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Autore: Orso Scrive    14/08/2022    2 recensioni
In una nebbiosa notte d’autunno, due agenti del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale sono appostati in una strada deserta, in attesa dell’arrivo di un ladro di antichità. Ma non è un quadro come un altro, quello di cui il delinquente si è impadronito: una lunga scia di morti orribili lo ha sempre accompagnato…
Scritta: ottobre 2021; rivista: luglio - agosto 2022
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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4.

 

 

Campagne fiorentine, 1511

 

 

Madonna Fiammetta era stata sorpresa quando Francesco il Bianco si era ripresentato alla sua porta. Aveva pensato che non lo avrebbe rivisto mai più e, invece, era tornato. Era tornato più bello di prima e, soprattutto, più che mai deciso a completare il suo ritratto.

«Mio marito mi ha lasciata vedova», confessò al pittore, «ma questo non impedirà che il suo sogno venga realizzato, se voi ancora lo vorrete, messere.»

Ritrarre madonna Fiammetta era proprio ciò che desiderava il Bianco. L’unico sogno della sua esistenza, dinanzi alla quale si spalancavano già le porte dell’inferno. Si era condannato alla pena eterna, ma prima di patire tormenti indicibili, avrebbe realizzato il suo scopo in terra. Avrebbe eternato quella bellezza che, i dieci anni trascorsi e la tristezza del lutto, avevano resto ancora più sfolgorante.

Cominciò a lavorare, febbrilmente, senza risparmiare un solo briciolo della sua energia.

Lavorava con un ardore mai visto prima, fino a compromettere il proprio fisico al punto da deperire; dimagriva, si faceva sempre più pallido, gli occhi gli affondavano nelle orbite cerchiate di nero. Ma non se ne dava alcun pensiero: non voleva smettere, mai. Madonna Fiammetta doveva durare grande fatica per convincerlo a staccarsi dall’opera per rifocillarsi e riposare.

Il pensiero della bella, giovane e fresca vedova, in un primo momento, era stato quello di dedicare il tempo libero a fare l’amore con il bel pittore, un sogno del passato che le sarebbe piaciuto tramutare in realtà nel presente. Ora non avrebbe disonorato nessuno, concedendosi a lui, perché era protetta dalla libertà conferitale dalla vedovanza. Eppure, presto dovette desistere da quei propositi: innanzitutto, perché il Bianco non aveva in mente niente altro all’infuori della sua opera. E, in secondo luogo, perché più dipingeva e più imbruttiva, consumandosi come un tizzone nel fuoco.

All’inizio era stata poco più che un’impressione, quasi un abbaglio. Col trascorrere dei giorni e delle settimane, invece, il fatto divenne evidente e innegabile, per quanto inspiegabile.

Dopo ogni pennellata una nuova ruga gli solcava la fronte, e quando riponeva i pennelli una ciocca di capelli, ormai davvero bianchi e sfilacciati, simili a vecchia stoppa, gli cadeva dalla nuca. Gli occhi gli si affossavano e si facevano gialli, il suo insieme emanava cattivo odore. La pelle raggrinziva e si sfaldava, lasciando il posto a croste giallastre e a bubboni gonfi, dall’aspetto purulento. Presto, la carne che ancora gli rimaneva cominciò a staccarsi a brandelli dalle sue ossa, come se avesse contratto la lebbra.

Metteva terrore soltanto a guardarlo.

Nonostante tutto, madonna Fiammetta non si lasciava spaventare dalla sua trasmutazione. Ogni mattino, diligentemente, posava nuda di fronte a lui, senza fare caso all’orrore che le si consumava di fronte agli occhi. Né si curava del fatto che la sua domestica, quando entrava per pulire il pavimento, fosse costretta a porre in un secchio capelli, frammenti di pelle rinsecchita, finanche pezzetti di carne putrefatta. Anche lei, ormai, anelava soltanto ad avere sotto gli occhi il risultato, che fino a quel momento non le era stato possibile ammirare, perché il pittore, ogni volta che interrompeva il lavoro, copriva subito il quadro e lo portava via.

Anche quella mattina, dunque, la bella donna si denudò e si sdraiò sul letto, nella posa consueta. Con una mano sorresse il capo, con l’altra sfiorò il seno, coprendo un capezzolo. Allungò le gambe in una morbida e flessuosa posizione.

Annunciato dall’odore di marciume che non la abbandonava più, Francesco entrò a passo incerto nella stanza. Barcollò e dovette sorreggersi alla parete per non cadere. Era rimasto davvero poco di lui. Nulla, ormai, che potesse giustificare il soprannome di Bianco, o che rammentasse l’incomparabile bellezza del giovane pittore girovago che andava di villaggio in villaggio per guadagnare qualche spicciolo grazie all’arte.

Sembrava un cadavere incartapecorito. Era nudo, perché nessun abito poteva più adattarsi al suo fisico cadente. La carne decomposta, in più punti, aveva messo allo scoperto nervi e ossa. Le gambe erano scheletriche, simili a pezzo di legno marcescente. Una ragnatela violetta di vene gli solcava quel poco che restava del petto deformato. A ogni suo movimento, una sostanza scura e appiccicosa gocciolava sul pavimento attraverso i numerosi orifizi di cui era cosparso. Il volto era una maschera in decomposizione, in mezzo a cui si trovavano ciò che un tempo erano stati i suoi occhi, ridotti adesso a un ammasso informe e putrescente.

Il pittore, con movimenti lentissimi, depose il quadro sul cavalletto. A fatica tolse il telo che lo ricopriva e fissò prima l’immagine dipinta, poi madonna Fiammetta.

Le sue labbra deformi si contrassero in una specie di sorriso diabolico, che mise a nudo l’unico dente – giallo, marcio, dondolante – che gli era rimasto.

Ce l’aveva fatta, aveva trasposto la bellezza. Mentre madonna Fiammetta avrebbe continuato a invecchiare fino ad avvizzire, la sua immagine dipinta sarebbe rimasta inalterata, per tutta l’eternità. Già adesso si scorgeva maggiore armonia nel corpo ritratto, che non in quello adagiato sul divano.

Mancava un ultimo dettaglio. Un tocco di bianco sul seno sinistro. Poi l’immagine avrebbe abbracciato la perfezione, ne sarebbe stata infusa in ogni più piccola minuzia.

Francesco intinse la punta di un sottile pennello nel colore e l’appoggiò al seno sinistro. Un unico tocco, che diede vita alla perfezione.

Ce l’aveva fatta, infine.

«Ho finito», annunciò, con la flebile voce che gli restava.

Madonna Fiammetta alzò gli occhi verso di lui. Finalmente avrebbe potuto vedere il suo ritratto completato. Lasciò scivolare le gambe sulla sponda e si mise seduta. Ma quando fece per alzarsi, un grido di orrore le sfuggì dalle labbra.

Mentre guardava compiaciuto il quadro, Francesco venne avvolto dalle fiamme. Un fuoco scaturito dal nulla, che lo intaccò come se fosse stato cosparso di olio e di pece. Tentò di urlare tutto il suo dolore e di allontanare da sé quell’energia che lo consumava. Invano. Arse come una torcia, tramutandosi in cenere.

La donna gridò, gridò sempre più forte, e corse a lui cercando di salvarlo da quella tragedia. Non appena lo ebbe toccato, anche lei cominciò a bruciare. Crollò sul pavimento, contorcendosi nel fuoco che la deturpava e la scioglieva, distruggendo la bellezza del suo corpo, sottraendo al mondo ciò che, ormai, sarebbe esistito soltanto sulla tela.

 

 
   
 
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