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Autore: Parmandil    05/09/2022    0 recensioni
La Destiny doveva esplorare il Multiverso, ma qualcosa è andato storto e l’equipaggio è stato ucciso. Anni dopo, una banda di contrabbandieri ha abbordato la nave alla deriva, venendo risucchiata nel Multiverso, senza le coordinate di ritorno. Agli avventurieri non resta che esplorare una realtà dopo l’altra, in cerca d’indizi sulla via di casa, mentre cercano di riscoprire in loro quello spirito che creò la Federazione.
La prima tappa della Destiny la porta in uno strano cosmo in cui pensiero e realtà si confondono. La peggior minaccia per gli avventurieri potrebbe annidarsi in loro stessi, in quel subconscio che è uno spazio inesplorato, pieno di terrori e traumi, ma anche di rimpianti e bramosie. Riusciranno i nostri eroi a fuggire dallo Spazio Caotico, prima che siano i loro stessi demoni a distruggerli? Ma soprattutto, vorranno davvero andarsene?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Star Trek Destiny Vol. II:
Schegge di realtà
 
 
LA DESTINY DOVEVA ESPLORARE IL MULTIVERSO,
MA QUALCOSA È ANDATO STORTO
E L’EQUIPAGGIO È STATO UCCISO.
ANNI DOPO, UNA BANDA DI CONTRABBANDIERI
HA ABBORDATO LA NAVE ALLA DERIVA,
VENENDO RISUCCHIATA NEL MULTIVERSO,
SENZA LE COORDINATE DI RITORNO.
AGLI AVVENTURIERI NON RESTA CHE
ESPLORARE UNA REALTÁ DOPO L’ALTRA,
IN CERCA D’INDIZI SULLA VIA DI CASA,
MENTRE CERCANO DI RISCOPRIRE IN LORO
QUELLO SPIRITO CHE CREÓ LA FEDERAZIONE...
 
 
-Prologo:
Data Stellare 2594.94
Luogo: Risa
 
   «Gentili spettatori, la notizia è confermata. Dopo settimane di trattative ai massimi livelli tra la Flotta Stellare e il Comando dei Pacificatori, la Tregua di Bajor è una realtà. Da oggi è in vigore il cessate il fuoco, valido su tutti i fronti. La legge marziale è stata ritirata e i prigionieri di guerra saranno rilasciati al più presto. La Guerra Civile che ha insanguinato i nostri mondi per oltre tre anni può dirsi terminata. La tregua comporta l’avvio di trattative per la ricomposizione politica tra la Federazione e l’Unione. Garanti dell’accordo sono i Proto-Umanoidi, che si sono impegnati a patrocinare le trattative sino alla firma degli accordi di pace definitivi.
   Per quanto riguarda il nostro mondo, possiamo confermare che le forze d’occupazione dei Pacificatori sono in piena ritirata. Le loro guarnigioni sono state abbandonate, incluso il presidio nella capitale. Il personale è risalito sulle astronavi, che hanno assunto un vettore d’uscita dall’orbita. Chiediamo alla regia se può mostrarci la diretta... ecco, quella che vedete è la flotta dei Pacificatori. Le navi stanno partendo in questo preciso momento, potete vederle entrare in cavitazione. Signore e signori, queste sono riprese storiche. Dopo tre anni, Risa è di nuovo libero!».
   Dalla loro villa sulla laguna, il visconte Atrevius e sua moglie Losira seguivano il notiziario senza proferire parola. Se ne stavano abbracciati sul divano, i cuori palpitanti per l’emozione. Quando infine videro i lampi Cherenkov delle astronavi in ritirata, la loro tensione si spezzò.
   «È finita davvero...» mormorò Atrevius, quasi incredulo. «Abbiamo vinto, amore mio. La guerra è finita e possiamo ricominciare a vivere!» esultò, guardando la consorte.
   «Oh, caro! Dopo tutti questi orrori... i giorni e le notti d’angoscia... gli amici morti... quasi non riesco a crederci» mormorò Losira, piangendo calde lacrime di gioia. «Allora le nostre sofferenze non sono state vane. Quel che abbiamo fatto ha avuto un senso».
   «Sì, anima mia, lo ha avuto» disse il visconte con decisione. «Anche se non siamo stati noi a far cadere i Pacificatori, siamo parte del grande sforzo che li ha piegati. Dopotutto abbiamo trascorso questi anni a fare il doppio gioco in favore della Flotta Stellare. Tutte quelle informazioni riservate che le abbiamo passato avranno pur contribuito alla vittoria. Ora finalmente non dovremo più fingerci dei collaborazionisti; potremo essere noi stessi».
   «Promettimi che d’ora in poi ti terrai alla larga dalla politica!» disse Losira. «Ho vissuto abbastanza intrighi da bastarmi per una vita intera».
   «Lo prometto, tesoro!» rise il marito. «Non cercherò più incarichi diplomatici. Vivremo come due privati cittadini... anche se...».
   «Se?» si allarmò Losira, temendo che il consorte volesse lanciarsi in qualche altra missione idealista.
   «Ecco, ora che la guerra è finita, mi chiedo se non potremmo vivere come tre privati cittadini» disse Atrevius, fissandola con tenerezza.
   «Vuoi dire...!» fece Losira, tremando per l’emozione.
   «Sì, amore. Credo che siamo pronti per avere un figlio» confermò il visconte. «Io lo desidero molto, e non credo di sbagliarmi se dico che lo vuoi anche tu».
   «Mi conosci bene» sorrise la Risiana. «Finché c’era la guerra avevo troppa paura, ma ora... sì, mi sento pronta. Però ti avverto: voglio scegliere io il nome!».
   «Accordato. Del resto hai più buon gusto di me» ridacchiò Atrevius. «Ti amo tanto, tesoro» disse poi, stringendola forte.
   «Ti amo anch’io» disse Losira, lasciandosi cadere all’indietro sul divano. «Sei la mia vita... non potrei vivere senza di te». E per l’ultima volta nella sua vita, fu tutto perfetto.
 
   Tre settimane dopo, i piccioncini non erano più così allegri. Il governo provvisorio di Risa, infatti, aveva notificato un avviso d’esproprio a tutte le famiglie aristocratiche del pianeta. Oltre a vedersi confiscati averi e proprietà, gli interessati avevano una sola settimana per lasciare il pianeta. Chiunque si fosse fatto trovare su Risa oltre lo scadere del tempo sarebbe stato arrestato e condannato all’ergastolo.
   «È assurdo... non possono farlo» mormorò Losira, leggendo l’avviso sull’oloschermo della scrivania.
   «L’hanno già fatto» disse cupamente Atrevius, aggirandosi nel suo studio. «Il provvedimento è già esecutivo. Se leggi in fondo, vedrai come lo giustificano. In pratica dicono che, siccome noi aristocratici abbiamo collaborato col regime dei Pacificatori, ora dobbiamo risarcire il popolo».
   «E il popolo non ha forse collaborato?! Si sono arruolati a milioni tra le file dei Pacificatori!» ringhiò Losira, scattando in piedi. «Del resto i dissidenti erano subito arrestati, o peggio. Nessuno ha davvero avuto scelta».
   «Non devi spiegarle a me, queste cose!» sbuffò Atrevius. «Ma il governo provvisorio vuole far cassa, in vista del ritorno nella Federazione. E vuole approfittare dell’occasione per sbarazzarsi dei vecchi casati. E vuole dare al popolo un capro espiatorio per tutto il male di questi anni» enumerò sulle dita. «Sono tre valide ragioni per derubarci di tutto» aggiunse tristemente.
   «Capisco gli altri casati, ma noi?!» esclamò Losira. «Noi abbiamo rischiato la vita per aiutare la Federazione! Ed è impossibile che quelli del governo provvisorio non lo sappiano. Tra loro c’è un sacco di gente della Resistenza con cui abbiamo collaborato. Non possono averci dimenticati!».
   «Dimenticati no di certo, ma...».
   «Dici che non gli importa?» fece Losira, col labbro tremante. «Dopo tutto ciò che abbiamo fatto per loro, vogliono punirci comunque?!».
   «Intendo scoprirlo subito» decise Atrevius, smettendo di passeggiare avanti e indietro. «Andrò al Ministero degli Interni. Il vecchio Freebus è mio amico, ed è in debito con me. Gli farò presente la nostra situazione. Vedrai, tutto si sistemerà!» disse, cercando di convincere innanzi tutto se stesso.
   «E se non si sistemasse?!».
   «Deve farlo, o lo farò cadere da quella scrivania che nemmeno avrebbe, se non fosse per me!» rivendicò il visconte. «Vado seduta stante, non c’è tempo da perdere» disse, lasciando lo studio. Stava già indossando il soprabito quando Losira gli fu accanto.
   «Vengo con te, così lo minacceremo in due» dichiarò.
   «Preferirei di no» disse Atrevius, con uno strano tono.
   «Perché no?».
   «Se apparissimo troppo ostili, potremmo sortire l’effetto opposto. E poi vorrei che t’informassi sui prossimi trasporti in partenza da Risa, se... le cose volgessero al peggio» rispose il marito. C’era un’altra ragione per non farla esporre, una ragione attinente alla sua sicurezza personale; ma non lo disse per non spaventarla.
   «Come vuoi» cedette Losira, troppo agitata per riflettere con la solita perspicacia. «Cantagliele chiare, a tutte quelle canaglie. Devono ricordare che sono in debito con noi!».
   «Lo farò, tesoro. Sarò di ritorno entro sera, con una deroga firmata!» promise il visconte, aprendo la porta. «E tu non angosciarti, mia adorata. In fondo ne abbiamo passate di peggio. Ne siamo sempre usciti insieme; lo faremo anche stavolta!». Le prese il volto tra le mani, si chinò su di lei e la baciò con passione; poi si dileguò.
   Losira rimase sulla soglia, a osservare il marito che saliva sulla levi-car e prendeva quota. Continuò a guardare finché la vettura divenne un puntino all’orizzonte, diretto a velocità ultrasonica verso la capitale. Poi la Risiana rientrò in villa, con il cuore oppresso da oscuri presagi.
 
   Il sole si alzò e ridiscese senza che Atrevius facesse avere sue notizie. Losira contava le ore, chiedendosi che stesse accadendo. Era tentata di contattare il marito, ma all’ultimo si tratteneva, non volendo rischiare d’interromperlo in un momento delicato. Venne l’ora di cena, ma la Risiana non aveva fame. Uscì nella veranda, per sentire la brezza che saliva dalla laguna. Il sole moriva all’orizzonte, in un rosseggiare di nubi sanguigne. Losira fece in tempo a vedere l’ultimo raggio, prima che calassero le tenebre; allora spirò un vento freddo, che la fece rabbrividire. Assalita da una strana angoscia, che le toglieva il fiato, la Risiana rientrò in casa. Fu allora che squillò il comunicatore.
   Losira rispose senza nemmeno controllare da dove veniva la chiamata. Era certa che fosse Atrevius; ma l’estraneo che apparve sull’oloschermo infranse le sue aspettative. A giudicare dalla sua uniforme, era un commissario di polizia. «Qui è il comando provinciale delle forze dell’ordine. Parlo con lady Losira?» esordì.
   «Sono io; a cosa devo la chiamata?» chiese la donna, reprimendo un tremito.
   «Milady, temo di doverle annunciare una tragica notizia» disse il commissario. «Riguarda suo marito. Aveva lasciato la capitale dopo un incontro col Ministro degli Esteri e stava tornando alla vostra dimora, quando c’è stato un incidente».
   «Incidente?» ripeté Losira, con l’impressione che tutto le vorticasse attorno.
   «La sua levi-car ha avuto un malfunzionamento ed è precipitata, signora. Ha impattato ad alta velocità col suolo. I paramedici lo hanno estratto dalle lamiere poco fa» spiegò il commissario.
   «Ma lui come... voglio dire, lui è...» mormorò Losira, incapace d’articolare.
   «Sono profondamente addolorato, milady. Devo annunciarle che suo marito è morto».
 
   Come in un sogno, Losira percorse a grandi passi i corridoi di fredde mattonelle bianche nei sotterranei dell’ospedale, seguendo il medico in camice bianco. Giunti all’obitorio, si fermarono davanti alla salma, distesa su un lettino e coperta da un telo bianco.
   «Eccolo» disse il medico legale. «Le rinnovo le mie condoglianze, milady. Lo abbiamo già identificato col DNA, quindi non occorre alcun riconoscimento. Del resto, non c’è molto da riconoscere. L’impatto è stato talmente...».
   «Io voglio vederlo» disse la vedova. «Per l’ultima volta».
   «Ne è certa, milady?» chiese il coroner. «So per esperienza che l’ultima immagine di una persona cara è quella che resta più impressa. Non preferisce ricordarlo com’era da vivo, piuttosto che...».
   «Alzi quel dannato telo o lo farò io stessa» ordinò Losira, in un tono che non ammetteva repliche.
   Non essendoci altro da fare, il medico legale obbedì. Scostò il telo solo per pochi secondi, permettendo alla vedova di dare una breve occhiata. Poi si affrettò a ricoprire i resti maciullati.
   «Era un pilota esperto. Come mai non s’è eiettato?» mormorò Losira, pallida come le salme che passavano per quella camera.
   «Stiamo ancora investigando» rispose il commissario, che l’aveva seguita in obitorio. «Da un primo esame dei resti, pare che i sistemi di sicurezza non abbiano funzionato. Una tragica fatalità».
   «Aveva fatto revisionare la levi-car appena il mese scorso» precisò la vedova. «Non vi pare il caso d’indagare?».
   «Desolato milady, ma non ci sono indizi sufficienti ad aprire un’indagine».
   A queste parole, Losira si girò di scatto verso il tutore dell’ordine. «Le hanno ordinato d’insabbiare tutto, non è così? Chi è stato?! Il governatore provinciale? O il Ministro degli Interni in persona?!».
   «Signora, data la sua posizione non è prudente lanciare simili accuse» avvertì il commissario. «Anzi, per la sua sicurezza la esorto a lasciare subito il pianeta. Non vorrei che ci fosse un’altra... fatalità».
   Losira sgranò gli occhi a quella velata minaccia. «È così, dunque? Mio marito è morto e non posso nemmeno seppellirlo?! E mi dica, dove dovrei andare, per giunta senza bagaglio? Tutto ciò che avevo è sotto sequestro!» protestò.
   «Milady, deve guardare in faccia la realtà!» si scaldò il commissario. «Voi aristocratici avete collaborato coi Pacificatori. Avete lucrato grazie alla guerra, mentre i nostri ragazzi morivano. Ora vi odiano tutti, dalla gente comune fino ai massimi livelli del governo provvisorio».
   «Mio marito e io passavamo informazioni alla Resistenza!» proruppe la vedova, piangendo di dolore e rabbia. «Abbiamo contribuito a crearlo, il governo provvisorio. Molti suoi membri sarebbero morti, se non li avessimo protetti durante la guerra. Ma forse non vogliono ammettere il loro debito, per questo hanno deciso la nostra morte! E allora io mi chiedo: perché sostituire una dittatura assassina con una democrazia ugualmente assassina? Se avessero vinto i Pacificatori, ora Atrevius sarebbe vivo. Invece, siccome avete vinto voi, mio marito è morto e io è come se lo fossi!».
   Calò un lungo, cupo silenzio. Il coroner e il commissario fissavano il pavimento, incapaci di proferir parola. Fu il medico legale a riaversi per primo. «Milady, faremo tutto il possibile affinché a suo marito sia offerta degna sepoltura nel cimitero di famiglia. Ma lei deve andarsene subito. Per il suo bene, lasci Risa e non torni mai più!».
   «Ci può giurare, che non tornerò mai più. Ho chiuso con questo mondo ingrato!» strepitò Losira.
   «Non stia nemmeno a ripassare da casa» la esortò il commissario. «Uscita da qui, vada allo spazioporto e prenda la prima nave in partenza».
   «Ma... ma...» balbettò la vedova. Si guardò l’abito nero, da lutto, che aveva indossato quand’era uscita di casa: era tutto ciò che le restava. «Come si suppone che sopravviva, d’ora in poi?» sussurrò, trattenendo a stento le lacrime.
   I rappresentanti dello Stato non risposero.
   Col cuore spezzato, Losira dette un’ultima occhiata alla salma coperta dal telo. Ci sono momenti che travalicano l’attimo in cui sono vissuti e si fissano indelebilmente nell’animo. Questo era il suo momento, si disse la vedova. Una parte di lei sarebbe sempre rimasta lì, in quel freddo stanzone, a contemplare i resti martoriati del suo grande amore. In un certo senso era morta con lui. Il sogno di una vita insieme, il sogno di un figlio... era tutto svanito. Ciò che le sarebbe accaduto d’ora innanzi era di secondaria importanza.
   «Signori, a mai più rivederci» si riscosse Losira. «Vi auguro di non fare mai nulla di buono nelle vostre vite. Perché, come ho imparato a mie spese, nessuna buona azione resta impunita. Sarà questa la mia filosofia, d’ora in poi» promise. Se ne andò senza voltarsi indietro, sbattendo la porta dell’obitorio.
   Lasciato l’ospedale, la vedova fece come consigliato: andò dritta allo spazioporto e s’imbarcò sul primo trasporto in partenza, senza nemmeno guardare la destinazione. Da quel momento in avanti seguì la sua nuova filosofia, il che se non altro la tenne in vita, sebbene non potesse darle una ragione per vivere. 
 
   
 
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