Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Soe Mame    01/09/2022    1 recensioni
C'era una volta un tritone che pensava che gli umani fossero stupidi. L'incontro con un pirata spagnolo lo convincerà di avere ragione.
[La millemilionesima rivisitazione de La Sirenetta feat. un sacco di robe pesciose e non.]
Genere: Generale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo VII.V
Xxxxxxx ~ Ah, il cielo si è schiarito prima che me ne accorgessi. Non va affatto bene.


Lovino aprì la finestra della sua camera. Erano trascorsi venti giorni dal suo arrivo sulla terraferma, ma ancora non si era abituato a quell'odore di sale, caldo e pietra. Non aveva idea di che odore fosse il "caldo", ma era una miscela di odori che appariva quando faceva molto caldo, e lui era troppo pigro per stare lì a dividerli e riconoscerli uno per uno. E, soprattutto, aveva una vendetta da portare avanti.
Però, con quel panorama, con quell'atmosfera, in tutto quel bel quadro, c'era una cosa che iniziava a mancargli. Cantare. Cantare ciò che provava nel profondo del suo cuore colmo di buoni sentimenti e amore verso il prossimo- No, non era vero, voleva cantare di sangue, dolore e vendetta.
«Come vorrei avere quel che è tuo» Avrebbe cantato. «Cosa darei per farti soffrire, vorrei che tu potessi supplicarmi» A voce alta, piena. «Ti tormenterò come vorrò e dei tuoi incubi parte farò, guarda e vedrai che la vendetta mia si avvererà!» E ci sarebbero state bene delle onde scenografiche, a sottolineare il concetto della natura implacabile e vendicativa.
E invece era muto, e non avrebbe potuto cantare neanche impegnandosi. Tra l'altro, avrebbe cantato allo stesso modo, ora che era umano? Oh, no. Perché ci aveva pensato. Ora era curioso di sapere se sarebbe stato in grado di attirare navi contro gli scogli anche in forma umana. Il suo canto ammaliante era un suo talento o era una conseguenza della sua natura di tritone? No, pensandoci bene, non voleva saperlo. Soprattutto, aveva delle cose più urgenti da fare.
Non era trascorso giorno che non si fosse impegnato a minare la stabilità dell'esistenza del bastardo. Eppure, per quanto impegno potesse metterci, quel cretino si ostinava a resistere - Non solo a resistere, a non mostrare il minimo- Vabbè, se l'era già ripetuto più di venti volte. In quei giorni, più che altro, l'idiota sembrava voler fare in modo di rimanere da solo con lui, e per solo intendeva loro due in un luogo senza testimoni. Lovino non si preoccupava dell'ipotesi di omicidio - Supponeva l'avrebbe già fatto. Era il proprietario di un castello brutto e quelli che ridacchiavano delle sue sventure erano comunque suoi sottoposti, avevano il dovere morale di tacere e aiutarlo a nascondere il corpo. Non si preoccupava neanche dell'ipotesi che volesse allungare le mani, perché quello già lo faceva e lui lo rifiutava sdegnosamente. Dopo qualche secondo, con uno sguardo (schifatissimo) di troppo, ma lo faceva. Sì, lo faceva anche quando s'intrufolava nella sua camera da letto per vendicarsi, sì, anche di notte, e poteva dirlo - o scriverlo - con certezza perché era serissimo. Lui aveva una vendetta da portare avanti, e non si sarebbe fatto distrarre da cose futili quali la persona di cui doveva vendicarsi.
Attuò il piano di vendetta di quel giorno. Una bella idea, se poteva concederselo, con un messaggio di base profondo e progressista. Aveva preso dei secchi dalla cucina, era andato in spiaggia, li aveva riempiti d'acqua, era rientrato, andato nella camera del bastardo e aveva rovesciato i secchi sul pavimento. Aveva ripetuto l'operazione altre due volte. Manon gli aveva chiesto delucidazioni al riguardo, e lui aveva risposto, solenne: «"L'acqua favorisce la produzione di muffa. Così facendo, promuoviamo la salvaguardia dell'ecosistema reintegrando funghi e spore."»
La cameriera si era picchiettata il mento con un dito. Strano fosse dubbiosa. Di solito, era sempre entusiasta dei suoi piani di vendetta. «È un piano molto nobile, ma non credo che il mondo abbia davvero bisogno della muffa...» Forse era il suo animo da cameriera a farla parlare. Lovino non la biasimò. Ci voleva tempo e buona volontà per accettare cose al di fuori della propria sfera di esistenza - Ad esempio, nonostante la sua intelligenza superiore e compresione emotiva, lui ci aveva impiegato un po' ad accettare che non tutti fossero circondati di comodità, con schiere di servitori pronti a scattare al minimo capriccio, che non fossero liberi di dire e fare qualsiasi cosa senza conseguenze e di insultare liberamente il principe secondogenito e, soprattutto, il capo delle guardie. Che esistenza strana doveva essere, la loro.
Era appena tornato in cucina, a riporre i secchi, che incontrò Gilbert. Per mettere subito le cose in chiaro, lo incenerì con un'occhiataccia. Non gli aveva più rivolto la parola, l'aveva anzi ignorato così platealmente che Manon e Lucilin gli avevano pure fatto patpat sulla schiena. Dato che il fantasma non diede alcun cenno di timore reverenziale, Lovino lo superò e rimise i secchi al loro posto. Era un po' irritante che "il loro posto" fosse a due centimetri dal quartiermastro, ma aveva il legittimissimo sospetto che quello lì non si fosse posizionato in un luogo casuale della cucina.
Quando i secchi furono al loro posto, infatti, parlò con la sua voce gracchiante. «Il Magnifico Me può avere udienza, maestà?»
Trasalì, e quasi lo schiaffeggiò con la tavola magica. Lovino si guardò intorno. Non c'era nessuno. Sospirò di sollievo. «"Ma sei coglione? E se ti avesse sentito qualcuno?"» "Qualcuno" a caso.
«Antonio è uscito poco fa.» Lo informò, quasi annoiato. «Perché credi che il Magnifico Me sia venuto proprio ora?»
Era un ficcanaso, ma dovette ammettere che, almeno, non sembrava intenzionato a metterlo nei guai. Doveva essere merito dell'adorabile faccino del suo altrettanto adorabile fratellino. Feliciano era un manipolatore spaventoso.
«La risposta, maestà?»
«"Sta' zitto."» Lo guardò male, di nuovo. Però non sentiva nessuna ondata di rabbia. Serrò la presa sulla tavoletta. Forse avrebbe potuto concedergli un'udienza, sì. Solo per sentire cosa avesse da dire - Cosa avessero da dire Feliciano e il decapode. Se l'era già detto. Avrebbe accettato di parlare con Gilbert, un giorno. Forse il giorno era quello. «"Accordato."»
Gilbert ghignò. Era un po' inquietante. «Perfekt!»
Lovino realizzò una cosa. Era stupido realizzarlo in quel momento, ma c'era da dire che il dannato granchio crucco non era esattamente il primo dei suoi pensieri - Pur rientrando nei primi dieci, e non in modo amichevole. Il granchio era crucco. E Gilbert aveva un forte accento straniero, decisamente non spagnolo. In un primo momento, aveva pensato venisse dallo stesso paese di Manon e dei suoi fratelli, ma un sospetto terribile si fece strada nella sua mente. Perché, in primo luogo, Feliciano e il suo molestatore avevano contattato Gilbert? Aveva pensato fosse il primo che fosse capitato, ma ebbe l'orrido dubbio che Gilbert e Ludwig avessero qualcosa a che fare l'uno con l'altro. Tipo che fossero entrambi crucchi. Tipo che si conoscessero da prima. Scrisse sulla tavoletta. «"Andiamo da un'altra parte, non voglio parlare in cucina."»
Gilbert annuì. «Idee?»
Non la spiaggia. Sarebbe stato il posto perfetto, in realtà, se non fosse che non voleva farsi sentire da Feliciano, Ludwig, il nonno, lo Stregone del Mare, le sue murene e tipo la popolazione marina al completo, senza considerare che il bastardo sarebbe potuto essere lì a cazzeggiare invece di fare ciò che si supponeva facesse quando usciva. Lovino non aveva mai indagato troppo a riguardo, tanto sapeva che nessuna delle cose che faceva fosse legale o fruttuosa.
«"Camera mia."»
Il quartiermastro inarcò le sopracciglia. Sembrava genuinamente sorpreso. «Se Antonio mi vede uscire dalla tua camera, è la volta buona che rimane di nuovo senza magnifico secondo in comando.»
«"Un motivo in più per non perdere tempo."» Gli rivolse un gran sorriso, ed era certo fosse un ghigno troppo soddisfatto. Che bello sfruttare le paure altrui per i propri comodi! Gli piaceva, quando non lo facevano a lui.

Lovino si sedette sul letto, gambe accavallate e braccia conserte. Gilbert rimase appoggiato alla porta chiusa. Era curiosamente educato, dato che Lovino non gli aveva fatto alcun cenno di accomodarsi e lui non l'aveva fatto. Era una buona cosa che gli piacesse la porta, perché lì sarebbe rimasto.
«"Parla. Ti ascolto. Vai subito al punto."» L'avrebbe ascoltato, certo, ma non era sicuro che la sua magnanimità sarebbe durata troppo a lungo.
«Con piacere.» Gilbert aveva presto recuperato la sua faccia da demone ghignante. «Partiamo dalle presentazioni. Quelle vere.» Dunque sì, anche Gilbert aveva dei segr- «Il Magnifico Me è il fratello maggiore di Ludwig.» Cosa. «Come puoi ben vedere, ora le mie magnifiche fattezze sono quelle di un umano. È il risultato di un patto con lo Stregone del Mare.» Cosa. «Nessuno lo sa. Tranne» Alzò gli occhi al soffitto, seccato. «Herr Meereshexenmeister, ovviamente.» Sospettò parlasse dello Stregone del Mare, ma gli sembrava più una formula per evocare qualche creatura abissale. «L'altro giorno, per puro caso, ho reincontrato il mio fratellino, e con lui c'era il tuo, di fratellino.» Ridacchiò. «Non vi somigliate per niente.»
«"Neanche tu e quel crostaceo."» Così, giusto per specificare che sentimenti provasse nei confronti del granchiaccio.
«E meno male, direi.» Mise le mani in tasca. Sbuffò. Non ghignava più. «Si erano introdotti nel castello.» COSA. «Feliciano voleva mettersi in contatto con te. Vuole mettersi in contatto con te.» Sì, gliel'aveva già detto.
Lovino distolse lo sguardo. Stava parlando con Gilbert, forse poteva- Scosse la testa. No, Feliciano doveva rimanere fuori da tutta quella storia. Soprattutto, se sapeva, l'aveva detto al nonno? Suo fratello era imprevedibile - Poteva fare la spia come il più insopportabile dei fratelli minori o essere complice del più efferato dei crimini, senza una logica apparente.
Doveva riempire quel silenzio. Scribacchiò sulla tavoletta. «"Come ha fatto a venirlo a sapere?"» Un altro dettaglio che non gli tornava. Non lo scrisse, ma sperò che non avesse incrociato lo Stregone del Mare. Anche se, ora che ci pensava, avrebbe trovato piuttosto comico uno scontro tra un calamaro gigante psicopatico e un odioso granchio gigante ingessato.
«Francis.» Una risposta molto semplice, quasi scontata. Ovvio. Poteva riuscire a far tacere il bastardo, che parlava spesso, ad alta voce e non per dire sensate, ma non poteva sognarsi di far tacere una pettegola.
«"Che cosa ti ha detto, esattamente?"» Quanto sapeva, Gilbert? E, soprattutto, quanto sapeva, Feliciano? A rigor di logica, avrebbero dovuto sapere solo ciò che lui aveva detto a Francis, ma non sapeva se quel gabbiano avesse scoperto altro.
«Che il tuo patto è strano.» Lasciò andare la testa contro la porta. «Sembra un doppio patto. Voce per gambe, vendetta per il possesso del Regno del Mare.» Oh, bene. Sapevano praticamente tutto. «Quel che non torna è» Gilbert inarcò un sopracciglio. «perché doppio? Tu vuoi vendicarti di Antonio-» Si fermò. Lo guardò di sottecchi. «Per la faccenda dell'anima, eh?»
Lovino annuì. Secondo quanto gli aveva detto il bastardo, Gilbert era la persona intelligente che gli aveva detto che era un idiota. Erano messi bene, lassù in superficie.
Gilbert scosse la testa. Un altro sbuffo. «Antonio è una brava persona disonesta, però ha questo problema del pensare di non avere mai torto...»
«"Coraggioso, da parte sua, visto quant'è stupido."» Non doveva essere stato il primo a cui il bastardo aveva fatto saltare i nervi, e non per qualche crimine riconosciuto come tale. Tuttavia, poteva dirsi il primo che si stava impegnando per fargliela pagare.
Perché era quell'affermazione il motivo per cui stava facendo tutto quello. Per cui aveva fatto tutto quello. Per cui era certo di vincere. Tipo. Ecco perché continuava a ripeterselo. Perché sapeva che era un obiettivo solido e che avrebbe potuto raggiungere senza problemi. Perché ne era sicuro.
«Dicevo, però.» Gilbert riprese la parola. O meglio, parlò, visto che Lovino poteva solo scrivere. «Perché il patto è doppio? L'aspetto umano sarebbe dovuto essere compreso nel prezzo, se la tua idea era avvicinarti ad Antonio per vendicarti.»
Ah.
Vero.
Inspirò, piano. Non lo fece apposta. Però era vero. Lo Stregone del Mare gli aveva fatto dare in pegno la sua voce in cambio di qualcosa che avrebbe potuto avere gratis. Scosse la testa, per riprendersi. Non era una cosa strana, era solo una scusa per potergli dare il pegno. Il pegno che lui, lo Stregone, gli aveva proposto in tempi non sospetti.
Sentì la gola secca. Quanto era premeditato, tutto quello? Lo Stregone del Mare era così sicuro che lui non solo non sarebbe riuscito a far supplicare quell'umano, ma non avrebbe neanche revocato il patto? Strinse la tavoletta. Sentiva le dita fredde. Lo Stregone del Mare non era di quei luoghi. Ovvio avesse sentito parlare di lui, ovvio che avesse escogitato il suo piano basandosi sulle informazioni che aveva raccolto. Che razza di informazioni poteva avere, allora, per delineare il quadro di un tritone così irascibile, impulsivo, incapace, orgoglioso e stupido?
Prese il pennino. Scrisse. Non guardava più Gilbert. «"Lo Stregone mi ha offerto uno sconto. Ha la mia voce in pegno. Posso revocare il patto quando voglio."»
Il tempo che l'altro leggesse, e l'atmosfera cambiò. Un'emozione scontata, l'incredulità. E poi, un'emozione che conosceva bene. Rabbia. Solo, non si aspettava di sentirla da un'altra persona, in quel momento.
«Quindi tu stai qui a giocare al folletto rompicoglioni, a mettere a repentaglio la libertà del Mediterraneo tutto e a far preoccupare a morte la tua famiglia quando potresti far finire tutto anche in questo preciso istante?» Non aveva urlato, ma la sua voce roca era così aggressiva da sembrare alta.
Giusto. Giocare. Non stava davvero facendo sul serio. Ed era stupido pensare che muffe, sabbia o acqua potessero infastidire quel deficiente fino a fargli implorare pietà, né c'era un motivo sensato per cui ciò avrebbe dovuto fargli riconoscere che i tritoni - che lui - avessero un'anima. Era partito tutto da lì.
No, non era partito tutto da lì. Quella era stata solo l'occasione perfetta.
«Io non sono potuto tornare indietro!» Stavolta, la voce era alta sul serio. «Ho fatto del male a non so quante persone perché sono stato un coglione, e l'unica cosa che mi era rimasta era fuggire!» Lo raggiunse in due falcate, gli stivali si abbattevano sul pavimento come se volesse calpestarlo. Lovino rialzò lo sguardo. Gilbert era inquietante, e non per il suo aspetto. «Sai cos'ho barattato, io?» Ovvio che non lo sapeva. «Una corazza che rende inefficace la magia. Capito? Ho buttato una protezione magica per una magia di merda!» Non era quello il problema, era ovvio. «Quella corazza era il tesoro del nostro regno. Solo il più valoroso dei guerrieri ha il diritto di possederla e indossarla.» Oh. Era davvero un problema, allora. «Ed eravamo fortunati ad averla, perché così potevamo permetterci di mandare affanculo lo Stregone del Mare. E io l'ho data allo Stregone del Mare. E sai perché?» Continuava a fare domande retoriche. «Perché volevo sposare un'umana.»
Lovino sgranò gli occhi. Gilbert era scappato di casa ed era bloccato in quella forma umana per amore di un'umana? Gilbert? Lo stava prendendo per il culo?
«Era la mia migliore nemica.» Se la metteva in questi termini, non poteva che essere sincero. «Da anni. Molti anni. Le avevo nascosto di essere un granchio.» ... Come aveva fatto? «Ad un certo punto, mi sono convinto che avremmo passato insieme tutta la vita.» Appena aveva nominato l'umana, la sua voce si era smorzata. Forse non era un ricordo rabbioso, quanto triste. O forse non riusciva ad arrabbiarsi se ripensava all'umana. «Era un pensiero a cazzo. Era qualcosa che avevo dato per scontato. Che io avevo dato per scontato.» Mise le mani in tasca. «Non ti devo dire anche com'è finita, no?»
Lovino sbattè le palpebre. Gilbert... era un idiota. Ma un idiota di una stupidità a dir poco abissale. Ma non l'abisso Calipso, proprio le Marianne.
Gilbert parlò di nuovo, prima che potesse anche solo riprendere il pennino. «Ero sicuro di vincere.» Alzò le spalle. «Quando ho perso, mi sono reso conto di aver perso molto più di Liz.»
Stavolta, Lovino recuperò il pennino. «"È tutto molto drammatico, ma tu sei un imbecille che ha barattato il tesoro super figo di casa tua e la tua stessa natura per una donna umana."»
Gilbert lo squadrò dall'alto in basso. Come osava. «Scrisse il principe che diede in pasto il suo regno ad un calamaro perché un pirata gli ha detto una puttanata.»
Il pennino picchiettava sulla tavoletta. Tic. Un secondo. Tic. Un secondo. Tic. La voce di Gilbert era diventata molto sgradevole. Gli stava facendo venire il mal di stomaco.
«Tu che puoi farlo,» Gilbert tornò alla porta. La conversazione si avviava alla sua conclusione. «torna indietro. Lo Stregone del Mare si nutre delle debolezze altrui. Nessuno ti biasimerà, sarai solo rinsavito.»
Tic. Un secondo. Tic. Un secondo.
«Io non so come riesco a guardare mio fratello minore.» La mano andò alla maniglia. «Non è una sensazione che ti consiglio.»
Tic. Tic. Un secondo. Tic. Tic. Tic.
«Dubito riuscirai a vendicarti di Antonio, qualsiasi cosa tu abbia in mente. Se hai qualcosa in mente.» Tic. Tic. Tic. «Torna a casa, e pensa ad un altro modo per vendicarti.» Un sorriso che non aveva nulla di allegro. «Perché l'alternativa è perdere. E, se perdi qui, sarà orribile, perché saprai che la colpa non è dello Stregone del Mare.» Un cenno di saluto. «Neanche questa è una sensazione che ti consiglio.» Uscì e si richiuse la porta alle spalle.
Tic.
Un secondo.
Tic.
Un secondo.
Un secondo. Un secondo.
Era lì da venti giorni. E non aveva fatto altro che giocare. Mentre lui era lì, Feliciano aveva paura per lui, e chissà in quanti temevano per le sorti del Regno del Mare - Come se, tra l'altro, ci fosse il rischio che, boh, il re dei Sette Mari arrivasse sparando laser dagli occhi e incenerisse tutte le città del Mediterraneo. Quello stupido incosciente del principe Lovino giocava con la proprietà del suo regno, e ideava piani idioti solo per divertirsi alle spalle di qualcun altro. Era ovvio che un piano ideato da lui non portasse a niente, se non ad una sconfitta. Era il nonno quello bravo, era Feliciano quello buono, mica era lui quello bravo e buono.
Un secondo. Un secondo. Un secondo.
Tutta quella situazione era ridicola. Aveva giocato per venti giorni, era ora di farla finita. Lui era il principe Lovino, e non avrebbe lasciato il Regno del Mare - il regno di suo nonno, dei loro antenati, la sua casa - in mano al primo calamaro gigante magico che passava da quelle parti. Gilbert aveva ragione. Doveva smetterla di giocare, doveva riconoscere i propri sbagli e fare, per una volta nella sua vita, una cosa giusta.
Un secondo. Un secondo. Un secondo.
Espirò. Non si era accorto di aver trattenuto il respiro per qualche secondo. Era così che si sentivano gli umani, sott'acqua?

*



Feliciano sentì il cuore fare una capriola. Finalmente. Finalmente!
«Quando vuole incontrarmi?» Per lui sarebbe andato bene anche subito, in quel preciso istante!
«Tra un'ora.» spiegò Francis: «Dal lato del castello che dà sulla porta segreta.»
Era successo tutto in meno di due minuti e ancora faticava a processare tutto, ma Feliciano era pronto. Da quando erano riusciti a contattare il signor Gilbert, non era mai mancato di salire in superficie una o due volte al giorno - Non nello stesso orario, perché doveva assicurarsi che il nonno non sospettasse nulla. Quel giorno, a quanto sembrava, Lovino si era finalmente deciso a parlargli. A quanto gli aveva riferito Francis, Lovino aveva prima chiesto al signor Gilbert, salvo sentirsi rispondere che, in effetti, lui non aveva nessun modo di contattarlo quando voleva - Ops. Così, per qualche motivo, aveva chiesto al signor Gilbert di urlare a squarciagola "Tre Aprile". Feliciano si era annotato quelle parole perché, a quanto pareva, avevano richiamato Francis. E così, era stato Francis a farsi portatore del messaggio di suo fratello.
«È una fortuna che ci sia io.» aveva commentato il gabbiano: «Scommetto» L'espressione chi sa di averci azzeccato. «che nessuno di voi ha pensato alle piccole spie di Arthùr, n'est pas?» E infatti ci aveva azzeccato.
«Lovinò avrebbe voluto incontrarti il prima possibile,» proseguì Francis: «ma mi serve del tempo per trovare Alfrèd e Mathieu e attirarli lontano da qui.»
«Sono le spie dello Stregone?»
Francis annuì. «Se non hanno fatto colazione, mi ci vorranno pochi minuti a convincerli.» Il suo sguardo s'incupì. «Se l'hanno fatta, li ritroverò in fin di vita.»
Feliciano deglutì. Lo Stregone del Mare sembrava una creatura spaventosa!
«Come farò a sapere se li hai trovati?»
Francis indicò il binocolo che portava appeso al collo. «Lo vedrai da solo, Felicianò.» Spiare delle spie? Sembrava divertente! «Tuttavia...» Il gabbiano sospirò. «Non ti posso garantire troppo tempo. Venti minuti, trenta al massimo. Arthùr s'insospettirebbe nel non ricevere informazioni per troppo tempo.»
Feliciano annuì. «Capirebbe che qualcuno ha distratto le sue spie.»
«No, saprebbe che sono con me e salirebbe in superficie per litigare.» Scosse la testa. «E noi non vogliamo che Arthùr salga in superficie.»
«Eh, no...»
Avrebbe fatto tesoro di quei minuti preziosi. Era un lavoro di squadra - Lui, Francis, il signor Gilbert e Ludwig. Non avrebbe permesso che qualcuno - nonno, Stregone o umano scemo - scoprisse il segreto di Lovino.
Ah, ovviamente, Ludwig era a pochi metri da loro. Era scontato.

Aveva già visto Lovino da umano. Però l'aveva visto da un binocolo, ed era grande un pollice, mentre ora era a grandezza Lovino e lo vedeva fin troppo bene. Era... strano. Non brutto, solo strano. Non c'erano più le scaglie verdi, non c'erano più le pinne sulla testa, e le code erano più sottili, e si piegavano solo in un verso.
«Lovi!» Feliciano strisciò fino al bagnasciuga, trascinandosi con le mani. Lovino gli si inginocchiò davanti, quasi volesse fermarlo. «Stai bene!» Gli prese il viso tra le mani. Era asciutto, e assurdamente liscio, e faceva senso non sentire le pinne contro i polsi.
Lovino si scostò. Aveva a tracolla una tavola fucsia. Vi scrisse qualcosa, e glielo mostrò. L'aveva visto comunicare in quel modo, ma era strano che lo stesse facendo anche con lui - Era strano non sentire la voce irritata e tonante di suo fratello. «"Ovvio. E tu ti sei portato dietro il brucacavoli di mare?"»
Si voltarono entrambi a guardare Ludwig. Se ne stava con la schiena contro gli scogli, le braccia conserte, abbastanza lontano da concedere loro un po' di privacy, abbastanza vicino da intervenire in qualsiasi momento. Ricambiò lo sguardo di entrambi, e tornò a guardare davanti a sé, verso il castello.
Feliciano ridacchiò. «Dovevi aspettartelo.»
Lovino annuì. Era strano. Sì, l'aveva già pensato, ma era strano il fatto che non fosse furioso. Peggio. Sembrava gli andasse bene.
«... Stai bene?» Gli accarezzò una guancia. Ora era bagnata, dato che l'aveva toccato poco prima.
Suo fratello non rispose. Continuava a guardarlo, quasi assente. Alla fine, scrisse qualcosa. «"Come sta nonno?"»
«È molto preoccupato per te! Non l'ho mai visto così!» Cercò di imprimere quanta più urgenza nella voce. «Non gli ho detto niente, per ora, però ti prego, Lovi, c'è un modo per farti tornare normale? Se ti serve qualcosa, dimmelo e-»
Lovino alzò una mano. Feliciano tacque. Un'altra scritta. «"Sei disgustosamente buono, Feliciano."»
Feliciano espirò. Non si era accorto di quanto fosse teso. Perché era teso, in effetti? Era felice di rivedere suo fratello sano e salvo, ecco perché il cuore gli stava martellando nelle orecchie e si sentiva così rigido. No, non era una reazione normale. Era perché era strano vedere Lovino con quell'aspetto, così silenzioso, così poco iroso, con uno sguardo così spento. Tutto era sbagliato.
«"Chiama qui il granchio."»
D'accordo, quella era la prova schiacciante del fatto che qualcosa non andasse. Non si mosse. Guardò Lovino negli occhi. «Dimmi cosa sta succedendo.»
Per tutta risposta, suo fratello annuì. «"Te lo dico. Chiama qui il granchio, voglio dirlo anche a lui."»
Feliciano scoccò un'occhiata a Ludwig. Lui si voltò subito. Feliciano fece per alzare la mano, a chiamarlo, ma la sentiva pesantissima, e il cuore impazzito stava iniziando a fargli male. Però non potevano perdere tempo, Francis non avrebbe potuto tenere lontane le spie troppo a lungo. Guardò di nuovo Lovino. Qualcosa non andava, avrebbe dovuto capire cosa, ma non ci riusciva. Perché non era più intuitivo?
Lovino alzò lo sguardo. Dovette incontrare quello di Ludwig, perché gli fece cenno di avvicinarsi. Feliciano sentì l'acqua muoversi, dietro di sé. Non distolse lo sguardo da suo fratello.
«"Mi servite tutti e due."» Lo sguardo di Lovino andò prima a lui, poi a Ludwig. «"E guai se ne fate parola con qualcuno, fino a tempo debito. Giuratelo."»
«Di cosa stai parlando, Lovi?» Feliciano giunse le mani, si torse le dita. «Fai... fai paura, così.»
Non la frase giusta da dire. Pessima frase da dire.
«N-Non nel senso che sei spaventoso!» Cercò di recuperare. «Mi stai facendo preoccupar-» Di nuovo la mano alzata. Tacque. Lovino picchiettò il pennino sulla parola "Giuratelo".
Ludwig aspettava la sua decisione. Non avrebbe giurato, se non l'avesse fatto lui. E lui non poteva continuare ad esitare e temporeggiare in quel modo. Lovino aveva bisogno di lui, di loro, e lui stava facendo una sceneggiata ridicola. Trasse un respiro profondo e annuì. «Mi fido di te, Lovi.» Sperò di sembrare deciso, anche se gli era parso di sentire una scheggia, nella sua voce. «Lo giuro.»
«Lo giuro.» Ludwig gli fece eco.
Lovino girò di nuovo la tavola. Cancellò la scritta, e scrisse qualcos'altro. Girò la tavola.
Feliciano sentì le forze venire meno. Scosse la testa. Premette i palmi aperti sugli occhi. «Non ho letto, Lovi! Non ho letto nient- Ahia!» Liberò la vista, si portò una mano alla testa. Lovino l'aveva colpito con la tavola e aveva fatto parecchio male. Se non altro, l'aveva colpito di piatto e non di angolo, per quanto arrotondato.
«Princ-» Anche Ludwig tacque. Non perché fosse stato colpito, ma perché Lovino gli aveva messo la tavola davanti agli occhi. Era impossibile non l'avesse letta, così come era impossibile che non l'avesse letta anche Feliciano.
«Perché?» Non era stata un'impressione. La sua voce era davvero scheggiata. «Vuoi rimanere nel mondo degli umani, forse?» Forse era quello, il motivo. Forse era quello, e allora avrebbe accettato, altrimenti-
Lovino scosse la testa, un lampo di indignazione negli occhi. Somigliava più a suo fratello, ma era ciò che non voleva sentirsi rispondere.
"Io, Lovino, rinuncio al trono del Regno del Mare in favore di mio fratello Feliciano."
Bastava un solo testimone per rendere valida quell'affermazione, ed era stato crudele a far sì che il testimone fosse Ludwig.
Lovino scrisse altro. Era un bene, perché così aveva finalmente cancellato quella frase orribile. «"Perché tu sei stupido, ma è impossibile non volerti bene. Sarai un re perfetto. Diverso dal nonno, ma tutti ti ameranno ancora di più."»
Feliciano scosse la testa. Serrò i pugni. «Pensi davvero che accetterò questa cosa senza protestare?»
«"E cosa vorresti fare? Abdicare in favore di Ludwig?"» L'aveva persino chiamato per nome. Finalmente sorrideva, ma era più il sorriso di trionfo che aveva dopo aver fatto schiantare una nave.
«Non ti azzardare.» Un sibilo da parte del diretto interessato.
Feliciano scosse di nuovo la testa. «Non ho intenzione di farlo.» Tornò a guardare suo fratello. I pugni tremavano. «Perché sei così cattivo?» Non erano solo i pugni a tremare. «Pensi di poter scappare in eterno?»
A Lovino non era piaciuta la sua domanda. Non era più assente, o pensieroso, o felice di avergli fatto il dispetto più cattivo che avrebbe mai potuto fargli. Ora era il Lovino che conosceva, e Feliciano sentì il cuore appesantirsi nel rendersi conto che corrispondeva al Lovino pronto a saltare al collo e azzannare. E l'obiettivo era lui.
«"Sei disgustosamente buono, Feliciano."» L'aveva già scritto. C'era un'altra frase, però. «"Infatti sei stomacante."»
Fece appena in tempo a leggerlo, che Lovino si alzò e si allontanò a passo rapido.
Sentì Ludwig voltarsi verso di lui. «Devo prenderlo?»
«No.» Si lasciò andare sulla sabbia. «Ludwig...»
«Sì?»
Nascose il viso tra le braccia. «Mi dispiace di essere così tonto.»
Ludwig non disse niente. Si avvicinò, e gli accarezzò i capelli.
Era successo tutto in meno di cinque minuti e ancora faticava a processare tutto, ma Feliciano era esausto. Non voleva davvero processare tutto.

*



«Alfred!» tuonò Arthur: «Alfred D-»
«Eh, eccoci, Artie, che ti urli?»
Arthur trasalì. Alfred e Alfred Due erano d'innanzi a lui. Li fissò, perplesso. «Da quanto siete qui e perché non siete in superficie.»
Non suonavano come domande, ma Alfred rispose lo stesso. «Perché ci chiami sempre verso quest'ora per fare rapporto.» Mise le mani dietro la testa. «Quindi tanto valeva.»
«Oh.» Puntualità. Un altro pregio che poteva associare alle sue piccole murene spia.
«Piuttosto,» Alfred inarcò un sopracciglio. «siamo qui da un paio di minuti, ma non ci hai visto? Sei così vecchio che non ci vedi più?»
Sfrontatezza. Un altro enorme, francesissimo, difetto che poteva associare alle sue piccole murene spia.
«Allora.» Decise di far finta di nulla, ché lui era tanto magnanimo. Si sedette sullo scrittoio, giunse i polpastrelli. «Come sta andando il nostro principe avvelenato?»
Alfred fece per dire qualcosa, ma Alfred Due lo precedette: «È un modo di dire, Al. Per quanto si sia bevuto le pozioni di Arthur.»
«Allora.»
«Sta andando CHE NOIA!» Alfred agitò i pugni. «Questo è l'incarico più noioso che ci hai mai dato, non succede letteralmente nulla!»
«A parte il tentativo del principe Feliciano e del capo delle guardie di espugnare il castello.» ripetè Alfred Due. Era l'unico evento degno di nota che era successo, e ci tenevano a ricordarlo.
Arthur annuì, piano. «Vi confesso che, visto il soggetto,» borbottò: «pensavo anch'io ci sarebbe stato da divertirsi. Sto iniziando ad annoiarmi persino io che non passo tutta la giornata a guardare un castello brutto!»
Alfred e Alfred Due gli scoccarono un'identica occhiata di sufficienza. «Eh, povero Artie.» Percepiva una certa, inglesissima, ironia. Sì, li aveva cresciuti bene.
«Mettete al lavoro i vostri cervellini da bambini.» I bambini erano sempre la miglior fonte di piani malvagi. «Voglio i vostri suggerimenti per movimentare questa vicenda.»
Gli occhioni blu di Alfred brillarono. Alfred Due si sistemò le lenti rotonde.
«Possiamo prendere della dinamite da una delle navi affondate e-»
«Potremmo mandare una falsa lettera minatoria al principe Lovino, dicendogli di aver rapito il principe Feliciano e-»
«-la mettiamo sotto al castello, così poi esplode e-»
«-chiederemmo qualcosa di estremo per la sua liberazione, possibilmente qualcosa di emotivo, perché le ferite mentali sono più profonde di-»
«Sweetie, sweetie.» Mosse i tentacoli, a far cenno di calmarsi. Erano un po' troppo infervorati. «Per quanto deliziose siano le vostre proposte, abbiamo un obiettivo da raggiungere.» Un tentacolo s'infilò in un armadietto, e ne riuscì con la scatolina che conteneva la voce del principe. «Quindi, vi darò delle linee guida. Prompt: voce.»
Alfred si grattò la testa. Alfred Due si guardò intorno, in cerca di ispirazione. Il primo parlò dopo qualche secondo. «Lo torturiamo fino a vedere se gli torna spontaneamente la voce a suon di urla di dolore?»
Arthur aprì la bocca. La richiuse. Purtroppo quel piano, per quanto interessante, non avrebbe portato a nulla di fruttuoso.
«Il principe e l'umano si sono sempre incontrati nella grotta.» fece notare Alfred Due: «La grotta è abbastanza buia. Forse l'unica cosa chiara che avevano l'uno dell'altro è la voce.»
Arthur si mise in ascolto. Sia perché sembrava un'idea eccellente, sia perché la voce di Alfred Due era appena più alta dei sussurri degli abissi dell'Ammasso di Perseo.
«Tu hai la voce del principe. Puoi usarla a tuo vantaggio per ingannare l'umano e fargli credere di stare parlando con il principe.»
Sì. Un'idea eccellente - Eccellentissima!
«Magari gli puoi fare qualche scherzo, o attirarlo a largo, o fargli credere di essere pazzo, o-»
«Rassicurarlo del fatto che i tritoni siano completamente vuoti e senz'anima.»
Alfred e Alfred Due s'immobilizzarono. Arthur aprì la scatolina ed estrasse la sfera rossa. Pulsava e lampeggiava, come se odiasse essere toccata. Peccato che era esattamente ciò che lui aveva intenzione di fare. Se la rigirò tra le mani. Aprì la bocca.
«Ma che creatura diabolica e fantastica sarò...»
Alfred e Alfred Due spalancarono la bocca. Arthur non aveva parlato con la sua voce.
«Ogni mossa è stabilita e i miei piani seguirà...»
Sì. Sì, gli era venuta un'idea piuttosto divertente.
«Sarà vana la vendetta e l'oceano avrò per me!»
Scoccò un'occhiata ad Alfred e Alfred Due. Il secondo era un po' dubbioso. Il primo annuì. Alfred Due dava idee migliori, ma Alfred era più interessato a seguire i suoi piani. Uno sguardo d'intesa, e due - tre, in realtà - risate malvagie risuonarono nel colossale relitto dello Stregone del Mare.

*



"Prima che il sole cali sul trentesimo giorno", aveva detto lo Stregone del Mare. Dunque mancavano poco più di ventiquattr'ore.
Il tempo era volato. Con un certo scorno, Lovino aveva realizzato come avesse apprezzato di più i primi venti giorni che non gli ultimi nove. Erano scorsi come i granelli di sabbia in una clessidra, ma gli erano parsi tutti tristemente uguali. Doveva essere perché non aveva avuto più idee per vendicarsi del bastardo.

«Niente piano di distruzione, oggi?»
Lovino aveva alzato lo sguardo. Abel era alla finestra, come sempre avvolto dalla sua nube misteriosa. Avrebbe detto fosse incuriosito, e l'avrebbe dedotto più dal tono di voce che dall'espressione.
Aveva semplicemente annuito, in risposta. Non è che avesse niente da aggiungere. Era stato così e basta. Un giorno intero senza pensare a niente di terribile e raccapricciante per tormentare il capitano idiota.


E a quel giorno se n'erano aggiunti altri, fino a diventare la norma.

«Non prenderla come un'offesa,» aveva detto Lucilin: «però è strano vederti così tranquillo e pacifico. Va tutto bene?»
Forse era un po' preoccupato. Forse le sue parole sarebbero effettivamente potute suonare offensive. Per Lovino non lo furono. Rispose annuendo. Non aveva altro da dire.


Erano strano pensare che, fino ad una manciata di decine di ore prima, trascorreva le notti ad ideare piani stupidi e le mattine o i pomeriggi a metterle in pratica.
Non aveva più parlato con Gilbert. Lo vedeva, di tanto in tanto, lanciargli occhiate fredde, di chi sta cercando di contenere la propria irritazione - fallendo. Non lo biasimava. Dato che era ancora umano e senza voce, per quel che ne sapeva lui, non c'era stata nessuna azione utile, da parte sua.
Lovino era stato certo che liberarsi del peso più grande lo avrebbe portato a stare meglio. Era certo che quegli ultimi giorni da umano sarebbero stati anche migliori dei precedenti - Non avrebbe avuto più nulla di cui preoccuparsi, nessun regno, fratello o nonno sulla coscienza, e alla fine se ne sarebbe semplicemente andato chissà dove con uno Stregone non troppo a posto con l'umore.
Però ogni guizzo di immaginazione era come scomparso, da un secondo all'altro. E aveva trascorso più di venti giorni nella città umana, ormai non si stupiva più come prima. Si sarebbe dovuto sentire leggero come una bolla, invece si sentiva leggero come il relitto di un galeone. E poi c'era Feliciano, che lo perseguitava. Non il suo fratellino confettino di per sé - Il suo sguardo, le sue parole, la sua voce, era più irritante del solito.
Ed era stupido pensare a tutto quello, lo sapeva. Il Regno avrebbe festeggiato, suo nonno se ne sarebbe fatto una ragione senza troppi problemi e suo fratello avrebbe colmato il terribile vuoto esistenziale dato dalla sua scomparsa con un aitante e noioso crostaceo teutonico.

«Sei...» Manon gli scoccò un'occhiata esitante. «sicuro di non voler venire?»
Lovino annuì. Sarebbe rimasto a palazzo, quel giorno. Non aveva voglia di uscire.
Manon non parve troppo convinta. «D'accordo.» Fece per allontanarsi, ma si fermò e si voltò di nuovo verso di lui. Forse sperava la fermasse. «Magari domani, eh?» Gli rivolse un sorriso d'incoraggiamento.
Lovino annuì di nuovo. Nient'altro.


Da parte sua, lasciava che il patto giungesse alla sua naturale conclusione, con la sua sconfitta. Era quella la parte più naturale, per la cronaca. Si sarebbe goduto quegli ultimi giorni in quell'insulto architettonico, sarebbe stato con gente che subiva o seguiva con un certo interesse le sue prodezze di vendetta, e poi se ne sarebbe andato. Lo Stregone del Mare veniva da Albione e aveva sette mari a disposizione, gli sarebbe andato bene qualsiasi posto - Tranne il Mediterraneo.
Andò in cucina. Era quasi sera, ma faceva un caldo terribile. Bevve due bicchieri d'acqua. L'incantesimo doveva star perdendo efficacia - Aveva scoperto che gli umani, quando avevano molto caldo, perdevano acqua. Assurdo a dirsi, ma la natura aveva deciso così. Lui, invece, era da un paio di giorni che provava la non troppo sconosciuta sensazione di essiccamento. Di solito bastavano uno o due bicchieri d'acqua, a volte doveva berli, a volte doveva buttarseli addosso.
Si sedette su uno dei banconi, la schiena contro il muro. Si sfilò la tavoletta e la mise accanto a sé. Il castello era enorme, ma le cinque persone al loro interno riuscivano sempre a farlo sembrare pieno - Almeno, Manon, Gilbert e il bastardo parlavano a voce così alta che li si sentiva tre piani più in alto e più in basso, Lucilin e Abel erano più civili. Era bizzarro, quindi, sentire il castello silenzioso, e illuminato dalla luce del tramonto. Gli altri erano usciti, lui era voluto rimanere lì. Doveva pensare al giorno successivo. Cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornato un tritone di colpo - Puff, code e scaglie ovunque lui si trovasse? E se si fosse trovato al quindicesimo piano? Come sarebbe sceso? Sarebbe venuto a prenderlo lo Stregone del Mare? E se avesse provato a scappare nell'entroterra a bordo di una vasca da bagno con le ruote e piena d'acqua? Non che lui volesse, erano solo ipotesi logiche da fare.
Non che scoppiasse di entusiasmo all'idea di diventare servo dello Stregone del Mare, ma gli era parso che Feliciano, Gilbert e compagnia ne avessero fatto un dramma più grosso di quanto non fosse. D'accordo, non era simpatico, ma non è che frustasse a morte i suoi sottoposti o li torturasse in modi indicibili - Tranne la parte del cibo che rifilava loro, quella doveva avere qualcosa di sinistro. Tuttavia, se aveva due murene minorenni e in salute, non poteva essere nulla di insostenibile.
Il Regno del Mare era al sicuro, ora. Nessuno si sarebbe più dovuto preoccupare di quello. E non vedeva nessun dramma da calde lacrime di sangue, lamenti strazianti, capelli strappati e invocazioni di pietà nel diventare servitore. Feliciano era un idiota che ingigantiva i problemi, ma sarebbe senz'altro stato un re migliore di lui. E nessuno avrebbe avuto nulla da ridire. E-
Lovino alzò lo sguardo. Era rimasto solo nel castello, no?
«Qualcosa non va?» Il bastardo era nella cucina da... Era nella cucina. Prese una sedia e ci si sedette al contrario, le braccia sopra lo schienale. Si era messo a distanza di un calcio, e Lovino fu tentatissimo dal rifilarglielo - Ormai era sicuro delle sue gambe, le aveva usate continuativamente per ventinove giorni!
«Sono un po' di giorni» Non aveva neanche aspettato la sua risposta. Che lui poi fosse rimasto immobile per un'intera manciata di secondi era un dettaglio irrilevante. «che sei un po' assente. È successo qualcosa?»
Cos'era, gli mancava essere tormentato? Sospettava fosse masochista, ora ne aveva la certezza. Lovino non diede cenno di riprendere la tavoletta. Si limitò a guardarlo.
Come al solito, il bastardo non abbassò lo sguardo. Anche lui continuava a guardarlo, sempre, ad ogni occasione, a riprova che dovesse decisamente farsi una vita. «È quasi strano pensare che tu sia qui da appena un mese.» Infatti erano ventinove giorni. «Da quando ti abbiamo trovato» Sorrideva, ma sarebbe stato strano il contrario. «non è trascorso giorno in cui ci annoiassimo. Sei stato una ventata di buonumore!» Oddio, porelli, com'erano messi male. «Non hai mai perso il tuo fare aggressivo, hai sempre risposto male - soprattutto a me -, non hai mai perso occasione per fare dispetti sempre più creativi, quindi» Il sorriso vacillò appena. «ora si sente che c'è qualcosa che non va. Se ci dici cosa, forse possiamo aiutarti.»
Ora a Lovino sarebbero andati a fuoco i piedi, si sarebbe messo dritto, avrebbe tremato e sarebbe stato sparato nella stratosfera, verso il cosmo e le stelle - Ovviamente, avrebbe lasciato un bel foro nel castello, che tanto era talmente brutto che magari l'avrebbe pure migliorato.
"È tutta colpa tua, brutto imbecille, ogni singola cosa è colpa tua, cazzo fai quello comprensivo quando sei un emerito coglione-"
La tavoletta non sarebbe bastata a comunicare tutto l'odio e il rancore che provava. Un'occhiataccia era più efficace.
Il bastardo rimase in silenzio per qualche secondo. Strano. Sospetto, quasi. «È bello averti qui.»
Cosa.
«Sono serio. Ci hai regalato delle giornate movimentate come non ne abbiamo mai avute, qui nel castello.» Gettò uno sguardo ad una finestra. «Manon e gli altri mi hanno detto che, di solito, scommettevano su quali navi si sarebbero schiantate sugli Scogli Scomodamente Stazionati.»
Lovino si mise bene in ascolto.
«Io non ho avuto modo di farlo. Te l'ho detto. Quando sono arrivato, sono subito andato a cercare la sirena. Suppongo non facesse più naufragare navi perché era con me.»
Aspetta.
«Però, dopo che ci siamo separati,» Aspetta. «ero sicuro che i naufragi si sarebbero intensificati. Invece, la sirena sembra del tutto scomparsa.»
Aspetta. Aspetta.
Il bastardo sembrava pensieroso. «Da circa un mese.» Sembrava pensieroso. Si atteggiava a tale, ma stava facendo un'insinuazione ben precisa. Tornò a guardarlo. Non c'era traccia di emozioni negative, nel suo sguardo, ed era assurdo, perché parlava della sirena - del tritone - che l'aveva minacciato e- «Avrei voluto rivederlo, sai? Soprattutto perché gli scogli si vedono benissimo, dalla mia camera.»
Cosa.
«Cioè, si vedono benissimo per tutta l'ala ovest e l'ala sud del castello.» specificò, come se quello fosse un dettaglio fondamentale. «Ma la mia camera è in alto, quindi si vedono molto bene.» Scosse appena la testa. «Non l'ho mai visto da lassù. Ero curioso di vederlo. Sai,» Stava parlando sempre più veloce, più entusiasta. «l'ho sempre visto in penombra. Non è stato per molto tempo, quindi mi sono rimasti impressi solo alcuni dettagli.»
La curiosità ebbe la meglio. Lovino riprese la tavoletta. «"Tipo?"»
Quel cretino si tirò su, quando lesse quella parola. Lovino pensò, pur sapendo quanto fosse stupido, che fosse perché aveva finalmente dato segni di vita.
«La voce.»
Oh. La voce. Ovvio. Era un tritone, del resto. Per cosa erano famose, sirene e tritoni? «"Doveva avere proprio un bel canto."»
«L'ho sentito cantare una volta sola.» E doveva essere un bel ricordo, a giudicare dalla faccia. «Era bello, sì, ma non intendevo quello.»
Eh?
«Il suo canto era qualcosa di ultraterreno. Forse è per questo che una mente umana non riesce né a comprenderlo né a ricordarlo alla perfezione.» Ah. «Intendevo, la voce di quando parlava. La sua voce.»
... Ah.
«Era molto bella.» La sua espressione cambiò appena. Quello era un bel ricordo. «Bassa, con una nota sempre arrabbiata o infastidita, se non arrogante.» Buon per lui che quelli sembrassero pregi. «Per quanto riesco a ricordare, avrei preferito continuare ad ascoltare quella che il suo canto.»
Si vedeva che era proprio un imbecille. Il bastardo lo guardò negli occhi. Per qualche motivo, attese qualche secondo prima di parlare di nuovo. «È il tipo di voce con cui penserei te, sai?»
L'aria venì meno.
L'espressione di quell'emerito idiota si era fatta seria. «Tu sei la-»
Aveva detto che gli piaceva, il castello in silenzio? Non ricordava. C'era silenzio, in quel momento. Almeno, nessuno stava parlando. Forse non poteva dirsi silenzio vero, dato che sentiva chiaramente il suo respiro pesante.
Aveva fatto un gran fracasso nel lanciarsi contro il bastardo - schiantare i piedi a terra, buttarsi su di lui facendo indietreggiare la sedia, e schiaffargli una mano sulla bocca. Poi c'era stato un finto silenzio. Finto, perché no, non poteva essere silenzio, finché avesse continuato a respirare in quel modo. Ma non era colpa sua. L'aria era venuta meno, e stava davvero faticando a inspirare ed espirare - E la gola era secca, faceva quasi male. E poi, il bastardo gli aveva detto delle cose stupide. Più stupide del solito, intendeva. La sua voce naturale era più piacevole del suo canto da tritone? Ridicolo. Stupido. Solo un idiota del genere avrebbe potuto fare pensieri simili. E Lovino era idiota quasi quanto lui - Quasi, perché lui non era così idiota -, perché gli piaceva sentire certe idiozie. Gli piaceva che quel cretino - E quello specifico cretino - gli dicesse che i suoi insulti erano più belli del suo dono in dotazione con la sua natura. Era masochista da far schifo. Oltre che stupido.
Per questo scostò la mano e, per evitare dicesse quell'unica frase che avrebbe portato le porte dell'Apocalisse a spalancarsi come in un giorno ventoso - O qualcosa del genere -, lo fece tacere con le sue labbra. L'avrebbe fatto prima. Molto prima. Subito, in realtà. Era stata tutta colpa dell'idiota. Lui aveva tutta la buona volontà del mondo, e avrebbe volentieri continuato ad incontrarlo nella grotta fino a tempo indefinito - Nella grotta, o da qualsiasi altra parte. Era colpa sua, quindi gli afferrò la nuca e gli impedì di allontanarsi, lo costrinse a baciarlo, contro la sua volontà. Il fatto era che si era ritrovato seduto sul bancone, e non sapeva neppure quando fosse successo - per quanto, in effetti, avesse sentito il rumore della sedia che veniva mandata verso nuovi orizzonti -, e aveva il ragionevole sospetto che, più che costringerlo, gli avesse dato il permesso di fare qualcosa che voleva fare da... Tipo subito.
Per quanto la differenza di intelligenza fosse palese, avevano sempre avuto le stesse intenzioni, eh?
Chissà da quant'era che il bastardo aveva capito. La gita al museo non era stata casuale, dunque. Sarebbe stato davvero comico se il bastardo l'avesse riconosciuto all'istante. Comico, anticlimatico e terribilmente piacevole.
Lo sentì scostarsi. Un sussurro. «Me lo dici il tuo nome?»
Lovino trattenne una risata. Fece scivolare la mano lungo il bancone, fino a recuperare il pennino. Scrisse. Fece un cenno al bastardo. Lui abbassò lo sguardo. E fu lui a trattenere una risata.
«"Scordatelo."»
Forse c'era qualcosa che gli sarebbe davvero dispiaciuto, nel fare da servitore allo Stregone del Mare. Dubitava che il suo Signore Et Padrone gli avrebbe permesso di passare le ore che voleva con un pirata umano. Sì, forse quello gli sarebbe dispiaciuto. Anche se era stupido. Anche se tutta quella situazione era partita da una sua frase - Da una sua idea - fuori dal mondo.
Già. La persona con cui più apprezzava stare era una che neppure lo considerava un essere senziente.
Fece un altro cenno al bastardo. Si toccò la gola.
«Sei disidratato.» Non era neanche una domanda. Doveva averlo sentito chiaramente, mentre lo baciava e gli accarezzava la pelle sotto la stoffa, mentre sentiva le sue mani sotto la camicia. Beh, almeno le labbra non erano rimaste secche e spaccate.
Gli porse un bicchiere d'acqua - Lo stesso di prima. Lovino lo guardò. Lo prese e se lo gettò addosso. Non era abbastanza. Ormai non era più abbastanza. Pensava che l'incantesimo avrebbe perso forza il giorno della scadenza, non a partire da ventiquattr'ore prima.
Mise le mani sulle spalle del cretino e lo fece indietreggiare di qualche passo. Scese dal bancone, senza lasciare la presa. Gli battè le mani sulle spalle, e premette appena. Aveva lasciato la tavoletta sul bancone. Sperava fosse chiaro. "Resta qui."
Fece qualche passo verso l'uscita. Si voltò a guardarlo. Il bastardo era rimasto dove l'aveva lasciato. Serio, forse appena preoccupato. Però aveva capito che non avrebbe dovuto seguirlo. Che poi pensasse di farlo, era un altro discorso. Si voltò di nuovo e uscì dal castello.

La porta della cucina dava direttamente sulla spiaggia. Forse era stata la sabbia a comprometterne i cardini. Ma ciò che importava davvero era che fosse a pochi metri dal mare. E il mare, supponeva, sarebbe stato abbastanza per rimediare all'essiccamento - Almeno, di solito era più che abbastanza. Ci viveva, nel mare. Ci era vissuto, nel mare.
Aveva iniziato a correre, ad un certo punto, aveva camminato a passo svelto nell'acqua e, quando l'aveva sentita ai fianchi, si era tuffato, aveva nuotato fin dove non potesse toccare più, e si era immerso. Era meglio dei bicchieri d'acqua. Molto, molto meglio, una singola goccia contro un acquazzone. Di certo là sotto non si sarebbe mai essiccato, neppure se l'acqua fosse diventata caldissima. Prese un gran respiro e-
Il respiro si mozzò. Gli avevano ficcato chili di sabbia indurita in gola, nel naso, nelle orecchie - Gli occhi bruciavano, la gola bruciava, le braccia e le gambe erano di piombo. Gli occhi bruciavano anche se li aveva chiusi, ma sapeva che la superficie era vicina, lassù sarebbe stato meglio. Però le braccia non facevano ciò che diceva, e le gambe non reagivano, e tutti e quattro gli arti erano troppo pesanti. Forse l'aveva sfiorata, la superficie, con la testa, ma era tornato giù. Se le braccia e le code avessero obbedito, non avrebbe avuto problemi. Se non fosse stato un umano, non avrebbe avuto problemi. Se non fosse stato un tritone, non avrebbe avuto problemi.
Qualcosa attorno alla vita. Una presa salda. Uno strattone, e l'aria gli pizzicò il viso. Tossì, tossì di nuovo e di nuovo, e avrebbe volentieri vomitato tutti gli organi - E poi se li sarebbe rimessi dentro, ovviamente dopo averli lavati. Riaprì gli occhi. Bruciavano come se dovessero sciogliersi. Si sfiorò le ciglia, per assicurarsi che non si stessero liquefacendo - Difficile a dirsi, dato che era fradicio. La linea dell'orizzonte si faceva sempre più lontana, il livello del mare si abbassava. Lo stavano riportando sulla spiaggia. Artigliò le spalle che premevano contro le sue. Sottili, sentiva le scaglie sotto le dita. Quando la nuca cozzò sul bagnasciuga, il volto di Feliciano apparve sopra il suo.
«Cosa stavi facendo?» Aveva gli occhi sgranati. Se esprimesse più terrore il suo viso o la sua voce, non seppe dirlo. «Sei un umano, ora!»
Lovino si voltò e vomitò probabilmente tutto il Tirreno. L'acqua era sempre stata così disgustosa? Il sale gli esplodeva sulla lingua, in gola e nello stomaco, continuava ad avere conati anche quando tutto il Tirreno fu in quella spiaggia. Si passò una manica bagnata sulla bocca bagnata, e guardò Feliciano. Non aveva idea di che sguardo avesse. Bagnato, probabilmente.
«Non so cosa pensavi di fare-» Smettere di essiccarsi. Molto semplice. Ma Feliciano doveva aver pensato le cose più assurde. Feliciano pensava sempre le cose più assurde. Ecco perché non riusciva a prenderlo sul serio, quando era così terrorizzato, perché era tutto frutto della sua immaginazione troppo catastrofica. Era per quello che faticava a guardarlo, ovviamente. «-però, ti prego, smettila con tutta questa storia! Revoca il patto e torna a casa!» Si tirò indietro, si mise seduto, forse per lasciargli un po' di spazio per respirare. Facile a dirsi. Persino il sale nell'aria gli ustionava il respiro.
Lovino si sedette. La testa girava. Faceva male dove si congiungevano il naso e la bocca, faceva male la gola, faceva male il petto - Doveva aver riempito stomaco e polmoni di acqua salata, e non era una cosa che un corpo umano gradiva. I conati continuavano, ma non c'era più nulla da vomitare. Alzò lo sguardo su suo fratello. Se ne stava lì, seduto sulle code piegate, le mani giunte in grembo, le labbra serrate di chi vorrebbe solo urlare.
Ora lo perseguitava anche dal vivo. Non bastava come l'aveva guardato, e ciò che gli aveva detto. Era pure rimasto a sorvegliarlo, per nove giorni. Che diamine pensava di fare. Stupido Feliciano. Un futuro re avrebbe dovuto riguardarsi di più, e non perdere tempo dietro a tritoni stupidi.
Avrebbe voluto dirglielo, ma non poteva. La tavoletta era nel castello, e lui non aveva la forza per scrivere una cosa simile sulla sabbia. Sentiva le dita tremare. Sentiva tutto tremare. Doveva essere per il sale. E l'acqua. Anche se ora non si sentiva essiccarsi.
Forse Feliciano pensò di aver aspettato abbastanza una sua risposta. Si sporse verso di lui, le braccia a tenersi sulla sabbia. «Il nonno ancora non sa nulla.» sussurrò: «Torna indietro. Se c'è qualche problema, dimmelo.» Le dita affondarono nella sabbia. «Lo so che sono tonto, e che non potrei mai risolvere nessun problema, però, ti prego, non fingere che io non esista!» Oh, quello non l'avrebbe mai fatto. Sarebbe stato impossibile, anche se avesse voluto. «Sono qui.» Un sussurro così basso che avrebbe potuto fingere di non averlo sentito. «Sono qui anche ora.» E avrebbe finto. Avrebbe finto di non aver sentito. Stupido Feliciano. Stupido fratellino. Perché gli era capitato un fratello così stupido? Perché non gli era capitato un fratello uguale a lui, cattivo ed egoista? Sì, se le parti fossero state invertite, si sarebbe arrampicato sugli scogli e avrebbe riso delle sue sventure, perché non ci si poteva aspettare niente di buono da un fratellino così stupido. Sì, avrebbe fatto così. Senza dubbio, avrebbe fatto cos-
«Romano.»
Feliciano spalancò gli occhi. Lovino era certo di aver fatto altrettanto. Lo vide spostare lo sguardo alla sua sinistra, insieme a lui.
Il bastardo era a pochi metri da loro. Li fissava, prima uno, poi l'altro. Ed era serio. Spaventosamente serio.
Lo raggiunse con pochi passi e, senza troppe cerimonie, lo fece alzare e allontanare di qualche passo. Le gambe tremavano - Non rispondevano - e, suo malgrado, dovette afferrare il braccio del bastardo per sorreggersi.
Feliciano si era ritratto, ma non era scappato. Se fosse per temerarietà o per stupore, era difficile dirlo.
«Stagli lontano.» Aveva sentito quel tono solo una volta. Ed era una volta che odiava. Ed odiava sentire quella voce così vicina, quel tono così vicino, quasi mormorato. E, soprattutto, ancora una volta rivolto a lui.
Il bastardo tornò a rivolgersi a Feliciano. «Così» Con lo stesso, odioso tono, ma più alto, più freddo. «è questo il modo in cui intendi vendicarti?»
Lovino incontrò lo sguardo di suo fratello. Per quanto fossero diversi e si esprimessero in modi diametralmente opposti, era certo che, in quell'istante, nelle loro menti ci fosse lo stesso pensiero.
Cazzo.

.

Note:
* Il titolo del capitolo viene di nuovo da Love is War, ma ci sta troppo bene. (!)
* Nell'Ammasso di Perseo è stato registrato il suono più basso dell'universo, non percepibile da orecchio umano. [0]


La scena finale (e quel che ne segue) è una delle prime cose a cui ho pensato, e mi sarebbe piaciuto se fosse stata a fine capitolo - Mamma mia, che cliffhangerone! Sono riuscita a metterla dove volevo e ne sono soddisfattissima~
Questo capitolo è genericamente molto allegro. Cioè, a me sembra nella media, ma mi rendo conto possa sembrare genericamente molto allegro. Perdono, non durerà~

Q&A rapido, ché mi sa che qui potrebbe volerci:
Q: Viene detto che Feliciano non ha modo di contattare Gilbert quando vuole, ed è per questo che ricorrono a Francis. Ma allora come fanno Gilbert e Ludwig ad incontrarsi?
A: A caso. Gilbert va sugli scogli in attesa di Ludwig quando è sicuro che nessuno lo stia guardando/seguendo, idem Ludwig. Per questo si sono incontrati così poche volte!
Q: Se Lovino ha deciso di lasciarsi perdere, perché non revoca il patto e basta?
A: Perché in quel caso finirebbe con un'esplicita "vittoria" di Antonio. È irrazionale come sembra.
Q: Quindi Antonio, nonostante tutto, ha davvero capito che Lovino è il tritone?
A: È proprio una (s)fortuna che Arthur abbia concesso che avrebbe dovuto dirlo esplicitamente!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Soe Mame