Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Melisanna    25/08/2022    1 recensioni
Si svegliò nella morsa di un dolore impietoso, che gli affondava le zanne nella schiena e nel ventre. Si svegliò in una corsia di ospedale, tra i lamenti dei malati e puzzo di disinfettante e materia organica. Si svegliò febbricitante e in preda a vertigini violente che gli impedivano di distinguere il sopra dal sotto e gli causarono un onda violenta di nausea.
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Diego Brando, Johnny Joestar
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la 200 summer prompts challenge del gruppo Facebook Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom
I racconti sono leggibili separatamente, ma si svolgono lungo la stessa linea temporale alternativa.


 
Gli altri giorni della loro vita

 
Si svegliò nella morsa di un dolore impietoso, che affondava le zanne nella schiena e nel ventre. Si svegliò in una corsia di ospedale, tra i lamenti dei malati e il puzzo di disinfettante e materia organica. Si svegliò febbricitante e in preda a vertigini violente che gli impedivano di distinguere il sopra dal sotto e gli causarono un onda violenta di nausea. Non riuscì neppure a chiedere aiuto mentre boccheggiava e vomitava sul lenzuolo. Cercando disperatamente di allontanarsi dal suo sudiciume, tentò di alzarsi, nonostante il dolore che gli attraversava il ventre, ma si ritrovò steso a terra, le gambe un groviglio inestricabile. Provò ad alzarsi, una, due volte, ma ogni volta si ritrovò disteso, mentre il panico si faceva via via largo in lui.

Non sentiva le gambe. Non le sentiva. Perché non riusciva ad alzarsi? Dov’era suo padre? Cosa stava succedendo?

Un’infermiera robusta, dall’aria arcigna gli si avvicinò. “Guardi un po’ che confusione ha fatto, Mr Joestar. Dovrebbe avere un po’ di rispetto per chi lavora, perché non ha chiamato aiuto?”

“Le mie gambe? Cosa avete fatto alle mie gambe?”

L’infermiera afferrò le lenzuola sporche, strappandole via dal letto “Che macello! Non si vergogna un ragazzo così giovane?”

“Non mi sento più le gambe, maledizione! Cosa mi avete fatto? Parla, mio padre te la farà pagare se non parli!”

L’infermiera gli rivolse per la prima volta uno sguardo quasi gentile “Suo padre non è mai venuto a trovarla, Mr Joestar, dubito che gli importi molto di lei. Quanto alle sue gambe… è solo colpa sua”.

“Co… colpa mia? Sono caduto da cavallo? Non posso essere caduto… Io non cado mai”.

L’infermiera lo afferrò da sotto le ascelle e lo mise a sedere sul letto, quindi gli prese le caviglie e gli distese le gambe sul materasso “Si è fatto sparare, sciocco ragazzo, non se lo ricorda?” Prese un quotidiano da un penny dal letto vicino e glielo gettò in grembo “Spero che lo shock non le abbia danneggiato la memoria, legga”.

E Johnny lesse. Lesse del teatro, dove non andava mai e perché mai aveva dovuto farcisi trascinare da una sciacquetta? E ricordò di come quella stessa sciacquetta, non avrebbe neppure saputo dire che faccia avesse o come si chiamasse, lo avesse convinto a saltare la fila. Lesse e si ricordò dell’arroganza con cui si era rivolto agli astanti, sicuro del prestigio che gli dava essere un fantino acclamato, dell’umiliazione dell’uomo a cui aveva rubato il posto e della sua folle furia. Lesse del diverbio e della sua tragica conclusione e guardò la foto, grigia e sfocata e immaginò il proiettile che gli aveva attraversato la spina dorsale, fracassandogli le vertebre e spiaccicando sul lastricato frammenti d’osso e midollo spinale. Lesse di come era stato portato d’urgenza in ospedale e di come la sua vita era stata appesa a un filo per giorni.

E infine lesse di come fosse straziato dall’infezione e dalle emorragie interne, le sue condizioni erano stabili, ma peggiori della morte stessa per un fantino professionista: le sue gambe erano perdute per sempre, nient’altro che un’inutile appendice, che non gli avrebbe permesso mai più di montare seriamente a cavallo.

Affondò il viso nel cuscino e iniziò a singhiozzare disperatamente, mordendo la fodera grigia. Era finito, caduto così in basso da non poter neppure sperare di risalire. Cosa gli restava ormai?

E suo padre non era mai neppure venuto a trovarlo.

Alla fine suo padre a trovarlo ci venne, ma fu solo per dirgli che avrebbe pagato le sue cure, finché Johnny non fosse uscito dall’ospedale, ma che poi avrebbe fatto meglio a non farsi vedere più, era la vergogna della famiglia, riusciva sempre a distruggere tutto. Con la sua idiozia aveva rovinato sé stesso, così come un tempo aveva rovinato la famiglia e ucciso Nicholas.

Passò le settimane seguenti uscendo e entrando dall’incoscienza, il dolore che gli azzannava il ventre e la schiena, la febbre che lo tormentava, squassandolo di brividi di freddo e vampate di calore, le ossa e i muscoli trafitti, come dopo le peggiori cadute. E soprattutto il panico, che lo assaliva appena riacquistava un filo di lucidità e lo perseguitava anche durante i suoi incubi. Non era più nessuno, non era più niente. Come avrebbe fatto a sopravvivere? Ma valeva la pena sopravvivere? Così senza uno scopo? Senza l’unica cosa che sapeva fare e che amava fare?

Chi era Johnny Joestar senza la sua prodezza in sella? Solo un inutile storpio.

La febbre si abbassò e i dolori si ridussero e iniziarono a parlare di dimetterlo dall’ospedale e implorò che non lo facessero, perché si sarebbe trovato per strada, non aveva un solo posto dove andare. E i suoi sogni si fecero ancora più agitati e da sveglio passava il tempo fissando il soffitto mentre lacrime che non sapeva di poter piangere continuavano a sgorgargli dagli occhi.

Una mattina si svegliò e ai piedi del letto trovò una figura snella, abbigliata di colori sgargianti, così fuori luogo in quel posto cupo, i ciuffi dorati che ombreggiavano il viso sprezzante, le gambe fasciate negli stivali da equitazione, immancabili persino per far visita a un malato in un ospedale.

“Come siete ridotto, Joestar, dovrò darvi una lavata prima di portarvi fuori di qui. E sarà bene che vi spunti anche quel cespuglio di capelli che vi ritrovate”.

Johnny ritrovò subito tutta la sua aggressività “Che accidenti ci fate voi, qui?”

“Neanche restare storpio vi ha fatto abbassare la cresta, vedo”.

“Come vi permettete! Infermieri, infermieri! Chi ha fatto entrare quest’uomo? Buttatelo subito fuori!”

Brando ridacchiò “Dubito che vi ascolteranno. Ho pagato per entrare”.

“Voi avete pagato, per venirmi a trovare? Che razza di scherzo malato è questo?” Johnny voltò la testa di scatto mentre sentiva gli occhi riempirglisi di lacrime di umiliazione “Volevate vedere con i tuoi occhi come sono ridotto: bene, eccomi qua, un inutile rottame” concluse mordendosi il labbro inferiore per trattenere i singhiozzi.

Brando si sedette sul letto accanto a lui e gli scostò i capelli dalla fronte, con la stessa delicatezza con cui sfiorava le froge dei cavalli “Non sono qui per questo”.

“E cosa volete da me allora, Brando?”

“Ho una tenuta e voglio iniziare un allevamento mio. Ma sono sempre stato solo un garzone di stalla, prima di iniziare a correre. Ho bisogno di qualcuno con più esperienza. Ho bisogno di voi, Jonathan”.

Johnny si lasciò sfuggire un verso di derisione “Non prendetemi in giro. Tutti sanno che siete in grado di valutare un cavallo con una sola occhiata”.

“Non basterò solo io. Non sto scherzando, Joekid”.

Johnny lo guardò negli occhi, ignorando le lacrime che continuavano a colargli lungo il mento e le guance “Non prendermi in giro, Diego. Non lo fare”.

Al viso di Brando successe qualcosa che cancellò per un secondo tutta la supponenza e l’arroganza che di solito mascheravano così bene qualsiasi altra emozione e Johnny si sentì quasi travolgere dalla quantità di sentimenti che trasparirono: compassione, affetto, rispetto, disperazione, imbarazzo, desiderio e paura, una paura folle. “Non lo farei mai, Joekid, mai”.

“Io l’avrei fatto, forse lo farei ancora”.

Gli occhi verdi di Brando sparirono per un attimo sotto i ciuffi biondi “Lo so”.

“Mi porterai via di qui?”

“Sì”.

“Dovrai occuparti di me per tutta la vita, se lo farai”.

“Lo so”.

Johnny chiuse gli occhi e ascoltò il battito frenetico del suo cuore. Forse non era finita. Non ancora.

“Allora verrò con te”.

Brando sorrise “In tal caso sarà meglio iniziare a sistemare questi capelli”. Tirò fuori da una tasca un paio di forbici e un pettine e iniziò a spuntarli.
 
 

 
  
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