Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
Segui la storia  |       
Autore: Gaia Bessie    26/08/2022    3 recensioni
Le domanda: ma non lo volevi anche tu, amare per essere amata, una ballata senza stonature, un cavaliere in armatura e tutte quelle cose lì?
Margaery sorride, ha una cicatrice frastagliata sul petto, lì dove dovrebbe trovarsi il cuore: certo che no, commenta piano, non sono mica sciocca – è cresciuta nella bambagia cotonosa di Altogiardino, ma mai nessuno è stato così folle o ingenuo da inculcarle che sia giusto e sensato, avere dei sogni. O, meglio, va bene sognare: potere, ricchezza e influenza (tutte le cose che puoi ottenere, ha sussurrato suo padre mentre le metteva la corona in testa, tutte cose che avrai).
[Sansa/Margaery, Sansa/Sandor. Accenni di Sansa/Loras e Margaery/Joffrey]
Partecipa all'iniziativa "Cinque fette di torta alla melassa" indetta sul gruppo Facebook "L'angolo di Madama Rosmerta".
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Joffrey Baratheon, Margaery Tyrell, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Queste note sono un poco un taglia e cuci dalle mie note di Wattpad e AO3 (GaiaBessie anche lì, nel caso qualcuno volesse seguirmi dove sono attiva): in tutta sincerità, se su quei lidi posso permettermi di dire che sono tornata, qua non so se ne ho la forza. Non ho mai nascosto che da tempo stavo avendo dei problemi con questa piattaforma, per vari motivi, e sinceramente non so quantificare quanto tempo ci metterò ad aggiornare regolarmente anche qua, specie perché ultimamente ho scoperto le RPF e pace, son migrata.
Però. Però recentemente è uscita la challenge "Cinque fette di torta alla melassa" e io, che non scrivevo mezza riga da parecchio tempo, un po' ne avevo bisogno: così, eccomi qui a riconoscere che non so bene dove andrò a parare, ma che questa storia (cinque capitoli in totale) sarà conclusa entro il 30 settembre e, di conseguenza, vorrei aggiornare una volta a settimana.
La challenge consisteva nello scegliere la strofa di una canzone, da cui le amministratrici del gruppo hanno estratto cinque parole, che fanno da cardine per i cinque capitoli di questa storia: nel primo capitolo, ho usato la parola "care" sia nel senso di prendersi cura di qualcuno, sia nel senso di avere a cuore qualcuno, ma questo spero sia chiaro nella lettura.
Non vi dirò fino all'ultimo che canzone ho usato, perché sarà citata a fine del quinto capitolo, ma sono curiosa di vedere se qualcuno indovina a partire dal tema della storia e magari dalle parole usate.
Avvertenze: canon divergence, Joffrey non è morto durante il suo matrimonio con Margaery, il Mastino invece non è mai fuggito da Approdo del re.
Nel mentre, mi trovate qui:

Facebook: Bessie Efp
Instagram: bessie_efp
Tumblr: gaia-bessie
Twitter: @GaiaBessieEfp
Telegram: https://t.me/+MBl33AWkXGExNjM0


Le domanda: ma non lo volevi anche tu, amare per essere amata, una ballata senza stonature, un cavaliere in armatura e tutte quelle cose lì?
Margaery sorride, ha una cicatrice frastagliata sul petto, lì dove dovrebbe trovarsi il cuore: certo che no, commenta piano, non sono mica sciocca – è cresciuta nella bambagia cotonosa di Altogiardino, ma mai nessuno è stato così folle o ingenuo da inculcarle che sia giusto e sensato, avere dei sogni. O, meglio, va bene sognare: potere, ricchezza e influenza (tutte le cose che puoi ottenere, ha sussurrato suo padre mentre le metteva la corona in testa, tutte cose che avrai).
E Sansa Stark, che è tutta un sogno spezzato e irrealizzabile, ma mai per questo meno prezioso, la guarda e tace.
Non sarò mai regina, confessa, forse nemmeno vorrei esserlo più: voglio tornare a casa, casa mia, avere una famiglia tutta mia, se mai qualcuno potrà volermi ancora, ricucire le ferite strappate nell’arazzo di mia madre e mio padre.
Margaery ride, scuote il capo – e pensi che ci vorrà ancora qualcuno, dopo tutto questo? – battendosi un colpetto sul petto: ha una cicatrice sul cuore e, controluce, pare una corona di spine.
 
Regina di rose e di spine


 
Parte prima: Regina di rose
 
[Care]
 
Un giorno, Sansa capisce che deve mettere via i propri sogni, non solo quelli colorati e saponosi di quand’era bambina, ma anche quelli meno arrotondati e quasi aspri di quand’è infine cresciuta: con la forza, storta, piegata, frustata dalla pioggia – ha così tante crepe che, quando si deve guardare allo specchio, si meraviglia di non esser carne piagata e purulenta, quasi come se una ferita infetta bastasse a spurgare l’angoscia che le spreme il cuore quando, ogni mattina, si rende conto che è esattamente quella la misura del tempo che passa. Che la paura, la consapevolezza che niente è senza fine e finita lo è anche lei a partire dalla morte di suo padre fino alle note sui margini del testo della sua ballata troppo tragica, è un saliscendi continuo: gradini piccoli, qualcuno troppo alto, altri ripidi, stretti, che nemmeno c’entra il suo piede di ragazzina. Ma sale, come la marea, senza che bastino preghiere per consentirle di scendere.
Ha avuto la possibilità di scegliere.
O, almeno, è quello che ha sempre creduto – che il futuro non fosse predeterminato ma, in una partita dove ogni giocatore vede la scacchiera (e lei no), ha finito per conformarsi alle scelte di chi giocava da più tempo di lei: Sansa ha ricamato la propria esistenza a punti precisi, prima di rendersi conto che il tessuto che stava ancorando alla propria pelle era tutto da rattoppare. E, adesso che è una mescolanza di seta, cotone, iuta e fil di ferro si chiede che senso abbia, poi, continuare a sognare.
Una vita fa, quand’era una ragazza vera e non un idolo di spine e acciaio, Sansa aveva sogni come capelli sulla testa: passava le ore a intrecciarli, a cambiarne la combinazione, sia mai che la chiave della loro realizzazione fosse immaginarli nella maniera più verosimile possibile. Cersei Lannister, in una delle rare volte in cui s’era piegata, luminosa come madreperla e sporca di sangue lungo la bocca tirata, a guardarla per scoprirla pesta e lacera come una bambola di pezza, gliel’aveva detto senza alcuna emozione tangibile.
I sogni sono la cosa più stupida del mondo, se sei donna, perché t’insegnano a sognare l’amore e, quando scopri che non esiste ed era un sogno tutto sbagliato, non riesci a comprendere che non è l’amore, ma il potere, quel che deve tenerti in piedi.
Le aveva toccato il viso, con curiosità, come se imprimendole le dita sulla mascella pensasse di poterla cambiare e ridipingerla in tocchi di rosso. La regina madre aveva scosso la testa, disgustata, vedendola masticare speranza tra le ombre che avevano iniziato a scurirle gli occhi.
Poi c’è stata solo ombra, questo sì, ma comunque si riusciva a scorgere sulla sua pelle i segni che i sogni vi avevano lasciato: Cersei Lannister, come chiunque altro, li poteva leggere con estrema chiarezza. Avevano il nome degli Stark e il loro destino infelice.
Anche adesso, quando la sera si tinge di scuro e Sansa si specchia alla luce di mille candele, si vede marchiata dal grande tradimento della sua stirpe: padre, madre, fratelli.
Eddard Stark, il Protettore del Nord – a lui chi l’ha protetto mai? – e sua moglie Catelyn, una Tully di Delta delle Acque, sparita in una scia di bolle: Cat, Cat, te lo hanno mai detto che le branchie non servono se ti tagliano in due la gola?
E Robb, il bel cavaliere cresciuto tutto d’un colpo, il Giovane Lupo (invecchiato mai), il fratello maggiore, la luce nello sguardo di sua madre: è ancora il re del Nord, ha dichiarato Joffrey Baratheon con un sorrisetto divertito, un re-lupo, un re abominio. I ricordi di Robb Stark ululano alla luna, alla sera, e hanno la cadenza delle Pioggie di Castamere, che vuol dire che non si riesce ad ascoltarlo senza tremare fino alle ossa.
Arya non avrebbe tremato – sparita, perduta, dimenticata: Cersei sostiene d’averla trovata e spedita a Grande Inverno, sposata al bastardo di Bolton, te la immagini, Sansa? È facile pensare che fosse indomabile, ma io credo, bambina, che Ramsay Snow la possa piegare più che bene.
Avranno consumato il matrimonio sulle ceneri di Brandon e Rickon, i bambini bruciati, i bambini perduti, i bambini dimenticati: loro, tutti loro, potevano essere e invece non saranno mai. Nemmeno lei.
Sansa è rimasta un pulcino incastrato nel proprio guscio, arruffato: le hanno sempre detto che aveva l’aspetto di una regina, nel sangue le scorreva più regalità di quella della regina stessa, ma a cosa serve esser specchio di un diadema se, quella corona, ti spezza il collo quando provi a indossarla?
I muri gridano al suo passaggio, che Sansa Stark si è pentita: gioca a nascondino con la propria ombra ma, come alza il collo per schermarsi dalla luce delle candele, si rende conto che non è cambiato niente e la sua sagoma sfumata ride ancora di lei, sui muri.
«Giochiamo?».
Margaery ha lo sguardo duro come pietra e altrettanto frastagliato – pensa che sia una carezza, quell’occhiata che le rivolge, ma quando si sfiora il cuore lo scopre sporco di sangue: giochiamo, ripete Sansa sulle labbra spaccate, giochiamo?
«Giochiamo».
Nemmeno si ricorda quand’ha rischiato di staccarsele dal viso, le labbra, il giorno in cui Joffrey le ha comunicato che non era degna di divenire regina. E tutto quel dolore, le vertebre del collo piegate sotto il peso di una corona fatta di sogni spezzati, a cosa è servito.
È una domanda che cerca di non porsi mai – pensa che la risposta che potrebbe darsi, giusta o ingiusta che sia, la ferirebbe più di ogni altra evidenza: Margaery Tyrell ha chinato il capo sotto la corona, sorridendo a denti stretti, Sansa Stark vaga come spettro di fuoco sullo stoppino filamentoso delle candele.
Tutti hanno bisogno d’amore, ha bisbigliato il giorno in cui la nuova regina di Westeros le ha detto ch’era ora di abbandonare i castelli di schiuma saponata su cui ha costruito la propria infanzia per farsi sposare da chiunque avesse abbastanza coraggio e forza per portarla via di qui. Tutti hanno bisogno d’amore, anche io.
Ma, quando Margaery Tyrell ride, argentina, Sansa non ne è più così sicura: tutti hanno bisogno d’amore, ripete la regina di Joffrey, ma guarda un po’ che fine ti ha fatto fare, quell’amore. Che sei innamorata e non sai di chi, che sei un insieme di sentimenti slegati e non sai se hanno un’appartenenza, se sono fantasie o frammenti di ricordi.
Sansa vorrebbe avere qualche lacrima da piangere su quei pensieri ma, quando Margaery sorride, qualcosa le pizzica la gola come un colpo di tosse – lei non ride mai.
Il fratello della regina, denti tirati in un sorriso che ha perso lucentezza con il dipanarsi della prospettiva di vendicare Renly Baratheon, gliel’ha domandato: com’è che voi non ridete mai, mia signora.
Un tempo, Sansa avrebbe riso solo per fargli piacere, ma s’era limitato a guardarlo negli occhi come se tutto quello, tutto il passato che le si è inciso dentro più della nostalgia e della banale dimenticanza, non contasse più niente. E voi?
Loras Tyrell non aveva più detto niente e lei, in quel silenzio, aveva colto l’ennesimo rifiuto a una salvezza dorata, semplice e per questo altrettanto illusoria. Non aveva avuto la forza di pensare che fosse così semplice: raccattare i propri vestiti e dire andiamo via di qui, abbandonare Joffrey e Approdo del Re per diventare la regina del roseto Tyrell. La regina di rose, la carta più inutile del mazzo.
Margaery Tyrell non gioca d’azzardo, che una regina vera e non Cersei Lannister non s’abbasserebbe mai a barare col mazzo giocando con bari più esperti di lei, ma non disdegna giocherellare con le carte di Altogiardino – Sansa ha sempre avuto paura di chiedere se è vero, quel che bisbigliano le dame di corte: che le carte dei Tyrell predicono il futuro a chi sa leggerle.
Ma, quando Margaery mescola le carte, non le guarda mai come se fosse in grado di coglierne i sottintesi: si limita a smazzarle, distribuirne cinque e cominciare la partita – Sansa fa attenzione a non vincere mai: non le serve, vincere al gioco, quando fuori dalle carte dipinte dei Tyrell non le è rimasto niente.
Solamente la regina di rose, nel proprio abito vermiglio come una pugnalata al centro del petto, la guarda con calma eterea – la carta più debole del mazzo, nonostante il titolo nobiliare.
Margaery le ha detto perché: le rose sono bellissime, come tutti i fiori, ma una rosa non ferisce, una rosa non avvelena. Puoi sopravvivere all’attacco di una rosa, ma a tutto il resto?
Ma non ha aggiunto il resto.
Sansa, che ha perso l’onore più grande della propria vita e anche la condanna che le carezzava il capo senza alcuna compassione, porgendo alla giovane di Altogiardino la corona e il cuore del re: Joffrey Baratheon ha pensato fosse degradante renderla la dama di compagnia della nuova real consorte, lei che è figlia di nessuno, sorella di nessuno, moglie di nessuno.
Joffrey ha riso, nel comunicarglielo: e ringraziate che non ti ho dato al mio cane, Lady Stark, solamente per il gusto di privarvi di quel cognome che ancora ostinatamente portate – tempo, al tempo: pensate di essere regina e, invece, non contate più niente.
Sansa, quella volta, non aveva proferito verbo. Intimamente, sottovoce (non si fida nemmeno dei pensieri gridati), s’è detta che sarebbe stato meglio. Dolore per dolore, meglio moglie del cane del re che passare attraverso un cerchio di fuoco ogni giorno. Arsa come un tizzone arroventato, i capelli che paiono solamente l'ennesimo residuo di una fiammata, Sansa è annerita e consumata: spenta, forse, quando sorride, partita dopo partita, silenziosa.
Tra i carboni ardenti e i ciocchi di legno vetrificato, ha visto tutto e ricamato lungo le proprie supposizioni riguardo al resto: Margaery Tyrell, mentre scruta le proprie carte come se queste potessero parlarle, s’è sfinata. Come linea d’inchiostro, sbiadita, una parola cancellata, tagliata.
La regina di Joffrey non conosce umiliazione pubblica – privata: quando le altre dame cinguettano e bisbigliano su quanto bella dev’essere la vita da regina, lei stringe i denti e annuisce (guarda il muro, chissà cosa ci vede). Non un segno sul viso.
Qualche volta, dietro un abito un po’ scollato, l’impronta delle dita di suo marito, l’ennesimo marchio. Il giorno in cui fa caldo e la regina indossa un vestito a collo alto, Sansa scuote il capo e si trattiene dal dirle che, alla fine, doveva accadere: Joffrey ha messo un collare anche a lei.
Non è il dolore, né l’amor proprio spezzato: la giovane Stark lo sa, con certezza violenta, che Margaery pensava d’esser già salva. Che doveva esserci un piano, qualcosa che è fallito, un incontro di menti che non ha generato i frutti sperati. È da un po’ che non piove, perfino la regina di rose sarà lentamente avvizzita.
«Mia signora?» domanda Sansa, alzando un sopracciglio. «Se siete stanca, possiamo continuare la partita domani».
Margaery sorride, sembra che le si spacchi il viso come cristallo lanciato contro pietra acuminata ma, quando le risponde, la voce non trema – occhi cristallini, mai Sansa l’ha vista piangere: a volte si domanda, dandosi della sciocca, se la regina di Altogiardino ne sia in grado o l’abbia disimparato insieme all’abitudine a credere nei propri sogni.
«Vorrei che andassi via da qui, Sansa» sussurra, giocherellando con l’ultima carta che le rimane. «Vorrei che fossi in grado di farlo».
Lei s’alza, una bambola di pezza tirata con dei fili di ferro, sorride, non capisce: è pronta ad accennare una riverenza, quando la regina scuote il capo e le fa cenno di sedersi.
«Sposare qualcuno» soffia, spiegandosi. «Lasciare Approdo del Re. Forse non saresti felice, ma ora puoi dire di esserlo?».
«Lo sono» commenta Sansa, senza troppa convinzione. «Il re non mi permetterà di andar via, lo sapete anche voi».
«Mio fratello…».
«Vi ringrazio, mia regina» ha disimparato la confidenza, Margaery non le ha più domandato di chiamarla per nome. «Ma prenderò ciò che mi spetta, niente di più: se il re vorrà concedermi l’onore di un marito, sarà lui a sceglierlo per me».
«Non posso tenerti al sicuro, Sansa, non posso proprio» soffia la regina, piano. «Ho imparato a dare valore alle mie promesse, ma… come faccio a proteggerti da lui, chi ne sarebbe in grado?».
La giovane Stark sorride, ma solamente per finta – vorrebbe domandarle cosa potrebbe mai importarle, del suo futuro, della sua sicurezza, quando non riesce nemmeno a tenere insieme i suoi (futuro, sicurezza) e ride per mascherare le labbra spaccate a morsi.
Il dolore della regina è dignità cristallizzata, afona, ma è anche una speranza che le si è sedimentata in quegli occhi ormai opachi. C’era del colore, un tempo, in Margaery Tyrell: poi s’era immersa nella vasca dei propri sogni, infranti, e lentamente aveva perso del colore.
Pastello, il verde del suo stelo quando Renly ha perso l’unica partita cui valesse la pena giocare, sempre più chiaro, quasi bianco il giorno in cui l’hanno incoronata e cinta con il mantello dei Baratheon. E, adesso che è nevischio immacolato, si domanda se sarà sempre la regina in attesa o, un giorno, tornerà a dipingersi dei suoi colori.
Forse qualcuno potrebbe volerla salvare, vedendola così immacolata – ma la puoi calpestare, la neve, Sansa lo sa bene: la vedi così bianca e pensi che non si sporcherà mai, ma poi ci cammini e diventa sempre più grigia e triste, mezza sciolta, sfregiata dall’ombra di quei passi. E qualche volta qualcuno si ci stende e pensa di morirci, in qualche modo.
C’è l’inverno che si mangia i colori, lì fuori, e Margaery Tyrell è la prima vittima di una partita giocata male. Forse qualcuno potrebbe volerla salvare, per amore o per pietà (che un po’ sono la medesima cosa), ma nemmeno il cavaliere più valoroso potrebbe sopravvivere a una donna che s’è dimenticata di sé e non sa ritrovarsi.
«Non dovete proteggermi» sussurra Sansa, quietamente. «Prima o poi, arriveranno carte migliori, non credete anche voi?».
«Qualcuno dovrà farlo» risponde la regina, sottovoce. «E chi lo farà, se non sarò io?».
Conosce la risposta, le sfiora i denti ma non suona nell’aria – Sansa ha imparato che non tutte le ballate sono sonore e che, cantare, sa essere più doloroso della gola squarciata di sua madre, della testa lacerata di Robb e dei destini bruciati di Bran e Rickon: sa che potrebbe fuggire di lì, se fosse abbastanza coraggiosa, sa che lui non glielo negherebbe.
Sandor Clegane è tornato, quasi inosservato, a combattere per il suo re dicendole che, se fosse furba, gli permetterebbe di portarla via di lì. Sansa ha detto di no ma, quando si specchia e scopre d’esser diventata quel buio che le abbraccia le costole, a volte quel sì le si espande come una bolla d’aria nella cassa toracica.
Non se lo chiede mai, come potrebbe essere: nemmeno i suoi pensieri sono sicuri e, nei sogni, ormai non crede più. Nemmeno in quelli degli altri, nemmeno nella dolcezza acuminata del Mastino del re, quando la guarda e scuote il capo, debolmente e sembra dirle. Andiamo via di qui, ti va?
Un giorno, ha detto senza suoni, un giorno, forse.
«Si è fatto tardi» mormora Margaery, voltando l’ultima carta che le è rimasta in mano. «Buonanotte, Sansa, grazie per la bella partita, anche se temo di aver vinto».
«Come sempre, maestà».
La regina Tyrell sorride, stanca, accarezzando la figura dipinta che la guarda con occhi sbiaditi (come lei): regina di spine batte regina di rose, Sansa Stark, sai perché?
L’ultima figlia di Eddard e Catelyn si congeda e s’avvia verso la porta, in punta di piedi, macinando quella briciola di determinazione che ancora la tiene in piedi – lo sa, non andrà via nemmeno oggi: che la speranza è lì sotto la neve ma, se provasse a scavare, le mani le si congelerebbero e sarebbe la fine dei giochi.
Margaery Tyrell bara col mazzo in tutti i giochi che non contano nulla ma, poi, siede ai pieni del Trono di Spade e silenziosamente pigola pietà a Dei antichi e nuovi, senza che nessuno riesca a udirne i lamenti. Puoi anche essere la regina di spine, pensa Sansa, ma se non è una spina in grado di squarciare la gola al re, allora vale quanto il petalo di una rosa.
Qualche volta accarezza l’idea di dirlo alla regina, dimostrarle che le importa di lei – ma Margaery è sfiorita e dimenticata e, presto, ci sarà altra neve da calpestare e lei diventerà infine incolore: Sansa Stark può ancora fantasticare, una fuga e tutto ciò di bello che potrebbe ricavare, ricostruirsi, ritrovarsi e scoprire che forse quell’amore che aspettava da una vita lo merita ancora.
Poi si rende conto che non se ne andrà mai solamente perché avrebbe bisogno di trovare un luogo dove poterle dire che ancora le importa e, da sola, non ha idea di come fare a fuggire: gliel’ha detto, Sandor Clegane, in un ringhio ferito.
Da sola non puoi farlo, vieni via con me: sono tutti spacciati, uccelletto, non lo vedi? Si faranno a pezzi tra di loro, prima o poi.
C’è un’altra regina in attesa che Joffrey giura di voler uccidere e ha promesso di ricostruire Westeros su ideali migliori. Se solamente le promesse contassero qualcosa e non fossero cenere bruciata sulla neve, quando Sansa sospira e continua a dirsi che non andrà via da Approdo del Re.
Non puoi portarla con te, uccelletto.
Sono tutti spacciati – lei più di tutti.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones / Vai alla pagina dell'autore: Gaia Bessie