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Autore: Fe_    02/09/2022    9 recensioni
Fanfiction interattiva- iscrizioni chiuse
Quando le cose vanno troppo bene, anche i semidei dimenticano i pericoli.
I due Campi sono in pace, addirittura gli scambi sono frequenti e molti figli di dei, una volta cresciuti, decidono di studiare a presso i romani. La pace porta prosperità, la prosperità fa venir voglia di superare i confini: il college di Nuova Roma organizza un viaggio-studio nel vecchio mondo, un anno che i suoi studenti non dimenticheranno.
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Dal testo:
«Dove andate di bello? Dai greci?» Trillò allegra una vocina infantile. Entrambi si voltarono verso un bimbetto di circa cinque anni; era stato lui a parlare dalla destra di Isaac, gli occhioni nocciola erano rivolti ad un animaletto di pezza. «Mamma dice che potrei andarci anche io, da grande, e che è bello. Mi ci portate?»
«Non al campo greco, Andrew. Alcuni semidei andranno molto più lontano, fuori dall’America addirittura, così quando torneranno potranno raccontarvi molte storie nuove.» Rispose il più grande, con la solita voce dolce di quando spiegava. Andrea aggrottò le sopracciglia, e dopo qualche istante allungò le manine porgendogli il peluche, un coniglietto rosa slavato con una cravattina viola ed un sorriso allegro.
«Allora porta Pie, ti proteggerà!»
Genere: Avventura, Comico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prologo

L'inizio dei giochi




Nonostante il sole fosse già alto nel cielo, l'aria era fresca ed umida mentre Leonard saliva i gradini che lo avrebbero condotto ai Giardini di Bacco. Uno skip rapido, ritmato, come il respiro leggero che lo sosteneva in quello che per lui era un semplice allenamento.
        Una volta arrivato in cima, si prese un momento per ammirare gli intrecci che le viti innaturalmente grandi compivano lungo i reticoli, e che d'estate fornivano un piacevole riparo dalla calura: in quel momento erano costellati da poche, piccole foglie di un bel verde chiaro. Con un sospiro soddisfatto stirò la schiena, le braccia muscolose così allungate che la punta delle dita sfiorava il tetto legnoso.
        Chiuse gli occhi, lasciando che fossero gli altri sensi a dargli un'idea dell'ambiente circostante: la primavera aveva appena iniziato a colorare le strade, ma senza vista il profumo dava comunque una nota caratteristica di nuova vita, con i fiori che gli solleticavano il naso. Sentiva il ronzio pigro delle api che si svegliavano, ma era ancora troppo presto perché l'allergia al polline si manifestasse: questo voleva dire che nemmeno Isaac ne avvertiva ancora i sintomi, e non sarebbe stato uno starnuto a rivelargli la sua posizione.
        Annuì piano ma, prima di riaprire gli occhi, sentì il fantasma di una risata echeggiare lungo i filari.
Tana.
        Con passo cauto e felpato deviò dal sentiero, le iridi dalla peculiare sfumatura ciclamino che sondavano il terreno alla sua destra: smosso di fresco, con piccole zolle d'erba tenera schiacciate da poco da passi affettati. Li seguì verso il centro in direzione della statua di Bacco che segnava il cuore del giardino, ma metà strada scartò di colpo: uno scatto rapido lo portò alle spalle di un ragazzino, allungò una mano e lo agguantò per la collottola. Victor, dieci anni, rispose con una risata acuta.
        «Stop, hondje¹!» Esclamò con un tono severo, sensazione accentuata dall'accento marcato con cui aveva pronunciato le parole straniere.
        Lo afferrò per il polso e se lo portò davanti al viso, poi lo osservò con aria minacciosa ed aggiunse: «ora mi dirai dove si nasconde il tuo compare fuggitivo, o ti lascerò marcire in prigione.»
        Il ragazzino si scosse, cercando invano di divincolarsi tra le risate.
        «Isaac! È arrivato, scappa!» Urlò concitato, portando una mano sul polso del ragazzo in un debole tentativo di districarsi dalla presa. Leonard si chinò verso di lui, ricordandogli quale fosse la corretta reazione, e solo allora Victor riuscì nella sua impresa di liberarsi.
        Lo osservò saltellare via con un sospiro, l'ombra di un sorriso a illuminargli le labbra pallide. Poteva sentire altri ragazzini giocare lì intorno, e avevano chiaramente avvertito il fratello del suo arrivo anche se era certo che ne fosse già consapevole. Semplicemente non aveva fretta di farsi trovare, perciò capire dove si fosse nascosto sarebbe stata una non indifferente rottura di palle.
        Pian piano altre piccole figure si mossero attorno a lui e, per quanto fosse conscio che cacciare quei bambini non avrebbe potuto che fomentare il loro desiderio di giocare, rendendo più lungo il suo compito, decise di assecondarli un po'. Dopotutto, nonostante i suoi ventun anni, una parte di lui lo trovava ancora divertente, ogni tanto.
        L'ambiente non era particolarmente ampio e, nonostante l'inferiorità numerica, era pur sempre un soldato di Nuova Roma contro dei ragazzini: dieci minuti dopo aveva una bimba con le treccine nere sulle spalle, un moccioso con piccole dita paffute che gli teneva la mano e lo stesso Victor che lo guidava verso un angolo pacifico. Da quella piccola alcova, invisibile dall'entrata del giardino, si vedeva l'intera vallata del Campo Giove e, più avanti, il Piccolo Tevere scintillare; un cavalletto con una tela incompleta era l'unico spettatore che godeva della splendida vista ma, posato ad un albero, c'era un giovane uomo dagli occhi gentili.
        «Per la prima volta in vita sua, Zaffiro non pensò. Prese solo la mano di Rubino, e corse!»
        Isaac aveva un libretto in grembo, grandi immagini nelle tonalità del blu e del rosso e poche parole, e quattro mocciosetti gli stavano intorno rapiti dalla lettura: quell'aria pacifica che lo distingueva lo rendeva anche un ottimo guardiano per quei piccoli mostri, ma avrebbe decisamente dovuto imparare a dire di no, specialmente quando quelle richieste interferivano coi suoi compiti di legionario.
        «Si trovarono da sole insieme sulla Terra.» Mormorò, dopo aver girato la pagina e mostrato a tutti il disegno impresso: una donnina tutta blu con una gonna celesta era tra le braccia di una figurina in rosso, ed entrambe avevano un'aria confusa mentre guardavano il paesaggio stilizzato di montagne ed alberi conici.
        «Sjakie²?»
        Occhi chiari e limpidi, azzurri come il più sereno dei cieli, si scostarono dal libretto per posarsi su Leonard, e quelle labbra piene ma troppo strette tremarono fino ad aprirsi ad un sorriso sorpreso, pieno di gioia.
        «Babu!» Isaac posò il volumetto, chiuso, accanto a sé e si alzò in piedi, allargando le braccia. «Hai già finito gli allenamenti.»
        Leonard sospirò e scosse il capo. Non era arrabbiato, ma non gli piaceva che il fratello sparisse per tanto tempo; lo rendeva... ansioso. Specie vista la sua condizione.
        «Bene, basta giocare, hondjes. Isaac ha un impegno, ora.» Decise di ignorarlo, per ora, e indirizzò la sua irritazione verso i mocciosi. Con un gesto fluido fece scendere la ragazzina che ancora aveva sulle spalle e che, una volta a terra, batté il piede con aria stizzita, le dita strette in piccoli pugni.
        «Guarda che non sei carino! Ci ha detto cosa vuol dire!» La sua protesta era tanto graziosa quanto inutile, ma Leonard si chinò ugualmente a livello dei suoi occhi per osservarla attentamente.
        «Ah, no?» Chiese con un'aria falsamente sorpresa, quindi le diede un buffetto sulla fronte. «Eppure a me pare appropriato. Ti comporti anche come un piccolo cane. Un chihuahua, che abbaia troppo.»
        Sentì Isaac ridacchiare piano alle sue spalle, e vide il più piccolo dei bimbi presenti tirargli la manica. Il giovane gli scompigliò affettuosamente i capelli, rassicurandolo a mezza voce che Maddy- la ragazzina che aveva davanti- sarebbe stata bene.
        «Non mi limito ad abbaiare!» Tornando con lo sguardo su di lei, notò sul viso scuro una scintilla di sfida che lo fece ridere di cuore.
        «Vedo.» Si limitò a risponderle, poi tornò a puntare le iridi oltre la sua spalla, verso quelle del fratello. «Richiama i tuoi cuccioli da guardia, Sjakie.»
        Si osservarono in silenzio per qualche secondo, fino a che Isaac non rilassò le spalle e li chiamò: i mocciosi tornarono a giocare, mentre i più piccoli aprirono di nuovo il libricino, probabilmente distratti dai bei disegnini. Leonard espirò piano, rilasciando il respiro che non si era reso conto di aver trattenuto; adorava il fratello maggiore, e trovava sempre difficile contrariarlo come stava per fare.
        «Voglio che partecipi alla riunione per il viaggio.» Gli ricordò, secco. Isaac si portò una mano alla bocca, il medio che sfiorava leggermente il labbro inferiore come faceva sempre quando pensava a come dargli notizie che non gli sarebbero piaciute.
        «Dove andate di bello? Dai greci?» Trillò allegra una vocina infantile. Entrambi si voltarono verso un bimbetto di circa cinque anni; era stato lui a parlare dalla destra di Isaac, gli occhioni nocciola erano rivolti ad un animaletto di pezza. «Mamma dice che potrei andarci anche io, da grande, e che è bello. Mi ci portate?»
        «Non al campo greco, Andrew. Alcuni semidei andranno molto più lontano, fuori dall’America addirittura, così quando torneranno potranno raccontarvi molte storie nuove.» Rispose il più grande, con la solita voce dolce di quando spiegava. Andrea aggrottò le sopracciglia, come stesse digerendo le informazioni, e dopo qualche istante allungò le manine porgendogli il peluche, un coniglietto rosa slavato con una cravattina viola ed un sorriso allegro.
        «Allora porta Pie. Se vai così lontano, lui ti proteggerà e potrai tornare presto.» Disse con tutta la convinzione di un moccioso della sua età. Leo distolse lo sguardo, un'espressione di disappunto sul viso dai tratti duri; non amava i bambini, ed in particolar modo li odiava quando dicevamo quelle sciocchezze, ma sapeva che Isaac s'era illuminato a quella dimostrazione di spensierata innocenza.
        «Non sei una balia, Sjakie. Lascia i cagnolini e vieni con me.» Sibilò nella loro lingua madre, per poi avviarsi verso la strada del ritorno. «Sbrigati. La riunione inizia alle tre precise.»


L'aula magna del collage era gremita di studenti ma, lanciando loro una pigra occhiata, Isaac si rese conto che in molti mancavano all'appello. Era seduto accanto al suo adorato fratellino tra le ultime file, abbastanza in alto da avere una buona visuale d'insieme, e passò con lo sguardo in rassegna la folla: un tappeto dai colori a volte insoliti, macchie rosa e verdi tra le tonalità più comuni come castano, biondo o nero. Dopo una stima rapida, concluse che dovevano esserci circa duecento persone tra sedute ed in piedi.
        «Presta attenzione, Sjakie.» Lo ammonì una voce roca alla sua destra, un tono basso ma deciso che gli risultava familiare soprattutto grazie alla lingua utilizzata, che era olandese e non americano.
        Si voltò nella sua direzione, il sorriso calmo arrivava fino gli occhi azzurri rendendo la tonalità stranamente calda; Leo non lo guardava, Isaac ne vedeva solo il profilo mentre prestava tutta la propria attenzione alla donnina di mezz'età che stava parlando.
        «Non mi interessa molto il programma, sai.» Rispose in un sussurro, e vide le labbra del fratellino stringersi in una smorfia irritata. Sapeva che era la sua espressione più comune, a detta di molti, ma raramente capitava la usasse proprio con lui. «Mi dispiace.»
        «No, non è vero. Ora buono e ascolta, okay?» Ribatté, addolcendosi però un poco quando lo sentì sospirare. A volte era difficile capire quale dei due fratelli Visser fosse il maggiore, complice anche la non indifferente stazza di Leonard che superava il metro e novanta, ma la maggior parte delle volte era Isaac la figura responsabile.
        La professoressa che aveva parlato sino a quel momento fece una lunga pausa, e la sala si riempì all'istante del chiacchiericcio concitato di decine di ragazzi; Isaac non poté nascondere una certa soddisfazione, roteò languido le spalle e poi stirò la schiena, inarcandosi come un gatto. Quando fece per alzarsi, però, la donna riprese a parlare.
        «Vorrei infine comunicarvi che, per non avvantaggiare nessuno, la selezione si comporrà di tre prove. La prima, quella fisica, testerà resistenza, abilità nel combattimento corpo a corpo e riflessi. Avrà luogo venerdì pomeriggio alle tre, presso il Campo Marzio. La seconda sarà un test scritto, previsto per il 30 aprile, perciò avete tempo di prepararvi; i principali argomenti…» La voce della donna iniziò a sfumare nella mente di Isaac, che si trovava distratto dal modo infinitamente più interessante in cui il sole filtra attraverso le finestre e faceva brillare il pulviscolo come centinaia di minuscole galassie vorticanti. Allungò una mano per cercare di afferrarle con meraviglia ma queste ovviamente si spostarono senza porre la minima resistenza: le dita del ragazzo finirono, quindi, sul capo della ragazza davanti a lui. I folti capelli castani erano raccolti in una treccia e, quando si voltò, non parve affatto infastidita: gli occhi sorridevano, e brillavano ancor di più grazie ad una linea di eyeliner color oro.
        «Serve qualcosa? Una penna?» Chiese gentilmente, allungando il pugno dalle unghie smaltate che reggeva quella che era palesemente una matita. Sulla pelle abbronzata le strane tonalità risaltavano ancora di più, colori accesi diversi per ogni dito.
        Isaac la conosceva, frequentavano alcune lezioni insieme anche se era certo fosse più piccola; inoltre non l’aveva mai vista dare esami, perciò non era certo fosse davvero iscritta al suo corso. Inclinò il capo sorridendole gentilmente, quindi scosse la testa e ritirò con aria placida la mano che era ancora protesa verso la ragazza.
        «No, grazie…»
«Berenice, ma solo Nice va bene. Ti ricordi? Mi hai chiesto di farti da modella.» A quelle parole il viso del ragazzo si aprì ad un largo sorriso, annuendo con aria placida. La ricordava bene: un vestito verde e panna che faceva risaltare in modo delizioso la pelle brunita; bella esattamente come sua madre, la dea Venere, aveva lo stesso peculiare difetto dell’attaccatura dei capelli ben più scura rispetto alla lunghezza.
        «Oh, sei la sorellastra di Cesaria! Ti chiedo scusa.» Berenice non pare infastidita e, anzi, a quelle parole si volta del tutto e posa il gomito sul piano davanti al ragazzo. «Sei interessata al viaggio?» Continua Isaac, chinandosi e abbassando la vice quando qualcuno dietro di lui lamenta a mezza voce il disturbo.
        «Evidentemente no. Potete stare un po’ buoni? Vorrei per lo meno ascoltare.» Si voltarono entrambi con un movimento morbido: Leonard li guardava con espressione scocciata, la cicatrice che gli macchiava la mascella lo rendeva vagamente minaccioso. Il biondo non poté fare a meno di ridere, evitando in un gesto insolitamente auto conservatore di allungare una mano per lasciargli un buffetto sulla guancia.
        «Certo, Babu. Nice, ti va se poi ci prendiamo una tisana? Vorrei riparlare della proposta di farti posare.»
«Volentieri! Basta che non venga anche Babu con noi… sembra molto arrabbiato.» Berenice aveva un tono flautato e divertito, in netto contrasto con il ringhio soffocato emesso da Leonard quando si era sentito apostrofare con il nomignolo dato solo dalla famiglia e pochi altri presceltissimi. La mora fece un gesto con la mano a mo’ di saluto prima di tornare a girarsi verso la professoressa, anche se quella aveva ormai quasi finito il suo discorso.
        Isaac si accomodò meglio contro lo schienale di legno della propria sedia che, pur essendo stato pensato per congressi di anche mezza giornata, era tutt’altro che comoda, attendendo con pazienza che il suo adorato fratellino si arrendesse all’evidenza che quell’esperienza non facesse affatto al caso suo.


Diverse persone avevano avuto la loro stessa idea, perciò Isaac si era congedato strappandole la promessa di un’altra uscita. Berenice non aveva affatto intenzione di fargli da modella, si era sempre trovata molto più a suo agio dalla parte opposta dell’obbiettivo, ma il biondino aveva un’aria così innocente e fresca che l’idea di un piacevole pomeriggio di chiacchiere l’aveva convinta ad accettare.
        La caffetteria, decorata da innumerevoli piante e con le finestre spalancate, era accogliente e ariosa anche in quel momento di calca, ed un solo cameriere trotterellava per i tavolini cercando di tenere il passo con gli ordini. In un tavolo d’angolo erano sedute Maia e Lizard, perciò la figlia di Venere si avviò a passo svelto verso di loro.
        «Maia, luce dei miei occhi che brilla più del sole e…» Iniziò Berenice, allungandosi con un sorriso verso l’unica sedia vuota.
        «… e scalda più del fuoco e rende la mia vita degna di essere vissuta.» La bloccò la biondina, finendo per lei la litania. Allungò un braccio coperto da tatuaggi di fiori e null’altro in barba al fresco che ancora permeava l’aria d’inizio primavera, per prendere la borsa che stava scivolando dalla spalla della più alta. «Siediti dai, che Meow ha già abbastanza da fare senza dover schivare anche te.»
        «Non ho visto nessuno alla riunione. Sono davvero l’unica che pensa sia davvero fico?» Chiese Berenice, apparentemente affatto disturbata dalle parole della fidanzata, tanto che nell’accomodarsi le schioccò un bacio affettuoso sulla guancia. Lizard alzò un sopracciglio curato, mischiando con aria pigra la sua tazzina di caffè per incorporare la generosa dose di panna in cima.
        «Davvero fico?» Le fece il verso, con tono vagamente sorpreso ma anche divertito. «Si usa ancora?»
        «Sei tu che sei vecchia, Liz, e hai perso il contatto con i giovani. Guardati, così stanca da prendere un caffè alle quattro e un quarto.» Berenice prese svelta un assaggio di panna col dito, e la più grande le colpì la mano con il cucchiaino. «Ahi! Ti stavo solo facendo un favore, menta e caffè non stanno bene insieme.»
        «Stai scherzando, Nice? Menta e caffè sono la versione adulta degli After Eight. Senti solo il profumo.» Maia si chinò sul tavolo, mezza sdraiata e con un sorriso da gatto che non ammetteva l’essere tagliata fuori dalla conversazione. Lizard si chinò verso le due, soffiando piano sulle loro facce con l’aria divertita di chi asseconda dei bambini buffi, ed il profumo tostato del caffè le avvolse in modo morbido punteggiato ed arricchito da quello più fresco della menta. Berenice annuì con aria solenne, quasi si stesse parlando di cose serie.
        «Okay, questo ed il fatto che non frequenti il collage la scusano. Maia?»
        La biondina si strinse nelle spalle, senza abbandonare la sua posizione indegna. «Bastava che andassi tu per sapere come partecipare, no? Due ore seduta quando sono certa potesse dire tutto in dieci minuti mi sembravano una perdita di tempo. E poi, non credo avrò davvero problemi a passare, no?» Si tirò su di colpo, improvvisamente più interessata. «Aspetta, hanno detto dove si va? Spero Roma, quello sì che sarebbe davvero…»
        «… fico?» Le suggerì Lizard, senza nascondere il divertimento. Rispose alla linguaccia di Berenice sistemandosi con gesto incurante il cappotto, fin troppo pesante per la stagione e che copriva una canottiera e shorts dall’aria decisamente estiva. La pelle, ben visibile, pur avendo il colore brunito tipico del sudamerica pareva vagamente irritata, traccia della dermatite che la costringeva a girare in quel modo anche in pieno inverno.
        «Eccomi, scusate il ritardo, ma i più carini si fanno sempre desiderare ed io non faccio eccezione.» Una voce maschile alle loro spalle le fece voltare, e l’unico cameriere sorrise loro: nonostante l’aria tipica dei figli dell’oltretomba, una figura slanciata e pallida con lustri capelli neri, aveva un sorriso sicuro affabile sul volto androgino che contribuiva parecchio al suo fascino.
        Si sporse, porgendo a Berenice un menù, quindi le fece un occhiolino. «Un po’come te, eh? Ti lascio il menù, se vuoi un consiglio o sei pronta basta un fischio.»
        «So già cosa voglio, Meow. Mi fai il solito?»
«Un Alla più bella senza zenzero. Certamente.»
        Nonostante il modo di fare fin troppo espansivo Bartolomeow era davvero bravo nel suo lavoro, e il fatto che sapesse mettere a suo agio chiunque pur con quell’atteggiamento era ormai parte integrante della caffetteria e dei motivi per cui era un luogo sempre ben frequentato. Il ragazzo si infilò il taccuino nella tasca del grembiule, che si fermava appena prima di coprire gli strappi nei jeans neri e stretti, e fece per voltarsi.
        «Ehi, Meow, tu sei iscritto al collage, vero? Proverai a partecipare al viaggio studio?» Lo richiamò Maia, ed il moro continuò ad allontanarsi senza però smettere di guardarla, al contrario, schivando agilmente tavolini e clienti.
        «Questo posto cadrebbe a pezzi senza di me, non posso certo andarmene per un anno!»


La calca di fine riunione era passata, con suo enorme sollievo, e nel locale erano rimasti i pochi, abituali avventori.
        Bartolomeow si allungò con aria pigra sul bancone, osservando quieto oltre il legno chiaro delle mani abili ritrarre ciò che il loro padrone vedeva: due ragazze, due graziose ragazze, una delle quali puntava gli occhi direttamente oltre il foglio come se persino il ritratto fosse consapevole della situazione. Alzando lo guardo, il ragazzo vide la stessa a colori, il mento appoggiato sul palmo della mano e le unghie perfettamente curate che picchiettavano sulla guancia d’alabastro.
        «Carino, ma hai dimenticato un dettaglio.» Commentò, allungando una mano e carezzando con la punta del dito il foglio. «Lo sguardo di assoluto disgusto.»
        Il ragazzo che stava disegnando alzò gli occhi, un sorriso leggero sulle labbra, poi scosse la testa. Parve soppesare un attimo le parole, poi rispose con tono divertito: «pensavo di aggiungerlo dopo, intanto preparo la base.»
        «Signori e signore, oggi il legionario Visser ci ha provato che anche nella prima coorte sanno scherzare!»
«È necessario urlare così?» Lo apostrofò la ragazza del ritratto, seppur dalla ragionevole distanza del tavolino al quale era seduta con la compagna Bartolomeow non poteva non pensare che avessero usato lo stesso tono. «Se hai ancora tutte queste energie, puoi venire qui e prendere le nostre ordinazioni.» Aggiunse, voltandosi verso l’altra. Avevano gli stessi capelli di un biondo così chiaro da sembrare luccicante argento, e si scambiarono un sorriso complice prima di avvicinare le teste e tubare su un giornaletto.
        «Arrivo subito, colombelle!» Non c’era traccia di fastidio nella voce, il ragazzo passò i palmi sul grembiule e poi si avvicinò loro. Poté solo per un attimo scorgere le pagine della rivista che stavano sfogliando, sfondo scuro e una modella con uno stravagante abito azzurro. La ragazza che lo aveva chiamato la chiuse troppo in fretta, e non riuscì a coglie altri dettagli.
        «Cosa desiderano le signorine?» Chiese, tirando fuori dal taschino un taccuino e una penna; non perse nemmeno per un attimo il sorriso. Sentì sempre la stessa ragazza arricciare le labbra, poi sbatté le ciglia, una massa lunga e folta che circondava occhi penetranti e peculiari, piuttosto distanti tra loro.
        «Sex… on the beach.»
«Un po’ presto per quello, non credi? Specie considerando che non mi conosci, e che sono fidanzato.»
        Bartolomeow si chinò per sussurrare quelle parole direttamente davanti al suo bel viso, che si indurì in un’espressione di gelida indignazione; arricciò il naso ed il piercing che aveva alla narice brillò in modo minaccioso. «Non vodka, liquore alla pesca. E succo fresco di mirtilli. Ti conviene iniziare ad andare.» Ribatté, schioccando la lingua e voltandosi come il moro davanti a lei non le suscitasse più un minimo di interesse.
        «Per me una tisana, per favore.» Aggiunse la sua compagna. Quando Bartolomeow si voltò riconobbe nei i lunghi boccoli oro pallido e il viso di neve Pernille, una figlia di Chione che aveva conosciuto quando entrambi erano ragazzini al campo. «Mela e cannella, se la hai. Grazie.»
        «Certo, dolcezza. E visto che sei stata gentile ti darò un consiglio: dicono che la meta del viaggio non sia la Francia; fossi in te guarderei delle passerelle un pochino più a est.» Appuntò gli ordini sul suo taccuino, la solita grafia incomprensibile che lo aveva fatto più volte bacchettare dal loro cuoco.
        «Visto, Cora cara? Basta un po’ di gentilezza e le persone giuste daranno le risposte giuste. Oh! A est c’è l’Italia! Sarebbe magnifico passare un anno in Italia…» Pernille pareva eccitata dalla prospettiva, il moro continuò a sentirla parlottare mentre si allontanava e le sue parole si confondevano alle sue spalle.
        Tornò al bancone ed iniziò a preparare quanto richiesto con gesti lenti; la tisana era semplice, una bustina ed acqua bollente, ma il cocktail era tutta un’altra storia: la ragazza che gli aveva ordinato il Sex on the Beach, Cora, gli aveva già presentato almeno quattro carte d’identità diverse, cosa che gli faceva seriamente dubitare della sua età. Decise di non pensarci e fingersi accomodante almeno in quello, dopotutto palesemente non era una quindicenne in discoteca e alla fine aveva già trasgredito quella stupida regola, specialmente a casa; sospirando cercò di ricordare la ricetta, mani più esperte che gli mancavano e che avrebbero preparato una bevanda decisamente migliore della sua. Isaac, ancora assorto nel suo disegno, ci mise un minuto a rendersi conto fosse tornato; non alzò nemmeno lo sguardo, si limitò a smettere di canticchiare sommessamente. «Tutto a posto? Avresti potuto dir loro che si sa già la meta.»
        «Lo farò se mi lasciano la mancia.» Ghiaccio, vodka, peach schnapps trasparente e succo d’arancia che colorò tutto di una deliziosa sfumatura calda quando lo mescolò. Bartolomeow non riuscì ad aggiungere altro mentre si concentrava, era certo non fosse del tutto corretto, la vaga sensazione che dovesse shakerare qualcosa ad un certo punto, ma scrollando le spalle si limitò ad aggiungere il succo di mirtillo in bottiglia. Una volta fatto, riprese: «Tanto non me la lasceranno, e impareranno nel modo più lungo che un cameriere sa sempre tutto.»
        «Sii carino e digli che la meta è Venezia, l’informazione è trapelata dieci minuti dopo la fine della riunione.» La sua voce era calma, gentile, come l’espressione che pareva imperturbabile anche davanti al peggiore degli insulti. «Se sei carino con gli altri, gli altri lo saranno con te, Meow.»
        Bartolomeow non poté che sorridere a quella affermazione, un sorriso amaro mentre sistemava tazzina, teiera e bicchiere sul vassoio accanto alla zuccheriera. «Nah, preferisco essere stronzo con gli stronzi, ha sempre funzionato molto meglio a casa e loro sono uguali dappertutto.»



Maia era un folletto alla sua destra, una cosina di grano e fiori che gli arrivava al gomito circa. Ridicolo avere una figlia di Marte, un soldato in versione tascabile. La terza coorte era disperata ad averla nominata suo centurione, la maggior parte dei legionari avrebbe dovuto prendere ordini da un capo davanti al quale si sarebbe dovuto chinare per guardarlo negli occhi.
        «Chi te lo ha messo in culo?» La domanda arrivò inaspettata come una doccia fredda, Leonard voltò appena il capo per lanciarle un’occhiata gelida e Maia sorrise di rimando, aggiungendo: «Hai una faccia orrenda e guardi i campi d’allenamento come volessi uccidere tutti quelli che non sono tuoi commilitoni.»
        «Perché non è il loro turno, e in mezz’ora abbiamo già dovuto portarne via tre.» Tornò a guardare i ragazzi, alcuni abili come danzassero con le loro armi ed altri impacciati come fosse la prima volta che indossavano un’armatura, quindi strinse i denti. «Guarda quello moro con l’arco che sta per tirarsi una freccia sul piede, e quei due sulle panche che stanno caricando troppo il bilanciere. Doc è già strafatto di caffè normalmente, se gliene porto un altro mi uccide.»
        A quelle parole la bionda rispose con una sonora risata, poi gli sbatté il palmo contro la base della schiena con tanta forza da farlo sussultare.
«Mi fai morire quando fai così. Sembri quasi una persona seria.» Disse continuando a ridere, poi si passò un dito sotto l’occhio fingendo di cancellarsi una lacrima. «Prova questo e a non guardarmi il culo quando sei con Nice, e magari inizierà a sopportarti. Avere la ragazza più carina del campo che ti odia dice molto di una persona, forse abbastanza da impedirle di diventare centurione? La prima è una coorte importante, la più rispettata di tutte e cinque, non basta nemmeno la perfezione.»
        Leonard si voltò di nuovo, questa volta con maggiore interesse, gli occhi fissi sulla sua figurina che già si stava allontanando in direzione dei due coglioni. Nonostante il fresco e l’aria che tirava indossava solo una canotta e dei jeans corti sopra calze a rete, e degli scarponcini scuri che lasciavano impronte leggere sul terreno secco.
        «Il discorso non è finito!»
«Certo che lo è!» Alzò la mano senza nemmeno accennare a guardarlo, un passo saltellante che le faceva muovere in modo buffo i corti capelli biondi dando l’impressione di una fatina. Il gesto rapidissimo con cui prese la spatha dal fondino di un legionario, e la usò per parare la freccia del ragazzino moro ancora in difficoltà con il suo arco, aiutò solo in parte Leonard a considerarla un poco meno imbarazzante come zia.
        Si strinse il ponte del naso tra il pollice e l’indice, per tentare di arginare il mal di testa che stava bussando al margine del suo campo visivo, quindi si avviò a grandi passi nella stessa direzione intrapresa poco prima dalla ragazza, verso quello che le aveva quasi piantato una freccia nella spalla; quando fu abbastanza vicino da distinguere i tratti del viso si rese conto che era piuttosto grazioso, come quello di una ragazza.
        «Ehi, tu. Tu con le punte viola e le braccia da bambina denutrita. Metti giù l’arco prima di farti del male.» Sbraitò, e quello sobbalzò; l’arco gli cadde dalle mani, e per fortuna non c’era una seconda freccia incoccata o chissà chi avrebbe colpito.
        «Non sei della prima coorte, chi è il tuo addestratore?» Chiese ancora, lanciando una rapida occhiata alle maniche lunghe che nascondevano qualunque tatuaggio potesse rivelare le sue informazioni di base. Lo vide torturarsi il polsino della felpa, quindi si chinà su un ginocchio per riprendere l’arma con aria nervosa.
        «Nessuna coorte, uhm… signore? Sono un semidio greco, vengo dal campo Mezzosangue, mi hanno addestrato lì e…» Il ragazzo, pur evidentemente nervoso ed in difficoltà, non aveva un tono eccessivamente debole o insicuro. Quando Leonard mise un piede sul legno levigato, per impedirgli di alzare l’arco, non parve eccessivamente sorpreso e non protestò, limitandosi a rialzarsi e spazzolarsi la polvere dai jeans scuri e sgualciti, inadatti all’allenamento.
        «E non hai idea di come si usi un arco. Serve molta più forza di quel che sembra per tendere le corde, specie di questo.» Leonard soppesò per un attimo, quindi gli posò una mano sulla spalla ed emise un sospiro stanco. Si chinò per prendere l’arco, carezzandolo con le dita ruvide ma in modo sorprendentemente gentile, ed il moretto sgranò gli occhi blu per la sorpresa. «Neh, hondje, torna dopo cena. Andrò a parlare con i nostri capi, i pretori, per organizzare almeno la scelta delle armi, visto che voi greci siete così inefficienti. E qualche lezione, così se non altro non sarete dannosi.»
        Sempre torturandosi la manica della felpa, il ragazzino si guardò intorno con aria impacciata. «Non siamo inefficienti. Mi sono sempre esercitato solo con la magia, sono figlio di Ecate. Trivia, per voi.» Specificò, strappando all’altro uno sbuffo irritato e un sorrisino di scherno. A quella reazione, prese a dondolarsi nervosamente sulle gambe, spostando il peso da un piede all’altro come non sapesse bene come interpretare il gesto.
        «Lo so, mia madre è greca, e vedo che dalla sua generazione non siete migliorati molto. Non prenderla male, è che siete dei disastri. Vedi quella cosina?» Arricciò le labbra in un sorrisino divertito, per poi addolcire appena il tono ed indicare con un cenno del capo Maia. Dalla sua postazione aveva iniziato a far riscaldare i due idioti alle panche, cosa che avevano evidentemente evitato di fare. «Pesa poco più della metà di te, ma ti stenderebbe. Persino Angelika, la mocciosa che ti ha probabilmente fatto fare il giro del campo, potrebbe tenerti testa, perché con l’arma sbagliata sei più un pericolo per te che per gli altri. Perciò ascoltami, torna stasera, vedremo di renderti per lo meno passabile.»
        Il ragazzino sbatté le palpebre, sorpreso, poi annuì e fece per andarsene. Peccato, per un attimo Leonard aveva sperato le sue provocazioni fossero sufficienti ad irritarlo, ma il suo impossibile potere evidentemente era più forte dell’astio di un greco sconosciuto. Si strinse nelle spalle, quindi tornò a scandagliare con lo sguardo i combattenti nello stesso momento in un ragazzo alto e ben piazzato atterrava di colpo un suo pari. Perfetto, qualcuno che conosceva e con cui avrebbe potuto provare a sfogarsi in modo più costruttivo.
        «Ehi Valerino! Non è il turno della seconda coorte, ma se riesci a battermi chiuderò un occhio. Quando ti avrò fatto il culo, invece, caccerai per me tutti gli abusivi.»




Dizionario1

¹Hondje: cucciolo di cane, cagnolino
²Siakje: diminutivo di Isaac




Angolo autrice
Buongiorno a tutti!
Eccoci di nuovo con un vecchio progetto, ma d’altra parte è anche un vecchio fandom e una vecchia Fe, quindi che dire?
Il prologo, pur non lungo, di solito non attrae troppo la gente e non mi stupirebbe se foste saltati direttamente a questa parte per saperne di più in breve tempo, ma per la scelta dell’oc da inviare il mio consiglio è leggere sopra. Per ora dirò solo che sì, è una storia volutamente leggera, niente profezie catastrofiche ma solo ventenni che fanno i ventenni. Se volete mandarmi dei piccoli disastri disadattati a me sta molto bene, così come mandarmi maestrini o personaggi responsabili. Vabbè, spero che le tantissime parole usate sopra vi ispirino per bene.
A proposito, posso anche già dirvi che non è detto che uno die miei oc accompagni i vostri, così come non è detto che l’oc che li accompagnerà sia comparso: mi gestirò in base alle richieste.
Vi lascio un piccolo regolamento e di seguito la scheda!


Regolamento
• Accetterò un numero ridotto di Oc, non più di 7 o 8 se proprio dovessi trovarmi in difficoltà con tante schede eccelse. Avete tempo fino a venerdì 30 settembre per inviarmi le schede, essendo quasi un mese propenderei a non concedere proroghe. Se vengono richieste per tempo, però, valuterò.
• Gli unici limiti che impongo riguardo la discendenza divina sono quelli delle dee vergini; per il resto potete sbizzarrirvi con greci, romani, discendenti e qualsiasi cosa. Per quanto riguarda i figli dei pezzi grossi, però, avverto che sarò estremamente selettiva perché come sappiamo attirano di più i mostri, e metterne tre in una casa nel vecchio mondo non mi è giustificabile a livello di trama.
• Non accetto, inoltre, oc troppo legati tra loro (come fidanzati o fratelli gemelli) perché mi costringerebbero a scegliere entrambi o nessuno dei due; nel primo caso avendo pochi oc e volendo concentrarmi molto sulle relazioni sarei scomoda io, nel secondo avreste fatto lavoro per nulla voi.
• Il consiglio generale è di leggere il prologo e usare la logica- se mi fate una ragazza madre non posso sceglierla, a meno che non abbia qualcuno a cui lasciare il figlio, o se mi fate un personaggio con malattie mentali o fisiche gravemente debilitanti difficilmente potrei giustificare il loro superare le prove. Inoltre questa vuole essere una storia leggera, perciò tendenzialmente eviterò di prendere assassini e sociopatici.
• Ovviamente, più una scheda è completa, originale e mi ispira maggiori saranno le possibilità che l’oc venga preso. Lo specifico perché mi sono arrivate schede compilate in modo estremamente sommario o con interi pezzi copincollati: nessuno vi costringe a partecipare e se dopo aver proposto un oc vi doveste trovare in difficoltà con tempo o ispirazione nessuno vi giudicherà se rinunciare. Ci sta, capita pure a me, non è nemmeno necessario avvertirmi (ma è gradito)


Scheda
Dati anagrafici
-Nome e cognome, eventuale soprannome:
-Età e compleanno: l’età minima è 18 anni ma non c’è un tetto massimo.
-Luogo di nascita: se non avete la città precisa va bene anche lo stato, possono non essere americani ma devono comunque vivere a Nuova Roma per frequentare il collage
-Genitore divino: specificate anche se greco o romano
Rapporto con lui/lei: non devono essere riconosciuti, ma è preferibile.
-Famiglia mortale:
Rapporto con loro:

Dati psico-fisici
-Aspetto fisico:
Prestavolto: va bene anche solo qualcuno che ci somiglia, io farò fede alla descrizione sopra ed il pv mi serve solo per il capitolo di scelta
-Descrizione caratteriale: soffermatevi bene su questo punto, con pregi e punti di forza ma anche difetti e punti deboli.
Difetto fatale:

Dati sociali
-Modo di porsi e rapportarsi con gli altri:
Persone cui cui potrebbe/non potrebbe andare d'accordo: potete mettervi d'accordo tra di voi, fare i nomi di altri vostri Oc o di quelli apparsi nel prologo dato che più o meno tutti si conoscono, oppure darmi solo linee guida
-Orientamento:
-Storia personale: va bene anche solo qualche punto saliente

Dati generali
-Arma:
-Abilità:
-Poteri:
-Frase di presentazione: qualcosa che lo rappresenti, che riassuma secondo voi il personaggio.
-Altro: potete mettere di tutto, dal gusto di gelato preferito alla loro potenziale casa di Hogwarts, dal loro amato cucciolo a ciò che studiano.
  
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