Fumetti/Cartoni americani > Phineas e Ferb
Ricorda la storia  |      
Autore: Neamh Moonstar    21/08/2022    0 recensioni
Con uno sbuffo, Phineas osservò mesto la fasciatura lungo il suo braccio destro e si tastò quasi incuriosito i cerotti sul viso, sfiorandone il contorno con le dita come a saggiarne i confini. Studiati così alla cieca sembravano quasi piccoli ed insignificanti, null'altro che tanti piccoli imprevisti dovuti ad un normalissimo errore di percorso.
Perché quello era stato: un errore di percorso. Accadeva a tutti i migliori, no? Non c'era inventore che non incappasse di fronte ai limiti del suo stesso genio - o di fronte ai limiti della fisica... O a quelli della gravità.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ferb Fletcher, Perry, Phineas Flynn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ci sono delle volte in cui i cartoni animati della tua infanzia (adolescenza, nel mio caso) tornano a trovarti, coinvolgendoti in un vortice infinito di nostalgia. Ecco, a me capita spesso e volentieri con Phineas e Ferb. Sarà che mi hanno aiutata durante il difficile periodo delle medie, sarà che registravo puntate su puntate ai tempi di Disney XD, sarà che sono stati proprio loro a farmi scoprire le fanfiction (incredibile ma vero); qualunque sia il motivo, ritrovarli fa sempre piacere - anche perché considero il cartone come uno dei più geniali mai prodotti finora. Perciò era inevitabile che scrivessi qualcosa, prima o poi - seppur nulla di incredibilmente strepitoso come delle montagne russe in giardino, ma più tranquillo e introspettivo.

Spero che questo piccolo contributo al fandom sia gradito e spero che un'altra ondata di: "Ah, i vecchi tempi" mi faccia venire un altro po' di ispirazione.

Buona lettura,

Neamh


**


Una parte di lui sapeva che sarebbe accaduto, prima o poi. Era logico ed inevitabile, un fattore che aveva sempre calcolato ma che - a quanto pareva - alla fine era riuscito a sfuggirgli di mano.

Con uno sbuffo, Phineas osservò mesto la fasciatura lungo il suo braccio destro e si tastò quasi incuriosito i cerotti sul viso, sfiorandone il contorno con le dita come a saggiarne i confini. Studiati così alla cieca sembravano quasi piccoli ed insignificanti, null'altro che tanti piccoli imprevisti dovuti ad un normalissimo errore di percorso.

Perché quello era stato: un errore di percorso. Accadeva a tutti i migliori, no? Non c'era inventore che non incappasse di fronte ai limiti del suo stesso genio - o di fronte ai limiti della fisica... O a quelli della gravità. Costruire impalcature destinate a raggiungere altezze elevate era rischioso, ovvio: pur tenendo da conto tutte le più basilari norme di sicurezza, gli incidenti potevano capitare.

Nella sua mentalità alle volte esageratamente positiva, le cose sarebbero potute andare decisamente peggio. Nella mentalità di sua sorella, dei suoi genitori e dei medici, lui e Ferb erano stati fortunati; e la parte più ragionevole del rosso non poteva, ahimè, biasimarli.

Un po' si sentì in colpa. Si era lasciato trascinare così tanto dalla naturale spontaneità con la quale la sua mente elabroava idee che non aveva fatto caso a tutto il resto. Gli capitava spesso: era un ragazzino frizzante, precipitoso, spensierato - forse anche troppo. Inoltre, era abituato a salvarsi sempre per il rotto della cuffia, tanto che non si sarebbe mai aspettato di fare un bel capitombolo contro l'asfalto e i sassolini della strada accanto al suo giardino.

A dirla tutta, era successo tutto così in fretta che ancora stava cercando di elaborare. Sapeva solo di essere scivolato giù dall'impalcatura e aver lottato brevemente con le cinghie che avrebbero dovuto, tecnicamente, evitare che finisse di sotto. Dopo un tempo che non avrebbe saputo definire era comparsa Candace - che per un motivo o per un altro era sempre nei paraggi quando lui e Ferb lavoravano - e si era messa a strillare che erano fuori di testa, che sapeva che prima o poi sarebbe successo, che la mamma sarebbe stata furiosa, eccetera. Era stata lei a chiamare l'ambulanza, presa da un evidente attacco di panico - il quale l'aveva resa ancor più su di giri del normale.

Una volta ritrovatosi tra le sapienti mani dei medici e aver spiegato la situazione meglio che poteva, Phineas aveva scoperto che la confusione dei suoi ricordi era legata all'adrenalina e allo shock post-caduta. Ciò aveva spiegato moltissime cose e lo aveva in qualche modo reso immune all'ira dei suoi genitori - troppo preoccupati per arrabbiarsi, per dare ascolto a Candace o per chiedersi perché la famosa impalcatura fosse sparita una volta tornati a casa.


E adesso era lì, sdraiato sul letto di camera sua, lo sguardo verso il soffitto e una mano occupata a grattare la testolina di Perry. Nonostante la giornata turbolenta, l'incidente, la confusione, la testa mezza in subbuglio e le ferite, la sua mente era spesso e volentieri volata sempre nella stessa direzione. E anche adesso, con un sospiro mesto, voltò il capo verso il letto alla sua sinistra.

Ferb se ne stava a gambe incrociate, gli occhi scuri fissi sulle pagine di un libro che aveva afferrato e aperto non appena entrato in camera, rintanadocisi mentalmente dentro. Anche lui aveva qualche cerotto sul viso, ma il danno più evidente era il gesso fresco, bianco e immacolato attorno al suo braccio sinistro.

L'unica cosa di cui Phineas era certo, era che suo fratello aveva provato ad aiutarlo ed era caduto a sua volta. Nessuno dei due aveva ben chiara la dinamica della cosa e nessuno nel vicinato aveva visto esattamente cosa fosse accaduto; perciò quell'unico osso rotto sembrava essere comparso dal nulla, piombato come un fulmine a ciel sereno e finito in mezzo alla naturale positività del rosso come una macchia di caffè su una camicia bianca.

Sarebbe potuta andare molto peggio, si ripeté. Sta bene, visto? Stiamo bene. È tutto apposto.

Ma non era del tutto vero.


Con il tempo, Phineas aveva imparato più di una cosa importante riguardo Ferb. La prima, è che era esattamente il peso che riequilibrava la sua bilancia: laddove lui era troppo precipitoso, Ferb ragionava; laddove lui esagerava, Ferb placava le acque. Laddove lui straparlava, Ferb restava in silenzio.

E infatti la seconda cosa era proprio quella: i silenzi di Ferb non erano tutti uguali e non erano sempre costanti.

La verità era che suo fratello conversava spesso e volentieri, solo che non lo faceva con tutti. La sua famiglia era quella con cui si esprimeva a parole più volentieri, sia dal lato Flynn che dal lato Fletcher - anche se era una distinzione che Phineas aveva cancellato dal momento esatto in cui aveva compreso la dinamica della loro unione. Ma così come le sue parole, anche i suoi silenzi erano orientati e studiati. Se messi in uno schema, risultavano di tre tipi: volontari (nella stragrande maggioranza dei casi. Erano quelli che lo rendevano famoso, in un certo senso), costretti (quando qualcuno gli parlava sopra, pratica che lo faceva innervosire - e giustamente) e poi c'erano quelli che Phineas chiamava "muri di silenzio", un nome molto poetico per descrivere qualcosa di molto reale.

Ferb non era tipo da perdere le staffe e le poche volte che accadeva sembrava più stizzito che effettivamente arrabbiato. Quando era furioso, infatti, si costruiva attorno un'ipotetica bolla di pesante ed impenetrabile quiete che solo il tempo poteva rompere. Era una delle peggiori paure di Phineas, anche perché sapeva quanto rara fosse e quanta negatività significasse. Per il rosso, sempre attento a tirare su il morale delle persone a lui vicine, quello era un grave colpo alla sua filosofia di rapporto umano. Ferb poi era un caso particolare: gli voleva bene più di ogni altra persona al mondo e saperlo giù di corda per colpa sua lo faceva star male.

Perché sì, in quel momento suo fratello era tanto, tanto, tanto arrabbiato con lui; lo era sin da quando si erano rivisti in ospedale e si erano entrambi assicurati delle loro rispettive condizioni. Per Phineas, il quale era quasi letteralmente volato giù dal lettino quando gli avevano detto che poteva tornare da Ferb, quello sguardo duro solcato da una sola punta di sollievo era stata una doccia fredda. Lì aveva capito di dover fare qualcosa, anche se ancora non sapeva bene cosa.


Scivolò giù dal letto, stando attento a non disturbare Perry e mordicchiandosi un labbro quando sentì tanti piccoli dolori correre su è giù per le membra al primo movimento. Silenzioso come un gatto e cauto come mai era stato, si arrampicò sul materasso di suo fratello e si inginocchiò davanti a lui - segretamente sperando in un'alzata di sguardo da parte dell'altro che, però, non venne mai.

    «Ferb?» Chiamò dopo aver pazientemente atteso qualche secondo.

Ma questi si limitò a voltare pagina, le iridi ben concentrate a seguire i paragrafi e il volto imperturbabile, serio e inespressivo come sempre. Normalmente, dietro a quella maschera di apparente impassibilità, Phineas poteva vederci il mondo. Stavolta vedeva solo un buco nero.

    Non sapendo bene come gestire la situazione - cosa che già di per sé lo mandava in paranoia - il rosso ritentò: «Ti fa male il braccio?»

Niente. Il muro di silenzio restava saldo alle sue fondamenta, irremovibile e incrollabile, rotto solo dal fruscio della carta contro sé stessa.

Non poteva continuare così. Phineas non aveva nessunissima intenzione di lasciare che il tempo facesse il lavoro al posto suo; non quando era lui stesso il motivo di tanto malumore. Se c'era qualcuno capace di far uscire suo fratello fuori da quella situazione, quello era lui e lo sapeva da sempre: era un'altra delle cose importanti che aveva imparato vivendo quasi in simbiosi con colui che aveva di fronte.

    Così decise di buttarla sul leggero. «Siamo stati fortunati stavolta, eh?» Disse con un sorriso mesto.

Ferb alzò finalmente gli occhi su di lui. Sul suo viso squadrato era dipinta una pesante maschera di serietà mista incredulità che mandò a Phineas un brivido lungo la spina dorsale. Era riuscito ad ottenere una reazione, ma non era quella che si sarebbe aspettato.

    «Beh, sarebbe potuta andare peggio, no?» Si giustificò il rosso, dando finalmente voce ai suoi pensieri.

L'altro chiuse delicatamente il libro, rilassando appena appena le spalle in quello che Phineas tradusse come un silenzioso: "Questo è vero". Ferb era ancora contrariato, però: glielo si leggeva negli occhi.

    Forte della piccola crepa che aveva creato nel muro, il rosso sorrise di nuovo - sinceramente, stavolta. «Grazie per aver cercato di aiutarmi, fratello. Credo che il tuo intervento abbia in qualche modo attenuato la caduta.»

Quell'affermazione risultò in Ferb che si scostava l'ormai abbandonata lettura dalle gambe, concentrandosi anima e corpo su suo fratello. I secondi di silenzio che seguirono portarono Phineas a chiedersi cosa fare e se fare qualcosa. Aveva paura di aprir bocca e dire una parola che avrebbe potuto rovinare tutto, portando Ferb a richiudersi a riccio.

    Poi, con sua grande sorpresa, quest'ultimo mormorò un flebile: «Può essere.»

Quelle due parole parvero rimbombare nella cameretta e Phineas tirò un sospiro di sollievo che non sapeva di aver trattenuto. Stava effettivamente sistemando le cose e si sentì su di giri nel rendersi conto che era riuscito a far breccia anche in quella complicata caratteristica di suo fratello.

    Preso da quel barlume di positività, mise entrambe le mani sulle spalle di Ferb, stringendole appena. «Mi dispiace» disse, «è stato solo un incidente, ok? Faremo in modo che non accada più.»

Si accorse di aver fatto il passo più lungo della gamba quando l'altro usò la sua unica mano sana per scostarsi dalla presa e far volare lo sguardo verso un punto imprecisato del pavimento.

    Con un tuffo al cuore, Phineas si fece poco poco più vicino. Inclinò la testa perché potesse incontrare l'espressione rabbuiata di Ferb e affranto chiese: «Hai avuto paura?». Poi, come spesso accadeva, la sua lingua prese il comando: «Anche io, sai? Ma sono contento che tu stia bene. Sono sicuro che il tuo braccio si sistemerà in un attimo: sei una roccia.»

Avrebbe continuato volentieri a colpire l'ormai sempre più fragile muro con tutte le parole più rincuoranti e positive possibili, ma il flusso venne bloccato da un unico gesto di Ferb.

    Quest'ultimo, con la mano ancora alzata ad intimare silenzio, fece un sospiro pesante e rassegnato. «Te l'avevo detto che le cinghie erano vecchie.»

    Quell'affermazione piombò tra loro come un macigno e Phineas sbarrò gli occhi. «Quando?!» Esclamò incredulo. Era sicuro come l'aria di non aver sentito nulla del genere... Se ne sarebbe accorto altrimenti, giusto? Non poteva non averci fatto caso.

A giudicare dalle sopracciglia aggrottate di Ferb, però, si rese conto di avere torto marcio e la realizzazione lo fece sentire come un straccio bagnato buttato al suolo. Capperi, non è possibile.

    Ferb alzò gli occhi al cielo. «Prima che iniziassimo» rispose.

Una scintilla si fece strada nei ricordi del rosso e sentì le guance avvampare per l'imbarazzo. Era vero: Ferb gliel'aveva detto e lui, preso dall'eccitazione del momento, lo aveva liquidato con un: "Nah, reggeranno". Altro che attenzione perenne, stavolta aveva davvero lasciato che le emozioni ragionassero al posto del suo cervello - una cosa che un pensatore come lui non poteva far passare come nulla fosse.

Aveva messo entrambi in pericolo per una svista; una stupida svista nata dal fatto che non aveva dato ascolto a suo fratello. Lui, l'unico che pendeva dalle labbra di Ferb ogni volta che apriva bocca.

Sentì il volto pizzicare e gli occhi gli si riempirono di lacrime senza che potesse farci nulla. Odiava farsi prendere così dai suoi tumulti interiori, positivi o no che fossero: lo staccavano dalla realtà. L'unico dei due che poteva permettersi di piangere in quel momento era Ferb, colui che era stato ignorato e che probabilmente era saltato sull'attenti prima dell'incidente proprio perché sapeva, anzi...

Il nodo nello stomaco di Phineas si fece ancora più stretto nel rendersi conto che era per quello che se l'erano cavata con cerotti e gesso. Era sicuramente tutto merito di Ferb e della sua capacità di capire cosa fare per andare a tappare i buchi che l'impulsività lasciava loro alle spalle. Era solo per merito suo se le loro invenzioni funzionavano senza intoppi: Ferb era il braccio perfezionatore della mente di Phineas, sempre.


    Le lacrime del rosso andarono ad infrangersi sulle lenzuola e dalla sua bocca rotolò un flebile e strozzato: «Scusami.»

Ecco, quella era la vera e propria scusa, quella sincera fatta dopo aver analizzato il punto di vista dell'altro - pratica in cui Phineas sapeva di essere totalmente negato alle volte, sempre troppo impegnato a mantenere i mattoncini delle sue relazioni dritti e ben uniti.

Si ritrovò tremante, le braccia ferite che cercavano invano di asciugargli gli occhi e leggeri singhiozzi che rompevano a tratti i brividi. In un secondo, tutti i suoi precedenti pensieri vennero spazzati via da uno tsunami. Si chiese se quella reazione fosse in parte colpa dello shock o fosse semplicemente causa della sua stupidità. In ogni caso, lo portò a scontrarsi contro la spalla di Ferb alla ricerca di un contatto che non sentiva di meritarsi. Nemmeno sperò di sentirlo arrivare, perché sarebbe stato giusto così.

E invece arrivò eccome.

Sentì l'unica mano dell'altro avvolgergli le spalle e iniziare a strofinargli la schiena in movimenti dolci e circolari. Il muro era crollato, certo, ma adesso i detriti gli stavano sbattendo addosso uno per uno.

Strinse forte la vita stretta di suo fratello, rendendosi conto ancora una volta che stava bene, era lì, andava tutto bene. Sarebbe potuta andare decisamente peggio.

Sarebbe potuta andare decisamente meglio.


I minuti passarono lenti e Phineas iniziò a sentirsi sempre più a suo agio in quell'abbraccio forte e carico di perdono. Presto calò di nuovo il silenzio, ma stavolta fu felice di sentirlo poiché era un silenzio buono e calmante.

Un balzo sul letto e un gorgoglio li fece separare. Il rosso raccolse con dolcezza un incuriosito ed evidentemente preoccupato Perry, il quale parve molto felice di essere partecipe di quel piccolo quadretto di conforto. Un: "Eccoti qua, Perry" sarebbe stato d'obbligo, ma lo sfogo aveva lasciato Phineas con la sola voglia di far passare quella giornata il prima possibile e andare avanti. In effetti, ora che ci faceva caso, la sera si stava lentamente trasformando in una placida notte estiva.

    «Sarà difficile trovare qualcosa da fare in punizione qui dentro e con te con un braccio fuoriuso» realizzò, lasciando che Ferb grattasse il pancino del loro ornitorinco. I loro genitori erano troppo preoccupati per infuriarsi,certo, ma non abbastanza da non chiuderli in casa per una settimana almeno.

    Suo fratello fece spallucce. «Ci inventeremo qualcosa.»

Con un sorriso, Phineas propose che sarebbe stato carino trovare il modo di chiedere scusa a Candace per lo spavento, idea che Ferb accettò includendo i loro genitori nell'equazione. Sapevano anche che presto avrebbero dovuto spiegare l'accaduto ai loro amici e che da lì sarebbe partita una rete intricatissima di passaparola ad amici di amici, vicini, conoscenti, cugini dei conoscenti... Forse, a pensarci bene, avrebbero avuto il loro bel da fare, solo non nei soliti termini. Ma sì, Ferb aveva ragione: qualcosa si sarebbero inventati.

Recuperata un po' di positività, Phineas osservò per qualche secondo il gesso di suo fratello e lasciò delicatamente Perry sul materasso per andare - lentamente, causa dolorini generali - a frugare in un cassetto della scrivania. Lì aveva, tra le tante cose, un bel pennarello indelebile che di solito usava per delineare progetti e spiegazioni alla lavagna, utile quando c'era bisogno di mettere appunto le idee o quando venivano gli altri ad aiutarli. Stavolta lo afferrò e tornò davanti a Ferb, prendendogli delicatamente il braccio sinistro e iniziando a firmargli il gesso.

    «Posso firmare anche per Perry?» Chiese, ripassando più volte le lettere del suo nome affinché risultassero ben visibili.

L'altro annuì, lasciando che un leggero sorriso facesse breccia sul suo volto. Grazie a quello, Phineas sentì un velo di ritrovata pace calare su di loro e capì che il peggio era passato.

Sarebbe potuta andare decisamente meglio, quello era vero. Ma adesso erano lì, stavano bene ed erano assieme.

E avrebbero sistemato le cose.

--

    «Sul serio ti sei buttato così di colpo in mio soccorso?» Sussurrò Phineas non appena si fu raggomitolato nel letto accanto a Ferb.

Dormivano sempre l'uno vicino all'altro quando uno dei due era triste, malato o giù di morale in generale. C'erano state volte in cui avevano passato nottate intere sul divano dopo una serata film particolarmente lunga, o volte in cui si erano assopiti assieme dopo una chiacchierata notturna. Quella volta non sarebbe stata da meno.

Ripensando a ciò che avevano passato, poi, Phineas aveva più e più volte riavvolto quel pensiero nella sua testa come fosse un nastro. Era stato un gesto così eroico, fraterno, affettuoso, incredibile...

    Ferb in tutta risposta annuì, stringendo appena un sonnecchiante Perry a sé. «Tu avresti fatto lo stesso» affermò sicuro.

    Avrebbe fatto quello e molto di più, si disse il rosso. «Però sarebbe meglio evitare che succeda di nuovo, eh?» Propose poi, non senza una punta di autocritica.

    «Con delle cinghie che funzionano» puntualizzò Ferb.

    «Con delle cinghie che funzionano» ripeté Phineas a mo' di doppia conferma.

Ridacchiarono appena prima di venire inglobati dal leggero canticchiare delle cicale al di fuori.

Nella penombra, Phineas osservò i lineamenti dell'altro rilassarsi gradual e aspettò che Ferb si assopisse prima di mettersi a dormire a sua volta.


Una cosa è certa, si disse prima che le fatiche e le emozioni della giornata avessero la meglio. Non voglio più vedere muri di silenzio.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Phineas e Ferb / Vai alla pagina dell'autore: Neamh Moonstar