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Autore: Zyadad_Kalonharysh    15/08/2022    0 recensioni
[KilluGon]
Gon Freecss è quasi morto. Ed è ormai prossimo ai quindici. La sua avventura con il suo inseparabile gruppo di amici è finita ormai da un anno e mezzo. Non ha contatti con Killua dalla separazione mentre Kurapika e Leorio non ci sono quasi mai. Ha assimilato la solitudine e si è concentrato su altro, ma sa di non stare bene. Il ragazzino esuberante che parlava troppo e agiva in modo impulsivo con il suo volto puro e sorridente sembra ormai un lontano ricordo. Oggi fa più fatica a parlare, balbetta, tende ad essere riflessivo, si chiude a riccio e non esce mai di casa. Ogni notte ha un incubo, si sveglia piangendo e passa la giornata a studiare. Questo è ormai un ciclo continuo, le sue giornate sono tutte così. La vita monotona di Gon continua finché delle vecchie insolite conoscenze non interverranno per invertire questo trend.
In questa dramedy avremo a che fare con le sfide personali di Gon prossimo alla vita adulta, sfide quotidiane molto meno avvincenti di quelle di un tempo. Molte di queste riguarderanno il suo rapporto con Killua post-separazione.
Genere: Angst, Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gon Freecss, Jin Freecss, Killua Zaoldyeck, Kurapika, Leorio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Premessa

IN QUESTA SERIE CI SONO DEI PERSONAGGI ORIGINALI (OC) provenienti da una vecchia FF scritta nel 2019. Siccome quella FF è incompiuta, qualitativamente scarsa e in via di riscrittura, questi personaggi sono stati reintrodotti per bene all'interno di questa storia, così da non rendere necessario leggere l'altra.
Quando ho scritto la prima storia nel 2019, un po’ per noia e un po’ perché mi frullava l’idea in testa e ho trovato tempo di scriverla, ero in una fase diversa della mia vita e la scrissi con le lenti di un* me di appena 18 anni. Oggi ho avuto modo di riguardare HxH e rileggere un po’ le vecchie pagine, così mi è tornata la voglia di scrivere su questa serie. 
Stavolta ho pensato di rileggere e parlarvi di Gon alle prese con sfide quotidiane diverse da quelle che ha vissuto. Affrontare quindi questioni psicologiche, la crescita, l’avanzamento all’età adulta.
Per questo motivo metto le mani avanti sulla questione OOC. Ho scelto di non mettere questo tag non perché Gon sia identico a come lo vedete nella serie (tutt’altro), ma perché questo cambiamento va contestualizzato con ciò che è successo, la sua crescita e a tanti fattori in gioco.
Per quanto riguarda gli altri personaggi, ho deciso di mettere tutti quelli canon sotto una luce diversa, non per stroncarli ma per arricchire la visione che abbiamo di loro.
 

Capitolo 1

È passato un anno da quando Gon ha combattuto contro le formichimere, incontrato suo padre e si è separato da Killua. Oggi, a ridosso del suo quindicesimo compleanno, inizia a voltare pagina e si prepara a nuovi interrogativi.
 

Si muore un po’ ogni giorno

Che dicano ciò che vogliono. Alla fine della fiera, è solo questione di perseveranza. Io contro il mondo, come era all’inizio. Fa parte del gioco, non dovrebbe sorprendermi né ferirmi.
«Gon, te l’ho già spiegato, la statuina lì sopra non ci sta.» insiste zia Mito, stanca, mentre mi appresto a decorare il locale per l’arrivo delle festività di maggio. «Mettilo dietro al bancone e facciamola finita.»
«Io ti dico che ci sta.» rispondo con fare determinato, continuando imperterrito a cercare di fissare con il nastro la statuina sulla parete dell’ingresso. «Dietro al bancone non lo vedrà nessuno.»
«Ci tieni così tanto a farlo vedere? Ancora non mi hai detto chi ti ha regalato questo pezzo di ceramica.» inizia a stuzzicarmi, mentre si riempie un bicchiere di vino. «Da quando è arrivato per posta te lo sei tenuto tutto per te.»
«Ma non è nulla di che…» mento. «È solo un pensiero, tutto qua.»
«Tutto qua? A me sembra che tu ci tenga tanto.» zia Mito ha deciso proprio di sfiancarmi con le sue domande. Non capita spesso, ma a questo punto sto iniziando a innervosirmi. Sarà che ho passato l’intera giornata a studiare. È ormai quasi un anno che la perdita del Nen mi ha cambiato la vita, adesso vivo in maniera più standard, possiamo dire. «Te l’ha regalato Killua?» se ne esce all’improvviso, ridacchiando come se fosse divertente.
È da un po’ che quel nome non si pronuncia in questa casa. Quando sono tornato, le ho fatto capire che non mi va di esprimermi sull’argomento e così ha smesso di insistere. Sa che tutta la situazione mi ha fatto male, il fatto che io non possa più vivere quelle avventure e che la perdita dei poteri mi ha reso completamente inutile. I miei amici continueranno a lottare, per forza di cose ci siamo allontanati. Non puoi essere compagno di viaggio di qualcuno se sei inutile. Dopo uno sguardo che l’ha subito fatta desistere al parlare dell’argomento, zia Mito si volta e fa per andare al piano di sopra.
«E comunque no, non me l’ha regalato Killua.» la interrompo, mentre alzo il ninnolo – un gattino di porcellana con un fiocco rosa sulla testa – per farglielo vedere. «Killua non mi scrive e non mi manda niente. Sai che è da un anno che non lo sento nemmeno via telefono.»
Mi guarda con fare compassionevole. Dopotutto, cosa altro può fare? C’è una reazione diversa a una storia così squallida?
«Allora non ti disturberà dirmi chi è il mittente.» si avvicina di nuovo a me, mentre entrambi ci sediamo al tavolo, ritornando a sorridere.
«Una persona che invece mi chiama e mi invia lettere. O meglio, utilizza le e-mail, ma il concetto è quello.» mi viene da sorridere a pensarci. «Te l’ho detto, sto voltando pagina e sto rivalutando le cose in cui credo.»
«È molto strano…» dice, mentre si porta la mano sul mento e fa uno sguardo indecifrabile. «Senza offesa, Gon, ma tu non sei una persona che riflette molto. Hai sempre fatto tutto in maniera… naturale, ecco. Non sei quel tipo di persona che si preoccupa di chiamate, lettere, regali e cose così. Capisco che tu stia crescendo, diventando adolescente, però...»
«Dove vuoi arrivare?» le chiedo, perché non sto capendo nulla.
«Che ultimamente hai iniziato a discutere di più, porti problemi diversi, vedere le cose sotto un’altra luce. E questo cambiamento è normale con la crescita, sicuramente, ma una sensazione mi dice che c’è dell’altro. C’entrano Killua, Ging o entrambi?» Alla fine non ci è andata tanto per il sottile.
«Sì, in qualche modo…» Onestamente, non so come impostare questo discorso che per mesi mi sono fatto in testa e solo per me stesso. «Ho capito che la realtà non rispecchiasse le mie aspettative. E che forse desideravo le cose sbagliate.» E ho buttato giù l’asso.
Zia Mito per qualche motivo non ha nulla da dire. Mi fissa, smaniando di proferire parola, ma non sa effettivamente né cosa dirmi né come dirmelo. Le faccio un gesto come per dire “buttala fuori come ti viene”. E io penso ancora all’ultima frase che ho detto. Forse desideravo le cose sbagliate. Ma lo so io, lo sa mia zia e tutti voi che state leggendo che quel ‘forse’ andrebbe tolto.
«Hai mai pensato che tutto questo viaggio, tutte le volte che hai rischiato la vita…» balbetta un po’, evidentemente sta per dirne una grossa. «Ecco, hai mai pensato che si potesse evitare? Rifaresti tutto?»
È una domanda che mi sono posto. Ci avevo pensato, troppo tardi e a viaggio finito, ma ci avevo pensato. «Forse.» rispondo. «Rifarei l’esame, rifarei quasi tutto. Se ti dicessi che non sia stato felice nel mentre, ti starei mentendo. Però… con modalità diverse e con motivazioni diverse… sarebbe stato meglio.»
E ho scelto la via dell’onestà. Perché siamo tutti bravi a dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato quando la storia è finita e la stiamo riguardando da spettatori. No?
«Gon, tra due settimane è il tuo compleanno.» decide di cambiare repentinamente il discorso. «Farai qualcosa?»
Cosa intende con “fare qualcosa”? «Cosa intendi con “fare qualcosa”?» per qualche motivo scatto sulla difensiva, con le pupille ridotte a due fessure.
«Non so, invitare qualche amico.»
«Kurapika e Leorio sono molto impegnati, questo capisco dalle loro lettere, in più sono in una missione nel Continente Oscuro… lunga e brutta storia.» la prendo lunga giusto per far cadere la cosa. «E l’idea di disturbare Killua non è degna di commento.»
«Disturbare?» zia Mito sobbalza. Non mi ha mai sentito parlare in quel modo.
«Sì… è impegnato a proteggere sua sorella. E penso voglia fare le sue cose… senza di me. Scusa, non so come altro dirlo. E pure se fosse non saprei cosa dirgli. Se gli telefonassi, probabilmente farei scena muta!» la butto sul ridere, tirando fuori una risata isterica mai vista che sciocca zia Mito.
«Gon… un’ultima domanda.» si curva un po’ per fissarmi ancora più intensamente. «Sei per caso stato sostituito con un’altra persona?»



Digito il suo numero sul cellulare, sono un po’ nervoso. Aspettavo di fare questa telefonata da un po’ di tempo, mi sudano le mani. Quando trovo il coraggio dii premere sul tasto di chiamata, ottengo risposta in pochissimi squilli.
«Ciao,» esordisco, con fare un po’ timido. «Non ci sentiamo da un po’! Hai qualche minuto? Non ci metto molto.»
Dall’altra parte sento urlare il mio nome, mi tranquillizza sapere che la mia telefonata sia gradita. «Ma scherzi? Ho tutto il tempo che vuoi. Lo sai che per te ci sono sempre, Gon.»
«Ti ringrazio davvero, Graziina.» mi scende una lacrimuccia. «E grazie per il ninnolo che hai mandato per posta, anche se non ho trovato posto dove metterlo in mostra.»
«Lo sapevo, avrei dovuto mandarti un piattino decorato o una piccola civetta. Non potevo mandarti nulla che non fosse in ceramica, ultimamente vanno di moda certe decorazioni in vimini che sono un attentato alla salute. So che ti piacerebbero, ma io le trovo provinciali. Scusa!» la sento già disperare, un po’ mi viene da ridere.
«Non volevo parlarti di questo. E, tranquilla, l’ho apprezzato tanto.» faccio per rassicurarla. «Il cinque maggio è il mio compleanno e, sai, mia zia vorrebbe vedermi più socievole e cose di questo tipo. Non mi aspetto che tu possa venire, sei lontanissima. Ma nel caso, puoi portare chi vuoi, anche Audrey Hepburn e i cuccioli sono ben accetti.»
«Beh, i cuccioli di Audrey ormai sono dei giganti! E non dirlo neanche per scherzo, io ci sono. Mi farà piacere qualche giorno in campagna e, perché no, conoscere tua zia! Hai già chiamato Espedito?»
«Lo faccio adesso, spero ci sia anche lui.» Per qualche motivo la mia voce suona come se stessi piangendo. Mi domando se si noti.
«Ti sento strano, però. Succede qualcosa?» Ed eccoci qua.
Non voglio mentirle. «Perché non ne parliamo quando arrivi qui? Magari davanti a una tazza di tè. Al telefono è brutto fare certi discorsi.»
Poco dopo aver chiuso la telefonata con Graziina, faccio come avevo detto e telefono anche ad Espedito. Mi confermano quindi anche Maxine, Danielle e alcuni suoi amici. Anche la madre verrà a trovarmi. È bastato un giro di telefonate e la solitudine che mi ha accompagnato fino a questo momento si dovrebbe, in teoria, appagare. Avevo una festa di compleanno vera. Sorrido a trentadue denti, devo esserne felice perché è già un enorme dono rispetto a ciò che sto vivendo. Ma una parte di me, in fondo, sa che il mio problema non è non avere delle persone nella mia vita, bensì quelle persone.
Ma non si può avere tutto.

 

 
Sono seduto sul letto a fissare il vuoto, altra cosa che prima non capitava spesso. Un solo pensiero mi martella la testa da mezz’ora. Dovrei chiamare anche Ging? Assolutamente no, è fuori discussione. Penserebbe che io voglia improvvisamente costringerlo a recuperare il tempo perso o cose del genere. Anche lui non si è fatto sentire e se c’è una cosa che ho imparato in questi tempi è che lui avrebbe potuto trovarmi tranquillamente, se solo avesse voluto. Mi sono reso più che facile da reperire, ciononostante lui ha deciso così. Va tutto bene. Dovrei essere fiero di non telefonargli, il me di anche solo un anno fa non avrebbe fatto un ragionamento così maturo. Sono cresciuto, stavolta sul serio.
«Stai pensando di chiamarlo?» zia Mito irrompe improvvisamente dalla porta, neanche avesse i poteri di Pakunoda. Ma penso che un pensiero simile, a ridosso del mio compleanno, fosse molto prevedibile.
«Non lo so. Cioè, no.» balbetto. Cosa che ho iniziato a fare troppo spesso.
«E così non inviti nessuno.» sospira, con fare deluso.
«In realtà verranno alcune persone. Non sono hunter, fortunatamente non dipendono da quel giro.» E parlo di quel giro ammettendone tutta l’ipocrisia. Perché di ‘quel giro’ ho fatto parte e ho beneficiato fino al momento in cui sono stato indirettamente sbattuto fuori per la mia inutilità.
Sono una persona comune, ora. Senza poteri e senza particolari unicità. Una di quelle persone che in una storia fanno da sfondo. Quelle persone che prima, forte del mio gruppo di amici e delle mie avventure esclusive, guardavo con uno sguardo tra la pena e l’altezzosità. Adesso sono uno di loro e capisco come si sentono dinanzi a noi. Ho conosciuto quel senso di impotenza, inferiorità, inutilità. Ho incontrato e abbracciato la realtà dei fatti. E la realtà dei fatti è… uno schifo.
 

 
Se c’è una delle cose più noiose da fare a casa, quella è ritirare la posta. Non sembrerebbe una mansione chissà quanto faticosa, del resto tu vai, apri la cassetta e prendi quello che c’è dentro. Nella realtà dei fatti è un po’ più complesso di così. Quando vado a ritirare la posta mi gonfio sempre di aspettative. Mi aspetto sempre di trovarci qualcosa di interessante, una notifica di chissà che evento, lettere da persone che non mi scriveranno mai e cose di questo genere. E ogni volta ne resto ovviamente deluso. Ogni volta, perché non basta farlo regolarmente per un anno, quell’aspettativa resta sempre e ogni volta è destinata ad essere delusa.
Questa volta, qualcosa attira la mia attenzione più del solito. Una lettera con il mio nome sopra, non se ne vedeva una da un anno, se togliamo le fatture da pagare. Quando vado a leggere chi sia il mittente, mi prende un colpo. Ho ricevuto sul serio una lettera da Kite? Dopo che l’ho fatto trasformare in una bambina?
La lettera è cortissima, si legge con uno sguardo. L’involucro contiene un biglietto di auguri con un disegno fatto da lui. E mi viene da fantasticare: ci avrà pensato da solo o l’ha fatto insieme ad altri? Non potrò mai saperlo, qui c’è solo il suo nome.

\

Oggi mi sono svegliato con la luna storta.
Non mi sono nemmeno alzato, sono stremato e svilito. Ho sognato nuovamente mio padre. E come ogni volta, ho sognato di essere abbandonato per l’ennesima volta. Ieri ho fatto i salti di gioia per un biglietto da Kite. Un biglietto comprato in un drugstore e con meno di dieci parole sul retro, contando la data e la firma. Questa è la cosa più emozionante non solo della giornata di ieri ma di un intero anno. Realizzarlo è stato brutto. Perché sento ancora l’attaccamento a quella realtà di cui non faccio più parte.
Berrei volentieri un caffè.

«Ancora non sei in piedi? Che ti succede?» sento già la voce di zia Mito. Oggi no, non ci riesco. Ti prego, no. «Ti ricordi? Oggi dobbiamo iniziare le funzioni goniometriche. Questo c'è scritto sul libro, non che io abbia capito molto. Ma tu sicuramente ci riesci meglio di me! Dai, che non stai andando male!» Continua ad incalzarmi, ma non riesco a reagire. È vero, non sta andando male lo studio, sono sorpreso quanto lei di riuscirci. Ma non è questo il problema.
Si avvicina al letto e si siede vicino a me. Nota il cuscino bagnato e la mia faccia rossa. Ho pianto così tanto da essere irriconoscibile. Non è la prima volta che succede, lei sa già il perché. «Si muore un po’ ogni giorno.» penso ad alta voce, tra me e me.
«Come puoi dire una cosa simile?» lo dice con un tono che sta tra il rimprovero e la preoccupazione. «Io non ti ho educato così.»
La mia bocca trattiene un “E guarda come è finita.”. Non lo dico, so che una frase del genere la turberebbe troppo. E poi, non è colpa sua. È che finora ho idealizzato la vita. Per essere stato in viaggio così tanto tempo, non ho capito assolutamente nulla del mondo e della vita. Sarà stata l’età, saranno stati i poteri. Pensavo sarei rimasto lo stesso ragazzino esuberante e svampito di sempre. Io ero quella persona e oggi non mi riconosco più. Provo sensazioni diverse, ragiono in modo diverso, parlo in modo diverso, uso addirittura parole diverse.
«Mi dici qual è il problema?» zia Mito continua a cercare di farmi alzare.
«Ho paura di svegliarmi una mattina con la voglia di spararmi una pallottola in testa.» mi è venuto in mente troppo in fretta. Aiuto. E subito scoppio a piangere. E anche lei con me.


Anche oggi ho finito di studiare. Come faccio ogni giorno, chiudo il libro e ripeto a voce quello che mi ricordo. Questa volta è andata bene. È così strano che questa cosa dello studio non sia un disastro. Mia zia non mi controlla nemmeno più i quaderni, sa che sto andando bene e si fida. Ma, finita quest’ultima mansione, tutto il senso di disperazione ripiomba su di me con violenza. Annuncio dalle scale di aver finito, ma lei non è in casa.
L’idea di compiere quindici anni non mi fa stare bene. Festeggiare il mio compleanno non mi è mai dispiaciuto, anzi. Ma quest’anno no. Una volta Espedito mi ha parlato della crisi che insorge quando sei a metà tra un decennio e l'altro. Dovrebbe trattarsi di questo, non penso c’entri il fatto che le persone a cui ho dato tutto il mio affetto negli ultimi anni mi abbiano abbandonato. Ogni volta che ci penso, penso al fatto che ho programmato la mia vita considerando loro. Mi ero adagiato sulla consapevolezza che sarebbero rimasti per sempre. Queste sono le conseguenze.

Penso al fatto che, anche se è matematicamente certo che non verranno e potrei veramente quotare questa cosa in borsa, sarebbe educato lasciare una porta aperta. Senza troppe speranze, solo per far sapere che ci sono, esisto ancora e respiro. Un invito virtuale al quale chiederò semplicemente un sì o un no. Nulla di plateale. Che io gradirei una loro visita dovrebbe essere scontato, evidentemente non lo è. Inizierei da Leorio, mi sembra quello più semplice.

Caro Leorio,
spero che la tua spedizione nel continente oscuro stia andando bene. Vorrei tanto rivederti per il mio compleanno perché mi piacerebbe passare del tempo con tutti voi come ai vecchi tempi

No! Non deve essere così. È triste, è barbosa, mi fa fare la figura di un disperato.
No, no, no. Niente vecchi tempi, niente “mi manchi”, niente “caro” (che sembra una cosa da cariatidi). E, ad un tratto, l’illuminazione: la lettera di Kite/Reina. È perfetta: zero impegno, evidentemente mandata più per cortesia che per genuino interesse, asettica e che non lascia sicurezze. È così che sono stato trattato finora, conviene ricambiare.

Venerdì sera festeggio il mio compleanno. Sono 15! Organizzo una cosina a casa mia, isola Balena. Potete portare chi volete!

Manderò lo stesso invito a tutti. Aggiungo le indicazioni per arrivare sull’isola ed è tutto perfetto. Invia.
La cosa più affettuosa di questo bigliettino virtuale è il pellicano con gli occhi a cuore sullo sfondo. È proprio una fatica crescere, diventare adulti e rapportarsi agli altri come adulti.
Il tempo di inviare quell’invito “con poco impegno” e già sento l’ansia per tutto il corpo. Non sono nemmeno le nove di sera, ma già voglio dormire. Ricado nel mio buco di depressione dal quale nemmeno uno speleologo mi potrebbe tirare fuori.

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Sono passati due giorni e la casella postale non mi segna nuovi messaggi. C’è ancora tutto il tempo per avere una risposta entro il giorno X, ma sento già che la speranza remota di una risposta sia in via di riciclaggio. Un senso di sollievo, nel profondo, mi sorprende: ho fatto ciò che andava fatto, senza esagerazioni. Va bene così.
In questi momenti, le parole di un testo di Seneca che ho studiato per la scuola mi rimbombano in testa. Si muore un po’ ogni giorno. Ogni giorno, una parte della vita viene meno e anche quando si cresce, la vita decresce. Si muore fino alla fine per tutto il tempo che si attraversa, questo stesso giorno che si vive lo si divide con la morte. Come l’ultima goccia non svuota la clessidra intera, ma qualsiasi goccia già sia defluita prima. Così l’ultimo momento in cui noi smettiamo di esistere non da solo costituisce la morte, ma la constata e basta.  

Mi butto sotto la doccia, l’acqua calda mi calma un attimo i nervi. Penso alla persona che sono diventato e mi chiedo cosa sia successo. La letterale risurrezione dopo la storia delle formichimere, oltre a togliermi i poteri, mi ha tolto la mia voglia di vivere? O tutto questo è solo un processo naturale per elaborare gli eventi della mia vita in concomitanza con l’avvicinarsi all’età adulta?
«Gon!» mi sento chiamare appena dietro la tendina della doccia, salto per aria e urlo dallo spavento. Prendo subito un telo e lo avvolgo intorno al corpo per coprirmi, poi apro la tendina da doccia. «Gon sono io, Graziina. Scusami se ti ho spaventato, in casa non c’è nessuno!». Ed eccola lì, capelli piastrati, ordinatissima e avvolta nel suo tailleur rosa preferito. Non posso fare a meno di sorridere nonostante la situazione pittoresca.


 

 
   
 
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