Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: innominetuo    19/08/2022    7 recensioni
Essere medico in un reparto militare composto da potenziali martiri non dev’essere di certo una passeggiata. Meti questo lo sa bene.
Ma si sa: ci sono vocazioni e vocazioni, non sono tutte uguali.
Alcune sono un po’ più folli e disperate di altre.
Ma può andar bene… anche così.
(Questa fanfiction è scritta per puro diletto e senza scopo di lucro alcuno, nel pieno rispetto del diritto d'Autore)
N.B. La presente fan fiction è pressoché ultimata, ragion per cui le pubblicazioni saranno - salvo imprevisti di varia natura - regolari e nel fine settimana.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cuori in volo'
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(This image is from a google search, no copyright infringement intended)
 

Quel giorno mobili e suppellettili ebbero a che fare con una Meti parecchio nervosa e intrattabile.

Il laboratorio medico fu silente testimone di imprecazioni irripetibili, gesti secchi e frettolosi, urti, ampolle di vetro frantumate.

Dovrai incontrarti con tuo padre, il conte Athiassy. Levi verrà con te.

Bella roba.

Ovviamente, di rimando, ad Erwin Smith venne espresso un bel rifiuto, in modo inequivocabile.

Ovviamente, altrettanto di rimando, un “pensaci con calma” fu pronunciato dal Caposquadra, in tono pacato, suo solito. Tutto questo sotto lo sguardo da Sfinge sfoggiato da Levi che, sotto sotto, se la stava godendo un mondo.

Come osa? Come si permette di chiedermi di andare a parlare con mio padre, con cui non ho più avuto contatti da anni? Non guarda in faccia a nessuno… l’ambizioso Caposquadra Smith! pensava Meti tra sé e sé, rischiando di mandare in frantumi altri preziosi dispositivi medici.

Un leggero bussare la fece sobbalzare.

«Posso?» la canuta testa di Ron Hervert fece capolino.

«Certa… certamente.» tartagliò la donna, cercando di recuperare un minimo di contegno. «Accomodati Ron… scusa per il disordine…» aggiunse, un po’ costernata.

«Sono passati i Giganti?» chiocciò l’anziano medico, ostentando un’aria stupita nel vedere il caos del laboratorio. Egli amava fare spesso dello spirito: pensava che i giovani prendessero tutto sempre tremendamente sul serio… Meti scoppiò a ridere, anche se in modo un po’ isterico: la tensione accumulata dalla sera precedente, che era sfociata in una notte insonne, cercava ora sfogo.

«Mi risulta che quegli esseri immondi se ne stiano ancora fuori da qui… maledetti loro. Diciamo che ho avuto giornate migliori. Ti va una tisana al tiglio?»

Mentre sorseggiavano, Ron se ne venne fuori con una novità.

«Shadis è sospeso dal servizio.»

Meti aggiunse figuraccia a figuraccia, sputando fuori quanto stesse bevendo. «Co... cosa?» bofonchiò.

L’anziano medico la fissò, sempre più sconcertato. «Oggi non è proprio giornata, davvero. Figlia mia, avresti bisogno di un po’ di riposo…» 

«Com’è accaduto?»

«Beh… a quanto ho avuto modo di capire, Daris Zackely e le alte sfere militari non sono troppo soddisfatti del rendimento di Keith come Comandante dell’Armata Ricognitiva. Troppe perdite tra i soldati, gli equipaggiamenti e i cavalli, e pochissimi risultati concreti sull’attività di scoperta e di contrasto nei confronti dei Giganti. Così, lo hanno appena sospeso dal servizio: fino alla nomina ufficiale del prossimo comandante, hanno temporaneamente nominato Smith al suo posto. Shadis è appena tornato da Mitras… ed è molto giù di corda. L’ho incontrato poco fa, gli ho prescritto un blando sonnifero per poter riposare un po’… è diventato l’ombra di se stesso… mi fa molta pena. Ha sempre fatto del suo meglio…»

Meti non disse nulla. Non sapeva cosa pensare. O meglio: ad essere sincera ed onesta con se stessa, non avrebbe potuto che allinearsi con il Generalissimo. Anche perché le lamentele delle alte sfere erano fondate.

Purtroppo.

Eppure, provava anche un sentimento vicino alla pietà. Sapeva di essere ben contraddittoria, soprattutto visti tutti i problemi di interazione con Shadis, dato che si tolleravano, e male, a vicenda: l’antipatia era reciproca, c’era poco da fare. Ma era altresì innegabile l’abnegazione da sempre dimostrata dal Comandante. Meti era molto confusa: si sentiva in colpa, non provava nessun piacere nell’apprendere del severo provvedimento assunto nei confronti di Shadis.

Bisognava fare qualcosa… ma cosa?

L’occhio le cadde su un suo vecchio libro di botanica.

«Scusami, Ron. Mi sono ricordata di dovermi incontrare con una persona.»

Uscì rapidamente dal laboratorio. Andò di filato da Hanji. La trovò mentre era tutta intenta, sgranocchiando delle gallette, a leggere un suo quaderno di appunti, senza giacca della divisa e la camicia sbottonata, bellamente seduta sul pavimento a gambe incrociate. Meti bussò leggermente allo stipite, nonostante la porta fosse aperta.

«Buongiorno Hanji. Dobbiamo catturare un fottuto Gigante. Subito.»

«Buongiorno, Meti.» chiocciò Hanji, tra l’esterrefatto e il divertito, posando il quaderno.

«Scusami se piombo da te, ma oggi va così. Ho un diavolo per capello.»

«Eh, allora avrai tutto un inferno in testa, amica mia» celiò Hanji, accennando alla chioma anarchica e arruffatissima del medico.

«Non tutti possono vantare capelli lisci e setosi come i tuoi. Bon: a parte tutte queste carinerie tra amiche, che ne dici di andare a prendere una di quelle bestiacce, là fuori? Ci vengo pure io.» enunciò, mettendosi a sedere sul bordo del letto di Zoe, senza neppure aspettare il suo invito. Ma tra loro le cerimonie non erano necessarie: Zoe non ci faceva di certo caso, e Meti solo con la scienziata riusciva ad essere più informale e rilassata, rispetto al suo solito.

«Ma… cosa diciamo al Comandante? Per il momento non sono previste esplorazioni autorizzate.»

Hanji era perplessa: la dottoressa si stava comportando in un modo alquanto insolito: lei, sempre così puntigliosa e attenta alle formalità, la stava praticamente incitando all’insubordinazione!

«Diciamo che so come convincere Smith… no, per favore,» la pregò, nel vederla sdraiarsi a terra tenendosi la pancia: Zoe stava ridendo fino alle lacrime! «non in quel senso… e smettila, dài! Sto parlando sul serio, accidenti! Allora: ti stavo dicendo: io convinco Erwin e la cosa si fa. Forse non lo sai: ma al momento siamo senza Comandante.»

Al che Hanji si ricompose, tirandosi su e si rinforcò le lenti sul naso, mettendo meglio a fuoco la sua astante. «Co-cosa?» tartagliò, confusa.

Meti sospirò. «Keith Shadis è stato sospeso dal servizio.»

«Occavolo» bofonchiò Hanji.

«Già. Siccome le sue spedizioni non vanno sempre bene in termini di perdite umane e comunque senza risultati concreti perlomeno sullo studio dei Giganti, le alte sfere dell’esercito lo hanno sospeso fino a nuova disposizione. Per questo motivo credo che se l’Armata Ricognitiva riuscisse a catturare una di quelle creature, forse potrebbero ricredersi…e riabilitare Shadis. Ho pensato pure come fare: avrei escogitato un piano abbastanza semplice ma efficace, che spiegherò a te e agli altri. Dobbiamo però uscire almeno in tre o in quattro, per essere rapidi e coordinati: tu, io, Mike… e Levi, che ha dimostrato di essere davvero straordinario, come combattente. Basterebbe catturare un esemplare piccolo e meno pericoloso: ne abbiamo già parlato, no? Così poi te lo studi per bene.»

Hanji Zoe era ammutolita. Fissava Meti imbambolata. Ma si riprese (sin troppo) presto: balzò in piedi, agitando le lunghe gambe e le braccia come in un bizzarro balletto.

Aiuto, pensò Meti.

«Quando?» riuscì infine l’altra ad articolare, ebbra di felicità.

****

Aveva appena parlato con Keith, il quale era molto provato. Lo aveva lasciato nei suoi alloggi, intento a redigere, con aria chiaramente affranta, dei report di passaggio di consegne ai vari Capisquadra, contenenti disposizioni a breve e medio termine, fino alla nomina ufficiale del nuovo Comandante. Si stava recando alla radura degli addestramenti, quando si imbatté in Meti.

«Scusami, ma avrei bisogno di parlarti.»

Erwin la guardò negli occhi, annuì e le fece strada.

«Andiamo nelle scuderie, a quest’ora i cavalli sono già stati rigovernati, e non dovrebbe esserci nessuno.»

Meti non fiatò. Una volta arrivati e constatato che non c’era nessuno, Smith andò ad accarezzare il suo cavallo, sussurrandogli parole dolci, poi si appoggiò, a braccia conserte, ad una cassa contenente attrezzi di vario genere e rimase in attesa delle parole di Meti, scrutandole le labbra.

La donna respirò a fondo.

«Ho deciso che incontrerò mio padre: concerteremo il modo e il momento più adatti, anche per non destare sospetti… e parlerò con lui. Non ho domande da fargli per me, che sia chiaro. Io non ho nulla di più da chiedere per la mia vita. Ma ci sono, a dir la verità, degli interrogativi, su questo paese, che vorrei avessero delle risposte, finalmente… Lui, mio padre intendo, mi aveva accennato, anni fa, alla questione del sovrano, ma sento che potrebbe esserci anche qualcosa di più» disse, abbassando istintivamente la voce, per paura che altri potessero origliare.

«Cosa vuoi in cambio, Meti?» le chiese Smith, in tono duro e con lo sguardo fosco, aggrottando la fronte.

Lei rimase un po’ perplessa: non le aveva mai rivolto la parola in questo modo, né i suoi occhi avevano mai assunto, con lei, quella luce così fredda. Si riprese alla svelta, dato che era solita reagire in tono di sfida, se provocata, per meglio celare la paura e l’imbarazzo.

«Una cosa sola: la tua autorizzazione per una spedizione notturna. Cattureremo una di quelle immonde creature.» gli enunciò, a mento alzato, fissandolo negli occhi.

«Non se ne parla.»

«O così, o io non ci vado, da mio padre. Prendere o lasciare. Pensaci bene.» profferì, in tono basso e piano. Si era già voltata per andarsene, quando Smith la afferrò per un braccio, in una presa salda. Non le fece male, ma non le diede la possibilità di divincolarsi.

La trasse a sé, guardandola fissamente, cupo.

«Pensi che questo sia un gioco, Meti? Pensi che io non stia vagliando ogni possibilità, ogni ipotesi? Non è facile per me, non è facile per nessuno. Ma bisogna pur fare una scelta, per quanto sia difficile… o doloroso.» le sussurrò, il suo viso vicinissimo a quello di lei.

«Guarda che questo lo so bene. Non è mai stato facile neppure per me… come quando ruppi con la mia famiglia, come quando persi il mio Basil, e come quando mi votai ai miei pazienti…Ma visto che quelli là pretendono dei risultati, allora diamoglieli! Anche un contentino come un mostro da far esaminare a Zoe può andar bene! Almeno per un po’ la smetteranno di darci il tormento, di farci sentire inutili e incapaci, di umiliare Shadis e tutto il Corpo di Ricerca!» Meti urlò, esasperata, cercando, invano, di divincolarsi da lui.

Si ritrovò, quindi, senza quasi rendersene conto, schiacciata al petto di Erwin.

L’uomo l’aveva praticamente incollata a sé, un braccio intorno alla vita e una mano a tenerle il viso sollevato, affondando le dita nei suoi capelli. La guardò intensamente, come a volersi dissetare del profondo blu degli occhi di lei, per poi imprigionarle le labbra in un lungo bacio, stavolta sensuale e intenso, ben diverso dal precedente. Ancora una volta, lui aveva saputo come spiazzarla, completamente. Le labbra di Erwin la cercarono, senza sosta. Il compassato, ascetico, devoto militare finì quindi col calare la maschera che aveva saputo assumere come una seconda pelle per tanti, per troppi anni.

Meti non riusciva quasi a connettere, se ne stava come sospesa, completamente persa.

Le mancò il respiro… finché non cedette: rispose al bacio di Erwin con tenera passione, appoggiando le mani sul suo petto e rannicchiandosi contro di lui, per sentirsi coccolata e protetta. Lui rallentò il ritmo della sua bocca, stringendola ancora di più a sé. Le labbra si lasciarono, alla fine, seppur a fatica. Rimasero per un lungo istante stremati, senza fiato, gli occhi chiusi, strettamente allacciati, cuore su cuore. Smith si riscosse per primo. Le prese una mano, chinandosi, per deporvi un lungo, devoto bacio: il dorso e il palmo della mano, poi il polso di Meti, conobbero il tocco delicato delle labbra di lui, come un marchio morbido, di velluto.

Erwin sollevò il capo fino ad interrogarla negli occhi, in un lungo momento di silenzio.

«Non chiedi più nulla, per la tua vita? Non ci credo. Non voglio crederci.» le sussurrò, infine.

La scostò delicatamente da sé, per afferrarle le spalle, in una presa salda ma gentile. Lo sguardo dell’uomo, da fosco qual era stato fino a poco prima, tornò ad essere limpido e puro. «Va bene, Meti» soggiunse, sospirando e tornando ad essere il Caposquadra Smith, mentre poco prima era solo il giovane Erwin che abbraccia e bacia una donna. «Ti autorizzo a fare la spedizione. Mi aspetto però un preciso piano militare sul mio tavolo entro stasera.»

Troppo scossa per reagire, e senza dir nulla, Meti si voltò e lasciò le scuderie, faticando a camminar dritta.

Era come ubriaca.

Una volta rifugiatasi nel laboratorio, cercò di ricomporsi, ma lacrime dispettose cominciarono a scorrerle sul viso. Se le asciugò strofinandosi le gote e gli occhi quasi brutalmente. Tirando su col naso, cercò di distrarsi e di concentrarsi sul suo libro di botanica, sfogliandone alcune pagine. Si mise a studiare per qualche ora. Riuscì finalmente a leggere qualcosa che potesse esserle utile… per poi ritornare, immancabilmente, a pensare a quanto accaduto nelle scuderie.

La verità era che si sentiva in colpa.

Le sembrava di tradire la memoria del marito, avendo risposto all’intenso bacio di Erwin. Aveva reagito alla passione di Smith con dolce languore, con puro desiderio: inutile negarlo a se stessa. Il suo ventre si era contratto, quasi con sofferenza, e aveva reclamato Erwin e tutto il suo corpo come un premio dovuto alla sua natura di donna. Ma lei aveva giurato a se stessa, anni addietro, di rimanere fedele alla memoria di Basil, avendolo amato moltissimo.

Ed ora si abbandonava nelle braccia del bel Caposquadra?

Quello poi non era di certo un buon periodo: bisognava concentrare energie e tempo alla lotta contro i Giganti, per poter liberare l’Umanità, altro che flirts e comportamenti da adolescenti in preda agli ormoni! Certo: Erwin Smith era un aitante, giovane uomo, e un momento di debolezza poteva pur starci.

Sempre se si trattasse solo di una “debolezza” … cosa di cui Meti cominciava a dubitare, suo malgrado.

Forse da tempo si stava ingannando sui suoi veri sentimenti per Erwin.

Ma era assolutamente necessario stabilire delle priorità ed attenervisi in modo ligio. Mentre era concentrata ad auto fustigarsi, in un monologo interiore in cui si dava della stupida e della traditrice, si vide piombare Levi senza salutare, suo solito, che, con aria visibilmente scocciata, le disse che la stavano aspettando in aula conferenze.

«Arrivo subito… grazie Levi»

L’uomo la guardò negli occhi, con una espressione indecifrabile.

«Non voglio ringraziamenti, specie se da una nobile.» Il tono, tagliente quanto i suoi occhi, la colpì duramente.

Meti si innervosì moltissimo.

Ora basta.

Finora aveva portato pazienza, soprattutto perché non aveva più voluto essere prevenuta nei suoi confronti, anche in virtù dei suoi dolorosi trascorsi.

«Senti un po’. Ti prego di piantarla con questo atteggiamento. Io non ti ho fatto nulla. E se anche odi i nobili, ti ricordo che non sono tutti uguali, e che, comunque sia, io non ne faccio più parte. Basta, capito? Mi sono rotta!» gli urlò, esasperata. «Vedi di maturare, anche perché non sei più un ragazzino!» Lo oltrepassò furibonda e se ne uscì, senza aspettarlo, affrettando il passo, per quanto a lei possibile.

«Tsk.» si limitò a dire Levi, seguendola senza fretta. Nervosetta la nobile, eh.

Nel tragitto, Levi notò che la donna si era un attimo soffermata a cogliere un fiore giallo da un alberello.

Donne, tsk, ripeté Levi, fra sé e sé.

In aula conferenze, i due trovarono ad attenderli Hanji, Mike e, naturalmente, Erwin: questi seduto un po’ in disparte, lo sguardo basso.

«Eccovi! Possiamo cominciare.» esordì Hanji.

Deliberatamente, Meti cercò di evitare lo sguardo di Smith: le labbra le bruciavano ancora.

Sospirò, sentendo su di sé quattro paia di occhi che la osservavano con attenzione.

«Come anticipato ai Capisquadra Smith e Zoe, avrei pensato ad un possibile piano per poter catturare un Gigante.»

Seguì un mormorio.

«Hanji,» interpellò l’unica altra donna presente «un giorno mi dicesti, anni fa che, alla fine di una ricognizione, notasti una cosa, e cioè che all’imbrunire i Giganti presenti in zona si fermarono all’improvviso, come caduti in trance. Giusto?»

«Esatto, proprio così, e questo bizzarro avvenimento l’ho notato anche in altre occasioni, dopo quella volta lì. Credo che al buio i bambini si fermino, come per dormire.»

I “bambini”
santo cielo… pensò Meti, alzando gli occhi al soffitto.

«Ma se è così, perché non fare le spedizioni di notte? Non sarebbe meno rischioso, porca miseria?» bofonchiò Levi.

Mike fece spallucce «Perché devono poterci veder partire in pompa magna… così è più “protocollare”»

La smorfia amara di Levi fu abbastanza eloquente.

«Nel corso della spedizione, si potrebbe operare in questo modo…» Meti riprese il filo del discorso, aggrottando la fronte; «i dettagli tattici e strategici li lascio a voi, perché non sono di mia competenza. In linea di massima, una volta arrivati in una zona con dei mostri in stato dormiente, si dovrebbero accendere delle torce fatte con le foglie di fiori come questo» al che lanciò su un tavolo il bel fiore giallo, a forma di campanula di medie dimensioni, che emanava un intenso profumo, e che aveva colto poco prima «è un fiore di datura, detto anche “pianta delle streghe”: le sue foglie, dicevo, hanno proprietà narcotiche e sedative. Naturalmente, noi dovemmo indossare delle maschere di cuoio per evitare di respirarne i vapori: non so se avete presente, parlo di quelle maschere che si usano comunemente nella capitale per evitare i danni delle esalazioni negli incendi. Potremmo procurarcene qualcuna. Finora, gli effetti di questa pianta sono noti sugli esseri umani e sugli animali: non possiamo prevederli sui Giganti. Tuttavia, useremmo le torce di datura solo a scopo preventivo, per mantenere dormienti i mostri, e poterne catturare uno. Ribadisco: alle tattiche militari ci penserete voi, io non ci capisco nulla. Ma credo che questo progetto potrebbe essere fattibile. Cosa ne pensate?»

Mentre Meti era intenta a spiegare il suo piano, senza mai volgere lo sguardo verso di lui, Smith, pur ascoltandola con attenzione, non riusciva a smettere di pensare al momento di qualche ora prima in cui l’aveva stretta a sé, baciandola con passione.

Meti era un’incognita.

Una meravigliosa incognita.

Quando, tempo prima, nell’intento di scoprire i piani dei nobili della capitale, per puro caso aveva scoperto l’identità di Meti Narses come nobildonna, sulle prime era rimasto un po’ perplesso, ma aveva subito voluto scacciare dalla mente anche solo l’ombra del sospetto e della diffidenza. Le scelte personali di Meti erano solo sue, e andavano rispettate, specialmente in virtù del fatto che la donna avesse dato già prova di assoluta abnegazione e dedizione alla Legione Esplorativa. Né poteva farle una colpa della sua nascita come aristocratica. Sapeva che era stata sposata con un certo Basil Narses, di cui non sapeva un granché, e verso cui provava una sorta di retroattiva gelosia. Ad ogni modo, lei era rimasta vedova ancora giovane, e avrebbe ben potuto risposarsi e fare una vita tranquilla, invece di donarsi ad un’esistenza dura, all’insegna delle privazioni, come medico militare: ma Meti aveva fatto, pure lei, una scelta. E lui in questo la sentiva affine a sé.

Adorava il suo viso dai lineamenti cesellati.

Lo avrebbe racchiuso tra le mani e contemplato per ore, se solo gli fosse stato possibile.

Adorava la sua figura delicata e femminile, le sue piccole, instancabili mani, i suoi capelli perennemente arruffati, tirati su alla bell’e meglio, a volte con l’aiuto di un bastoncino infilato nel groviglio dei lucidi ricci neri, in cui da sempre avrebbe voluto affondare il viso per aspirarne il profumo di lavanda. Meti era molto graziosa, ma non era solo il suo aspetto ad attrarlo, comunque.

In lei vedeva una luce speciale di empatia verso il prossimo, di bontà e generosità, e di profondità d’animo, che lo commuoveva e lo scuoteva fin nell’intimo.

Anni prima, Erwin aveva fatto una scelta di vita ben precisa.

Aveva consacrato se stesso alla ricerca della verità. Voleva, pretendeva il riscatto: come uomo, come figlio di suo padre e come cittadino. Voleva che le persone fossero davvero libere, e non più racchiuse tra le Mura. Ma tutto questo avrebbe dovuto comportare, per lui, delle serie, crudeli rinunce.

Aveva lasciato andare la sua dolcissima Marie, il suo primo amore. Aveva sofferto Marie, aveva pianto a lungo, povera ragazza, quando Smith l’aveva allontanata da sé. Ma poi lo aveva dimenticato, diventando una moglie e una madre felice, sposando Neil Doak, ora ufficiale del Corpo di Gendarmeria, suo antico compagno, all'epoca, del Corpo di Addestramento Reclute. Ma Marie, fanciulla coccolata e protetta dai genitori e abituata ad una vita tranquilla ed abitudinaria, non poteva far parte del suo credo, della sua missione e delle sue scelte.

Meti, invece, gli era vicina.

Viveva al castello dell’Armata Ricognitiva ed era avvezza a turni di lavoro massacranti e ai pericoli. In verità, Smith non sapeva bene cosa volesse, da lei. A volte si riteneva già pienamente soddisfatto di starle semplicemente accanto. Amava la sua compagnia, parlare con lei, predisporre insieme i dispacci. Anche se Keith Shadis non gradiva metterla a parte delle direttive militari, Smith non mancava mai di coinvolgerla. Meti possedeva una mente acuta, e spesso gli prospettava le cose sotto ottiche e punti di vista sempre diversi e interessanti, oltreché utili. Era stimolante, dal punto di vista intellettuale. Era una donna di vasta cultura, con lei si poteva parlare di molte cose. Spesso lo sorprendeva per l’acume e per la profondità di pensiero. Per lui, affamato di conoscenza e di verità, averla accanto era molto appagante. Aveva assaporato le sue labbra, e adesso voleva di più, da lei.

Era un uomo giovane, nel pieno delle forze. Il bisogno fisico di stare con una donna era forse ancora in grado di contenerlo e di sacrificarlo… ma lui non era fatto di ferro, alla fine. Quando l’aveva stretta tra le braccia, con molta fatica era riuscito a controllarsi, a non andare oltre, soprattutto quando Meti aveva cominciato, timidamente, a rispondere al suo bacio.

«…Cosa ne pensate?»

Smith si riscosse dai suoi pensieri. Il piano di Meti era azzardato, ma con qualche aggiustamento poteva essere realizzabile. Ma non disse nulla, preferì tacere e lasciare la parola agli altri.

«Forse è una cazzata, ma cazzata per cazzata, per come stiamo messi, tanto vale provare.»

Le parole di Levi lasciarono tutti sbigottiti, Meti per prima. Lui, che la detestava cordialmente, le stava ora dando man forte? Non ci posso credere.

«Ma sì, lavoriamoci su un attimo, e magari potrebbe funzionare! Mike, tu cosa ne dici?» Hanji lo scrutò, con una luce birichina negli occhi nocciola.

«Hum, non saprei» cominciò a dire Mike, pensieroso. «Come facciamo con le autorizzazioni? Di solito prima di partire per le ricognizioni mensili, bisogna spedire qualche giorno prima una istanza protocollata a Mitras. Ma questa sarà una missione segreta o roba del genere, visto che si farà di notte. Come potremo fare?»

«Non ci sono problemi, per questo. Saremo solo in cinque o al massimo in sei, e la missione sarà codificata di perlustrazione, come previsto dal paragrafo 5bis del Codice Militare. Ci limiteremo a spedire un report successivo, a missione espletata. Mike, ti consiglio di rispolverare il nostro codice, ogni tanto.» Smith si alzò in piedi, mentre il ragazzone incassò, grattandosi la testa.

Recatosi alla lavagna, Smith cominciò a tracciare disposizioni ed avanzamenti, in un ipotetico piano militare, che spiegò agli astanti. Insieme a un soldato-infermiere, avrebbe partecipato anche il medico, alla guida di un carro, per poter trasportare i dispositivi del movimento tridimensionale di riserva, robuste funi per legare il gigante da catturare, ed altre torce di datura in sovrannumero, da utilizzare alla bisogna, oltre, ovviamente, a lacci emostatici, bende e farmaci per eventuali ferite.

Dopo aver discusso a lungo, per concertare insieme tutti i dettagli della missione, il gruppetto si sciolse, ed ognuno ritornò ai propri alloggi.

Mentre Meti stava recandosi un momento in laboratorio, per andare a rileggere con calma alcuni suoi vecchi appunti di botanica sul fiore di datura, si imbatté in Levi: l’uomo l’aveva preceduta ed era ritornato indietro. Lei lo interrogò con lo sguardo. In tutta risposta, Levi le allungò qualcosa che si era appena estratto dalla tasca dei calzoni.

«Questo da parte di Isabel. Lo aveva preparato per il tuo gatto. Me ne ero dimenticato, ma sistemando le sue cose l’altro giorno è saltato fuori.»

Gli occhi di Meti si riempirono di lacrime. Isabel aveva intrecciato alcuni lacci di cuoio colorati per creare una graziosa cordicella, cui aveva cucito dei campanellini: erano stati i suoi piccoli tesori della Città Sotterranea, frutto dei suoi furtarelli al mercato. Ma ci aveva rinunciato per realizzare un giochino per Princess.

«Grazie, Levi.» mormorò, stringendo al petto la cordicella.

L’uomo si limitò ad annuire, e se ne andò.
  
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