, bagnato dalla pioggia. Aveva i capelli appiccicati sulla fronte, mentre il mezzo codino che li reggeva si era allentato per il peso dell’acqua. Ansimava per la corsa, ma la guardava supplichevole.
«Perché stai scappando via?» le chiese.
«Non ti devo alcuna spiegazione, lasciami!»
«E allora non scappare!»
«Non sto scappando!»
«Stai fraintendendo. Non l’ho baciata io. È stata lei…»
Con una spallata Aria riuscì a liberarsi dalla presa, interrompendolo. «Ti stai giustificando? Cosa vuoi che me ne freghi di quello che c’è tra voi due? Rita è una donna molto affascinante – iniziò a balbettare, straparlando, forse nel tentativo di darsi delle risposte – è normale che tu possa provare dell’attrazione per lei…»
Stefano, a quelle parole, non le diede nemmeno il tempo di finire la frase che sentendo un impulso irrefrenabile di stringerla a sé, non volle più fermarsi, le afferrò il viso e la baciò con impeto.
All’inizio la ragazza fu sorpresa da quel gesto e rimase impietrita, poi però, vuoi per il calore di quelle labbra, vuoi per il profumo di pini che, malgrado la pioggia, reggeva la propria fragranza, si sentì travolgere dai sensi, dagli stessi che fino a quel momento l’avevano resa confusa. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dal momento che durò quanto un battito di ciglia, poiché il fotografo, forse, resosi conto di aver sbagliato, si allontanò di scatto scusandosi per l’accaduto.
Non seppe più come giustificarsi, d’altro canto come poteva farlo se, minuti prima aveva permesso lo stesso gesto a quella vipera? Era convinto di aver fatto un errore, che quella ragazza dal viso così dolce e innocente lo stesse giudicando un uomo frivolo e senza pietà, proprio come lo era suo padre. E si odiò per questo. Perché lui non era come quell’essere spregevole, anche se nelle sue vene scorreva il suo sangue.
Strinse i pugni, sospirò e con voce ferma si dispiacque «Io, quella sera, sapevo che mi scambiasti per Carmine, ma d’allora non riesco a toglierti dalla mente. Sei come un chiodo fisso e ogni volta che mi sei affianco… sento il bisogno di baciarti»
Dopo quelle parole, accadde qualcosa d’inaspettato: invece d’inveire contro di lui, magari schiaffeggiandolo, Aria poggiò le mani sul suo petto scolpito, puntò i piedi e lo baciò.
E in quel momento, il bacio durò a lungo. Non trovando resistenza, o ripensamenti da parte della ragazza, Stefano l’avvolse tra le sue braccia, dischiuse le labbra, aspettando che anche lei lo imitasse e le insinuò la lingua, trovando la sua disponibile.
Ignorarono la pioggia che continuava a precipitare sulle loro teste e scivolava sulla loro pelle elargendo brividi di piacere, ma di certo non lo stavano provando per lei.
Aria sentì le calde e grandi mani del giovane premerle la schiena per avvicinarla a sé, si ritrovò a premere i seni sul suo torace e per la prima volta in tutta la sua vita si sentì libera, senza aver timore che qualcuno la sorprendesse; libera di sentire un bacio completo; di sapere che non stesse facendo nulla di male; libera di perdersi nelle braccia di qualcuno senza pensare alle conseguenze. Libera di amare.
Quell’ultimo pensiero, però, la bloccò, riportandola bruscamente alla realtà, al ricordo di Carmine e al suo amore per lui. Aprì gli occhi fissando quelli chiusi del fotografo. Un brivido le si delineò lungo la schiena e fu come se i sensi si fossero amplificati dandole una sensazione avversa. Dal rumore della pioggia, al suo punzecchiarle la pelle, si sentì scossa e agitata tanto che si allontanò dalla stretta idilliaca lasciando il giovane confuso.
Si guardarono per qualche istante, poi fu lei a spezzare il silenzio. «Non posso farlo!» e detto questo si volse dal lato opposto del viale e riprese a correre.
Stefano, dal canto suo, scosso dalla situazione, provò a rincorrerla per fermarla, ma lo squillo copioso del cellulare lo interruppe. Prima di aprire la chiamata, non gli restò che guardare la figura della ragazza mentre veniva inghiottita dal velo di pioggia.
«Chi parla?» chiese dopo aver avvicinato l’aggeggio all’orecchio.
«Stefano, sono Cristoforo!» rispose allarmata, la voce dall’altro capo.
«Dimmi tutto» ribatté il fotografo sospirando, cercando di ritornare del tutto al presente e di certo non gli fu difficile farlo, giacché la notizia che diede l’uomo al telefono fu talmente dura da sconvolgere la situazione.
Diomede era scomparso.

 
   
 
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