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Autore: shana8998    15/08/2022    0 recensioni
Lili Bennet è una cima. A soli venticinque anni è già coroner nella sua città. Dopo solo un anno passato a studiare i suoi corpi decide di seguire il suo sogno e mentre intraprende gli studi per diventare una profiler decide di agire sul campo. Fa quindi richiesta di spostamento nel New Hampishire a West Brook per mettersi sulle tracce di un serial killer soprannominato il vampiro. Arrivata in centrale, però, non viene accolta come si aspetta, bensì il tenente capo Kook's la scambia per una segretaria e sta per toglierle il caso. L'arrivo del giovane Serafiris un detective in erba alquanto bravo la salverà, per fortuna, in calcio d'angolo. Lili sembra soddisfatta e per quanto quel ragazzo la metta in soggezione, non ha nessuna intenzione di tirarsi indietro. Ben presto, ahimè, malgrado tutto il caso prenderà una piega inaspettata... Un terribile destino attende la giovane Lili che, all'oscuro di tutto, crede di essere sulle tracce di uno psicopatico. Messa davanti ad una scelta difficile, seguirà il suo cuore o il raziocinio che da sempre la contraddistingue?
< Non tutti sono ciò che sembrano, Lili. Tu più di chiunque altro dovresti saperlo >
Genere: Horror, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Amo le bevande di un colore rosso vivo. Hanno un sapore due volte più buono di qualsiasi altro colore.


                                                1.

«Sono Lili Bennet e questo è il mio primo caso…»

Passo un’altra manciata di fondotinta sul viso.

«Piacere, il mio nome è Lili Bennet. Si, Lili.» Sorrido allo specchio, il mio riflesso non è dei migliori, non mi soddisfa.

«Sono Lili Bennet è un piacere conoscervi. No.»

Sospiro e riprovo. Marco meno la curva delle labbra, poso il pennello, prendo lo struccante. Un viso troppo colorito potrebbe denotare di me una poca cura della persona o la voglia di apparire sin troppo.

«Piacere, il mio nome è Lili Bennet», dico mentre passo lo struccante sulle guance «Questo è il mio primo giorno come aspirante detective. Sono qui per seguire il caso del vampiro.» Che nome stupido. Quell’uomo è un feticista, ama il sangue umano e torturare le sue vittime fino a svuotarle totalmente, non è un vampiro. E’ uno squilibrato.

Accantono lo struccante e getto il tovagliolo intriso di fondotinta.

Ho bisogno di un trucco delicato, non devo assomigliare ad una delle battone che costeggiano gli angoli del motel in cui alloggio.

Torno a dirmi che quel fondotinta comprato ai magazzini MacKraft sia di pessima qualità. Non sono mai stata troppo brava a scegliere articoli di makeup.

Ma non posso dire lo stesso per quello che riguarda la mia carriera: a soli venticinque anni ero entrata nella scientifica in Massachusset e non come matricola ma come medico coroner abilitato. Il mio sogno però era quello di diventare una profiler, una cazzo di detective a tutti gli effetti. Sogno che sembrava diventare più palpabile cambiando città. Non che in Massachusset non ce ne sia l’opportunità, ma di gente come me ne è esattamente pieno quel posto. Perciò da dove incominciare se non da una piccola cittadina del New Hampshire? West Brook é perfetta.

Il tasso di criminalità non é alle stelle se confrontato con la mia città natale, ma basta a farmi fare esperienza. Ed esperienza è il termine che sottolinea tutto ciò di cui ho bisogno al momento.

Perciò eccomi, dopo un’accurata scelta, ho fatto domanda per accedere alla centrale di polizia della città, ovviamente domanda accettata all’istante con i miei requisiti, ed ora sono pronta per il mio primo giorno di lavoro.

Il caso per cui ho deciso di propormi è quello del vampiro di West Brook. Un uomo non ancora identificato che da circa sei mesi sta terrorizzando l’intera cittadina, rapendo e uccidendo in modi del tutto efferati giovani donne.

Nessuno si sente più al sicuro da quando una fuga di notizie da parte della polizia ha fatto sì che l’intera città venisse a sapere che non c’è un sospettato.

Assurdo! Come diavolo hanno potuto far sì che una notizia del genere trapelasse indisturbata!

Scuoto la testa. Ho gli appunti sul caso sotto di me, i cosmetici sparsi sopra.

Certo, non mi aspetto che con il mio arrivo si sbrogli la faccenda, anche solo un dettaglio in più, però, può farmi tornare a casa soddisfatta e con la stellina in più che merito a patto che riesca a trovare qualcosa che serva al caso.

Il suono della sveglia mi desta di colpo dai miei pensieri.

Sono le otto e trenta e io…sono in un fottutissimo ritardo di merda.

Non ho scelto un tailleur per il mio primo giorno. Ho preferito un jeans scuro, la t shirt della polizia del Massachusset e una giacca scura abbastanza aderente da non farmi sembrare troppo sciatta.

Odio i convenevoli e odio il buongusto delle donne in gonnella. Non mi sono mai reputata troppo femminile ma nemmeno abbastanza mascolina da guadagnarmi il rispetto di tutti quei finti maci che si fingono miei colleghi.

Non esiste meritocrazia, né rispetto quando sei una donna in un mondo di uomini pieni di loro stessi.

Questo è il mio parere: sono cresciuta così.

Afferro i miei appunti sul caso e le fotocopie che il dipartimento mi ha inviato per email e le infilo in una ventiquattrore moderna. 

Fuori il cielo è plumbeo. Mi piacerebbe dire che nel New Hampshire, a Settembre, c’è quel tempo terso di cui tutti parlano ma non è così.

L’autunno qui fa veramente schifo. Umido, freddo e grigio.

Io comunque sono abituata ai palazzoni della mia città natale, questo posto con i suoi campi e i boschi al confine sembra il paradiso a confronto.

West Brook è una città di circa quindicimila anime. Hanno persino uno sceriffo qui e la polizia è praticamente ridotta all’osso. Gli agenti di pattuglia sono il classico cliché del poliziotto medio che mangia la sua ciambella mentre a bordo strada alcuni barboni vengono derubati da qualche tossico e interviene quando la frittata è fatta.

Che odio.

Ora, non voglio passare per la paladina di sto cazzo, ma penso che i soldi dei contribuenti dovrebbero essere spesi meglio di così.

Mi infilo in auto. Ho anche io una ciambella stretta fra le labbra, quindi, per certi versi, sono anche io il cliché del poliziotto medio al momento.

Il pensiero mi fa ridere.

La città sembra tranquilla a quest’ora della mattina. In giro si vedono poche persone, quasi sempre le stesse facce, quelle che le anziane che vivono stipate sui loro balconcini a spiare il circondario chiamerebbero: i temerari. Quelli che escono nonostante il vampiro.

Qualcuno dovrebbe spiegarglielo che il tizio non ha mai ucciso di giorno.

Ad ogni modo, sono quasi arrivata alla centrale. Marcio a passo d’uomo, ho bisogno di nutrirmi di questo posto. Come prima cosa ho bisogno di imparare le strade. West Brook è un piccolo centro abitato costruito su una scogliera. Ci sono gradoni di terreno che si possono vedere dal Duomo ed ognuno ha una strada e piccole case in bilico fra profondità del mare e solidità della montagna.

 Il centro è un po’ meno scomodo, tutto concentrato in unica via mentre a pochi chilometri di distanza c’è la zona imprenditoriale. Niente po’ po’ di meno che vecchie fabbriche in disuso, terreno fertile per tossici, bande di teppisti e stupratori golosi di globuli rossi.

Gli ultimi corpi, se non sbaglio, sono stati ritrovati proprio nei pressi della zona industriale.

Solo una ragazza era stata trovata priva di vita nella sua stanza di motel. 

Sono arrivata. La mia ciambella è finita da un pezzo e ho tutto il cruscotto pieno di zucchero, un problema di cui mi occuperò solo più tardi.

Afferro la valigetta e attraverso velocemente la strada.

Ho gli stivali fradici: inizio ad odiare il New Hampshire.

La porta scorrevole spalanca la sua bocca e decine di teste appaiono sparse per l’ingresso.

Non mi aspettavo nulla di diverso, qui la polizia ha più un ruolo di segreteria che non altro.

«Tu sei la nuova segretaria?» mi domanda un tipo tracagnotto dalla capigliatura spettinata e rossastra, buttandomi sulle braccia una pila pesantissima di fogli. Li accolgo fra le braccia un attimo prima che piombino al suolo.

«Emh, no. Deve esserci un errore. Io sono Lili Bennet.» Seguo l’uomo che si caracolla a passi sin troppo svelti per la sua stazza, lungo il corridoio.

«Non conosco nessuna Lili Bennet, sei qui per sporgere denuncia?»

Sorpasso un mucchio di stanze colme di scrivanie e gente intenta a parlare al telefono. A dire il vero, sono più i telefoni squillare a vuoto che la gente a rispondere.

«Se per sporgere denuncia devo per forza venire qui non oso immaginare che protezione potreste darmi», borbotto constatando un uomo che con estrema svogliatezza ha appena alzato ed abbassato la cornetta senza neanche rispondere.

«Qualcosa non va?» Il tipo nerboruto mi scruta strofinandosi i folti baffi che penso gli facciano prudere il naso leggermente roseo.

Scuoto la testa «Affatto.»

Mi precede dentro una stanza: ci sono almeno venti scrivanie e chi è a sedere non ci degna nemmeno di uno sguardo.

«Come dicevo sono Lili Bennet, credo abbia letto la mia domanda per fare parte della squadra che si occupa del caso del vampiro.» Lo trovo confuso, allora cerco di presentarmi meglio. «Lili Bennet dal Massachusset. Laureata in brevissimo tempo alla Rain Art Accademy con il massimo dei voti…»

Spalanca le labbra e mugugna un verso di approvazione ma sono certa che non abbia ancora capito chi io sia.

«Certo, la ragazzina.», dice infatti ancora più confuso di un attimo fa «Tu vorresti far parte del caso…Be’ non abbiamo bisogno di altra confusione.» Stira le labbra in quello che dovrebbe essere un sorriso forzato. Ciò che vedo io però è una smorfia di fastidio.

«Avete approvato la mia domanda però…»

Fa spallucce «Probabilmente ai piani alti hanno bisogno di più segretarie.» e poi mima una risatina sguaiata e rauca.

Quest’uomo oltre a puzzare terribilmente di sigaro è anche molto sgradevole.

Mi indica la scrivania accanto a me e, cogliendomi del tutto alla sprovvista, mi strappa i fascicoli dalle mani sbattendoli fra la moltitudine di fogli già presenti su di essa e il pc del ‘95 facendolo oscillare pericolosamente.

«Adesso è il momento del tuo primo incarico, non sei contenta? Occupati di questi, li voglio etichettati e catalogati entro mezzogiorno.» Sentenzia serafico allontanandosi.

Mi ha lasciata come una perfetta cogliona e da tale piombo a sedere senza mai scollare gli occhi dalle sue spalle grasse.

Nemmeno la giacca marrone e scura gli rende una silhouette meno grassoccia di quello che già non è.

«Hai conosciuto il capitano Kook’s, eh?» L’unica voce di donna che sentono le mie orecchie proviene dalla sagoma snella alle mie spalle.

Stringe fra le mani un vassoio con qualche caffè fumante e sul viso, incoronato da folti ricci castani, ha stampato un sorrisetto piuttosto caloroso.

Le sorrido debolmente. C’è una parte di me che vorrebbe evitarla e per un momento provo a girarmi verso la pila di fogli, ma lei fa un passo avanti e torna a rivolgermi parola.

«Non è sempre così. Certe volte è persino peggio, specie quando il vampiro torna a colpire.» Allunga un bicchiere fumante sulla mia scrivania, come se glielo avessi chiesto «Si dice che non dorma da sei mesi, più o meno dalla prima vittima.»

Sorrido leggermente impacciata: forse più nervosa che impacciata.

 «Ascolta-» dico guardando il caffè stretto fra le mie dita «mi piacerebbe davvero starmene qui a chiacchierare con te, ma credo che ci sia stato un terribile errore. Io non sono qui per farvi da segretaria e-» Mi zittisco quando la sento ridere.

«O tesoro, sei come una di quelle poliziotte in erba che è pronta a buttarsi a capofitto sul lavoro. Adorabile.»

Adorabile?

Sbatto le palpebre, sono sconcertata.

La ragazza che dice di chiamarsi «Maggie» scuote la testa in segno di disappunto.

«Il Tenente capo non ti farà partecipare a quel caso. E’ già molto che abbia lasciato partecipare suo figlio, bé forse proprio perché è suo figlio…» Le vedo battersi il polpastrello dell’indice sul mento e riflettere su quanto detto. Decido di darci un taglio. Mi sollevo rumorosamente dalla sedia pronta a raggiungere l’ufficio del panzone.

«Come ti ho detto c’è un errore. Io non dovrei essere qui.» Ma nella stanza con i profiler, i detective e la polizia a discutere del caso.

Traggo un bel respiro, quello stronzo sta per sentirmi.

«Tesoro non lo farei se fossi in te!», mi avverte Maggie alzando di qualche decibel la voce, ma sono già lontana dalla scrivania, dal suo dannato caffè e dai suoi sorrisi melensi.

La stanza del “capo” è a vista e sorpassato il corridoio da dove sono arrivata la trovo lì, chiusa da pareti di vetro.

Ci sono un paio di uomini assieme al panzone.

Uno anziano, lo individuo come il direttore di questa bettola.

Mi schiarisco la voce solo quando sono davanti alla porta a vetro e la colpisco con le nocche un paio di volte.

«E’ permesso?»

L’uomo anziano, il direttore della bettola, aggrotta la fronte infastidito.

«Non lo vede che stiamo discutendo di un caso?», dice con fare di rimprovero. 

Poi si rivolge ai colleghi «Non vi avevo detto di redarguire più spesso le segretarie?»

Adesso sono io che ho la fronte aggrottata e sto serrando i denti, voglio urlare.

«Non sono una segretaria.» Dico con fermezza.

Nella stanza oltre a lui e al panzone c’è un tipo magrolino sulla quarantina e tutti e tre sembrano star aspettando qualcosa…o qualcuno.

«Si presenti allora.», l’uomo anziano si alza dalla poltrona dietro la sua scrivania.

C’è tanfo di sigari dentro l’ufficio. Posso passarci sopra però: questa stanza è l’unica che non ha veneziane a tarpare le ali alla luce, anzi, è piuttosto luminosa.

«Sono Lili Bennet, la coroner del Massachusset.» A quel punto la sua espressione cambia radicalmente.

«Signorina Bennet,» adesso mi sorride. E’ come se di colpo avessi raccolto tutto il suo rispetto per me imbottigliandolo. «non l’aspettavamo con così largo anticipo.»

Io non sono nessuno, ma qui dentro mi sembra di essere diventata il miraggio della madonna.

Forse non hanno un coroner?

Accenno un sorriso freddo. «Sono stata mandata qui per occuparmi di uno dei vostri casi di maggior rilevanza.», gli dico. 

«Il caso del vampiro…», sussurra fra sé l’uomo.

Ho lasciato la mia ventiquattrore agganciata alla sedia di quella squallida scrivania, ma se l’avessi avuta con me gli avrei mostrato le decine di appunti a riguardo.

Ad un tratto l’uomo si massaggia la nuca, sembra desolato.

«Ecco signorina Bennet, il nostro quartier generale avrebbe dovuto avvisarla prima…», il tono di rammarico nella sua voce mi fa comprendere in fretta come sta per finire il resto del discorso.

Ma io non ho alloggiato nove giorni in quella bettola di motel per farmi rispedire come un pacco a casa.

«C’è già qualcuno che si occupa di questo caso. E’ una giovane promessa fra i profiler e vanta molti casi risolti in poche settimane.», si schiarisce la voce, «Sono certo che lei sia altrettanto formata e preparata ma ecco, un caso del genere non è materia di studio per qualche matricola.»

Sono sotto shock. Potrei piangere volendo.

«Siete voi che avete accettato di farmi partecipare.» Cerco di dire. Lo sguardo compiaciuto del panzone mi sta dando i nervi.

Mentre il suo capo mi sta licenziando senza neanche avermi dato la possibilità di mostrargli i miei ragionamenti, lui sorride. Sorride.

Distolgo lo sguardo dal suo profilo, non sarà di certo lui a farmi perdere le staffe.

L’uomo più anziano annuisce mortificato «Questo, quando ancora non era arrivato lui.»

Quindi la promessa profiler è un lui e non una lei.

Mi sento leggermente rinfrancata. Ma non troppo.

Mi inumidisco le labbra prima di parlare di nuovo «Vorrei avere l’opportunità di parlare con questa promessa. Sono certa che insieme, confrontandoci-»

«Hai sentito il capo? No è n-o.» Non rispondo al grassone. Spero però che qualcuno gli buchi le gomme dell’auto.

L’uomo più anziano solleva il palmo della mano per zittirlo. Me ne rallegro.

 «Signorina Bennet, vorrei veramente poterla accontentare…Sono certo che il Massachusset e tutto il New Hampshire ripone molta fiducia in lei ma-»

«Io invece vorrei averla al mio fianco.»

All’improvviso una terza voce si fa spazio fra noi. Proviene dalle mie spalle e perciò non tardo a voltarmi.

Il passo è sicuro e fluido, quasi felino, la figura alta e snella ma allo stesso tempo possente. Il nuovo arrivato indossa un pantalone scuro e bretelle agganciate alla sua estremità che gli stringono il ventre muscoloso e nascosto dal candido bianco della camicia.

Si avvia verso la stanza sicuro di sé. Senza degnarmi di uno sguardo si ferma fra me, la porta dell’ufficio che ho inavvertitamente lasciato aperta alle mie spalle e la scrivania.

«Signorina Bennet, questo è l’agente Serafiris.»

Che cognome strano, è del posto?

L’uomo più anziano sembra entusiasta nel vedere il giovane e lo presenta in maniera plateale.

«E’ la promessa di cui le parlavo.»

A quelle parole il ragazzo alza finalmente il viso verso di me permettendomi di guardarlo.

Il suo viso è marmo scolpito dal più abile degli artisti.

Gli occhi glaciali, di un verde così chiaro da sembrare grigio, pericolosi, cristallini, in grado di paralizzare all’istante chiunque come un dolce veleno.

L’espressione fiera e orgogliosa, quasi diabolica, è contornata da capelli scuri come l’ebano, morbidi e leggermente spettinati.

Improvvisamente le sue labbra si aprono in un sorriso seducente, che spezza il silenzio imbarazzante. Resto senza fiato senza sapere esattamente il perché.

«Puoi chiamarmi Roth.» Dice allungando la mano verso di me.

Noto che ha degli anelli a cingergli le dita. Tre, uno dei quali ha un vistoso teschio, i suoi occhi sono smeraldi incastonati nell’argento. E’ in totale contrapposizione con l’aria seria e professionale che ha.

«Carino l’anello», dico prima di stringergli la mano. Sorrido appena e solo dopo mi pento di quella curva.

Sembro una liceale alla sua prima cotta?

Non ho mai visto un uomo? 

Roth ricambia il sorriso con uno molto più sicuro ma allo stesso tempo impercettibilmente marcato sulle sue labbra.

Sono un fascio di nervi e per assurdo provo uno strano senso di disagio.

«Detective Serafiris non credo sia una buona idea, ad ogni modo…», prosegue l’uomo. Ha la voce pacata, intimidita.

Io però sono concentrata solamente su quella parola: detective. Roth, nonostante la sua giovanissima età, è trattato con rispetto e chiamato a dovere. Mi immagino per un momento nelle vesti di un vero detective. Sarebbe bello poter godere di tutto quel rispetto.

«Inserire una nuova leva, proprio ora e con il dannato vampiro che miete vittime.» A quell’affermazione, l’uomo sulla quarantina, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, tira fuori un fascicolo da una ventiquattrore appoggiata alla scrivania e la porge a Serafiris.

Il ragazzo non dice una parola, spagina il plico di fogli e fissa imperscrutabile quella che ha tutta l’aria di essere una foto.

«E’ un’altra vittima?», chiedo più allarmata che curiosa.

Che mi ero persa? 

Allungo il naso oltre il profilo di Roth e guardo ciò che ritrae la foto.

Un corpo. E’ nudo come quello di tutte le altre vittime, i capelli rossi e scompigliati, le ferite lungo le braccia e quei due piccoli fori al lato del collo.

Non a caso quel killer aveva il soprannome di vampiro: ogni sua vittima ha due piccoli fori sul collo dal quale lui, si sostiene, beva tutto il loro sangue.

Dubito sia la verità. Un essere umano non può bere tutto quel sangue. Parliamo di diversi litri, senza vomitare o avere uno shock. No, mi resta troppo difficile crederlo.

«Quando è stata trovata?», chiede Roth senza scomporsi alla vista della fotografia.

«Questa mattina all’alba sulla spiaggia oltre la scogliera.», lo informa il quarantenne.

Sento Roth sospirare dal naso.

Sembra confuso, come se qualcosa non riportasse.

«Non sembra essere lo stesso uomo.», afferma.

«Come? Ma il modus operandi è esattamente quello!», ribatte l’altro.

Roth scuote la testa.

«Vede?», indica il corpo della ragazza «Qui in questo punto e qui. Vede i tagli? E’ stata usata una lama, il nostro uomo non gioca con le sue vittime.»

L’uomo sulla quarantina a quel punto è confuso ma non è l’unico, tutti i presenti ora hanno un tarlo che si è insinuato nella loro testa, me compresa: e se i killer fossero due?

Roth aveva ragione, o l’uomo aveva deciso di reinventarsi sadico oltre che feticista, oppure quel corpo sfregiato era il risultato di un' altra mente malata.

Avevo studiato il caso per mesi e ciò che aveva ammesso Roth mi trovava in accordo.

«Nei punti sei e sette deve avere usato una lama incandescente.» dico. Gli altri non sembrano prendermi sul serio, mentre Roth mi guarda stupito.

«E lo hai dedotto da?», mi chiede.

«I bordi frastagliati della sua pelle. Presenta ecchimosi ma anche cauterizzazione.»

Gli vedo apparire un breve sorriso sulle labbra e per un momento mi sento appagata.

«I miei complimenti novellina.», sussurra un attimo dopo, quando sia Kook’s che l’uomo più anziano stanno discutendo a riguardo.

«Non chiamarmi novellina.», dico settica.

Non sono qui per beccarmi finti complimenti da colui che mi ha appena soffiato il posto.

«Bene.», ad un tratto la voce del capo mi sembra più alta delle altre e mi fa rinsavire dai pensieri.

«E’ deciso allora, Bennet, Serafiris siete sul caso.»

Sono incredula.

«Spero che tu non mi sia d’intralcio Bennet.» Ascolto scioccata le parole di Roth e vorrei rispondere che molto probabilmente accadrà il contrario, ma tutto ciò che faccio e osservare le sue spalle mentre si allontana nuovamente.

Mi congedo anche io.

Sono euforica, tanto da non stare nella pelle ma non è il caso che lo dia a vedere.

Piuttosto Kook’s ha bisogno di una bella lezione. Mi aveva dato un compito poco prima e di certo lo avrei portato a termine.

Perciò, decisa a impilare quelle scartoffie torno alla scrivania che ora sento un po’ più mia, ma solo quando mi siedo, per la prima volta da quando ho messo piede qui, sento tutti gli occhi addosso.

Le poche donne che lavorano assieme a me mi guardano in tralice come se avessi appena strappato un qualche scettro dalle loro mani e gli uomini mi scrutano quasi con sdegno.

Ho fatto qualcosa che non va? Dubito.

Scuoto il capo e torno a guardare la pila di fogli.

«Tanto farai la fine di quelle donne.» Non credo alle mie orecchie. 

La voce che mi ha parlato è di una donna in tailleur grigio che pigia convulsamente sulla tastiera del pc.

«Come hai detto?», le chiedo in maniera decisamente poco amichevole.

Lei mi scruta appena «Hai capito bene biondina, farai la fine di quelle donne dietro Serafiris.»

Doveva avere un problema con lui molto probabilmente.

«Credi che mi lascerò trascinare da lui? Ti sbagli.»

La donna ghigna appena. Continua a non guardarmi il ché mi fa spazientire e non poco.

«Staremo a vedere, poi non dirmi che non avevo ragione.»

«Darline, ti prego dacci un taglio.» Le dice un uomo dietro di me supplichevolmente.

«Si da retta al tuo amico.» mormoro. Voglio solo tornare a lavoro, nulla di più.

Sta per dire qualcosa quando, di colpo, Roth entra in ufficio. Si avvia con calma verso la sua scrivania e per un momento mi sembra di vedergli stampato in faccia un sorrisetto compiaciuto. Nel momento in cui si gira però già non lo ha più.

Quando è ormai vicinissimo inchioda il mio viso  guardando nella mia direzione. Perché sta guardando proprio me? Non farti strane idee. Insomma…non ti conosce nemmeno, perché fra tutti dovrebbe fissare proprio te? mi dico. Eppure provo una strana sensazione di fronte a quello sguardo tagliente, lo sento entrarmi nell’anima fino a mozzarmi il fiato, così abbasso istintivamente lo sguardo interrompendo il contatto visivo.

Il nuovo arrivato continua ad avanzare fino a superare la mia fila, e infine si siede proprio ad una scrivania di distanza.

Mi investe di nuovo una sensazione di profondo fastidio.

A fine giornata sono esausta. La donna bionda con il tailleur grigio non mi ha più punzecchiata in alcun modo. Uscendo, mi sono convinta a salutare Maggie trovandola all’ingresso, dopo aver consegnato i fascicoli a Kook’s. Che soddisfazione!

Sembra essere andato tutto secondo i piani alla fine, sono persino euforica.

Ma poi c’è Roth.

Lo trovo all’ingresso poco dopo la scrivania di Maggie e stanno parlando.

Lei ammicca qualche risatina divertita e lui sembra sorriderle come un vero cascamorto.

Che abbiano un flirt?

Mi ritrovo a nascondermi dietro una colonna. Si, poi mi offenderò da sola per questo, ma adesso voglio solo vedere…

Roth solletica la guancia di Maggie che arrossisce di colpo.

«Ti donano quegli occhiali», le dice.

Maggie ha un paio di occhiali tondi e spessi e seppur il suo viso sia terribilmente dolce quella montatura è terrificante.

Quindi o lui è cieco oppure un discreto attore.

«Ti ringrazio» -risatina.

«Sei gentile» -altra risatina.

Povera Maggie.

Scuoto il capo e decido che quelli non sono affari miei.

Voglio solo tornare al motel, farmi una doccia e concentrarmi sul caso fino ad addormentarmi.

Quando passo accanto a loro però, Roth mi chiama.

Un brivido gelido mi percorre la schiena.

«Bennet.»

Mi volto ma sento che ogni fibra del mio corpo sta combattendo contro il mio volere.

«Serafiris, dimmi.»

«Sei pronta ad occuparti del caso?» Roth mi affianca lungo il corridoio. Faccio appena in tempo a guardarmi alle spalle che vedo Maggie abbassare il capo delusa.

Che stronzo.

«Non l’hai nemmeno congedata?»

Roth mi scruta confuso. «Come dici?»

«Maggie. Non l’hai nemmeno salutata?»

«Ah…» Si guarda alle spalle e poi scrolla le sue. «Non sapevo si chiamasse Maggie.»

Sono allibita. Per sei mesi quella ragazza gli ha portato il caffè, lui ci ha perfino fatto il cascamorto e non sa il suo nome? Non ha avuto nemmeno la decenza di chiederlo?

Vorrei dire altro ma taccio.

«Ascolta», poi ci ripenso. E’ giusto che Roth sappia come la penso. «Ti ringrazio per aver detto al capo di volermi sul caso, sono qui per questo in fondo, ma…»

«Ma?»

«Non credere che diventeremo amici per questo. Non ho bisogno di una spalla.»

Roth mi fissa imperturbabile. Sembra che le mie parole gli siano scivolate addosso come acqua calda.

«Non ti considero affatto una spalla. Ho bisogno di confrontarmi sul caso con chi lo ha studiato per davvero.»

Sospiro un sorriso «E chi ti dice che io l’abbia fatto?»

«Saresti qui, altrimenti?»

Già.

«Touché.»

Di nuovo quel sorriso magnetico.

«Non montarti la testa, Bennet.»

«Non lo farò.»

Roth fa per girarsi ma prima di sottrarre lo sguardo al mio ci ripensa e torna a guardarmi dritto in faccia.

Qualche sirena trilla in lontananza, probabilmente le volanti stanno tornando in sede. Il rumore è abbastanza forte da sovrastare le nostre voci.

«Sei arrivata finalmente.»

Ho le allucinazioni o ha detto proprio quello che mi sembra di avergli sentito dire.

«Come? Non ti sento.»

«Ci vediamo domani!», dice salutandomi definitivamente.

   
 
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