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Autore: SkysCadet    21/08/2022    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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"In verità, in verità vi dico che chi crede in me 

farà anch'egli le opere che faccio io;

 e ne farà di maggiori"

- Gesù Cristo

***

Dopo quella notte, tutta Filadelfia era stata inondata da un nuovo fuoco di fede che ardeva in ogni componente di quella pacifica comunità. Grazie al coraggio della giovane Ariel si erano scoperto il punto debole dei Lucifer, primo fra tutti il nome di Gesù Cristo che, se pronunciato con fede e desiderio di salvezza, poteva mettere in ginocchio qualsiasi demone; questo particolare era stato confermato anche da Caleb, un pomeriggio, alla presenza di Simon e Nathan.

«Sì, è stato quando mi hanno condotto nella sala dei sacrifici che ho creduto nel Suo Nome...» Caleb era seduto nella poltroncina di pelle scura di fronte alla scrivania dello studio di Simon e scrocchiava le dita convulsamente. Lo sguardo di Nathan incontrò quello di Simon, seduto di fronte al ragazzo con il mento poggiato sulle mani intrecciate. «Figliolo...» iniziò il Padre «Non devi dirmi tutto adesso, questo lo sai, vero?» mentre cercava i suoi occhi. Quello alzò il capo in uno scatto, con occhi sbarrati e mento tremulo. «No! Io voglio. Io devo farlo!» si pose una mano sul petto e strinse il colletto della felpa tra le dita, come chi ha bisogno di respirare. «Ho bisogno di dire tutta la verità sul loro mondo; su quello che mi hanno fatto e su quello che hanno intenzione di fare!»

Nathan poggiò una mano sulla spalla di Simon e si piegò verso il ragazzo con un palmo sulla superficie legnosa; osservò il volto di quel ragazzo che pareva di star vivendo nuovamente e, di fronte ai suoi occhi, tutte le azioni immonde del passato. «Caleb,» pronunciò il ministro «vedo nel tuo sguardo la paura di una nuova ignota esperienza. Sarebbe meglio che andassi a riposare. Ci penseremo tra qualche giorno alle tue rivelazioni. Non temere.»

Simon storse le labbra a quella considerazione e lo osservò dal basso, poi la risposta di Caleb giunse repentina: «Con tutto il rispetto, Nathan...» sospirò, chiudendo gli occhi, quasi a voler reprimere una vecchia natura che avrebbe risposto malamente. «Io ricordo una parola, ascoltata in questo luogo, quando avevo circa dieci anni, e pronunciata da colui che ti sta alla destra.» Un mezzo sorriso sornione: «"Arriva il momento in cui l'anima va incontro alla verità e quando questo accade le tenebre devono scappare via da lei". E io voglio essere lo spavento delle tenebre.» concluse battendo il palmo sulla scrivania.

Simon rise come non aveva fatto da tempo, tanto che dovette portare il pugno chiuso alle labbra mentre Nathan si raddrizzava con occhi sbarrati. «La Parola è vivente, Nathan. Di cosa ti meravigli?» continuò a ridere tanto che dovette asciugarsi una lacrima con l'indice destro. «E' lui, Nathan. E' il nostro Caleb dalla risposta pronta...» ispirò tornando malinconico. «Alla fine...» gli occhi vacui «Joshua ti ha salvato sul serio.»

A quel ricordo, il padre avvertì la gola stretta a un nodo, ma sorrise ugualmente, volgendo gli occhi al cielo azzurro alla sua destra visibile dall'ampia finestra del suo studio.

***

«Amati fratelli» Simon era giunto sul pulpito della Cappella del Centro, sotto la grande Croce, per la predicazione della domenica. Il sole ancora alto del pomeriggio, si incanalava nelle vetrate dai colori accesi e dalle forme caleidoscopiche. «E' un periodo di festa per diversi motivi» il sorriso ampio, la luce nel volto disteso dopo molte lotte. «Non solo per il ritrovamento di un figlio che ci era stato portato via» i suoi occhi andarono al giovane Caleb, che in quel momento sedeva al primo posto accanto ad Ariel che stringeva ancora tra le mani il biglietto datole da Simon al cui interno c'era la foto del piccolo Caleb, sorridente verso la fotocamera, con in mano una boccetta contenente un liquido dorato, la stessa che aveva visto della stanza di Joshua, contenente l'essenza di bergamotto.

Era incredibile quanto quegli occhi vispi e furbi fossero ancora lì, nel volto di un ragazzo che ha visto tante - troppe - sofferenze. Pensò a Simon e a cosa avesse voluto dire, per lui, incontrarli, identici, nel volto di un suo nemico. Dopo tutto, Simon era il Mandato, il Capo di Filadelfia, capace di scoprire verità abilmente celate dal passato costruito come una fortezza di menzogne. Ecco perché le aveva dato quel biglietto: lui aveva capito tutto.

«Abbiamo anche modo di celebrare la nuova nascita di una giovane mossa dal coraggio di un leone...» gli occhi nocciola di Simon incontrarono quelli di Ariel. «E, come vi ho detto altre volte, quand'è che Gesù Cristo viene definito come Leone della Tribù di Giuda?» una pausa per scrutare i volti dei presenti. «Nell'Apocalisse, nella Rivelazione.» sottolineò «Quando il nostro fratello, l'apostolo Giovanni, era nell'isola di Patmos, in esilio, sotto persecuzione. Egli vide Nostro Signore con il volto di un agnello e con il volto di un leone: agnello di fronte al padre, leone contro i demoni.»

A quella scoperta, Ariel sentì un pungolo al cuore, un senso di colpa: non si sentiva per nulla in grado di essere paragonata a Colui che l'aveva salvata. Poi, lo sguardo di Simon mutò, e la voce tremò: «Fratelli, conosco i pensieri di alcuni di voi...»si rivolse a Lucia, Heliu e Gilbert, seduti nella stessa panca di Ariel e Caleb. «Ma io, in questo momento, non posso celebrare la dipartita di qualcuno che sento ancora vivo...»

Nel volto di Caleb ci fu un guizzo di angoscia, mentre la vista di Ariel si annebbiava, lasciando scivolare via fiumi di lacrime silenziose.

Sicuramente la decisione di Simon era dovuta alla disperata speranza che ci fosse qualche possibilità di scoprire che Joshua fosse vivo. In quel momento, Ariel sentì un calore di devozione all'altezza del petto: nonostante fosse il Mandato, nonostante fosse Padre, era uomo, era carne e la vita di ogni anima a Filadelfia era legata alla sua.

***

Passarono i mesi e quella comunità di anime raccolte attorno a quel padre così fragile, ma di una forza simile al granito, attraversò una nuova primavera.

Il calore dei raggi del sole di aprile, accarezzarono nuovamente la pelle nuda delle braccia di Ariel che, come ogni giorno, aiutava i bambini con i compiti presso una stanza adibita al pian terreno accanto alla mensa.

L'ampia finestra si affacciava dalla parte della Struttura in cui si poteva vedere il mare confondersi con il cielo e il desiderio dell'estate si fece prepotente in lei che non aveva avuto modo di goderne l'anno prima.

Era con i gomiti su quel tavolino di faggio, protesa verso l'esercizio del bambino che aveva di fronte, quando dei tocchi alla porta le fecero alzare il capo. «Caleb!» esultò il bambino dai riccioli biondi. Nell'incontro con il viso del giovane, Ariel avvertì come se delle farfalle danzassero leggere nel suo stomaco. «Si può?» le chiese in un sorriso. «Certo, penso proprio che possiamo fare una pausa.» scompigliò i capelli del biondino. Caleb, impiegò un paio di passi per raggiungere il tavolo; si piegò sulle ginocchia per osservare il quaderno del piccolo e chiese «Cosa state studiando?» muovendo una mano aperta davanti al volto di Ariel che sembrava immersa in mille pensieri da quando aveva varcato la soglia della stanza.

«Ehm, sì!» batté le palpebre un paio di volte. «Studiamo grammatica!» Caleb storse il naso verso il bambino con le labbra protese in una smorfia. «Che noia!» esclamò. «Hai proprio ragione!» lo assecondò il bambino che, forte della presenza di Caleb chiese: «Zia Ariel, posso andare con lui a giocare?» giunse le mani in segno di preghiera «Ti prego!»

Lei rise e poi con il fare autorevole di una maestra aggiunse: «Ti concedo solo qualche minuto!»

I due si guardarono soddisfatti e dopo essersi dati il "cinque" con le mani, Caleb lasciò uscire il bambino e alzatosi per mostrare la schiena alla giovane le chiese: «Tu non vieni con noi?»

«Si, vi raggiungo appena finisco di sistemare.»

«Ma andiamo!» la prese dalle braccia e la tirò a sé per poi portare un braccio sotto le ginocchia e portarla fuori di peso. «Sì!» urlò il piccolo.

«Caleb, mettimi giù!»

«Penso proprio che non sia possibile, cara mia.»

Lei storse il muso e inarcò un sopracciglio. Anche se il loro amore era sbocciato tra tante difficoltà, a volte, conservava alcuni atteggiamenti che aveva già visto in Acab. «E perché no?»

Gli occhi blu di Caleb diventarono lucidi di colpo e Ariel poté vedere chiaramente delle lacrime riempire le iridi. «Caleb?» lui si fermò alla porta che conduceva al cortile, mentre lei non smetteva di guardarlo con apprensione.

«Ho desiderato tanto, in quei momenti, tornare indietro e fare quello che sto facendo adesso...» tirò su col naso.

Caleb continuò a camminare e, nello sgomento di Ariel, lui la invitò a guardare verso il cancello grigio.

Lei lo fece e un fuoco sembrò bruciarle lo stomaco, inondandola di un'emozione che le faceva tremare gli arti.

«No...» pronunciò.

«Ora sono io a dirti: va' da lui.» le sorrise, lasciandola scivolare via per farla correre incontro a quella figura.

Era circondato da una calca di persone, ma tra il tremore degli arti e gli occhi annebbiati, riuscì comunque a farsi spazio tra la folla esultante.

Il cappotto di jeans era sempre quello, così come le sneakers bianche. Ci impiegò qualche secondo prima di realizzare che quel ragazzo sorridente e dagli occhi verdi fosse proprio lì, davanti a lei.

«Gesù...» portò entrambe le mani alle labbra, mentre le spalle tremavano vistosamente.

«Sì, in teoria il mio nome significa "Gesù".» 

L'abbraccio fu inevitabile, così come lo fu quello tra Joshua e Caleb.

 

 

Alla fine, dopo il miracolo del ritorno di Joshua, i membri della Chiesa di Filadelfia capirono - soprattutto Ariel - che non era tanto l'aver creduto che Joshua, o Simon, fossero la reincarnazione di Gesù Cristo, ma che Lui agisse e si incarnasse nello stesso modo in cui aveva fatto duemila anni prima in tutti coloro che credono nel Suo Nome.

Simon era stato il Cristo di Joshua;

Joshua, il Cristo di Ariel;

Ariel, il Cristo di Acab.

"Ricordati Simon il significato del nome di Gesù Cristo. 'Gesù' in ebraico 'Yehoshua' , e 'Cristo' in greco 'Unto' e 'Mandato'. A sua volta, 'Yehoshua' significa 'Yahweh che salva', ovvero 'Dio che salva'.

Dunque, nel nome di Gesù Cristo c'è questo messaggio:

'Dio salva mediante il suo mandato'.

È questo figlio mio il nome di Gesù Cristo. È questo il suo significato, ed è questa la nostra missione."

 

 

 

FINE

 

   
 
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