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Autore: Kimando714    17/08/2022    1 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 27 - BIRD SET FREE



 
So lost, the line had been crossed
Had a voice, had a voice but I could not talk
You held me down
I struggle to fly now

But there's a scream inside that we all try to hide
We hold on so tight, we cannot deny
Eats us alive, it eats us alive
 
Era una bella giornata, di quelle in cui il sole scaldava senza scottare, in un cielo talmente azzurro da sembrare appena uscito dal pennello di un pittore. Il giorno prima aveva piovuto per ore, fino a tarda notte, ed ora l’odore di pioggia si mischiava all’aria salmastra che si respirava sempre, in quei giorni di fine giugno, a San Marco.
Alessio si sarebbe allentato volentieri la cravatta blu, ma cercò di trattenersi dal farlo: non voleva apparire sciatto o con i vestiti scomposti, proprio quando mancava così poco al suo turno per salire sul palco delle proclamazioni.
Era in quel piazzale da un po’ di tempo, e come ad ogni proclamazione ogni studente era invitato a ritirare direttamente sul palco il diploma di laurea, dopo essere stato chiamato dal rettore. Si trattavano di pochi secondi, giusto il tempo di salire, stringere un po’ di mani dei professori presenti, e scendere dall’altro lato del palco. Nulla di più semplice, eppure, esattamente come due anni prima, Alessio sentiva la scarica elettrica dell’agitazione e dell’eccitazione muovergli tutto il corpo.
Lanciò un’occhiata verso le sedie riservate ai parenti dei neolaureati, allestite in mezzo alla piazza. Anche da lì, in piedi vicino al palco, riusciva a distinguere il gruppetto venuto apposta per lui: Alice, seduta di fianco a sua madre e sua sorella, alcuni amici dell’università, ed infine lo stesso gruppetto di amici che condivideva con Pietro, cioè Caterina e Nicola con Francesco in braccio, e Giulia e Filippo.  Anche gli invitati di Pietro erano seduti lì vicino ai suoi, nella fila di sedie subito dietro a quella occupata dai suoi parenti ed amici.
Si girò un po’, e ciò gli bastò per scorgere Pietro, poco distante da lui. A dividerli c’erano solo alcuni altri laureati come loro, ai piedi del palco, in attesa del loro turno di salirvi.
Alessio lo studiò in viso: all’apparenza Pietro sembrava del tutto tranquillo, come se nulla fosse. Era solo ad uno sguardo più indagatore che si potevano scorgere tutti i segni dell’emozione del momento: la mano che andava sempre a spettinare i capelli castani, o ad aggiustare la cravatta già a posto così.
Non avevano ancora avuto modo di parlarsi molto. Ognuno era arrivato già accompagnato dalle proprie famiglie, e Alessio non aveva avuto abbastanza coraggio per avvicinarsi a Pietro mentre era con Giada a chiacchierare amabilmente con i propri genitori, prima che la proclamazione iniziasse.
Quel che di positivo vi era, era che era stato Pietro per primo a scorgerlo in mezzo alla marea di studenti ed invitati che occupavano la piazza quella mattina. Alessio l’aveva notato dopo essersi girato nella sua direzione, dopo aver avuto la sensazione di essere osservato; Pietro gli aveva lanciato un cenno di saluto, che non aveva nulla di troppo amichevole, ma che almeno sembrava lasciar fuori i dissapori che vi erano stati nei mesi passati.
Si erano scambiati qualche parola solo quando si erano dovuti avvicinare a quel palco, cinque minuti prima. Parole talmente formali che ad Alessio parvero quasi più un passo indietro, che uno avanti. Nell’ultimo mese aveva ripensato spesso a come si erano parlati quel giorno davanti alla segreteria, alla rosa che gli aveva regalato, e a tutto quello che avrebbe potuto significare. Evidentemente la speranza di una riappacificazione era soltanto un’illusione: d’altro canto era stato uno stupido a sperarci, quando lui per primo non aveva mai voluto saperne nulla di ciò da cui era partito tutto il risentimento di Pietro.
Aveva cominciato a pensare di dover accettare l’idea che, fino a quando non sarebbe stato lui stesso ad accettare di poter scoprire cose che non gli sarebbero piaciute di sé, nessun tentativo per riavvicinare Pietro avrebbe funzionato. Il problema era che non aveva alcuna intenzione di dissotterrare ricordi nascosti nella memoria, ricordi annebbiati e che aveva dimenticato.
 


Il caldo gli aveva appiccicato la camicia alla pelle, e Pietro non vedeva l’ora di potersi togliere la maledetta giacca. Doversi vestire elegantemente, a fine giugno, era sempre un trauma vero e proprio: si ritrovava sempre a sudare, a doversi scostare i capelli appiccicati alla fronte, e a sperare di arrivare a casa e davanti al ventilatore il prima possibile. Se poi ci si aggiungeva anche l’ansia, il tutto non poteva che peggiorare.
-Fermi così, ancora un attimo!- urlò sua madre, in direzione sua e di Giada. La proclamazione era finita da appena cinque minuti, e Pietro aveva fatto appena in tempo a tornare dalla sua famiglia, che sua madre l’aveva accolto commossa con la macchina fotografica in mano, pronta ad immortalare ogni singolo secondo. Suo padre gli aveva messo in testa la corona d’alloro, ed in quel momento Pietro si ritrovava a dover stare in posa per l’ennesima foto commemorativa con Giada, dopo averne fatte altre rispettivamente con i suoi genitori e i suoi fratelli.
Si sentiva frastornato dalla confusione che stava vivendo intorno a sé: sua madre che non smetteva di fotografarlo e piangere, suo padre che lo guardava finalmente orgoglioso, in mezzo a quella piazza piena di tantissimi altri genitori che condividevano con lui la stessa emozione per i rispettivi figli.
Pietro, sciolto l’abbraccio con Giada, vagò con lo sguardo: Giulia, Filippo, Nicola e Caterina con Francesco non erano molto distanti. Erano anche loro in piedi, sorridenti, a parlare con Alessio. Anche a lui avevano messo la corona d’alloro sul capo, scompigliando i capelli biondi che presto, se non li avesse accorciati, avrebbero facilmente raggiunto le spalle. Pietro non lo aveva mai visto con i capelli così lunghi, e non poteva fare a meno di ammettere a se stesso – con parecchio dolore-, che gli donavano inaspettatamente parecchio; sotto le luci del sole mattutino dell’estate apparivano ancora più dorati.
Sembrava felice, in quel momento, Pietro glielo poteva leggere in faccia. E anche se non avesse avuto quel sorriso luminoso ad increspargli le labbra, ne sarebbe stato sicuro ugualmente: Dio solo sapeva quanto Alessio aveva aspettato quel traguardo, il punto d’inizio da cui poteva sbocciare una promettente carriera che lui aveva cercato con tutte le sue forze.
Si lasciò sfuggire un sorriso, più malinconico che altro. Non era più riuscito a vedere Alessio allo stesso modo, dopo quella sera di dicembre, ma quel giorno era diverso. Non sarebbe riuscito ad avercela con lui nemmeno provandoci, forse perché, dopotutto, il dolore di Alessio nel non poter essere sicuro di poter rincorrere i propri sogni lo ricordava anche fin troppo bene. Forse lo rammentava perché era stato un dolore anche suo, vedere la persona che amava incapace di poter scegliere cosa fare della sua stessa vita.
Osservò Alessio allontanarsi poco a poco dai loro amici, sempre con lo stesso sorriso allegro in viso; Pietro continuò a seguirlo con lo sguardo, e fu in un attimo soltanto che decise di seguirlo subito, prima di perderlo in mezzo alla folla.
-Pietro, che ne diresti se … - Giada gli si era avvicinata ancora, ma Pietro si girò verso di lei giusto il tempo per riconsegnarle velocemente la corona d’alloro, e dirle trafelato:
-Aspetta un secondo, devo prima fare una cosa. Torno subito-.
Non riuscì nemmeno a scorgere l’espressione confusa di Giada, perché si era già voltato di nuovo, ed aveva cercato di farsi spazio nella folla, sperando di accorciare le distanze da Alessio.
Non sapeva dove fosse diretto: tutta la sua famiglia era rimasta lì, dove l’aveva aspettato fino alla fine della proclamazione, quindi non era di certo diretto al luogo dove aveva prenotato il rinfresco. Qualche idea gli sopraggiunse solo quando lo vide infilarsi in un bar della piazza: forse aveva bisogno di un bagno.
Pietro sbuffò tra sé e sé: se ci avesse visto giusto, sarebbe stato ironico volergli parlare in un luogo analogo a quello dove si erano baciati, e dopo il quale tutto era cambiato.
Oltrepassò i tavolini esterni, e una volta entrato nel bar scorse Alessio prendere davvero la via della toilette. Cercò di affrettare il passo, arrivando ad aprire la porta dopo appena un secondo da quando l’altro l’aveva richiusa.
Si fermò sulla soglia, accorgendosi per la prima volta da quando aveva lasciato la piazza di avere il fiatone e il cuore a mille; prima, nella foga di non perdere di vista Alessio nemmeno un secondo, nemmeno aveva fatto caso all’agitazione che lo teneva attanagliato all’altezza dello stomaco.
Alessio se ne stava lì in piedi, davanti a lui, chino sul lavandino della toilette, intento a rinfrescarsi il viso e la poca pelle del collo lasciata scoperta dal colletto della camicia. Pietro non disse nulla: si limitò ad osservarlo, ora in imbarazzo ed indeciso su cosa dire.
Ci vollero pochi altri secondi prima che Alessio alzasse il viso, probabilmente sentendosi osservato, accorgendosi di Pietro dal riflesso dello specchio poco sopra il lavandino. Pietro lo vide accigliato, ma fu solo questione di un secondo: quasi pensò di essersi sognato la meraviglia che aveva attraversato il volto ora umido di Alessio per quel breve istante.
-Ehi- disse infine, impacciato. La sua voce era ben distante dal tono freddo e distaccato che aveva sempre usato con lui da dicembre.
-Ehi- Alessio gli rispose al saluto guardando la sua immagine riflessa – Non mi ero accorto che mi stessi seguendo-.
Si rimise a schiena dritta, allontanandosi dal lavandino e afferrando delle salviette per asciugarsi almeno le mani. Non sembrava particolarmente teso, e Pietro lo reputò come un segno sufficiente per avvicinarsi di più.
-Non ti stavo seguendo- cercò di correggerlo. Alessio si voltò verso di lui, un sorriso stampato in faccia che sembrava esprimere quanto poco convincente fosse risultato.
-Ok, forse sì-.
-Va tutto bene?- Alessio buttò le salviette nel cestino sotto il lavandino, e si girò a fronteggiarlo. Tra loro due Alessio era quello decisamente più rilassato, o perlomeno quello che dissimulava meglio la tensione in quel momento. Pietro alzò le spalle, facendo finta di pestare un pezzo di carta sul pavimento:
-Sono solo un po’ accaldato-.
-Solo un po’? Non so se esista ancora un tuo centimetro di pelle che non sia sudato-.
-Nemmeno tu sei messo meglio- replicò Pietro, alzando il viso.
Alessio si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, spostandosi una ciocca di capelli biondi che gli era finita davanti agli occhi:
-È il 26 di giugno, che ti aspetti?- gli domandò retorico, appoggiandosi contro il bordo di uno dei lavandini, con aria che a Pietro parve fintamente disinvolta – Come ti senti?-.
-Bene. Ancora un po’ incredulo sul fatto che stavolta sia davvero finita, ma … Bene- rispose Pietro, avanzando di un altro passo, ed avvicinandosi sempre più ad Alessio, lentamente.
In realtà non sapeva bene ancora come sentirsi. Era un sollievo aver finito l’università, oltre che una soddisfazione, quello sicuramente. Il suo 100 un po’ sfigurava al confronto del 106 di Alessio, ma lui l’aveva accettato di buon grado, senza lamentarsene nemmeno una volta.
Dall’altro lato, il periodo delle certezze era irrimediabilmente finito. L’idea di iniziare a lavorare e basta, iniziare una nuova vita e una nuova routine lo spaventava più di qualsiasi altra cosa.
-È finita eccome, invece. Da oggi non saremo più studenti universitari- mormorò Alessio, pensieroso. Pietro era sicuro che per lui la fine dell’università rappresentasse solamente buoni auspici, nonché miliardi di nuove esperienze da poter fare. Era come un uccello che si era finalmente liberato dalla gabbia in cui aveva vissuto fino a quel momento, e che finalmente poteva spiccare il volo.
-È per questo che ti ho seguito- Pietro parlò senza pensarci troppo su, perché sapeva che se l’avesse fatto non sarebbe mai riuscito a dire come mai aveva seguito Alessio fin lì – Volevo parlarti-.
Dopo quelle parole, sulla fronte di Alessio comparve una ruga ulteriore; guardava di rimando Pietro con aria corrugata, come se d’un tratto fosse preoccupato dalla piega che stava prendendo la conversazione.
-C’è qualcosa che non va? Oltre a tutto il resto, intendo-.
Per un attimo a Pietro parve di essere tornato indietro di più di un mese, quando ancora riservava ad Alessio quasi nessuno sguardo e quasi nessuna parola. Doveva averlo pensato anche Alessio, ne era sicuro: glielo leggeva negli occhi chiari e meno luminosi rispetto ad un secondo prima.
Pietro fece segno di diniego scuotendo il capo, lentamente; era difficile, in quel momento, mettere insieme tutte le parole che si era ripetuto moltissime volte nella sua testa, sin da quella mattina. Era difficile anche tornare a parlare ad Alessio con una parvenza di normalità, come se gli ultimi mesi non fossero mai esistiti, ma doveva sforzarsi, se non voleva far risultare tutto vano.
-Lo so bene quanto tu questa laurea te la sia sudata. Ricordo ogni singolo momento, ogni singola parola che hai speso o detto per arrivare fino a qui. Ricordo quando pensavi che non ce l’avresti mai fatta, e ricordo anche quanto ti sia costato ogni sforzo per farcela lo stesso, con le tue forze. Lo so che negli ultimi mesi non ti ho praticamente rivolto la parola, e ora ti sembrerà strano che io dica questo. E lo è, in effetti … - Pietro continuò a guardare altrove, in qualsiasi direzione, senza mai incrociare gli occhi di Alessio per non rischiare di crollare proprio all’ultimo – Ma credimi se ti dico che sono davvero felice per te-.
Combatteva contro la voglia di scoprire che espressione doveva aver assunto Alessio, dopo quelle parole. Un attimo dopo rinunciò a qualsiasi proposito che si era prefissato fino a quel momento, e riportò gli occhi sull’altro.
Alessio sembrava incredulo, e non tentava nemmeno di nasconderlo. Forse non aveva ancora detto nulla per la troppa sorpresa, o forse perché ancora doveva decidere se quello che Pietro aveva appena detto era tutto un sogno o la realtà tangibile.
Nell’attimo in cui aveva alzato gli occhi verso di lui, Pietro aveva lasciato da parte qualsiasi cautela che si era ripromesso di mantenere prima di seguirlo fino a lì, il ricordo di tutte le cattive parole che si erano scambiati negli ultimi mesi; camminò fino ad arrivare di fronte ad Alessio, e gli buttò le braccia al collo.
Non era rimasto a pensarci molto, prima di abbracciarlo in quella maniera un po’ impacciata e un po’ disperata: era stato tutto istintivo, talmente tanto che ora si sentiva leggermente in imbarazzo, ma nel posto giusto e con la persona giusta.
Era strano ritrovarsi così vicino ad Alessio dopo tutto quel tempo. L’ultima volta che era riuscito a respirarne il profumo, a sentire il calore del suo corpo, era stato sempre in un bagno, di un diverso locale, in pieno inverno. In una serata di cui ricordava tutto ancora troppo bene, e che gli faceva male come se fosse appena accaduto tutto di nuovo.
Sentì Alessio inizialmente irrigidito nel suo abbraccio, ma fu una sensazione che durò solo alcuni secondi; ricambiò l’abbraccio, poggiandogli le mani sulla schiena, stringendolo ancora un po’ a sé. Superati l’incredulità e il disagio iniziale, quello sembrò essere il gesto più spontaneo che c’era stato tra di loro da mesi.
-Lo so che le cose tra di noi ultimamente non sono andate esattamente secondo i piani- Alessio mormorò appena, la voce più roca e venata di malinconia – Avrei voluto fosse andata diversamente-.
Pietro inspirò forte, mentre abbassava le palpebre per un attimo, cercando di nascondere le lacrime silenziose che si erano fermate agli angoli degli occhi. Sapeva che Alessio lo credeva davvero: l’aveva percepito in ogni suo tentativo di riavvicinamento degli ultimi mesi, tutti gesti che però non erano bastati a cambiare le cose.
Non sarebbero cambiate nemmeno con quell’abbraccio, Pietro ne era certo. Era troppo poco, e troppo tardi, per perdonare l’indifferenza di Alessio di quell’inverno, quella sua codardia nel non volere sapere nulla che non rientrasse nei suoi piani di vita.
Eppure in quel momento, e per tutto il tempo in cui quell’abbraccio sarebbe durato, andava bene anche così. Un ultimo gesto di vicinanza, di muto amore, prima di tornare alla solita distanza.
-Anche io. Non sai quanto-.
 
I shout it out
Like a bird set free [1]
 
*
 
L'ho nascosto dentro me
Così bene in fondo a me
Che la vedo la tua luce, sai
Ma non riesco a ritrovare il tuo nome
 
Si sentiva girare un po’ la testa a causa dell’alcool, del caldo e della stanchezza che ormai aveva sostituito l’agitazione.
Era arrivato al bar dove si sarebbe tenuto il rinfresco della sua laurea almeno un’ora prima, e Pietro non aveva quasi avuto il tempo per pensare a niente. Ogni secondo era stato riempito di foto scattate a lui, insieme a parenti ed amici a turno, o dai soliti sfottò indirizzati ai nuovi laureati. Tutte cose che aveva passato anche alla triennale, anche se questa volta non c’erano papiri da leggere o strani vestiti da indossare, come i consueti scherzi ai laureati prevedevano.
In quel momento si trovava seduto a capotavola, al tavolo riservato alla sua famiglia e agli altri invitati al rinfresco. Era riuscito a sedersi solo da pochi minuti, quando finalmente si era lasciato alle spalle anche l’ultima foto scattata – con i suoi genitori-, e per la prima volta da quella mattina aveva potuto finalmente rendersi conto di quanto si sentisse stanco fisicamente e mentalmente.
Non aveva ancora del tutto realizzato tutti gli eventi occorsi fino a quell’istante. Gli sembrava di averli vissuti come rinchiuso in una bolla, in un sogno distante. Ricordava solo alcuni dei momenti vissuti quella mattina, ma forse doveva imputare maggiormente l’alcool ingerito per quella specie di perdita di memoria.
Si lasciò sprofondare lentamente sulla sedia, una mano appoggiata alla fronte dolente.
Aveva cercato con tutte le sue forze di arginare il ricordo del profumo di Alessio nelle narici in un angolo remoto della sua memoria, seppellendolo sotto tutto il resto che era successo in quella giornata. Gli era risultato piuttosto difficile riuscirci: dovunque si girasse, in quel bar, riusciva quasi a rivedere la propria immagine, come ad un occhio esterno, abbracciata con forza a quella di Alessio.
Forse era risultato un abbraccio tormentato. Sì, probabilmente se qualcuno li avesse visti l’avrebbe definito così. Un abbraccio così tanto sofferto e totalmente tormentato.
Si era chiesto a lungo se anche Alessio l’aveva considerato con gli stessi occhi. Magari lui l’aveva trovato sorprendente, inaspettato – sicuramente era così-, ma non qualcosa di straziante. D’altro canto, forse, lui non avrebbe mai abbinato la concezione di addio a quell’abbraccio, al contrario suo.
L’assenza di Alessio sembrava sottolineare ancora di più quella concezione. Pietro aveva passato i primi minuti nel bar a guardarsi intorno, senza sapere bene cosa cercare – un paio di occhi chiari? Le mani di Alessio che l’avevano stretto nemmeno un’ora prima? Il sorriso dell’unica persona di cui gli importava veramente, e che l’aveva irrimediabilmente ferito?.
Ora cominciava ad averne un’idea. Cercava Alessio, e non l’aveva trovato. Un po’ come era capitato sempre negli ultimi mesi, anche se quel giorno era diverso.
 
Occhi blu
Non respiri più con me
Occhi blu
Io non ero come te

Ma non riesci ad esser mai
Davvero quel che vuoi
La vedo la tua luce, sai?
La vedo la tua luce, sai?
Ma non voglio a ritrovare il tuo nome
 
-Che fai qui tutto solo?-.
Pietro quasi sobbalzò, quando Giada gli aveva parlato a pochi centimetri dall’orecchio. Si sporse subito a scoccargli un bacio sulla guancia, prima che Pietro potesse anche solo realizzare di averla così vicino. Cercò di ricomporsi subito, pur a disagio: era sempre strano avere Giada nelle vicinanze mentre pensava ad Alessio. Inevitabilmente si sentiva un traditore, uno che la ingannava solo per non avere il coraggio di esporsi.
-Stavo smaltendo un po’ l’alcool- rispose lui, cercando di abbozzare un sorriso. Sorriso che gli risultò difficilissimo da mostrare; si dette mentalmente dello stupido, perché, in fin dei conti, quella vita se l’era scelta lui solo un mese prima. Non poteva già sentirsi pentito al solo pensiero dell’assenza di Alessio da quella festa e dal resto della sua vita.
-Stai male?- Giada apparve tutt’a un tratto preoccupata. Gli si mise di fronte, sempre piegata per far sì che i loro visi fossero alla stessa altezza – Non è che ti sta venendo da vomitare, vero?-.
-Sto bene- cercò di rassicurarla lui, alzando le mani – E no, non vomiterò. Almeno credo-.
-Molto bene-.
Giada rise, prima di allungarsi per lasciargli un altro bacio sulle labbra.
Pietro ringraziò che fosse solo un semplice bacio a stampo: dubitava seriamente sarebbe riuscito a ricambiare qualcosa di più impegnativo, per quella giornata. Era consapevole di avere la mente decisamente lontana da quel posto, da Giada e da chiunque altro fosse presente; quella consapevolezza non lo stava aiutando per niente, se non a renderlo più cosciente di quanto anche le scelte ritenute più giuste siano talvolta anche le più dolorose.
 
Un uomo può distinguersi da un'ombra
Se cerca di esser sempre causa
Di quel che gli accadrà
 
-Ti ho portato qualcosa da mangiare!- Pietro alzò gli occhi, appena in tempo per vedere sua madre arrivare di gran fretta vicino a lui, e allungargli sul tavolo un piatto stracolmo di pizzette e stuzzichini vari – Non hai fame? Non mi pare tu abbia mangiato molto-.
-In effetti sarei già stato apposto così- brontolò Pietro, guardando torvo Alessandra per qualche attimo.
-Oh avanti, non fare il difficile- lo rimproverò lei, con il tipico cipiglio da madre apprensiva. Sentì Giada ridacchiare, e anche se non la vedeva in viso – si era rialzata non appena Alessandra si era avvicinata-, era sicuro si trovasse in un momento di soggezione misto a divertimento.
Fece per afferrare un pezzo di pizza – giusto per non sentirsi dire ancora che mangiava troppo poco-, quando Alessandra gli si rivolse ancora:
-Ma sbaglio o Alessio non è passato nemmeno per un saluto?-.
Pietro sentì il proprio cuore perdere un colpo, e cercò di non rabbuiarsi troppo in viso, anche se in quel momento avrebbe preferito di gran lunga alzarsi ed andarsene piuttosto che rispondere a quella domanda.
-È andato a pranzo con la sua famiglia- mormorò Pietro, tenendo gli occhi bassi – Come è giusto che sia-.
Gli costarono non poco, quelle parole. Ovviamente non era solo questione che Alessio avesse preferito non dare alcuna festa o rinfresco per quel giorno, di certo non organizzato congiuntamente con lui, ma l’ultima cosa che voleva era intavolare una discussione con sua madre su di lui e i loro trascorsi poco conciliatori.
-È un peccato non abbiate deciso di festeggiare insieme anche per questa laurea- insisté Alessandra, con aria pensierosa. Non sembrava aver fatto troppo caso a Pietro e al suo sguardo ancora abbassato, i tratti del viso leggermente più tesi:
-Voleva fare una cosa semplice per oggi- si limitò a spiegare, sperando che anche Giada non notasse il disagio che lo stava ammantando – Non potevo certo obbligarlo a cambiare programmi-.
-Di sicuro troverete altre occasioni per festeggiare insieme- aggiunse proprio Giada, passandogli una mano sulle spalle e con un sorriso incoraggiante stampato in viso. Non sembrava particolarmente turbata dal fatto che, negli ultimi mesi, Alessio fosse pressoché sparito dalla vita di Pietro. D’altro canto, Pietro stesso non poteva darle torto: era pur sempre una persona in meno che le aveva sempre dato contro, senza nemmeno curarsi di non renderlo palese.
Pietro si sentì sollevato quando vide sua madre allontanarsi, dopo che suo padre l’aveva richiamata per domandarle qualcosa. La vide raggiungere l’altro capo del tavolo, e tirò mentalmente un sospiro di sollievo; avvertiva ancora la presenza di Giada dietro ed accanto a sé, e ringraziò che non potesse vederlo in viso. Se l’avesse fatto, avrebbe di sicuro notato il rabbuiarsi dei suoi occhi.
Sembrava quasi ironico che, nonostante la sua assenza, tutti sembrassero intenzionati a ricordargli colui che stava cercando di lasciare andare.
 
Ti nascondo dentro me
Per non ritrovarti più
La vedo la tua luce, sai?
Ma non voglio ricordare il tuo nome
 
Non sapeva quanto tempo passò da quando sua madre se ne era andata – così come Giada, che si era allontanata silenziosamente poco dopo-, fino al momento in cui l’attenzione di Pietro era stata richiamata da Giulia. Era seduta a qualche sedia di distanza da lui, abbastanza vicina per riuscire a farsi sentire alzando un po’ la voce, tra la baraonda di gente che si spostava dal tavolo al buffet.
-Il festeggiato! Dov’è il festeggiato?- Giulia si alzò in piedi un po’ barcollante, e a Pietro venne quasi da ridere – la prima risata sincera della giornata-, nel vederla così maldestra sui tacchi.
-Guarda che quello ubriaco dovrei essere io, non tu- la prese in giro bonariamente – Pippo ti ha tolto la bottiglia di mano troppo tardi?-.
-Ehi! Non è ubriaca!- protestò proprio Filippo, seduto accanto a Giulia e un po’ più vicino al posto di Pietro, che gli rivolse uno sguardo poco convinto.
-Dovresti sapere anche tu, ormai, che lei è così di natura- anche Caterina si intrufolò nella discussione, dopo essersi avvicinata alle sedie di Giulia e Filippo e restandosene in piedi dietro di loro, con Francesco in braccio e Nicola altrettanto in piedi al suo fianco.
-In ogni caso, torniamo a noi- Giulia ignorò bellamente le insinuazioni di Pietro, e gli puntò un dito contro con fare autoritario – Ci devi un discorso, dottor Cadorna-.
Pietro sgranò gli occhi, sentendo le guance arrossarsi immediatamente:
-Che? Ve lo potete scordare- replicò con fare che non ammetteva obiezioni. Dette qualche occhiata intorno: Giulia non aveva urlato eccessivamente per farsi sentire, ma l’attenzione cominciava ad essere attirata anche per quanto riguardava i parenti. Scorse i suoi fratelli, all’altra estremità del tavolo, spostare lo sguardo da lui a Giulia, così come anche Giada e i suoi genitori.
-Non fare il difficile- intervenne Nicola – E poi tu i discorsi li sai fare bene-.
Risero un po’ tutti i commensali, e Pietro, in quel momento, avrebbe preferito scavarsi una fossa nel pavimento e buttarcisi dentro.
-Nella forma forse, nella sostanza … Chissà!- Giulia insistette ancora una volta – Stupiscici-.
Pietro si morse un labbro. Si sentiva gli occhi addosso di tutti, ora, e non era una sensazione particolarmente piacevole. Non era la giornata in cui avrebbe preferito essere sotto gli occhi di chiunque, anche se era la sua laurea ed era ovvio che fosse così.
Fu però costretto ad alzarsi ed arrendersi, dopo che Giulia ebbe incitato abbastanza i restanti commensali in un coro sempre più convinto di “Discorso, discorso!”.
-Va bene, va bene! State calmi- Pietro si sentì terribilmente vulnerabile in quel momento, e pure in quell’attimo di panico gli venne da pensare ad Alessio, e alla sua disinvoltura nel parlare anche in pubblico come se nulla fosse – Non so bene cosa dire, e onestamente mi rimane davvero poca lucidità per pensarci … Volevo solo dirvi grazie, per esserci stati oggi come per esserci stati sempre-.
Degli schiamazzi si levarono dal suo gruppo di amici, e non poté trattenersi dal lanciare loro uno sguardo torvo. Poi tornò a guardare Giada, poi sua madre ed infine di nuovo loro: gli amici di una vita. Quelli con cui era cresciuto, coloro per cui aveva cercato di tirare fuori il meglio che poteva offrire al mondo, e coloro che, immancabilmente, in quella giornata, risultavano incompleti di un membro in particolare.
-Avrei voluto ringraziare anche una persona che non è qui oggi- le parole gli vennero fuori istintivamente, e solo troppo tardi si era accorto di aver ormai cominciato a parlare – Questa persona è stata ugualmente presente, ed ugualmente importante in questi ultimi anni, condividendo giorno dopo giorno questo percorso. So che questa giornata, per lui, sarà persino più importante e felice di quanto non possa esserlo per me. Spero che, un giorno, anche io possa raggiungere certi traguardi che mi faranno sentire così-.
Stavolta non ci furono schiamazzi come prima, ma solo applausi da parte di tutti. Pietro tirò un sospiro di sollievo, e fece per sedersi, non prima di rivolgere però un’ultima occhiata nella direzione di Giulia:
-Contenta ora?-.
Giulia lo guardò con aria soddisfatta, e prima che Filippo potesse anche solo vagamente intuire le sue intenzioni e fermarla di conseguenza, si alzò dalla sedia. Pietro, che si era già seduto, non fece in tempo ad alzarsi: Giulia aveva già percorso lo spazio che li separava, e in un attimo gli aveva già buttato le braccia al collo. In quel momento Pietro si sentì morire d’imbarazzo, e pregò ardentemente che qualcuno venisse in suo soccorso.
-Ma certo che sì!- gli rispose infine Giulia, guardandolo. Ora che Pietro l’aveva più vicina, poteva in effetti intuire che Giulia non fosse esattamente sobria: odorava vagamente di alcool, e le pupille erano dilatate. Pietro, guardando oltre la sua testa, scorse Filippo alzarsi per raggiungerli; non riuscì comunque a giungere prima di poter scongiurare le azioni di una Giulia alquanto brilla, che si era allungata velocemente verso di lui per stampargli un bacio leggero su una guancia.
-Ma che diavolo ti è preso?- Pietro spalancò gli occhi, più sorpreso che altro. Fece per alzarsi, riuscendoci un po’ a fatica per non doversi scrollare Giulia di dosso troppo repentinamente.
-Un piccolo premio per il nuovo dottore del gruppo- gli rispose lei, dopo essersi alzata ed aver messo mezzo metro tra di loro – A proposito, non riesci proprio a non fare dediche all’unico grande amore della tua vita, eh?-.
Pietro diresse lo sguardo altrove, sperando di non arrossire ulteriormente. Doveva aspettarselo che qualcuno intuisse a chi si era riferito durante il suo discorso. Era un rischio che non aveva molto calcolato sul momento, e per cui ora si pentiva.
-Magari non è chi credi che sia- borbottò, notando che finalmente Filippo era a solo pochi passi da Giulia.
-Certo, come no- lei lo guardò con fare poco convinto, mentre Filippo le metteva una mano sulla spalla. Pietro la guardò ancora una volta torvamente, ma la reazione che ebbe Giulia fu solo una risata divertita.
Prima che Pietro potesse ribattere qualsiasi cosa, fu Filippo a prendere la parola, trascinandola poco gentilmente distante da lui:
-Giulia, smettila di tediarlo!-.
Rivolse uno sguardo dispiaciuto verso l’altro, prima di voltarsi e trascinarsela dietro fino ai loro posti.
Pietro li osservò allontanarsi. Se ne rimase lì solo qualche secondo, però, prima di decidere che era giunto il momento di andarsi a fumare una sigaretta appena fuori dal bar. Percorse velocemente lo spazio che lo divideva dal tavolo all’uscita, rovistando nelle tasche dei pantaloni eleganti alla ricerca del pacchetto di sigarette e dell’accendino.
Appena arrivato fuori non attese oltre per accendersene una: la portò alla bocca e fece scattare l’accendino. La prima boccata di fumo non servì a rilassarlo, ma perlomeno sembrò cancellare almeno un po’ l’odore del lucidalabbra di Giulia che probabilmente aveva ancora stampato sulla guancia.
Era stata una buona idea quella di fumare per cancellarne il profumo. Non avrebbe sopportato il pensiero di averlo addosso, non quello di Giulia almeno.
C’erano stati baci, nella sua vita, di cui non avrebbe mai voluto dimenticare il sapore, la sensazione. Quello con Alessio era tra quelli: era il bacio per cui avrebbe voluto imprimere a fuoco nella sua memoria ogni singolo attimo, ogni singolo odore e sapore. Li aveva già dimenticati, ormai, ma la consapevolezza di averli conosciuti veramente, almeno una volta, lo avrebbe accompagnato ogni giorno da lì in avanti.
Avrebbe lasciato da parte lui, ma gli rimaneva il ricordo – di ciò che sarebbe potuto essere, se nessuno dei due avesse avuto troppa paura di affrontare la situazione.
 
Dimentichi il sapore, sai
Dimentichi la voce
Ma lo sai che è stato meglio così
 
-Sapevo che ti avrei beccato qui a fumare-.
Pietro non si stupì di sentire la voce di Giada dietro di lui. Non si voltò verso di lei, prendendo un’altra boccata, ma attese che fosse lei a fare la prossima mossa.
-Avevo bisogno d’aria- le rispose, a bassa voce e indifferente.
Giada gli passò le mani sotto le braccia, congiungendo le mani sul suo addome: era un abbraccio un po’ scomodo, e per un attimo Pietro ebbe l’istinto di divincolarsi. Era la sensazione che fosse tutto sbagliato ad averlo tentato di staccarsi, ma la represse quasi immediatamente. Doveva cercare di abituarsi all’idea che quella era la vita che si era appena scelto, e che quelle sarebbero state le uniche braccia che lo avrebbero stretto da quel momento. Avrebbe quasi sperato che al posto di Giada ci fosse almeno Fernando, che invece non era nemmeno lì – tutta colpa di quello stupido lavoro estivo da bagnino per cui non poteva mai prendersi giorni liberi, pensò Pietro con amarezza.
Ma erano le braccia di Giada a cingerlo in quel momento. Non erano quelle che desiderava, ma erano quelle che rappresentavano la sicurezza, la scelta più razionale. Erano quelle che avevano vinto.
E sapeva che, in fondo, non poteva esserci altro futuro al di fuori di quello. Non aveva avuto altra scelta: a volte gli addii sono l’unica via per sopravvivere.
 
Occhi blu
Tu non eri come me
Non sei tu
Chi respira su di me

Vedevo la tua luce, sai
Come dentro a un incantesimo
Vedevo la tua luce, sai
Ma ho fatto un incantesimo
E tutto a un tratto non ci sei più [2]
 
*
 
On bended knee is no way to be free
Lifting up an empty cup I ask silently
That all my destinations will accept the one that's me
So I can breath
 
Quando entrò in casa, il silenzio lo avvolse. Fu solo il tintinnio delle chiavi buttate nella ciotola all’ingresso a spezzarlo, ma solo per un attimo fugace. Tutto sembrava addormentato, il tempo fermo a quell’attimo in cui aveva aperto la porta dell’appartamento e vi aveva messo piede per la prima volta da quella mattina.
Le luci del tramonto dipingevano di rosso ed arancio le pareti chiare del piccolo salotto, e ad Alessio venne voglia di lasciarsi cadere lì, sul divano, giusto per prendersi un attimo tutto per sé.
Si sedette lentamente sul divano, sfilandosi la cravatta e lanciandola chissà dove – probabilmente doveva essere finita da qualche parte sul pavimento-, fregandosene per una volta se il suo passaggio avrebbe gettato disordine nella stanza. Non era dalla confusione, dall’incredulità o dalla stanchezza che doveva prendersi una pausa. Al contrario, in quel momento si sentiva in pace con il mondo, sereno per la prima volta da tantissimo tempo. Non ricordava bene quando era stata l’ultima volta che si era sentito così. Era sicuro fosse questione di anni interi.
Dopo la proclamazione non c’era stato tempo per feste in grande stile. Aveva optato per un pranzo tranquillo: lui, sua madre ed Irene, ed Alice, che si era dovuta trattenere per poco tempo, prima di dover partire alla volta dell’aeroporto – aveva prenotato da troppo tempo il biglietto per tornare a Londra per qualche giorno, ed Alessio aveva insistito parecchio per far in modo che non rimandasse a causa della sua laurea. Ci sarebbe stato tempo per festeggiare in altri modi, con gli amici; per quella giornata, invece, non avrebbe potuto chiedere di meglio. Il silenzio che lo accompagnava, la solitudine con cui se ne rimaneva lì seduto sul divano, lo stavano facendo sentire bene. Era uno di quei momenti in cui si può essere felici anche da soli, in cui l’unica compagnia desiderata è quella di se stessi.
Sua madre e sua sorella erano ripartite per Villaborghese quasi subito dopo il pranzo. Eva era apparsa piuttosto indecisa, ed Alessio aveva temuto che all’ultimo avrebbe cambiato idea sulla partenza. Non era stato così, e lui aveva potuto tirare un sospiro di sollievo, pensando alla serata da solo che avrebbe potuto passare.
Aveva ricevuto un abbraccio da sua madre, quando era giunto il momento dei saluti. Un abbraccio che, per un attimo, un fugace e breve attimo, gli aveva riportato alla mente un vuoto che ignorava ogni singolo giorno da sei anni.
Aveva cercato di allontanare quella sensazione ripensando all’abbraccio che, invece, aveva ricevuto da Pietro.
Alessio non fece nulla per cercare di trattenere il sorriso che gli increspava le labbra; d’altro canto, le pareti del salotto non potevano certo dirgli che avrebbe fatto meglio a cancellarsi dalla faccia quell’espressione inebetita che sentiva di avere.
L’abbraccio di Pietro era stato inaspettato e desiderato come non si era mai reso conto prima che avvenisse.
Non se l’era aspettato, nemmeno dopo essersi reso conto che Pietro l’aveva seguito per dirgli quanto si sentisse felice per lui. Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che c’era stato contatto fisico tra di loro, o almeno un contatto così ravvicinato ed intimo.
All’inizio, quando si era accorto della presenza di Pietro in quel bagno minuscolo, gli era parso così insicuro, così fragile che si sarebbe aspettato di vederlo crollare in mille pezzi da un momento all’altro. Ma poi aveva capito, quando si era ritrovato stretto dalle sue braccia, che quello veramente fragile tra loro due era proprio lui e non Pietro: era lui che non avrebbe mai potuto trovare il coraggio di un gesto simile dopo tutti quei mesi di tensione, lui che si era sentito esposto come non mai in quell’abbraccio tutt’altro che semplice.
Si era sentito a casa, così vicino a Pietro, e sarebbe bastato anche solo quello a ricordargli quella sua fragilità. A ricordargli che Pietro era l’unico che, in un modo o nell’altro, riusciva a toccare corde che solitamente riusciva ad ignorare, a lasciare in disparte per potersi concentrare al meglio sui suoi obiettivi.
 
Don't come closer or I'll have to go
Holding me like gravity are places that pull
If ever there was someone to keep me at home
It would be you
 
Sapeva che nei giorni successivi si sarebbe ritrovato a pensare spesso a quell’abbraccio, e sapeva anche che quel gesto non avrebbe cambiato nulla tra di loro. Era stato dettato solo dagli eventi della giornata: era sicuro che già l’indomani sarebbe tornato tutto come al solito, con le sue colpe mai espiate e il rancore di Pietro ancora non curato.
Sapeva anche che sarebbe tornato a sentirsi in colpa, ma solo dal giorno dopo. Per quella sera non c’erano sensi di colpa che avrebbero potuto oscurare il senso di soddisfazione e di realizzazione che lo stavano riempendo.
Affondò ancora un po’ sulla superficie morbida del divano, dopo essersi arrotolato le maniche della camicia. Cominciava a sentire caldo, esattamente come l’aveva sofferto quella mattina stessa, poco prima della proclamazione. Quello era il secondo momento che ricordava meglio della giornata appena trascorsa. Nella sua memoria erano come stampati a fuoco ogni pensiero e sensazione che l’avevano attanagliato in quell’attimo, nella trepida attesa di salire su quel palco inframezzata dal suo sbirciare Pietro da lontano.
La proclamazione era stato l’ultimo passo che lo aveva diviso dalla vita che stava rincorrendo da quando aveva solo diciotto anni. L’aveva rincorsa così a lungo, e con così tanta ostinazione e determinazione, che ancora faticava a rendersi conto che da lì in avanti non avrebbe dovuto fare altro che mettersi in gioco. E non vedeva l’ora di giocare, di raccogliere i frutti di tutti quegli anni di fatiche e concentrazione su quell’unico obiettivo.
Era sicuro che non tutti avrebbero capito quel suo desiderio di autorealizzazione. Anzi, era abbastanza sicuro che la maggior parte delle persone l’avrebbe trovato un gretto egoista concentrato solo sulla sua futura carriera. Probabilmente era vero, era un egoista che non aveva dato importanza a null’altro se non al suo futuro; Pietro era stato vittima della sua ambizione, e probabilmente non era stato l’unico a rimanere incastrato in quel meccanismo.
Ed Alessio sapeva che non sentirsi in colpa per quello, anche se solo per quel giorno, non faceva altro che sottolineare il suo spirito individualista. Ma non poteva negare né a se stesso né a chiunque altro la soddisfazione che lo aveva accompagnato in quella giornata; quello era il suo giorno, il suo nuovo inizio: un’altra battaglia da poter perseguire, un’altra vittoria da poter conquistare – una vittoria macchiata e mossa dall’assenza di qualcun altro.
Per la seconda volta in quella giornata riemerse nella sua mente la sensazione di mancanza. Per un attimo ebbe la tentazione di alzarsi e andare a riempirsi un bicchiere di qualcosa di alcolico – qualunque cosa sarebbe andata bene per soffocare con certezza quel vuoto che sentiva all’altezza dello stomaco-, ma cercò di trattenersi. Aveva già bevuto abbastanza per quella giornata, e ubriacarsi da solo a casa non era la situazione ideale per festeggiare.
Sentì il nervoso montargli, al pensiero che Riccardo riuscisse a fargli quell’effetto anche quando non c’era. Soprattutto quando non c’era.
Non lo vedeva da anni, dubitava persino che sua madre gli avesse detto della sua laurea. E anche se lo aveva saputo, non si era certo aspettato una sua chiamata o un messaggio d’auguri. Non sarebbe stato da lui.
Si chiese cosa gli avrebbe detto suo padre, se fosse stato lì con il resto della sua famiglia e ai suoi amici: gli veniva facile immaginarselo in piazza San Marco, fasciato dai suoi soliti abiti sofisticati e costosi, gli occhi neri e il ghigno derisorio. Forse lo avrebbe sminuito, dicendogli che se voleva davvero arrivare dove era arrivato lui, di strada ne aveva ancora molta da fare. E di certo, da quel punto di vista, avrebbe avuto ragione: forse non sarebbe mai riuscito a superarlo, forse neppure ad eguagliarlo, anche se Alessio, in quella strada che si era scelto, ci stava mettendo tutto il cuore e tutta l’anima.
 
Everyone I come across in cages they bought
They think of me and my wandering
But I'm never what they thought
Got my indignation but I'm pure in all my thoughts
I'm alive
 
Riusciva perfino a sentire la sua voce, mentre se lo immaginava sputargli addosso quelle frasi. In una qualsiasi altra giornata l’avrebbero ferito, lasciato vuoto e sanguinante nell’anima. Ma non quel giorno, non in quel giorno in cui, per la prima volta da lungo tempo, si sentiva così realizzato da potersi lasciare scivolare via qualsiasi cattiveria gratuita.
Alessio si alzò definitivamente dal divano, andando svelto in cucina. Mantenne fede al suo proposito di non bere ulteriore alcool, e si riempì invece un bicchiere di acqua fresca. Si rese conto che pensare a Riccardo in quel frangente gli aveva fatto meno male del solito; in quel momento pensò davvero che la felicità fosse in grado di stordire così tanto le persone.
Bevette un altro bicchiere d’acqua, poi si avviò verso la sua camera da letto, cominciando a slacciare i primi bottoni della camicia. Era del tutto intenzionato a buttarsi sul letto, a gambe e braccia aperte, e magari addormentarsi proprio lì.
Fu passare davanti alla scrivania della stanza che, invece, gli fece per un attimo allontanare l’idea di stendersi e riposarsi. L’occhio era finito su un pacco di fogli bianchi, ancora inutilizzati. I pensieri furono più veloci delle azioni. Lanciò un’occhiata veloce al letto: avrebbe potuto rimandare benissimo di un po’ il sonno ristoratore che lo attendeva invitante; si sedette quindi alla scrivania, rigirandosi tra le mani il foglio bianco in cima al blocco.
Scrivere non era mai stato un suo passatempo. Lo scrittore del gruppo era sempre stato Pietro, non certo lui, anche se alle superiori ricordava che non gli dispiaceva affatto cimentarsi nei temi in classe, ed era una cosa che gli riusciva anche bene. Quello che gli ronzava in mente, però, non era un tema. Non era nemmeno una storia, o almeno così credeva. Erano vari pensieri che avrebbe voluto buttare giù sulla carta, metterli nero su bianco per non far sì che il tempo potesse cancellarglieli dalla memoria.
Afferrò la prima penna che gli capitò a tiro dal portapenne, e prima ancora che decidesse che filo logico dare ai propri pensieri, iniziò a scrivere. Si stupì della facilità e velocità con la quale le parole venivano incise dalla penna sulla superficie nivea della carta, e si stupì anche nel rendersi conto quali erano le parole che aveva tenuto celate dentro se stesso così tanto a lungo.
Finì in una decina di minuti. Non rilesse nemmeno quello che aveva appena scritto: conosceva troppo bene le parole che avrebbe voluto rivolgere a se stesso, e pensava di poter presupporre quali parole avrebbe voluto rileggere tra qualche anno, magari nei momenti più difficili che gli si sarebbero presentati di nuovo.
Si alzò dalla sedia di fronte alla scrivania, ripiegò il foglio e lo infilò in uno dei cassetti del comodino accanto al letto. Forse quella lettera non l’avrebbe più riletta, ed in quel caso, forse, si sarebbe anche dimenticato della sua esistenza. O forse, un giorno, gli avrebbe fatto piacere rileggerla, e ritrovare il coraggio che si era sentito nelle vene mentre la scriveva.
 
Leave it to me as I find a way to be
Consider me a satellite forever orbiting
 

“Non so tra quanto leggerai questa lettera. Potrebbe passare un anno, così come una decina, o forse anche più. Magari la perderai e, anche se in un angolo della tua memoria ne rimarrà il ricordo sfocato, non rileggerai mai queste parole. Probabilmente però, conoscendoti, la terrai nascosta da qualche parte al sicuro: chissà, forse un giorno di un anno non ben precisato ti verrà voglia di rileggere cosa ti passava nella mente del te stesso venticinquenne. Spero che, per quel tempo, potrai farti una risata leggendo queste parole, pensando a quanto allora fosse difficile e quanto, invece, ora la vita ti sorrida.
O forse rileggerai questa lettera nei momenti peggiori che ti si presenteranno davanti, ricordando quanto fossero più semplici le giornate di adesso.
Beh, se dovesse accadere quest’ultima ipotesi, queste parole sono per te, Alessio del futuro: qualsiasi cosa accada, qualunque sia il problema che ti sta facendo vacillare, non mollare mai. Non pensare neanche per un momento di non potercela fare, di non trovare una via per risalire.
Ricordati quanto dolore e quante fatiche hai dovuto affrontare per giungere fino a dove sei arrivato – e sono sicuro che, per il tempo in cui starai rileggendo questa lettera, sarai arrivato ancora più lontano di ora-, e ricordati della persona che sei diventato anche grazie a tutto questo.
Ricordati del giorno in cui, finalmente, hai raggiunto la prima tappa nel percorso di vita che hai scelto: l’invincibilità che, seppure sopita, non è mai sparita, e che è riaffiorata proprio in questa giornata.
Ricordati anche che niente e nessuno può portarti via i tuoi sogni, e che per raggiungerli basta volerlo. Fregatene di chi ti additerà come un arrogante ed egoista: probabilmente quella critica arriverà proprio da chi non ha mai avuto un’ambizione talmente grande da non aver concluso nulla nella sua vita.
Hai toccato il fondo diverse volte, e ti sei sempre rialzato. Anche questo devi tenertelo sempre a mente.
Non ti conosco, non posso prevedere con sicurezza come sarai: posso solo sperare che, per il tempo in cui ti ritroverai di nuovo con questo foglio in mano, tu abbia raccolto tutti i successi in cui hai sempre sperato e sempre creduto. Spero tu non ti sia mai fatto lasciare scappare nessuna occasione, e quando ti sembrerà di aver forse sacrificato troppo per la tua causa, guardati indietro e rammenta: di sacrifici ne avrai fatti e ne dovrai fare ancora tanti, ma non è mai troppo alto il prezzo da pagare per aver deciso di rincorrere le proprie vocazioni.
È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, libero di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.
A.”.
 
I knew all the rules but the rules did not know me
Guaranteed
 
 
 
 
[1] Sia - "Bird set free”
[2] Afterhour - "Non voglio ricordare il tuo nome"
[3] Eddie Vedder - "Guaranteed"
il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Nuova settimana, nuovo capitolo e... Non la sentite questa sensazione di deja-vu che aleggia nell'aria? I lettori più attenti avranno già ricollegato questo capitolo con il terzo flashforward del prologo... Non è così?😉 E ormai saprete anche che gli unici flashforward rimanenti da ricollegare a qualche capitolo sono quelli di Giulia, Filippo e Pietro 🤐
Ma veniamo a noi: speriamo abbiate passato un Ferragosto all’insegna della spensieratezza e dell’allegria, giusto per bilanciare l’atmosfera un po’ malinconica di queste pagine! Sì, lo sappiamo, probabilmente in questo aggiornamento avrete dovuto recuperare un fazzoletto per asciugare le lacrime causate dall’abbraccio tra Alessio e Pietro *sigh*
Per i nostri due beniamini è giunto il momento di posare i libri e sollevare una corona di alloro sulla propria testa. Tra foto, festeggiamenti vari e tanto, tantissimo caldo, Pietro e Alessio sembrano ritagliarsi qualche minuto per parlare tête-à-tête: il loro sembra essere un vero e proprio momento di "addio", anche se non sarà un vero addio: di certo il loro rapporto cambierà radicalmente da qui in avanti, anche se non si perderanno sul serio di vista, e di certo non ci sarà un altro litigio come avvenuto in Youth. Insomma, sarà un distacco diverso, ma di certo tra loro le cose cambieranno di sicuro.
Con una sostanziale differenza tra i festeggiamenti di laurea, scopriamo poi alla fine di questo capitolo che Alessio, nonostante la solitudine, non se la sta affatto passando male. È soddisfazione forse la parola più indicata per descrivere i suoi pensieri, che qua leggiamo e scopriamo in profondità. Il suo senso di rivalsa verso il padre emerge quanto la fierezza personale dell'aver raggiunto il suo primo obiettivo (e a quanto pare poco importa che nel frattempo qualcuno ci sia rimasto di mezzo 😂)
Cosa ne pensate del percorso di Alessio, e soprattutto della persona che è diventato nel corso di Growing?
Ci rivedremo mercoledì 31 agosto per finire questo mese con il botto!  

Kiara & Greyjoy
 
   
 
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