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Autore: Lady_Crow    24/08/2022    1 recensioni
Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Ma di cosa sono fatti i sogni? Cosa significa: “Vissero per sempre felici e contenti”?
 Isabeau e Navarre sono finalmente insieme, ma i loro guai non sono finiti. Marquet, il Capitano della Guardia al servizio del Vescovo, è ormai stato sconfitto; tuttavia, a Roma, suo fratello Leroy preme perché gli vengano assegnati degli uomini, in modo da poter riconquistare Aguillon e vendicarsi.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Etienne Navarre, Imperius, Nuovo personaggio, Philippe Gaston
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Isabeau si pulì l’angolo della bocca con il polsino del vestito, poi subito se ne pentì vedendo la macchia marroncina rimasta sul tessuto bianco. Sospirò sconsolata coprendosi il volto con una mano.
“Non ne faccio una giusta” mormorò fra sé e sé.
Le regole della vita di corte le erano sempre andate un po’ strette da ragazzina; forse nel petto aveva sin da allora covato quello spirito bonariamente ribelle che in seguito le avrebbe causato tanti guai, ma che ciononostante benediva, poiché l’era valso anche l’amore di Navarre. Mai però avrebbe immaginato, neppure allora, neppure quando la voce pacata ma ferma della madre le ricordava come una nobildonna si sarebbe dovuta comportare e per tutta risposta lei sbuffava, quanto facile potesse essere perdere certe abitudini.
Ricordava tanto nitidamente quanto quella appena trascorsa la tragica notte di due anni prima in cui, appena qualche settimana dopo la celebrazione in gran segreto del matrimonio con Navarre, si era svegliata, nuda, con un lupo dal manto nero stretto al petto. Fuori infuriava la tempesta, proprio come la notte in cui Cezar, di recente, era venuto a dar loro la caccia, senza sapere che quella sarebbe stata la sua ultima battuta, e che a rimetterci la pelle sarebbe stato lui e lui soltanto. Isabeau non aveva avuto paura, neppure per un secondo, non del lupo perlomeno. Lo aveva accarezzato in cuor proprio già assurdamente sapendo cosa fosse accaduto, ma chiamando il nome di Navarre come per mantenere una certa dignità difronte a se stessa, rendendosi conto della follia della realtà che le si parava davanti ma non volendo cedervi. Il modesto riparo era scosso dal vento e battuto dall’acqua, ma quelli erano gli unici suoni udibili. Niente dava ad intendere la presenza di qualcun altro. Al suo chiamare, il lupo si era destato, guardandola negli occhi ed emettendo un basso ringhio che non aveva nulla di minaccioso, ma quasi ricordava le fusa di un gatto. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime e anche allora si era coperta il volto con una mano, proprio come stava facendo adesso, in quel mattino dal cielo terso, col sole sorto da poco, che nulla aveva a vedere con quella tempesta, ma che non la stava stravolgendo meno di quanto non avesse fatto quella notte.
“Va’ a chiamare padre Imperius” disse all’ancella al suo fianco con tono gentile ma fermo, forse più per non dover ulteriormente sopportare il peso del suo sguardo preoccupato che per reale volontà di parlare col monaco.
L’ancella fortunatamente obbedì senza proferire parola. La sua signora ne fu lieta: non amava imporsi con eccessiva autorità, ma esausta com’era davvero non avrebbe avuto la forza di affrontare una discussione, anche la più blanda, proprio in quel momento, ed era appena l’inizio della giornata.
Seduta sul giaciglio suo e di Navarre si guardò intorno, accarezzando con lo sguardo quella che era diventata la loro camera da letto, ancora sorprendentemente spoglia considerando il loro nuovo rango in Aguillon, ma in verità non c’era stato tempo per pensare all’arredamento: il Vescovo aveva fatto troppi danni accumulando ingiustizie su ingiustizie, a cui loro adesso dovevano rimediare; non era sempre facile districare fatti e dicerie per trovare il bandolo della matassa e scoprire a chi spettasse cosa e chi avesse originariamente fatto torto a chi; per giunta poi c’era stato il sogno d’Imperius ad avvisarli dell’imminente pericolo. Ancora non sapeva quanto imminente, ma ora dopo ora il fatto che Philippe ancora non fosse tornato dal suo viaggio d’ispezione la rendeva sempre più nervosa.
Nonostante tutto amava quella stanza e amava il fatto, se ne rendeva conto, che giorno dopo giorno avvertiva la malefica energia del Vescovo dissiparsi per fare spazio alla propria e a quella di Etienne. Poco le importava dell’arredamento: quel che le interessava era avere un posto sicuro dove passare insieme i pochi, pochissimi momenti di veglia in cui non fossero sommersi dagl’impegni.
Il suono di qualcuno che bussava alla porta in maniera fin troppo decisa la fece sussultare. Doveva trattarsi della mano tozza d’Imperius.
“Avanti” disse lei con voce più debole di quanto non avrebbe voluto.
La porta si aprì e il Monaco si fece avanti rivolgendole un cenno del capo pieno di riverenza mentre si accingeva ad avvicinarsi.
“Chiudete la porta, per favore”.
Isabeau udì quelle parole come se non fosse stata lei a pronunciarle; si sentiva soffocare nonostante la frizzante aria del mattino. Alla sua richiesta lo sguardo del monaco si fece serio, ma non disse nulla, si limitò a grugnire bonariamente in segno di assenso. Chiuse la porta e poi si voltò a guardare la dama, non sapendo bene cosa aspettarsi, ma essendo assolutamente certo del fatto che ci fossero ulteriori guai all’orizzonte.
Isabeau, con i grandi occhi azzurri pieni di lacrime che a stento riusciva a trattenere, poso una mano accanto a sé sul morbido copriletto, facendo segno a Imperius di sedersi vicino a lei. Lui, goffamente obbedì e per un attimo, con la bocca semiaperta, la fissò indeciso sul da farsi: non sapeva se porle delle domande o aspettare che fosse lei a parlare.
“Ho bisogno che mi confessiate, padre” dichiarò infine lei, continuando a sforzarsi di trattenersi dal piangere.
“Qui?”domandò lui sorpreso.
Lei annui con un cenno del capo. “Questa volta però il segreto della confessione dovrà rimanere tale” lo pregò con un filo di voce.
“Certo figliola” rispose lui con ruvida gentilezza, ancora non essendo davvero riuscito a perdonarsi i guai che la sua mancanza di riservatezza aveva in precedenza causato alla coppia, e che probabilmente ancora non erano finiti. Si segnò e pronunciò la formula con cui sempre iniziava il rituale della confessione.
Isabeau però non riuscì minimamente ad essere altrettanto formale. Scoppiò in lacrime e gli si gettò al collo.
“Che succede, figlia mia?” chiese lui stringendola, troppo sorpreso e preoccupato per dare spazio all’imbarazzo che pure era presente.
“Aspetto un figlio da Navarre” disse lei fra i singhiozzi.
Lui sgranò gli occhi e posandole le mani sulle spalle l’allontanò un poco con dolcezza in modo da poterla guardare negli occhi. “Ma questa è una benedizione!” rispose cercando di non piangere a sua volta; le sue sarebbero state però lacrime di gioia “Lo hai già detto a Etienne?”.
Lei scosse la testa “Non posso dargli anche questo di cui preoccuparsi, col nemico alle porte” spiegò mentre il suo respiro si faceva un po’ più regolare e la voce un po’ più stabile.
Il monaco sospirò e l’accolse nuovamente fra le braccia, col cuore colmo di gioia ma pesante come un macigno.

   
 
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