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Autore: NyxTNeko    15/08/2022    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 138 - A vincere senza pericolo, si trionfa senza gloria -

Cassanio, 21 aprile

Il generale Bonaparte si sentiva più energico che mai e non era dovuto soltanto al bagno che lo aveva rigenerato completamente, lo era anche per via della battaglia che ci sarebbe stata quel giorno. Era quella decisiva, ne era più che sicuro, il suo sesto senso non sbagliava affatto, questa volta avrebbe trionfato in maniera definitiva contro l'esercito piemontese.

L'alba era sorta da poco e dopo aver ricevuto la notizia dell'assenza dell'esercito nemico in quelle zone, comprese che doveva agire "Ora che sono in ritirata sarà più facile coglierli di sorpresa e annientarli" rifletteva; probabilmente Colli sperava di riutilizzare la stessa tattica dell'altra volta o probabilmente voleva recuperare un po' di tempo per riorganizzarsi "Ma stavolta non l'avrete generale Colli, sarò io a vincere".

Senza perdere nemmeno un minuto e l'occasione ordinò alla cavalleria, guidata dal generale Stengel, di lanciarsi contro il nemico che stava ripiegando. Finalmente per l'esperto generale era arrivato il momento di mettersi all'opera; purtroppo a causa del territorio inadatto, Bonaparte non aveva potuto utilizzarla in modo efficace; ma ora era giunta l'opportunità di dimostrare il suo valore, le condizioni erano ottimali. Con un entusiasmo che non provava da anni, Stengel si era messo alla testa delle sue truppe, pronto a mostrare le proprie capacità al giovanissimo comandante.

Henri-Christian-Michel Stengel era stato, sin dalla tenera età, un uomo di guerra e come suggerisce il nome, la sua origine era tedesca. Per un po' di anni aveva combattuto sotto la loro bandiera, nelle Guardie Palatine. Nel 1760, quando aveva pressappoco sedici anni, decise di passare all'esercito francese e sotto tale vessillo partecipò alla Guerra dei Sette Anni, arrivando al grado di tenente due anni dopo e, dimostrando sempre le sue qualità negli anni successivi, fino a diventare ufficiale superiore.

Lo scoppio della Rivoluzione Francese non scombussolò i suoi piani, né gli fece sorgere il desiderio di riavvicinarsi alla vecchia patria, al contrario, lo spinse all'azione; aveva compreso che con un simile evento sarebbe potuto arrivare ancora più in alto nella gerarchia militare. E generale lo divenne. Fu uno degli attori partecipi della battaglia di Valmy, successivamente aveva aiutato Dumouriez in altri conflitti. Ma la sconfitta contro il Principe di Wurtemberg, che portò alla cacciata dei francesi da Aquisgrana, che era stata da poco conquistata dai francesi, lo compromise agli occhi della Convenzione.

Fu arrestato e gettato in carcere, con il processo fu assolto completamente e rilasciato, non poté riprendere il comando fino al marzo del 1795. Promosso generale di divisione nel giugno dello stesso anno venne trasferito nell'Armata d'Italia, alla guida di quella che veniva considerata "cavalleria". Lo stato miserevole delle truppe, la mancanza di cavalli e quelli che possedevano erano o malati o addirittura mangiati dai soldati, gli impedirono l'azione. Fino all'arrivo di quel giovane comandante di origine corsa, che dopo la riforma totale dell'esercito e le prime incredibili vittorie, aveva finalmente permesso a Stengel di scendere in campo attivamente.

Come tutti era rimasto sorpreso sia dalla giovane età, infatti poteva essere suo figlio, essendo uno degli ufficiali più anziani dell'armata, aveva cinquantadue anni, qualche anno di meno di Sérurier, sia per la sua energia e fame di conquista. Non poteva che condividere questa volontà, specialmente dopo aver vissuto per molti anni di totale inattività e perenne noia.

Tuttavia era consapevole del fatto che i cavalli di cui disponevano non avevano la stessa resistenza, la stessa stazza di quella dei nemici, erano decisamente più piccoli e magri. Non poteva imputare questo al comandante, più e più volte Bonaparte stesso aveva ribadito che le mancanze gravi dell'esercito erano dovute principalmente al disinteresse del Direttorio verso l'intera armata. Nonostante stesse facendo il possibile per ricevere gli equipaggiamenti adeguati, dovevano puntare soltanto sul loro indomito coraggio e sulle sue tattiche, non avevano altro. Per questo la sconfitta non era contemplata, dovevano dare uno scacco ai direttori di Parigi e iniziare a puntare seriamente le attenzioni verso di loro.

- Inoltre uno dei suoi aiutanti di campo, il colonnello Murat - emise mentre lo vide passare davanti, fischiettando la Marsigliese, con il suo aspetto imponente e quasi pittoresco, aveva un'uniforme molto elaborata e particolare - È stato messo alla testa di un reggimento di dragoni - lo aveva visto combattere in quei mesi ed era effettivamente meritevole di quell'incarico, nonostante la giovane età, per questo era decisamente più sereno nell'averlo tra i suoi.

Mondovì

Nel frattempo, tra i reggimenti di fanteria, il generale Sérurier moriva dalla voglia di accantonare quella brutta esperienza, avvenuta i giorni precedenti e di dimostrare al comandante di avere ancora la stoffa per combattere: non voleva deluderlo più. Era questione anche di orgoglio personale, l'ultima cosa che desiderava era di suscitare pietà, soprattutto da parte dei suoi uomini - Non ho rinunciato alla pensione per questo - emise, spinto da una forza interiore che aveva risvegliato in quei mesi. Ora doveva soltanto riversarla sul nemico per riottenere prestigio e, soprattutto, la vittoria.

La sua divisione marciava e stava attraversando il lato sinistro del torrente Corsaglia, ubicato tra Ceva e Mondovì, accanto a quelle di Augereau e di Masséna, che lo consideravano quasi come una spina nel fianco, soprattutto dopo le recenti sconfitte. Inoltre non avrebbero potuto arraffare e saccheggiare con quel vecchio tra i piedi; conoscevano fin troppo bene la sua nauseabonda onestà. Però, per non contravvenire agli ordini del comandante e soprattutto per evitare ulteriore confusione, specialmente in un momento del genere, dovettero sopportarlo.

L'anziano generale cominciò a muoversi verso Vicoforte, come gli era stato ordinato, per unirsi alla cavalleria poco distante e, mosso dall'impeto, occupò la cittadina nel giro di poche ore, dimostrando ancora una volta di essere all'altezza della situazione. Senza sprecare energie e tempo preziosi, procedette rapidamente nella vicina Mondovì, quest'ultima affacciata sull'Ellero. I piemontesi che si erano stabiliti lì, del tutto presi alla sprovvista, niente affatto pronti, non riuscirono ad erigere delle linee difensive abbastanza resistenti da poter arginare il danno e contrattaccare.

I colleghi presero ad attaccare le posizioni nemiche, Masséna a San Michele, dove vi era la divisione di Laharpe che lo aspettava e Augereau, a Castellino, per minacciare le comunicazioni piemontesi a nord-est; mentre Sérurier ne approfittò per prepararsi a sferrare l'attacco decisivo "Sarò io ad avere il merito della vittoria, questa volta" si era riacceso lo spirito competitivo.

Il comandante Bonaparte, nel frattempo, teneva d'occhio la situazione, muovendosi da una parte all'altra, controllando gli spostamenti e l'evoluzione della battaglia, attraverso il suo cannocchiale; pur rimanendo nelle retrovie e ad una certa distanza, era sempre pronto ad intervenire personalmente, in caso di estremo pericolo o di assoluta emergenza. Il battersi in prima fila non lo spaventava di certo, la cosa migliore da fare, però, era di rimanere accanto ai suoi aiutanti.

In quello stesso istante il generale Sérurier aveva formato una specie di trincea umana, composta da fucilieri e si era posizionato dietro di loro. Estrasse rapidamente la sciabola, scrutando il nemico che si stava avvicinando in ranghi serrati. Voltò lo sguardo al trombettiere, il quale stava aspettando l'ordine, nel mentre cercava di frenare la paura che lo stava assalendo più che mai e gridò - Ragazzo, suona l'attacco! Per la Francia! Per la Rivoluzione! - puntò l'arma davanti a sé.

Il giovane annuì e, una volta passato il timore, diede fiato alla sua tromba. A quello squillo i soldati mutarono in una vera e propria macchina da guerra e ripeterono - Per la Francia! Per la Rivoluzione! - e marciarono compatti verso i piemontesi, bramosi di vittoria e di bottino. Sérurier non fu meno prode di loro e anche se protetto dai suoi, si esponeva al pericolo al pari di loro: doveva dare l'esempio. L'assalto fu feroce e rapidissimo, la superiorità numerica dei sardo-piemontesi non li salvò dalla veemenza dei francesi. Alle 16 Colli fu costretto a ritirarsi dalla cittadina di Mondovì per arretrare verso Carrù e Fossano: non c'era più possibilità di ribaltare la situazione, i sardi piemontesi avevano subito perso circa 3.000 uomini tra morti e feriti. I francesi catturarono 1.500 prigionieri, otto cannoni e dieci bandiere, che si aggiungevano alle altre già in loro possesso.

Cassanio

La cavalleria o meglio una parte, costituita dai reggimenti guidati da Stengel, tuttavia, non ebbe la stessa fortuna, i loro miseri cavallini non potevano competere con i bestioni dei piemontesi: i francesi diedero tutto loro stessi, si batterono come leoni, utilizzando ogni briciola di energia che possedevano, ma non avevano la sorte dalla loro parte. Nel mentre stavano attaccando un reggimento, due squadroni, sbucati all'improvviso, fecero andare nel panico i francesi. Stengel si riprese subito e ordinò, sia in francese che in tedesco, di reagire e cambiare formazione.

I dragoni erano allo sbaraglio, incapaci di ricompattarsi e di riorganizzarsi, nonostante i comandi - Qualcuno difenda il generale! - strillò animoso uno dei suoi sottoufficiali - È esposto più di tutti al pericolo! - stava per correre in suo soccorso, quando notò che, al pari di un lampo, uno degli ufficiali piemontesi si era lanciato contro Stengel e gli aveva sparato con la pistola sul braccio sinistro e altri si accanirono sul povero franco-tedesco usando le loro sciabole. Come se non bastasse una cornetta, ossia un ufficiale di cavalleria che aveva il compito di portare l'insegna del reparto con battente a due punte, avendo letteralmente disintegrato la sciabola, usava la punta dello stendardo su chiunque gli capitasse a tiro.

- Ho fatto più in fretta che potevo, dannazione - disse tra i denti il colonnello Murat, sforzandosi di non imprecare; il suo reggimento era stato l'unico a tenere testa ai piemontesi e anche a farli ritirare. Nemmeno il tempo di godersi il risultato che era era stato informato della situazione del povero generale e rimase letteralmente sconvolto nel ritrovarsi quegli uomini sbandati e senza una guida, mentre Stengel veniva ferito quasi mortalmente, senza, però, arretrare - Portatelo via immediatamente, prima che venga ucciso, forse si può ancora salvare, almeno lui... - subito venne trasportato al sicuro nella cappella di San Paolo e in seguito all'ospedale di Carassone, una frazione di Mondovì, per essere curato. Immediatamente il comandante venne informato della triste vicenda.

Fu l'unica vittoria dei Piemontesi in quella Campagna, ma fu una breve parentesi, Murat riuscì a sconfiggerli e ad inseguirli per diverse ore, dimostrando la sua straordinaria capacità di guidare, in prima linea, una carica devastante, in grado di destabilizzare anche il più organizzato degli eserciti. Aveva compiuto un autentico miracolo. Ora Torino era meno distante rispetto soltanto a qualche settimana prima.

Mondovì

L'eccitazione della vittoria conseguita si trasformò repentinamente in euforia e i soldati, non avendo più freni, ruppero le righe e si diedero al più barbaro dei saccheggi; se gli ufficiali più onesti cercavano di normalizzare la situazione e chiedevano aiuto al comandante, quelli decisamente truffaldini ne approfittavano per arricchirsi personalmente, fingendo di non notare da dove provenissero gli oggetti che si trovavano tra le mani o direttamente nelle tasche.

Carrù, 24 aprile

Le razzie continuarono ininterrottamente per ben 48 ore, dovette intervenire personalmente il comandante, ancora decisamente sorpreso e stupito della vittoria ottenuta a Mondovì, a riportare la disciplina, con un ordine del giorno in cui si congratulava per l'ottimo risultato, esprimendo, allo stesso tempo, il disgusto più totale 'Per il vergognoso saccheggio al quale si abbandonano gli uomini perversi, che si uniscono al loro corpo solo dopo la battaglia e si macchiano di eccessi che disonorano l'esercito e il nome dei francesi' fu particolarmente duro, in quanto ci teneva alla reputazione, dopo la fatica fatta per giungere a quel risultato, non voleva passare per un capo di briganti.

'I generali sono autorizzati a destituire gli ufficiali che avranno, con il loro esempio, autorizzato il vergognoso saccheggio al quale ci si sta abbandonando in questi giorni' concluse così, ci teneva a ribadire la sua totale disapprovazione per un simile gesto. Per Bonaparte c'era una differenza abissale tra il vivere delle risorse del paese, ovvero trovare ciò che serve per il sostentamento e il rubare, razziare, con il primo atto si restava soldati, con il secondo si diventava, ai suoi occhi, dei vili ladri che non meritavano alcuna considerazione.

Inoltre era venuto a sapere della condizione del comandante della cavalleria Stengel ed era sinceramente dispiaciuto per lui, infatti non esitò a ricordare l'accaduto. Così come fu molto contento del lavoro svolto dal suo aiutante di campo Murat, che fece subito intendere di apprezzare le lodi del proprio capo "È meglio che vederlo infuriato come l'altra volta, ricordo ancora i brividi che ebbi".

Il giorno prima, il 23, per avere effettivamente conferma del risultato ottenuto e della portata della vittoria, il generale Colli aveva mandato un suo inviato a chiedere una tregua e Napoleone avrebbe voluto accettare più che volentieri, in particolare, per rispetto che nutriva nei confronti del nemico "Sono stati degli ossi duri e più volte mi hanno messo in seria difficoltà, ma che gusto ci sarebbe stato se la vittoria fosse stata semplice da ottenere" pensò nel mentre stava scrivendo al Direttorio.

Anche se non ne aveva alcuna voglia e neppure intenzione, gli sembrava quanto meno giusto informarlo su eventuali decisioni che avrebbe preso, soprattutto perché aveva intenzione di mandare le bandiere conquistate, a testimoniare la riuscita della prima parte della Campagna. La fine delle ostilità con i Piemontesi, per giunta, avrebbe potuto ristabilire ulteriormente la disciplina e l'ordine tra le truppe 'Non avete idea della situazione dell'esercito, senza pane, senza disciplina...Non potete immaginare cosa sia la mia vita: arrivo stanco e devo vegliare tutta la notte, per controllare e per andare dappertutto a ristabilire l'ordine' le ultime due giornate erano state sfiancanti persino per un uomo dalla tempra di ferro come Napoleone. Riuscire a ricompattare delle schegge impazzite era tutt'altro che facile.

Non che gli altri giorni fossero stati più leggeri, però il tenere il pensiero costantemente rivolto alle battaglie, alle tattiche, ai movimenti dei suoi e del nemico lo facevano rimanere all'erta e pronto a scattare; non sentiva minimamente la stanchezza o al massimo la riservava nei brevi momenti in cui si rilassava nella vasca o si appisolava 'Il soldato senza pane arriva ad eccessi di furore che fanno vergognare di essere uomini. Ho intenzione di dare esempi tremendi'. Solo alla fine del rapporto menzionò, tramite la calligrafia pulita del fido Berthier, l'eroica impresa di Murat e preannunciò l'invio di Junot con le 21 bandiere catturate al nemico. "Il Direttorio vuole prove concrete, ebbene gliele darò, così non dubiterà più".

Tuttavia Bonaparte voleva avere la resa totale dei piemontesi e per costringerli, di conseguenza, all'armistizio fece rimettere in marcia alcuni dei suoi generali: l'immancabile Masséna avrebbe raggiunto Cherasco, che era l'obiettivo principale del comandante, Augereau, invece, Alba, Laharpe puntare su Acqui, con lo scopo di monitorare e distrarre le armate del sempre più confuso Beaulieu, che non aveva capito nulla di ciò che era successo al prezioso alleato.

Soltanto allora il corso poté riposare e dedicarsi all'ultima mansione della giornata che si era prefissata: scrivere alla sua amata Joséphine. Aveva ricevuto finalmente le sue lettere e ciò l'aveva riempito di gioia - Anche se sempre formali e brevi - precisava sempre tra sé.

- Si può? - udì provenire dall'esterno, riconobbe la voce e sorrise.

- Certo entra pure Giuseppe - rispose subitamente Napoleone. Non poteva che essere che lui, a quell'ora. Immediatamente lo vide dentro la tenda, cercando di non mostrare la stanchezza che aveva - Sei venuto nel momento giusto...

Il fratello maggiore si avvicinò e sporse il collo verso la scrivania del minore - Non hai ancora scritto quindi?! Anche il vittorioso Napoleone è esausto! - emise scherzoso, sedendosi pesantemente poco lontano da lui.

- Stavo per iniziare - ci tenne a precisare Napoleone - Però hai ragione, sono decisamente stanco, soprattutto questi ultimi giorni sono stati estenuanti - si massaggiò le tempie - Quei soldati mi hanno fatto penare, ma per fortuna la disciplina sta tornando anche nei ranghi più scalmanati - sospirò, si appoggiò alla sedia e cominciò a dondolare.

Giuseppe lo fissava, nonostante avesse ammesso la sua stanchezza non riusciva a stare fermo, era più forte di lui, ridacchiò per poi riferire - Sei sicuro che non ti serva aiuto per l'armistizio con i Sardo-piemontesi? - domandò a voce piuttosto bassa.

- Non sarà qualcosa di difficile dal punto di vista diplomatico Giuseppe - affermò sicuro e quasi spavaldo - Perciò vai a Parigi con tranquillità, anzi ti consiglio di farlo non appena finisco di scrivere la lettera - aggiunse ammiccante, forse era l'ennesima tattica per evitare quel viaggio, dopodiché si rimise composto e prese a giocherellare con la penna d'oca - Sarà un'ottima occasione per conoscervi fratello mio e poi - piantò gli occhi grigi sul ritratto della moglie, lo prese tra le mani, il dito sottile passava sulla cornice - E poi con le tue doti potrai convincerla a farla venire qui con Junot, una volta che avrà consegnato le insegne al Direttorio...

- Certo fratello - sospirò Giuseppe, consapevole del fatto che non avrebbe potuto disobbedire. Il problema sarebbe stato convincere proprio Josèphine. Non le pareva la moglie devota che ricambiava allo stesso modo il sentimento di suo fratello. Però vederlo abbracciare e baciare in modo innamorato, per non dire quasi ossessivo, quel piccolo ritratto e le parole che usava quando la descriveva, gli impedivano di essere sincero e di dirgli ciò che pensava veramente di quella donna. Ci aveva provato una volta e subito si era messo sulla difensiva. Non era così felice, spensierato e rilassato da anni ormai, doveva essere contento di questo - Ovviamente non dimenticare poi di parlare con Barras riguardo a qualche posto libero che potrebbe darmi

Tale frase fece tornare alla realtà Napoleone e annuì - Non temere fratello, sai che per me la famiglia è tutto, non ho dimenticato, anche perché sarebbe ingiusto non darti un impiego degno della tua bravura, del tuo buon cuore e della tua costanza, solo in questa maniera Barras penserà che non sia per nepotismo, ma per merito e capacità - mormorava, tenendo la bocca vicino al suo orecchio.

Giuseppe ringraziò mormorando a sua volta, per sua fortuna Napoleone aveva a cuore il loro benessere e pensava lui a come sistemare le eventuali pratiche burocratiche.

- Ah avrei un favore da chiederti prima di scrivere e di mandarti via - afferrò il borsello con i soldi, lo vuotò leggermente e diede delle monete al fratello, che aveva aperto la mano - Questi sono duecento luigi, non so se ne abbia realmente bisogno, ma vorrei che glieli dessi comunque a mia moglie, chissà forse la renderanno più felice e non c'è niente di più bello, appagante, per un uomo che rallegrare la propria donna e viceversa - Giuseppe recepì il messaggio e li mise da parte - Inoltre la cara Hortense mi ha chiesto e desidera dei profumi, è proprio una ragazzina gentile, glieli prenderò in questi giorni, spero mi perdonerà - ridacchiò dolcemente.

Giuseppe restava sempre stupito del carattere del fratello, passava dalla severità implacabile, inesorabile, alla dolcezza ingenua e quasi eccessiva, era contento di constatare l'effettiva premura nei confronti della famiglia acquisita, ma temeva sempre che approfittasse della generosità di Napoleone per continuare a fare la bella vita alle sue spalle. Da questo punto di vista era decisamente uno sprovveduto e aveva paura che potesse illudersi ancora una volta, come era stato per Paoli. La delusione lo avrebbe distrutto nuovamente - Ti lascio alla tua lettera fratello - si alzò di scatto - Da solo saresti meno vincolato nella scrittura, ti conosco bene, appena avrai finito chiamami...- si voltò non sentendo la risposta, Napoleone era già immerso nelle sue fantasie erotiche e letterarie "Sei rimasto il solito sognatore... Nabulio...".

 

   
 
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