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Autore: MollyTheMole    10/09/2022    1 recensioni
Londra, 1934: il crimine di Londra ha un nuovo James Moriarty. Quest'uomo, però, ha una nemesi: il nuovo ispettore capo di Scotland Yard, per il quale ha in serbo una triste ed amara sorpresa.
Londra, 1936: il rinnovato castello sul lago Loch Awe, in Scozia, apre i battenti ai turisti. Il passato, però, è come la ruggine: incrosta ed imprigiona. Gli ospiti del castello si troveranno, loro malgrado, a fare i conti con esso, con l'oscuro futuro ormai alle porte e con lo spettro di un criminale che infesta i loro ricordi.
Genere: Mistero, Noir, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Carl ed Eveline.

 

Il suo ufficio era un capolavoro dello stile moderno. Ricordava ancora quando aveva comprato quella casa in pieno centro. Era una mezza catapecchia, all’epoca, non aveva nemmeno le porte e le finestre, ma grazie al suo fiuto per gli affari era riuscito ad accumulare abbastanza denaro non solo per spingere il proprietario a mutare l’affitto in vendita, ma anche per arredarlo di nuovo, dalla testa ai piedi. Erano arrivati i pezzi migliori da tutto il mondo, persino dal Bauhaus. Sulla scrivania di legno scuro e pregiato, in bella vista, aveva messo una lampada art nouveau che spandeva luce colorata tutto intorno. 

Non riusciva a capire che cosa ci fosse di interessante in quelle lampade. Gli sembrava di firmare documenti su carta arcobaleno e la cosa lo infastidiva, ma come ben si sa, un oggetto non vale tanto per la sua praticità, ma per lo status che conferisce. Chi se ne importa se una lampada così infastidisce la vista, l’importante è che dimostri che vale tutti i soldi spesi per acquistarla.

Per terra aveva messo un tappeto persiano. Vero. La sedia in un angolo invece era un vero e proprio pezzo di design Bauhaus, appunto. 

Ovviamente, era riservata agli ospiti. 

Scriveva con una stilografica d’epoca e possedeva un certo numero di armi storiche, in bella mostra nell’armadio nel salone. Sapeva che quelle pistole miravano malissimo, per cui si sentiva abbastanza tranquillo, per non parlare del fatto che le chiavi le aveva al collo e non se ne liberava mai. 

Non si sa mai quale gente può capitare in casa.

Ultimamente aveva fatto in modo che i suoi guadagni aumentassero ancora di più. Aveva messo le mani su un paio di grossi appalti, che gli avevano fruttato un bel gruzzolo che aveva intenzione di mettere da parte per comprare qualche altro pezzo d’arte. 

Seduto alla sua scrivania, stringeva il quotidiano tra le mani cercando di cavare qualcosa di interessante dagli annunci nonostante le luci colorate che venivano dai vetri della lampada. Amava quel momento, in completa solitudine e silenzio, solo lui e i suoi affari, i suoi interessi. Non leggeva mai altro, non riteneva utile né interessante leggere notizie di politica estera o di cronaca nera. Solo la mano, che di tanto in tanto raggiungeva la tazza di tè posata sulla scrivania, era indice della sua presenza. 

Tuttavia, alle volte le notizie di cronaca potevano essere inevitabili. Così, quando aveva scorto una delle notizie riportate a caratteri cubitali sulla prima pagina, e che proseguiva a pagina sette, non aveva potuto fare a meno di leggere. 

Il giornale prese a vibrare violentemente, prima di infrangersi senza ritegno contro la porta del suo studio.

Almeno, là dove avrebbe dovuto esserci la porta. In verità, il giornale colpì dritto in faccia un uomo, alto, allampanato, dall’aria placida e dai capelli perennemente spettinati. Con l’aria di chi sa che queste scene sono solite ripetersi sovente, si tolse le pagine del giornale dal volto con la punta delle dita. Scorse la prima pagina, che era rimasta impigliata nella cravatta, ed intuì il motivo per cui Carl ce l’avesse tanto con il quotidiano del giorno.

- Northwood.- disse, avanzando con le sue gambe lunghe dentro l’ufficio.

- Webber. Bussare è buona educazione, lo sai?-

- Anche consegnare il giornale in mano agli ospiti.- disse, sottolineando il fatto che, invece che un normale passaggio di mano in mano, il giornale gli era arrivato in faccia.

Il contrasto tra i due non poteva essere maggiore. Tanto Carl Northwood era minuscolo e rotondo, tanto Richard Webber era alto e smilzo. Tanto era scuro il primo, tanto era chiaro l’altro. Solo una cosa avevano in comune, ovvero una certa antipatia l’uno per l’altro.

Il destino aveva fatto in modo che le loro strade si incrociassero, e adesso non potevano fare altro che sopportare la presenza del proprio compare, anche se, soprattutto negli ultimi tempi, questo poteva trasformarsi in un compito estremamente arduo.

- Tappeto nuovo?-

- Arrivato qualche settimana fa. Sei pregato di non poggiarci sopra i tuoi sudici piedi.-

Webber si passò una mano nei capelli color paglia perennemente spettinati.

- Sei consapevole del fatto che tua moglie ha fatto mettere uno zerbino all’entrata, e un’altro prima di entrare in sala, vero?-

- Certo. Non so se tu sei capace di usarli, però.-

Webber incassò il colpo con maestria e soffocò un sospiro pesante. 

- Carl?-

- Che vuoi?-

- Eveline.-

Al nome della moglie, Northwood parve cambiare espressione, come se si fosse improvvisamente ricordato come mai quello scocciatore di Webber si trovasse lì. Del resto, anche se la donna aveva avuto diversi problemi di salute in quel periodo, era pur sempre sua moglie, e Carl, da qualche parte nel profondo del suo cuore impietrito, l’aveva amata molto e l’amava ancora. Non amava suo cognato, ma doveva riconoscere che era un buon medico, e l’unica persona che in quel momento potesse offrire ad Eveline tutto l’aiuto di cui aveva bisogno. 

Non che credesse molto nell’attività di Webber, ci mancherebbe altro. Per lui, tutti quei discorsi sull’Io e sulla coscienza erano fesserie, un modo come un altro per scroccare soldi alla gente ignara di essere andata lì a farsi fregare. Sulle prime aveva ingaggiato suo cognato per motivi ben più pragmatici, ma dopo diversi esperimenti - come si dice? Ah, sì, psicologici-  che l’uomo aveva condotto su sua moglie il miglioramento era stato evidente. Northwood, quindi, aveva acconsentito a lasciarlo continuare, nella speranza che il cambiamento divenisse perpetuo.

Non ne poteva più di vederla girare per casa come un fantasma. Era inquietante.

La parcella di suo cognato, però, aveva l’incredibile tendenza a lievitare, e questo Carl non poteva di certo tollerarlo.

Se lo chiamavano come lo chiamavano, un motivo c’era. Come sapeva far lievitare i guadagni lui, non sapeva farlo nessun altro.

- Quali novità?-

- Purtroppo nessuna rilevante. Sta ancora molto male. Le ho prescritto delle gocce di tranquillante, ma deve usarle con criterio. Dovrà assumerle regolarmente e lontano dalle fonti di calore. Il sole potrebbe farla stare male. Inoltre, sarebbe opportuno che te ne occupassi tu. Non vorrei che in un momento di crisi potesse fare delle stupidaggini.-

- Eveline non farebbe mai niente di simile.- proruppe questo, improvvisamente toccato all’idea che la moglie potesse avvelenarsi.- Non è nelle sue corde. E’ una donna forte, o non sarebbe mia moglie. E’ più che in grado di farcela da sola.-

Richard Webber sapeva che quella sarebbe stata una conversazione ardua. Carl non aveva la benché minima intenzione di rassegnarsi all’idea che sua moglie fosse malata a tutti gli effetti e, soprattutto, non contemplava assolutamente l’ipotesi che la causa di tutto quel malessere potesse essere lui.

- Eveline- continuò, tirando su sul naso diritto gli occhiali di corno.- ha un profondo bisogno di attenzione e di affetto, Carl. Non le basta più ciò che il denaro può comprare. Ha bisogno di sentirsi amata, considerata. Tu le hai offerto una vita splendida, ma, lascia che te lo dica, la tratti come una serva.-

- Non sta a te sindacare sul modo in cui io tratto mia moglie!- proruppe il piccoletto, balzando in piedi dalla poltrona ed avvicinandosi a Webber con fare minaccioso.- Questi sono affari miei in cui tu non devi assolutamente entrare!-

- Dico soltanto- continuò l’altro, imperterrito, lo sguardo fisso sul tappeto persiano del cognato.- che forse le farebbe bene un po’ di tempo lontano da ciò che le ricorda la sua famiglia e tutto ciò che ha perso. Ad esempio, perché non le permetti di vedere Jodie? Sono molto legate, le farebbe bene spettegolare un po’, smettere di rimuginare…-

Northwood odiava ammetterlo, ma sapeva che sua moglie aveva bisogno di una tregua. Solo, non voleva concedergliela. Domestici ficcanaso, non ne aveva mai voluti. In casa faceva tutto Eveline, ed era dannatamente brava. Sapeva cosa poteva toccare e cosa no, e quando non lo sapeva imparava rapidamente. Lui non poteva sostituirsi a lei, o non sarebbe più riuscito a fare affari. Assumere qualcuno pro tempore, specialmente in quel frangente, era fuori discussione. Anche un’infermiera in casa sarebbe stata di troppo.

No, Eveline avrebbe dovuto cavarsela da sola.

Vedere la sorella, però, poteva essere una valida alternativa ad una dama di compagnia.

- E sia.- disse quello, tornando a sedersi sulla sedia.- Potrà vedere Jodie ogni tanto, ma bada bene che tua moglie tenga le mani in tasca. C’è roba di valore qui.-

- Jodie ha tanti difetti, ma non è una ladra. Nessuno di noi lo è.- e lo squadrò da sotto gli occhiali di corno, per interpretarne la reazione.

Scherno.

- A giudicare dall’ammontare delle tue parcelle avrei da ridire.-

- Pago un affitto alto. Non posso lavorare gratis.-

Il gelo calò nella stanza, mentre gli occhi di Northwood mandavano lampi e quelli di Webber non si staccavano dal pavimento.

- Se vuoi un consiglio, quando leggi il giornale, buttalo via personalmente. Non darlo a lei. Eveline sa leggere, sai.-

- Eveline non deve leggere, e lei lo sa.-

Webber afferrò la prima pagina che aveva tenuto piegata in grembo per tutto il tempo. 

- Con questi titoli è un po’ difficile non catturare l’attenzione anche del cane più devoto e fedele.- rispose quello, tendendo di nuovo la pagina al suo compare, che esplose in un'eruzione rabbiosa di sputi.

- Chiudi la bocca, razza di demente!-

- Via, Carl, ti si alza la pressione.-

Northwood era traboccante di rabbia, e lo si leggeva anche nelle nocche dei suoi piccoli pugni chiusi. Webber non era uno stupido, e sapeva che tirare troppo la corda con Carl era controproducente. Era piccolo, era vero, ma sapeva essere temibile.

Meglio interrompere la loro diatriba.

- Consiglio l’assunzione di questo- e scrisse una prescrizione su un foglio bianco preso dalla sua borsa.- al bisogno, due gocce. E questo, invece, per dormire e quando ha le crisi più gravi. Dieci gocce, anche meno se possibile. Non di più, può essere pericoloso. La parcella è la solita.- 

Northwood non vedeva l’ora di liberarsi della presenza ingombrante del cognato. Non riusciva nemmeno a guardarlo in faccia. Quell’uomo era un ricettacolo di ricordi dolorosi che non voleva assolutamente rievocare, ed allo stesso tempo un grandissimo uccello del malaugurio. 

Oh, sì, era convinto che Webber gli avrebbe causato grossi guai, a tempo debito. 

Avrebbe fatto meglio a trovare un modo per liberarsi di lui, ed in fretta.

Per conto suo, Webber non vedeva l’ora di andarsene. Aveva accettato quell’incarico per Eveline, non di certo per Carl, e meno restava alla presenza del cognato, meglio si sentiva. Era un uomo che lo disgustava su tutti i fronti, ed era certo che anche lui provasse una forte antipatia verso i coniugi Webber. 

Non era così stupido da illudersi che sua moglie Jodie, solo per il fatto di essere sorella di Eveline, fosse esclusa dalla lista nera di Carl Northwood.

In questi casi, il suo istinto protettivo gli diceva di filarsela, e fu esattamente quello che fece, inforcando la porta con un cenno educato del capo e sgattaiolando fuori a tutta birra prima che Carl cambiasse idea.

Contento di essersi tolto quell’impiccio, Carl si sedette di nuovo alla scrivania e raccolse i fogli del giornale precipitati a terra. Stava giusto per mettere mano ai conti della società quando udì un leggero bussare alla porta.

- Eveline.-

- Carl.- disse la donna, con un vassoio colmo di utensili per il tè vuoti.- Sono venuta a prendere la tua tazza.-

- Preparamene dell’altro, per cortesia.- fece, allungandole il piattino senza nemmeno guardarla in faccia ed inforcando gli occhiali da lettura.

Eveline, con la sua magrezza spettrale avvolta nell’abito nero, prese la tazza, ma invece di andarsene, rimase in piedi di fronte alla scrivania del marito. L’uomo la intravide con la coda dell’occhio, ma non era intenzionato a distogliere l’attenzione dai suoi conti.

- Che vuoi?-

- Parlarti un poco.-

- Lo sai che non voglio scocciature quando lavoro.-

Eveline sospirò, gli occhi grigi persi nel vuoto. Le mani le tremarono quando poggiò il vassoio sulla scrivania ed andò a sedersi titubante sulla sedia Bauhaus. 

Northwood sospirò, ma si sentiva magnanimo.

- Parla.-

- Richard mi ha consigliato di passare un po’ di tempo all’aperto, con altre persone. Mi ha detto che, se mi dai il permesso, posso vedere Jodie.-

- Ti do il permesso.-

- Davvero?- disse lei, gli occhi brillanti per un attimo, prima di tornare vitrei e grigi.

Northwood squadrò la moglie, con sospetto.

- Che cosa c’è, Eveline?-

- Sai, caro, mi domandavo… Richard mi ha portato questo, ecco, dice che lo ha trovato fuori dalla porta, che deve essere caduto con la posta. Si chiama Loch Awe, in Scozia. Non sarebbe bello andarci, Carl? Potrei passeggiare, respirare un po’ di aria buona, e…-

- E lasciare gli affari incustoditi?- sbottò Northwood, cestinando con un gesto secco della mano la pubblicità.- Giammai, scordatelo. Fai una passeggiatina in giardino con tua sorella, se proprio hai bisogno d’aria. E poi, costa troppo.-

- Ma è un’offerta, i prezzi sono…-

- Ho detto di no, Eveline.-

E tornò a guardare i suoi conti.

La donna, però, non era pronta a ricevere un no come risposta. Abbassò il capo, mesta, e il labbro inferiore prese a tremare visibilmente. Carl, che, da qualche parte dentro il suo cuore di pietra, provava effettivamente dei sentimenti per la moglie, fu profondamente infastidito da quel labbro tremulo.

- E va bene, andiamo. Ma solo per una settimana! Non posso lasciare i miei affari troppo a lungo!-

Per un attimo, Eveline distese un tenue sorriso sulle labbra. Ritenendo di aver ottenuto abbastanza da suo marito quel giorno, afferrò il vassoio delle tazze sillabando un grazie e fece per andarsene quando, in un impeto di coraggio, gli chiese di bere il tè con lui.

- Solo una tazza. Possiamo parlare un po’, ti va?-

- No.- fece quello, tornando ai suoi conti. 

Eveline sospirò, gli occhi freddi e vitrei, mentre portava via le tazze.

Carl Northwood alzò un occhio dai conti e, con fare mellifluo, gettò il giornale nel cestino, non visto dalla moglie.

 
  
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