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Autore: Nina Ninetta    22/08/2022    2 recensioni
Quando Andrea e Noёl vengono convocati in caserma poiché i rispettivi fratelli sono stati ricoverati a causa di problemi di alcolismo e fumo, i due decideranno di collaborare per chiedere l'affido della nipotina Giorgia. Tuttavia, la legge prevede che solo coppie sposate, o conviventi da almeno 5 anni, possono adottare un minore. I due non hanno scelta: dovranno vivere insieme e fingere di essere una vera coppia per il bene della piccola Giorgia.
[Questo racconto partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna].
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo racconto partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
La tematica di agosto (Fake Date: i due protagnisti dovranno fingere di stare insieme) è davvero a me molto, molto cara. Chi mi conosce, sa che ci ho costruito sopra una long, la quale rimane forse la mia creazione meglio riuscita. 
Anche questa volta, mi sono lasciata prendere la mano, perciò il racconto da poche pagine che doveva essere è finito per diventare una storia a più capitoli...

Non mi resta che augurarvi buona lettura,
Nina^^




 
“Sai, ti cercavo…


 
 
Prologo
 
Quando il cellulare vibrò nella tasca posteriore degli shorts di jeans Andrea neanche vi badò. Il numero che la stava contattando aveva il prefisso della sua città, Milano, e a quell’ora della notte poteva trattarsi solo di uno scherzo di pessimo gusto.
Si allungò sul bancone da lavoro per asciugarne la superficie con un panno in microfibra, le lunghe treccine castane trattenute in una coda sulla sommità del capo ricaddero in avanti, sfiorandole i seni messi in risalto dalla canotta bianca. Il cliente che si era accomodato sullo sgabello gliele guardò, facendole poi l’occhiolino mentre alzava lo shottino e brindava alla splendida visione.
Andrea sorrise per educazione, come gli aveva insegnato a fare la sua mentore il primo giorno di lavoro, quando aveva appena ventidue anni e uno zaino di sogni sulle spalle. Adesso di anni ne aveva ventotto e il peso dello zaino si era drasticamente ridotto.
«Quelli ti guarderanno le tette per tutto il tempo che se ne staranno al bancone. Alcuni verranno solo per quelle, per una guardatina e basta. Tu sorridi con garbo, loro si illuderanno di poterle toccare e rimarranno lì a fissarle per tutta la sera, ordinando alcolici su alcolici fino a che non ricorderanno neanche più come si chiamano. Nel frattempo tu avrai ricevuto un sacco di mance e il capo sarà contento dell’introito. Se non sorridi, quelli la prendono sul personale e faranno storie. Si lamenteranno con il boss che incazzato verrà da me che ancora più incazzata tornerò da te e ti spedirò a casa. Chiaro?!».
Marta era stata chiara come un cielo terso di primavera e Andrea non aveva mai avuto problemi. Qualche volta forse, ma in fondo un’occhiata lasciva e un apprezzamento di troppo erano il piccolo prezzo da pagare per uno stipendio decente e un contratto a tempo indeterminato. Nel 2015 non erano cose da sottovalutare.
Distrattamente prese il cellulare dalla tasca, era un gesto che i giovani ormai facevano abitudinariamente, simile a un tic, come grattarsi la testa o togliersi le doppie punte nei momenti meno opportuni. Sullo schermo del telefono c’erano ben cinque chiamate senza risposta, tutte provenienti dallo stesso numero fisso, intervallate pochi minuti l’una dall’altra. Andrea cominciava a insospettirsi, quando Marta l’afferrò per un polso e la guardò dritto negli occhi, preoccupata:
«Hanno chiamato i carabinieri. Devi andare subito alla caserma di San Cristoforo.»
«San Cristoforo? Ma è quella vicina all’ospedale?» Qualche secondo dopo Andrea stava indossando il giubbotto scuro e la sciarpa intorno al collo, mentre nello stanzino adibito a spogliatoio femminile continuava a chiedere informazioni a Marta.
Cosa le avevano detto precisamente?
Lei non aveva fatto niente, eppure il cuore le batteva forte in petto. Aveva un presentimento, una specie di dejà vu. Non era la prima volta che dovesse correre in caserma per qualche denuncia, sebbene non a carico suo...
«Non hanno voluto dirmi nulla» Marta l’aiutò a sciogliersi i capelli e a calarsi un cappellino di lana sul capo. «San Cristoforo è vicino al San Borromeo. La fermata più vicina della metro è-»
«Bisceglie» l’anticipò Andrea, finalmente pronta per affrontare il freddo autunno milanese.
Marta le strinse le spalle ossute con le sue mani altrettanto magre. Era ormai prossima al mezzo secolo di età, una vita spesa a innamorarsi degli uomini sbagliati e a evitare ogni tipo di gravidanza, desiderata e non. Andrea non solo era diventata la sua collega preferita, ma era anche l’unica amica sincera di cui potersi fidare, una confidente leale, la figlia che non avrebbe mai avuto ma di cui sentiva il bisogno.
«Pensi si tratti di Claudia?» Le domandò.
«Ho paura di sì.»
«Stai attenta, Andrè!»
Andrea posò le mani sulle sue e uscì dalla stanza, lasciando la porta aperta. Attraversò velocemente le cucine del pub, i dipendenti neanche parvero accorgersi di quello scricchiolo di donna che si muoveva frettolosamente, il cappello morbido calato sui capelli castani, mentre decine di treccine ballavano sulla schiena. Indossò i guanti appena prima di uscire in strada, dove un freddo secco l’accolse nella sua morsa. Il respiro si condensò rapidamente, si strinse meglio che poteva nel giubbotto di piuma e fece un altro giro di sciarpa intorno al collo, ma gli shorts e le calze scure, velate, non erano proprio l’abbigliamento più consono a quelle temperature. Si mosse in direzione della metro, soffiandosi nelle mani chiuse a coppa davanti alla bocca.
Andrea non amava l’inverno, il freddo mal lo sopportava, ma quell’anno i meteorologi avevano predetto un autunno particolarmente rigido per il periodo. In effetti, sembrava di stare a gennaio inoltrato e non ai primi di ottobre.


 
Capitolo 1
La stazione di polizia

 
 
La stazione dei carabinieri parve ad Andrea una fotografia degli anni ’50. Le strade erano completamente deserte, la luce aranciata dei lampioni sembrava aver fermato il tempo, non si udiva nulla, non passava nessuno. Tutto era immobile e lei, osservando l’edificio di mattoni, si sentì piccola piccola.
Con il cuore in gola entrò e si presentò all’uomo in divisa alla reception. Lui le chiese i documenti, squadrandola da capo a piedi intanto che lei li cercava tra le cianfrusaglie buttate alla rinfusa nello zaino Decathlon. Andrea blaterò qualcosa a bassa voce, il cuore che continuava a martellarle nel petto, fino alle tempie. Avrebbe voluto dire all’uomo oltre il gabbiotto che erano stati loro a contattarla, perché diamine adesso doveva presentarsi? Quando scovò la carta d’identità sul fondo della borsa le scappò un gridolino di sollievo e la mostrò al carabiniere che, senza dire una parola, controllò alcune nozioni nel database, infine le disse di seguirlo.
La accompagnò attraverso un breve corridoio, aprì una porta sulla sinistra e la annunciò:
«Marescià è arrivata» disse con un forte accento partenopeo. Andrea lo vide fare il gesto del saluto militare prima di continuare. «Capitano De Angelis!» Quindi le fece cenno di entrare, richiuse la porta e andò via.
Il cuore di Andrea aveva già avuto un ulteriore sussulto udendo il cognome De Angelis, per diversi motivi. Innanzitutto, se era stato convocato anche lui significava che il problema era effettivamente Claudia (di nuovo); in seconda battuta il capitano De Angelis, Noёl De Angelis, non gli piaceva affatto.
I due uomini d’armi erano seduti l’uno di fronte all’altro, a separarli una scrivania semplice, il cui ripiano ospitava un computer e una stampante Canon, oltre a una miriade di fogli, matite e penne. Alle spalle del maresciallo uno schedario ricolmo di raccoglitori blu, sistemati in ordine cronologico. De Angelis sedeva su una delle due sedie di plastica, era in abiti civili. Lanciò un’occhiata da basso alla ragazza, la quale ricambiò senza sapere bene cosa dire.
«Signorina Moretti, prego, si accomodi» il maresciallo accompagnò l’invito con un gesto della mano. Andrea si mosse simile a un automa, mentre De Angelis distoglievo lo sguardo glaciale da lei.
La giovane prese posto accanto a lui, scostando la sedia di qualche centimetro. Avrebbe preferito allontanarsi di qualche metro, ma non poteva, la stanza non era particolarmente spaziosa e il gesto sarebbe risultato alquanto strano.
«Sono il maresciallo Rizzo, mi spiace averla fatta venire così di corsa» l’uomo le allungò una mano e lei gliela strinse. «Immagino sia spaesata. Le spiego subito il motivo della visita, la prego però di rilassarsi. Non è così grave come-»
«Per poco quegli sconsiderati non ammazzavano Giorgia!»
La voce del capitano De Angelis tuonò nella stanza. Andrea si voltò a guardarlo, ma lui teneva gli occhi fissi oltre la finestra, dove si ergeva imponente la struttura ospedaliera del San Carlo Borromeo.
«Giorgi? Giorgi non sta bene?» Andrea Moretti si portò le mani davanti al viso, improvvisamente cominciava a fare caldo. D’altronde, non era più in mezzo alla strada e i termosifoni erano accesi. Cominciò con il togliersi il cappello, sciolse l’intrico della sciarpa e si liberò le mani dai guanti.
«Noёl, non essere tragico!» Era stato il maresciallo a intervenire. «Stia tranquilla, signorina Moretti, sua nipote Giorgia sta benissimo! Vuole una tazza di caffè?»
Andrea notò solo in quel momento le tazzine sporche di caffè sul tavolo e rifiutò. Voleva solo capire cosa fosse successo, se poteva smetterla di preoccuparsi e dove fossero i suoi famigliari: sua sorella Claudia e sua nipote Giorgi in particolare.
Il maresciallo Rizzo le raccontò che i vicini di casa di sua sorella e suo cognato, tale Giovanni De Angelis, avevano telefonato alla polizia poiché la bambina piangeva da quel pomeriggio. Aveva smesso per un po’, ma poi aveva ripreso e non avevano sentito, né visto, i suoi genitori. Una pattuglia si era recata sul posto, quando si tratta di minori l’intervento è immediato. Avevano bussato a lungo, senza ricevere alcuna risposta, fatta eccezione per il pianto disperato di una bimba. Immediatamente avevano contattato i pompieri e gli assistenti sociali. I primi erano entrati forzando un balcone e avevano poi aperto la porta dell’appartamento.
Qui il racconto dell’uomo si era interrotto, Andrea l’aveva visto passarsi una mano grossa quanto la sua faccia sul viso tondo.
«Ora arriva la parte difficile» aveva annunciato, facendo preoccupare ancor di più la giovane barista. «La piccola Giorgia piangeva in piedi, al centro del corridoio, con indosso abiti sporchi di pipì, cacca e Dio solo sa cosa. I genitori, Claudia Moretti – sua sorella – e Giovanni De Angelis – suo fratello –» disse il maresciallo, indicando il capitano che teneva ancora lo sguardo saldo oltre i vetri, «erano riversi sul divano, la tv accesa, bottiglie di birra sparse ovunque e un forte odore di fumo a permeare l’aria. Mi dispiace.»
Andrea parlò, la voce rotta dal pianto, ma tentò comunque di darsi un contegno. La sua famiglia aveva perso già troppa dignità strada facendo.
«E… dove sono adesso?»
«Claudia e Giovanni sono ricoverati in ospedale. Sono fuori pericolo. Giorgia è stata visitata da diversi medici, nutrita e lavata. Sta bene. Solo tanto spavento per lei. Ma questa notte la trascorrerà al centro polifunzionale per minori…» Rizzo consultò alcuni fogli che teneva sotto al naso. «”La Fata”.»
«Dormirà in una casa famiglia?» Chiese Andrea, sporgendosi in avanti, le treccine seguirono i suoi movimenti. Non se ne accorse, ma il capitano De Angelis la fissava di bieco, sembrava infastidito dalla sua sola presenza.
«Non abbiamo potuto fare altrimenti. Lei lo capisce, sì?»
«Me ne sarei potuta occupare io. Giorgi ha già dormito a casa mia, quando i suoi genitori-»
«Erano impegnati a drogarsi? Complimenti per avergli retto il gioco, davvero un genio!»
«Claudia e Gianni non sono drogati!»
«Ah, davvero?! E come li definiresti?»
Andrea e Noёl si fissarono di traverso, simili a due cani pronti a sbranarsi. Solo che, in quanto a stazza, lui ricordava un rottweiler e lei un chihuahua.
«Ok signori, io capisco che siete stanchi e provati, ma c’è un altro problema da affrontare» il maresciallo attese di avere l’attenzione di entrambi gli interlocutori. «Purtroppo, come voi ben sapete, questa non è la prima segnalazione di maltrattamenti di minori che riceviamo a carico di Claudia Moretti e Giovanni De Angelis. La legge ci impone di segnalare il caso agli assistenti sociali e quando la macchina sociale si mette in moto non la si può più fermare.»
L’uomo, ormai prossimo alla sessantina e con troppi chili in più, si rivolse in particolare al capitano dell’esercito Noёl De Angelis, dandogli del tu.
«Io non conosco bene le leggi, ma ho sentito dire che molto probabilmente gli toglieranno la patria potestà. Ciò significa che la bambina verrà affidata a una casa famiglia oppure a una coppia di estranei, per un periodo limitato certo, ma verrà comunque allontanata dai genitori biologici. Ora, potete lasciare che ciò accada e seguire l’iter predefinito, oppure…» di nuovo si prese una pausa prima di continuare.
«Oppure?» De Angelis si sporse in avanti, le mani chiuse a pugno sotto il mento e i gomiti premuti sulle cosce.
«Oppure chiedete voi l’affido.»
«Noi? Possiamo farlo?» Chiese Andrea, mentre l’uomo al suo fianco tornava con la schiena dritta e gli occhi di nuovo puntati sul San Carlo, pensieroso.
«Ripeto, io non ne capisco molto, vi conviene chiedere meglio a chi di dovere. Il mio è solo un consiglio.» Il carabiniere mostrò i palmi, come a volersi scrollare di dosso ogni responsabilità, poi la voce di De Angelis tuonò ancora nell’angusta camera.
«Può lasciarci, maresciallo Rizzo?!»
Sia l’uomo in divisa oltre la scrivania, sia la giovane Andrea si voltarono a guardarlo con occhi sbarrati. Noёl puntò gli occhi chiarissimi in quelli decisamente più comuni e meno spaventosi di Rizzo, il quale cercò di balbettare qualcosa.
«Ca-capitano, non potrei, lei sai che non-»
«Io e la signorina Moretti avremmo una questione privata di cui discutere. La ringrazio della comprensione.»
La pelle di Andrea si accapponò. Osservò il maresciallo Rizzo mettersi in piedi e muoversi senza troppa convinzione verso la porta. Avrebbe voluto dirgli di non uscire, di non lasciarla sola con quello lì che non aveva mai compreso fino in fondo. È vero, l’aveva incontrato sporadiche volte nel corso della sua vita, ma abbastanza da poterci instaurare un rapporto civile fra due persone socialmente attive. Con il capitano invece pareva impossibile. Era un iceberg, impenetrabile. L’esatto contrario di suo cognato, ossia il fratello di Noёl, Giovanni, detto Gianni per tutti loro.
Sua sorella Claudia era più piccola di lei di tre anni, mentre Gianni aveva ben dieci anni di differenza da suo fratello Noёl. Andrea aveva sempre invidiato la storia d’amore che aveva unito sua sorella e suo cognato, sembrava uscita da uno di quei racconti che leggeva sui giornaletti quando era adolescente: vacanze al mare, il sole tra i capelli, un primo bacio al chiaro di luna, una prima volta sotto il cielo stellato e poi? Poi era nata Giorgia, una bimba bellissima che adesso aveva già cinque anni e le aveva letteralmente cambiato la vita. Non pensava di poter amare così incondizionatamente un’altra persona, un animaletto domestico forse, ma un altro essere umano no. Fin quando sua sorella non aveva partorito e l’ostetrica di turno le aveva messo fra le braccia quel fagottino fatto di pelle morbida e rosea.
Giorgi. La sua Giorgi. L’aveva amata dal primo istante.
Il capitano De Angelis afferrò il cellulare dalla tasca e scattò in piedi, distogliendola dai pensieri come un secchio d’acqua ghiacciato. Avrebbe voluto chiedergli cosa avesse in mente, ma la sola presenza di quell’uomo bastava a farle andare in pappa il cervello. Lo temeva come si può temere un rottweiler nel pieno della sua prestanza fisica. Eppure, paragonarlo a quella razza canina non era la similitudine giusta, infatti, con i suoi capelli chiari acconciati all’indietro e la barbetta ispida di qualche giorno – evidentemente l’avrebbe rasata la mattina successiva prima di andare al lavoro – ricordava più un giovane leone.
Andrea sprofondò nella sedia, De Angelis sfiorava il metro e novanta e quasi sicuramente i cento chili di peso, in pratica era almeno due volte lei.
«Avvocato Greco? Capitano De Angelis. Avrei urgente bisogno di parlarle.»
La ragazza spalancò gli occhi, consultando l’orologio alla parete: le lancette segnavano le tre di notte. Quale folle avrebbe telefonato al proprio avvocato a quell’ora? E, soprattutto, quale pazzo avvocato lo avrebbe assecondato? Evidentemente il legale del capitano De Angelis.
Lo vide annuire e sorridere di circostanza mentre era al telefono, infine chiuse la conversazione, afferrò il proprio cappotto scuro adagiato sullo schienale della sedia e le ordinò di seguirlo, senza darle ulteriori spiegazioni. Andrea non poté fare altro che corrergli dietro, perché se voleva stare alle sue lunghe falcate doveva per forza muoversi come se stesse facendo una corsetta. Cercò di domandargli cosa avesse in mente, dove stessero andando, ma Noёl salutò frettolosamente i carabinieri di guardia, ringraziando il maresciallo Rizzo per il supporto, poi spalancò il portone della stazione e si ritrovarono in strada, al gelo. Andrea fu scossa da brividi, il cambio di temperatura era stato repentino, ma lui non gli diede neanche il tempo di ripararsi indossando il cappello o la sciarpa che lo vide salire a bordo di un SUV BMW grigio scuro.
«Sali» le intimò e lei eseguì, in fondo non avrebbe saputo da dove cominciare per risolvere quella faccenda.
Una volta in macchina, avrebbe avuto il tempo di parlargli, se lui non avesse cominciato per primo.
«Sarò io a farmi carico di Giorgia. Potrebbero però esserci dei problemi, perciò forse servirà anche il tuo consenso. Stiamo andando a casa del mio avvocato. Saprà cosa fare.»
Andrea rimase con gli occhi fissi sugli stivali, senza trovare le parole più adatte per rispondere. Decine di pensieri le passavano in quel momento per la testa e lei non riusciva ad afferrarne neanche uno che fosse una buona risposta o una domanda lecita. Avrebbe voluto dirgli che di Giorgia poteva occuparsene lei, anzi, lo avrebbe tanto desiderato. Di sicuro il suo capo non avrebbe fatto storie al lavoro, concedendole qualche giorno di riposo, magari avrebbe storto un po’ il muso, ma alla fine avrebbe acconsentito. Avrebbe così concesso a Claudia il tempo per riprendersi, si sarebbe potuta trasferire a casa sua una volta dimessi dall’ospedale, affinché lei e Gianni tornassero in sesto. Invece, rimase in silenzio per tutto il viaggio – il quale durò una ventina di minuti – a fissarsi la punta delle scarpe che si illuminava ogni qual volta l’auto passava sotto un lampione. Era psichedelico.



 
  
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