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Autore: Evali    11/09/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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L’origine di tutti i mali
 
Barclay aveva organizzato una grande festa per celebrare il compimento dei suoi quindici anni, e al contempo festeggiare la sua totale ripresa.
Inoltre, con l’intento pubblico di far pace con i suoi aggressori, con i suoi nemici e con tutti coloro con cui aveva avuto delle questioni lasciate in sospeso, aveva deciso di invitare alla sua festa anche alcuni servi del Creatore suoi coetanei, coloro solitamente presenti agli incontri della Congrega.
Dunque, si ritrovarono nello stesso luogo Barclay, la sua famiglia, i suoi amici, diversi fanciulli servi del Creatore, tra cui Ambrose, e, per finire, persino Folker.
Barclay non aveva voluto sentir ragioni, e lo aveva quasi costretto a partecipare alla sua festa, nonostante tra loro non scorresse affatto buon sangue dopo tutto ciò che era accaduto.
Il suo vecchio migliore amico aveva fatto promettere a tutti di “non muovere guerra l’uno contro l’altro”, e, per un giorno, di trascorrere la sua festa come se fossero un grande gruppo di amici ritrovati.
L’unico motivo per il quale Folker, alla fine, aveva acconsentito a partecipare, era uno e uno soltanto.
La cercò con gli occhi per diversi minuti, seduto su una porzione del prato che si trovava dietro l’abitazione di Barclay, nel quale si stava tenendo la celebrazione.
La cercò ma non la trovò, perciò si arrese e tornò a contemplare il cielo in solitudine, con un’ombra sugli occhi che a nessuno sarebbe passata indifferente.
Stranamente, i festeggiamenti si stavano svolgendo in pace e in armonia, persino servi del Diavolo e servi del Creatore non si stavano accapigliando tra loro.
Tuttavia, ognuno di loro lo guardava con il terrore negli occhi.
Oramai chiunque lo osservava in quel modo. Le immaginarie lettere incise a sangue sulla sua fronte, che ricalcavano solo il nome “strige”, tenevano tutti alla larga da lui, eccettuati Barclay e Ambrose, ovviamente.
Quest’ultimo stava chiacchierando con i suoi vecchi amici, riappacificandosi con loro.
Era un giorno di grande festa e riappacificazione, quello.
Qualcosa di cui lui non avrebbe mai goduto, poiché gli era stato tolto tutto.
Si sarebbe voluto trovare in qualsiasi posto tranne che lì, circondato dalla gente.
L’idea sempre più concreta che gli intossicava la mente da un po’, prese forma più concretamente, proprio quel giorno.
Si alzò dal prato e si diresse verso l’abitazione.
Entrò dentro quella casa che conosceva da sempre, e, fortunatamente, al suo interno sembrava non esservi nessuno.
Si guardò intorno, camminando in giro per le stanze, senza meta.
Quando si ritrovò dentro la familiare stanza di Barclay, udì qualcuno schiarirsi la voce dietro le sue spalle.
- Speravo che mio fratello invitasse anche te. Ma non ne ero sicura.
La persona che aveva cercato con gli occhi da quando era arrivato, ora era dietro di lui, a rassicurarlo con la sua voce, bella e schiva, come era sempre stata.
Accennò un fievole sorriso e si voltò verso di lei.
Bridgette indossava un bellissimo abito color melograno per i festeggiamenti, il quale faceva risaltare meravigliosamente il colorito della sua pelle.
- Gli hai detto tu di invitarmi? – le domandò, guardandola a distanza.
Era da quella volta, a casa sua, da quella conversazione nella quale lei gli aveva confessato che a breve si sarebbe sposata, che non si erano più visti.
La ragazza negò con la testa. – Speravo ti invitasse. Ma non volevo condizionare la sua decisione. Non sarebbe stato giusto nei tuoi confronti. Ha deciso autonomamente di riappacificarsi con te. Tuttavia, credevo non saresti venuto – confessò lei, genuinamente felice di vederlo, iniziando a camminare per la stanza.
Era difficile leggere una persona come Bridgette. Quasi nessuno ne era in grado. Tuttavia, Folker avrebbe affermato con certezza che anche lei lo avesse cercato, da quando i festeggiamenti erano cominciati.
- Dov’è il tuo sposo? – le domandò senza alcuna inclinazione nella voce.
- Fuori. Con gli altri. Te lo farò conoscere, se lo desideri.
- Come ti trovi con lui?
- Bene. È molto gentile e premuroso, nonostante mi conosca a malapena. Il che è un gran bene – disse lei.
- Sono felice per te – le rispose, volgendo poi gli occhi verso la finestra.
La sentì avvicinarsi a lui. – A cosa stai pensando?
Il biondo rimase qualche secondo di troppo in silenzio, prima di risponderle. Ma lei attese, con calma.
- A quanto mi sia mancato parlare con te. A quanto tu.. mi sia mancata – ammise.
A ciò, anche Bridgette si lasciò andare. Gli prese delicatamente il viso tra le mani e lo baciò, lentamente, permettendo anche al ragazzo di godersi ogni singolo istante di contatto con le sue labbra.
Una lacrima solitaria sfuggì al controllo di Folker quando il bacio giunse al termine.
Bridgette la percepì e se ne allarmò lievemente. – Ehi.. che succede? – gli domandò asciugandogli una guancia, rivolgendogli un sorriso triste. – Hai uno sguardo vuoto oggi, amor mio.
- Mi dispiace – le rispose lui stringendole la mano e portandosela alle labbra.
Quelle dimostrazioni d’affetto così intense non erano mai esistite nel loro rapporto.
La distanza aveva giocato a loro favore, cambiando anche il modo di percepirsi a vicenda.
- Mi dispiace – ripeté il biondo, come un mantra.
- Per cosa? – gli domandò lei posandogli una mano sulla guancia.
- Mi sento debole.
- Non lo sei. Sei una delle persone più forti che conosca, Dietrich.
Ti ho già detto che possiamo continuare a vederci… - gli sussurrò a fior di labbra.
Lui la baciò ancora, approfondendo il bacio e stringendola a sé con bisogno.
Quando si staccarono, Folker le sorrise tra le labbra e guardò i suoi occhi splendidi ed espressivi, saziandosene. – Ti amo.
La ragazza ammutolì. Le sue mani erano affondate tra i capelli biondi di lui, i suoi occhi persi nei suoi. Non dissero niente per i successivi cinque minuti, poi Bridgette lo abbracciò e avvicinò le labbra al suo orecchio. – Anche io – sibilò.
Quando si staccarono lei gli sorrise un’ultima volta, poi si allontanò, uscendo dalla casa e ricongiungendosi con gli altri, lasciandolo solo.
Folker restò in contemplazione del sole primaverile che entrava dalla finestra, per diversi minuti.
Dopo di che, sembrò tornare in sé.
Si ricordò che il padre di Barclay amava andare a pesca nel lago che costeggiava il bosco di tanto in tanto, motivo per cui possedeva un’immensa collezione di robuste corde, di ogni tipo.
Aprì il barile che sapeva contenere le corde e ne prese una, la più resistente che trovò.
Dopo di che, come aveva fatto pochi giorni prima per Cliamon, la legò in modo da formare un cappio, compiendo movimenti precisi e decisi, con una lucidità che sorprese persino se stesso.
Legò la corda ad una trave sul soffitto, poi prese una sedia e la posizionò sotto il cappio penzolante.
Salì sulla sedia e si fermò, immobile.
Non stava avendo ripensamenti, no.
Era da molto che voleva farlo.
Da quando le ferite alla schiena avevano iniziato a non rimarginarsi più, facendo sempre più male; da quando le persone alle quali Cliamon aveva svenduto il suo corpo lo guardavano con degli occhi che non gli piacevano quando li incrociava per le strade; da quando aveva perso tutti; da quando il sapore del sangue non se ne andava più e lo sentiva sempre tra le labbra, facendolo autoconvincere di essere davvero il mostro che tutti temevano.
Lo avrebbe fatto, e tutti si sarebbero rallegrati del suo gesto; e anche coloro che non se ne fossero rallegrati, sarebbero comunque andati avanti, con il tempo.
Persino Bridgette, che ora aveva un marito che la trattava come meritava di essere trattata.
Persino Ambrose.
Oh… povero Ambrose.
Si sarebbe disperato. Chissà per quanto tempo.
Ma per quanto il pensiero di fargli così tanto male turbasse Folker, era comunque convinto che Ambrose, presto o tardi, si sarebbe rifatto una vita, magari quando avrebbe finalmente trovato una ragazza in grado di fargli battere il cuore.
Infilò la testa bionda dentro il cappio, lo strinse fino al limite della sopportazione, in modo da rendere la morte più rapida… poi, chiuse gli occhi, e si lasciò andare, calciando via la sedia.
 
Non riuscendo più ad individuare Folker, Ambrose si guardò intorno, sorpreso. – Dov’è finito?
- Chi? – gli domandò Devon.
- Folker. Non lo vedo da un po’.
- L’ho visto io circa venti minuti fa, dentro casa – lo rassicurò Bridgette avvicinandosi.
- Cosa ci faceva dentro casa?
- Non saprei – rispose vagamente la ragazza. – Effettivamente, mi aspettavo sarebbe uscito a breve, non ha motivo di rimanere dentro da solo. Vado a prenderlo e a portarlo fuori – gli disse lei con la sua solita esuberanza.
- Dietrich? – lo richiamò lei rientrando in casa. – Sei ancora qui dentro? Esci fuori con noi, avanti – lo incoraggiò cercandolo per la casa.
Un urlo sordo rimbombò dentro l’abitazione non appena la ragazza posò gli occhi sul terribile spettacolo che imperava dentro la stanza di suo fratello: il cadavere immobile del suo giovanissimo amante era appeso al soffitto, con una delle corde di suo padre legata strettissima al collo candido e deturpato, la testa rivolta innaturalmente verso il basso, con i lunghi capelli biondissimi a penzoloni dinnanzi a lui, il corpo ciondolante, le poche porzioni di pelle lasciate libere dai vestiti erano quasi cerulee nella penombra della stanza.
Cadde pesantemente in ginocchio, senza la voce per piangere, senza la forza di fare nulla, se non di tremare e di continuare a guardarlo incredula, con gli occhi fuori dalle orbite.
Pianse terribilmente, senza fiato e senza voce, strisciando verso di lui, in quanto sentiva che le gambe non sarebbero state in grado di reggerla in piedi. Si aggrappò ai suoi polpacci ciondolanti e li strinse a sé, in un abbraccio disperato, mentre urlava e piangeva.
Poi, dopo pochi istanti che le parvero secoli, trovò il coraggio di staccarsi dal suo giovane e sfortunato amore.
Si alzò in piedi, instabile. Si diresse verso il barile di suo padre, lo aprì e afferrò una corda a sua volta.
 
Oramai Bridgette era andata a cercare e a recuperare Folker in casa da un bel po’ di tempo.
Ambrose aveva provato a non pensarci. Aveva bevuto e aveva ballato con i suoi amici ritrovati, festeggiando, per una volta spensierato e incurante dei drammi avvenuti tra loro.
Aveva deciso di lasciare dello spazio al suo amico, di permettere anche a lui di riappacificarsi con il suo vecchio amico Barclay.
Tuttavia, ora stava iniziando a preoccuparsi.
Non lo vedeva da ore, e a meno che non avesse deciso di confinarsi nella casa del festeggiato, stranamente in compagnia di Bridgette, la sua assenza era davvero strana.
Così, decise di entrare dentro l’abitazione a sua volta, in cerca del biondo.
Terry e Devon lo seguirono.
- Folker? Sei qui dentro?
Quando si trovò dinnanzi lo spettacolo di due corpi orribilmente appesi al soffitto, Ambrose si concentrò solamente su uno di loro, non posando neanche uno sguardo su quello della ragazza.
- No…
Terry e Devon, allo stesso modo, si pietrificarono dinnanzi a tale visione.
- No no no no no no no!! NO!- urlò Ambrose precipitandosi sul corpo del ragazzo che amava, adoperandosi convulsamente a sciogliergli il cappio dal collo.
La sua statura lo avvantaggiava, gli bastava solamente alzarsi sulle punte e allungare le braccia per riuscire nell’intento.
Sciolse il nodo e afferrò al volo il corpo senza vita che gli cadde pesantemente tra le braccia.
Non era ancora rigido, la sua pelle non era ancora dura, seppur fredda tra le sue mani, e ciò gli fece sperare che ci fosse ancora una speranza.
- Ti prego, ti prego, svegliati! No, non può essere vero!! È vivo, è ancora vivo, chiamate aiuto! Chiamate il medico!! So che è vivo…!! – la sua voce era delirante, era totalmente mutata rispetto al solito, i suoi movimenti erano convulsi ed energici.
- Ambrose… - provarono a richiamarlo a distanza, preoccupati, i suoi due amici, ma lui non li udì neppure.
- Rispondimi, Folker… Rispondimi, avanti!! – gli urlò rabbioso, in lacrime, abbracciandolo e reggendogli la testa, la quale, senza il suo sostegno, sarebbe ricaduta mollemente all’indietro, portando con sè la zazzera di capelli: l’osso del collo era visibilmente spezzato. Gli scostò i capelli dal viso e lo osservò, riscuotendolo con vigore e dolcezza al contempo. La dolcezza che aveva sempre usato con lui.
Il meraviglioso viso del ragazzo restava bellissimo nonostante il pallido e gelido alito della morte fosse calato su di lui, reclamandolo a sè. I suoi occhi chiarissimi erano celati dalle palpebre chiuse, la sua pelle era color granito, le sue labbra carnose e serrate avevano assunto una colorazione quasi bluastra.
Quelle labbra dal sapore buonissimo. Quelle labbra che non avrebbe mai più assaporato. Quegli occhi che non avrebbe mai più ammirato e scrutato. Il suo corpo non sarebbe mai più stato caldo. Il sole non lo avrebbe più illuminato, baciandolo, come lui avrebbe voluto fare ogni giorno, appena sveglio.
Appoggiò la fronte sulla sua e continuò a guardarlo, urlando sempre le stesse cose e piangendo, stringendolo a sé.
Glielo avevano tolto.
Glielo avevano portato via, per sempre.
L’amore della sua breve vita. L’unico amore della sua vita.
- FATE QUALCOSA HO DETTO! CHIAMATE QUALCUNO!
Improvvisamente la stanza si riempì di persone, alcune urlanti, altre piangenti.
Barclay abbracciò il corpo di sua sorella nella più totale disperazione.
Qualcuno domandò perché si fossero uccisi entrambi, per quale motivo.
Ad Ambrose non interessava il motivo.
Incurante di chiunque lo circondasse, delle persone e dei rumori intorno a sé, continuò a dondolare e a cullare il corpo morto che stringeva tra le braccia, seduto a terra, con il viso sconvolto dal dolore e dalle lacrime, sepolto nella guancia e nei capelli del biondo.
Nessuno si domandò per quale motivo stesse reagendo in modo tanto esagerato.
Nessuno si domandò cosa legasse il giovane e sfortunato servo del Diavolo, e il disperato servo del Creatore che lo stringeva a sé come una preziosa bambola di porcellana.
- Ambrose… - ritentò uno dei suoi amici, poi lo stesso Barclay, tentando di avvicinarsi al cadavere dell’amico.
- No!!! Non osare!! – si ribellò Ambrose, cacciandolo via, stringendo ancor più strettamente Folker a sé, nascondendolo agli occhi di tutti. – Non osate toccarlo!! Non osate avvicinarvi a lui!! Nessuno di voi!! Non toccatelo... non toccatelo…
È ancora vivo… deve esserlo.
Accarezzò quel corpo sofferente, ora libero da tutti i suoi traumi, i suoi dolori, dalle atrocità che aveva subìto.
Libero e in pace.
A questo lo avevano costretto i monaci.
A doversi togliere la vita per raggiungere la pace e la tranquillità.
Lo baciò tra i capelli, più e più volte, mentre l’odio cresceva e cresceva sempre più in lui.
L’odio, la furia e la vendetta nei confronti della classe dominante del villaggio.
Dei mostri con le tonache nere, che avevano osato portarglielo via.
 
I portoni della sala dei concili si chiusero, dando inizio a quella riunione d’emergenza.
Padre Thomas fu il primo a parlare. – Ci spiace molto per la seconda perdita subìta dai familiari del ragazzo, i quali hanno affrontato il lutto della loro secondogenita solo pochi mesi fa. Ed ora devono subire quella del primogenito – disse con finto tatto. – Ma sappiamo tutti che il ragazzo prima o poi sarebbe dovuto morire. Egli era una strige, il più grande pericolo per il nostro villaggio. I riti di purificazione erano solo una soluzione temporanea.
Una soluzione che lo aveva tenuto in vita giusto il tempo di farlo soffrire di più, di togliergli la voglia di vivere  pensò amaramente Judith, pentendosi dolorosamente di aver mai proposto quella tremenda tortura mascherata da riti di purificazione. Non ricordava il tempo in cui aveva proposto quella “soluzione”, a causa dell’amnesia. Tuttavia, conoscendosi, poteva ben comprenderne i motivi:
Perché l’alternativa sarebbe stata una morte lenta e atroce, indegna per ogni vita umana.
Perché i vostri metodi di esecuzioni sono essenzialmente il ritratto del sadismo, padri.
Inaspettatamente fu Myriam a intervenire per prima, a difesa del ragazzo.
La strega si alzò in piedi, adirata. – Per quale motivo lo avete torturato in tal modo, giorno per giorno, invece di ucciderlo subito, dunque?? Inoltre, quale prova avete ottenuto a sostegno delle parole del suo amico, l’unico che lo ha accusato di essere una strige?? Quel ragazzino non sapeva neanche cosa fossero le strigi! Per quanto ne sappiamo, potrebbero essere una leggenda inventata di sana pianta da Allister Chaim!
- Attento a ciò che dite, madre Myriam.
- Non me ne starò in silenzio dinnanzi ad un ragazzino di quattordici anni morto invano! Cosa speravate di ottenere con quelle dannate torture??
- Folker non stava reagendo bene ai riti di purificazione.
- Motivo per cui lo sottoponevate a cinque o dieci riti al giorno?? Cosa sapevate di lui, esattamente, padri? L’unica cosa che conoscevate di quel ragazzo era il colore che assumeva la sua pelle ad ogni frustata che gli infliggevate e il rumore dei suoi gemiti di dolore.
Vi volete ripulire la coscienza, Myriam? Dopo aver contribuito a far del male a quel ragazzo con il disgustoso patto che avete stretto con padre Cliamon, avendolo portato a vostra volta sull’orlo della disperazione, ora vi sentite in colpa?  Judith la osservò in silenzio, non avendo alcuna pena per lei. Ella era colpevole quanto i monaci, del suicidio di quel povero ragazzo.
- Vorrei sapere chi ha indetto questa riunione di emergenza. Il da farsi è ben chiaro ai miei occhi, non vi è neanche da discuterne: i due “amanti sfortunati” si sono tolti la vita autonomamente, il suicidio è malvisto agli occhi di entrambi i signori, motivo per cui non meritano una celebrazione funeraria, né una degna sepoltura – disse categoricamente padre Petrit.
- Tuttavia, non abbiamo la certezza si siano suicidati entrambi – obiettò il vecchio padre Faust.
- Di che altre conferme abbiamo bisogno?? Supponete siano stati uccisi?? Oh, suvvia, è ben chiaro come si siano svolti i fatti: la ragazza, Bridgette, l’adultera maritata da poco ma ancora innamorata del suo giovane amante Folker, ha trovato il corpo suicida del suo amato appeso al soffitto e, per la disperazione, si è tolta la vita a sua volta, accanto a lui. Qualcuno ha obiezioni? – disse una monaca, madre Sylvia.
- Ciò non spiega come mai un amico del giovane servo del Diavolo, un servo del Creatore di nome Ambrose, sia rimasto attaccato al suo corpo come un parassita e non abbia voluto lasciarlo fin quando non è stato costretto a farlo dall’arrivo dei genitori dello stesso. Che strano rapporto vi era tra i due? - disse sospettosamente padre Thomas.
- Si dia il caso – intervenne Judith alzando la voce in modo dirompente, scattando in piedi e attirando l’attenzione di tutti. – Che la riunione di emergenza sia stata indetta da me medesima. Il motivo per cui l’ho fatto non consiste in spettegoli su chi fosse l’amante di chi, o su che rapporto vi fosse tra chi – li rimproverò sottilmente, guardandoli severamente ad uno ad uno. – Ho indetto questa riunione perché è necessario. Udite il putiferio che vi è là fuori? – domandò la ragazza, indicando la finestra della cattedrale. – I servi del Diavolo, e anche alcuni servi del Creatore, si stanno rivoltando contro di noi, padri. Tutti gli amici e i parenti dei due amanti sfortunati stanno urlando giustizia. Sì, giustizia. Una parola estranea a voi, ultimamente.
- Judith… come ti permet-
- Silenzio – disse lei solennemente. – Le persone che sono là fuori chiedono solo un po’ di compassione da parte nostra. I loro cari, un ragazzo di quattordici anni e una ragazza di diciannove, si sono tolti orribilmente la vita, lasciando un vuoto incolmabile dentro di loro. Tutto ciò che chiedono… è solo una cerimonia funebre necessaria, per processare il loro dolore e metabolizzarlo, terminante in una degna sepoltura. Una richiesta più che lecita, per chiunque.
- Judith, sai benissimo cosa spetta ai suicidi. I libri sacri parlano chiaro: niente sepoltura, niente cerimonia funebre. Hanno peccato orribilmente contro i signori, le loro anime non possono trovare la giusta pace, nemmeno accanto al Diavolo – commentò madre Sylvia.
- I libri sacri sono stati scritti secoli fa, madre. Sono testi arretrati, che necessitano di una riscrittura e revisione!  Come potete non essere d’accordo?? Quelle persone vogliono solo un po’ di pace! Le biasimate per questo?
- Non possiamo transigere, Judith, sai come funziona.
- Siamo costretti a farlo, se non vogliamo ritrovarci l’intero villaggio rivoltato contro di noi!
- Judith, cara .. – tentò padre Petrit. – I tuoi mesi di gravidanza stanno giungendo alla scadenza. Perché non siedi e non riposi? Non dovresti sforzarti in tal-
- Io ho diritto di parlare come tutti voi qui!! – si appellò lei con forza, sorprendendo anche padre Craig e Myriam.
Il giovane prete non aveva pronunciato parola dall’inizio della riunione.
Il suo cuore era spezzato. I sensi di colpa nei confronti di quel povero ragazzo che avrebbe potuto salvare, lo stavano divorando vivo, partendo dalle viscere.
Non faceva altro che pensare ad Ambrose. Chissà come stava Ambrose, in seguito a quella disgrazia. Avrebbe dovuto andare a fargli visita il prima possibile.
Quei monaci. Con quale diritto si proclamavano “uomini di Dio”…?
Con quale coraggio parlavano in tal modo di quel fanciullo e di quella fanciulla, poveri sfortunati e disgraziati, ai quali non era concesso neanche il diritto di riposare in pace, e di ricevere il sacro saluto dei loro cari??
Il dispiacere e la rabbia lo stavano corrodendo.
Fortunatamente Judith si stava facendo valere.
Se fosse dipeso da lui, non sarebbe riuscito a tenere a freno la lingua e avrebbe imprecato contro di loro dentro la casa di Dio, incurante di tutto e di tutti.
- Se negherete a quelle persone il diritto di celebrare il funerale e di seppellire i loro cari, vi sarà una guerra tra il popolo e il clero.
I fedeli sono giunti ad un punto di non ritorno. Per colpa vostra – disse duramente la fanciulla dai capelli cremisi e il temperamento di una regnante.
- Abbiamo cose più importanti a cui pensare al momento, rispetto a due amanti suicidi: di Alma Heloisa non vi sono ancora tracce, nonostante le ricerche.
- Basta parlare di lei! Non lo volete capire che quella donna è innocente?? L’unico motivo per cui si sta nascondendo è per scappare alla vostra ira immotivata! – esclamò frustrata Judith.
- Tutti gli indizi portano a lei, Judith. Per quale motivo la difendi tanto?
Perché so per certo che non è stata lei ad uccidere Dun Rolland.
È stato qualcun altro. Qualcuno che mi sta a cuore.
E finché non scoprirò i motivi per cui ella lo ha fatto, non la lascerò nelle vostre spietate grinfie.
- Perché ho parlato con lei e mi è sembrata sincera – mentì, sapendo che le sue parole non avrebbero avuto effetto su di loro.
- Ad ogni modo, è deciso: i due amanti sfortunati non riceveranno l’onore che ai suicidi come loro è negato. Fine della discussione.
Per di più, il ragazzo, oltre ad essere un mostro succhia-sangue, era anche una persona violenta. Non ha fatto nulla per guadagnarsi il nostro dispiacere. Non capisco per quale motivo ci stiamo angustiando tanto per lui.
Si sarà ucciso perché avrà capito che questo era ciò che il suo Signore desiderava – commentò aspramente padre Petrit, facendo perdere totalmente le staffe a padre Craig.
Il giovane prete scattò in piedi, rivolse a tutti i monaci uno sguardo irato, rabbioso, deluso ai limiti dell’umano, poi si diresse verso il portone e uscì rumorosamente, abbandonando la riunione.
Alla fine dell’incontro, Judith uscì dal salone mentalmente sfinita.
L’angoscia si impossessò di lei, mentre prendeva posto su una delle prime sedie della navata vuota, il viso volto verso l’altare.
Si accarezzò il pancione e riposò le membra, riflettendo.
Come osavano trattarla come una ragazzina o un’inferma solo perché era una donna incinta?
Aveva sempre avuto diritto di parola lì dentro, i monaci avevano sempre preso in considerazione i suoi suggerimenti, decidendo di conseguenza e in accordo con lei, quasi sempre.
Ora invece, a nulla era valsa tutta la sua ostinazione e i suoi tentativi di farli ragionare: alla fine della riunione, la maggioranza aveva deciso che avrebbero comunque vietato alle famiglie dei due giovani defunti, di celebrare il funerale e di seppellirli. In accordo alla tradizione.
Era talmente delusa e schifata da tutto ciò, che non riusciva neanche a covare della rabbia.
Si sentiva solamente svuotata.
- Va tutto bene? – quella voce la sorprese, ma non la spinse comunque a voltarsi verso di lei.
Imogene prese posto accanto alla rossa.
I rimasugli di ricordo della notte di Beltane erano più vividi che mai in lei.
L’idea di confessare tutto a Judith la attraversò più di una volta. Tuttavia… la sua amata aveva sin troppo a cui pensare in quel momento, dopo ciò che era accaduto solo quella mattina.
- Le urla delle persone care ai due suicidi … - sussurrò la sciamana voltando lo sguardo verso il portone chiuso della cattedrale, da cui provenivano tutti i pianti e le grida di ribellione di coloro che volevano solamente dare degna sepoltura ai loro amati.
- I monaci hanno deciso che seguiranno la tradizione. Come hanno sempre fatto – disse laconicamente Judith.
- Immaginavo. Se nessuno interverrà… inizierà una rivoluzione.
- Ben venga, dunque.
- Judith..
- So che sei andata a Beltane.
Imogene si voltò a guardarla. Avrebbe dovuto immaginare che, in un modo o nell’altro, lo avrebbe capito.
- È stato padre Craig a dirtelo?
- Non ce ne è stato bisogno – rispose la rossa, voltandosi finalmente a guardarla a sua volta.
Il suo splendido volto era serio, gelido, distante. – Non sarò una sciamana o una strega, ma non sono stupida e sono dotata di spirito di osservazione. Ultimamente non stiamo più passando la notte insieme, Imogene.
- A quello vi è una motivazione che non posso rivelarti, amor mio.
- Non chiamarmi così – la sua voce non era affatto arrabbiata, quanto più stanca e seccata, e ciò fu in grado di ferire ancor di più Imogene. – Io ti voglio bene, Imogene. Se non te ne volessi… non avrei mai deciso di affidarti i miei figli.
- Ma…? Avanti, parla.
- Credo sia ora di mettere le cose in chiaro e di parlare. Cosa ne pensi?
Il sentimento che ci lega non è l’amore, Imogene.
Ritengo sia chiaro. Lo sapevamo fin dall’inizio, motivo per cui abbiamo iniziato a godere l’una del corpo dell’altra solo a scopo edonistico e intrattenente.
Con il tempo, abbiamo pensato che il nostro rapporto si fosse evoluto in qualcosa di più.
Abbiamo creduto di essere fatte l’una per l’altra, per breve tempo.
Ci siamo sbagliate.
Solamente un grande sentimento di affetto è rimasto a legarci.
- Tu non sai nulla di cosa io provi per te, Judith – rispose Imogene, la voce atona ma il cuore in tempesta. – Non parlare anche per me. Parla solo per te.
Judith si voltò a guardarla. – Credi di amarmi?
Imogene fissò i suoi penetranti occhi a sua volta. – Credi sia così difficile? Innamorarsi di te, Arley Judith?
- Se hai guardato nel tuo cuore e hai trovato un sincero amore… amore totalizzante, nei miei confronti, allora non dubiterò dei tuoi sentimenti. Nonostante tu abbia giaciuto con Myriam.
Tuttavia… non basta una sola persona ad amarne un’altra, per far funzionare una relazione.
- In fondo al mio cuore, sin dall’inizio, ho sempre saputo che non mi avresti mai amata, bambina.
Ma non pensavo sarebbe stato qualcuno di così lontano da noi a farti allontanare per sempre da me.
È per lui, non è vero?
Judith la guardò, confusa. – Di chi stai parlando?
- Sai di chi sto parlando, cara.
Judith comprese e la guardò con uno sguardo indefinibile. – Blake non ha nulla a che fare con noi.
- Lo hai visto al funerale di suo padre. Io ti ho vista con lui e… - si fermò, accennando un sorriso sconfitto mentre fissava l’altare. – …era come se vi conosceste da una vita intera. Non ho mai potuto competere contro questo. Contro ciò che ho visto quel giorno, tra voi.
- Io non lo conosco. Non posso dire di conoscerlo lontanamente rispetto a quanto conosco te.
- Hai iniziato a scrivergli delle lettere. Lo so, Judith. Volevi approfondire la conoscenza, volevi sentirlo vicino. A modo tuo. Se ti chiedessi perché gli hai scritto? Cosa mi risponderesti? – le domandò con calma.
Judith rimase in silenzio, tornando a guardare l’altare. – Hai ragione. Volevo sentirlo vicino. Voglio rivederlo. Ogni giorno sento il desiderio di rivederlo.
Ma anche se lui non fosse esistito, anche se non lo avessi mai incontrato… ciò che provo per te, Imogene, non sarebbe mai evoluto in qualcosa di più.
Non ti avrei amata come desideri, in nessun caso.
Quello che avrebbe dovuto essere il colpo di grazia per Imogene, riuscì, in qualche modo, a toglierle un peso di dosso.
Ora l’illusione non avrebbe più avuto alcun effetto su di lei.
Era libera di amarla, ma senza la speranza che ella ricambiasse i suoi sentimenti.
Non sperava più, ma poteva comunque scegliere di rimanerle accanto.
Il suo amore riusciva ad andare oltre un rifiuto.
- C’è una persona qui per te – le disse infine.
- Chi mi cerca?
- La tua amica serva del Creatore – le disse la sciamana, rialzandosi in piedi.
- Falla venire qui.
- E un’altra cosa – disse Imogene prima di avviarsi verso l’uscita. – La gatta non può più restare qui. I monaci vogliono cacciarla via – la informò facendo trapelare una punta di tristezza nella voce.
Dopo ciò, se ne andò.
Non trascorsero neanche cinque minuti, che Hinedia fece il suo ingresso, avvicinandosi alla figura dell’amica, seduta e assorta nei suoi pensieri.
- Posso? – le domandò da dietro.
- Siedi pure accanto a me, Hinedia – la incoraggiò Judith.
- Mi hai chiesto di rivederci, ieri – le ricordò, sedendosi accanto a lei come le era stato detto.
- Giusto. Con tutto quello che è accaduto oggi… me ne ero dimenticata.
- Mi dispiace – disse spontaneamente la fanciulla.
- Per cosa?
- Per il ragazzo che si è tolto la vita. E per la ragazza che si è uccisa dopo di lui.
Deve essere straziante. Per i genitori. Per tutti i loro amici e conoscenti… - disse tristemente. – Tu lo conoscevi, giusto?
- Ho assistito a qualche suo rito di purificazione. Niente più – rispose sinceramente Judith, accarezzandosi il pancione. – Oggi stanno scalciando più del solito – la informò, facendo una piccola smorfia. – Vuoi sentire?
Hinedia, imbarazzata e curiosa insieme, annuì, rivolgendole un piccolo sorriso.
Allungò una mano, Judith gliela prese e gliela condusse dolcemente sopra il proprio pancione.
Il palmo della serva del Creatore si posò sulla superficie liscia e tondeggiante del ventre rigonfio, coperto dal sottile strato del pregiato abito di velluto che indossava la rossa.
Improvvisamente, un movimento al suo interno la colse di sorpresa, smuovendole le mano poggiata sopra il pancione, facendola sorridere.
- Sono parecchio energici. Quando hai scoperto fossero più di uno?
- Qualche tempo fa – rispose vagamente. Nessuno più avrebbe dovuto scoprire fossero in tre lì dentro.
- Credi che facciamo bene a proibire alle famiglie dei due sfortunati amanti suicidi di celebrare il funerale e di dare loro degna sepoltura? – le domandò improvvisamente Judith, cogliendola di sorpresa.
Hinedia tolse la mano dal pancione e rifletté. – Le leggi parlano chiaro. Il suicidio è un tremendo peccato, il Creatore e persino il Diavolo lo disdegnano. Tuttavia… se fossi stata la madre di uno dei due, o una sorella, una promessa, o semplicemente una cara amica… mi sarei battuta con tutta me stessa per riuscire ad ottenere il permesso di celebrare i funerali e di seppellirli – ammise.
- Già. Anche io.
- Ed è quello che stanno facendo loro.
- Ma i monaci continueranno a non concederglielo.
Calò il silenzio tra le due, fin quando Hinedia non lo spezzò. – Per quale motivo volevi vedermi oggi? Riguarda ciò che ti ho detto ieri riguardo Quaglia?
- Lui sta bene?
- Sì, sta bene.
- Bene. Ma non ti ho voluta vedere per chiederti di Quaglia. O di Blake.
“Sai, a volte vorrei averti come figlia.
Perchè sei bella come l’aria gelida di Novembre,
e sei vera, più vera e tangibile di tutte le cose del mondo.
E che sia giusto
E che sia sbagliato
Non una lacrima per te.
Mai una lacrima verserò per compiangerti” – citò Judith, parola per parola, esattamente come gli era ricomparsa nella memoria.
Hinedia raggelò, percependo la vita lasciare il suo corpo non appena la udì.
Quella notte…
La notte in cui ti ho fatto del male.
Judith si voltò a guardarla. – Il medico mi aveva detto che avrei potuto ricordare sprazzi di frasi molto nitide nella mia mente. Frasi particolari, che hanno lasciato un segno nella mia memoria.
Non ci credevo fino a ieri notte. Nonché fino a quando… non ho ricordato la tua voce, persino l’esatta intonazione che hai usato, pronunciarmi questa frase.
Hinedia abbassò la testa e strinse i pugni fino a ferirsi i palmi con le unghie, mentre lacrime amare uscivano dai suoi occhi. – Cos’altro… cos’altro hai ricordato…? – ebbe il coraggio di chiederle, con voce rotta.
- Solo questo. Non ricordo altro. Né la circostanza in cui me l’hai detto, né cosa è accaduto dopo. Niente di niente – disse, facendola lievemente tranquillizzare.
- Judith, io..
- Dalla tua reazione, deduco sia una frase importante. Una frase connessa ad un ricordo doloroso, per te. Non dobbiamo per forza parlarne, se non vuoi. Speravo solo che, parlandone con te, se mi avessi raccontato in che occasione o contesto mi hai pronunciato queste parole, forse avrei potuto recuperare altri ricordi.
- Judith, io non posso, mi spiace. Vorrei tanto, ma..!
- Non devi scusarti. Non fa niente.
C’è qualcos’altro.
Hinedia non ebbe il tempo di riprendersi, che Judith le rivelò un’altra informazione che fu in grado di agghiacciarla, anche più della prima:
- Ho trovato la tua veste, dietro la cattedrale. La tua veste sporca di sangue.
Suppongo sia la veste di quella notte, la notte in cui è stato assassinato Dun Rolland; dato che quella notte ti sei presentata alla cattedrale delirando nuda.
Hinedia iniziò a tremare e percepì distintamente Layla scalpitare dentro di lei per uscire.
Nonostante gli allenamenti con Quaglia stessero dando i loro frutti per controllare le sue due parti ribelli di sé, quelle notizie erano troppo per lei e per il suo instabile equilibrio mentale.
Judith la osservò. – Sarebbe approssimativo, da parte mia, chiederti perché lo hai fatto e cosa è accaduto nel dettaglio quella notte.
- Uccidimi… uccidimi ora, Judith – sussurrò in un sibilo. – Hai scoperto quanto sia macchiata la mia anima e io non posso fare più nulla per nasconderlo. Rinchiudimi nelle segrete o uccidimi.
- Non ho intenzione di fare nulla di tutto ciò.
- Lo hai già detto ai monaci?
- Hinedia – Judith richiamò la sua attenzione su di sé, costringendola a guardarla negli occhi. – Non ho detto neanche una parola ai monaci. Volevo sentire te, la tua versione dei fatti.
Sono una giustiziera, talvolta spietata, è vero.
Tuttavia… prendimi pure per pazza, ma nonostante io ti conosca da pochissimo tempo… credo di conoscerti comunque abbastanza per poter affermare che non faresti mai, MAI una cosa simile.
Non sei un’assassina, Hinedia, e non lo sto dicendo perché sei mia amica.
So che non lo sei.
Vorrei crederlo, amica mia… vorrei crederlo con la stessa convinzione con cui lo credi tu.
Vorrei che Dio assolvesse i miei peccati con la stessa facilità con cui lo faresti tu.
Dovresti essere tu, Dio. Saresti un dio giusto ed equo.
Hinedia si perse nei suoi occhi e non riuscì a controllare le lacrime che iniziarono a uscirle dagli occhi senza freno.
Judith le strinse la mano tra le sue, sorridendole rassicurante. – Non devi temere, con me. Non dirò nulla. Tuttavia, prima o poi, voglio che mi dici cosa è accaduto quella notte con Dun Rolland.
Hinedia annuì energicamente. – Te lo prometto. Prometto che te lo dirò, a tempo debito.
Non sapeva se sarebbe riuscita a mantenere quella promessa, ma, nel frattempo, era un inizio.
Judith le avrebbe lasciato tutto il tempo di cui aveva bisogno. Non l’avrebbe forzata.
Si scambiarono un ultimo sorriso complice, di intensa comprensione e solidarietà; poi Hinedia si rialzò non appena vide la figura di padre Craig avvicinarsi.
- Padre – lo salutò cordialmente.
- Signorina Hinedia – ricambiò lui, accennando un sorriso forzato, fievole e stanco.
La notizia del suicidio di Folker aveva scosso tutti, in un modo o nell’altro.
Hinedia si congedò da entrambi e raggiunse l’uscita della cattedrale.
Dopo di che, fu padre Craig il terzo “ospite” a prendere posto accanto a Judith.
Un sospiro profondo e spossato da parte dell’uomo ruppe il silenzio tra i due.
- Come vi sentite? – le domandò, dimostrando per l’ennesima volta la sua premura nei confronti della fanciulla, nonostante egli stesso stesse morendo dentro.
- Non domandatelo, padre. C’è chi sta molto peggio di me, al momento.
Dicono che il giovane servo del Creatore che l’ha trovato, il suo amico, stia dando segni di follia, là fuori. È fuori controllo. Quel ragazzo… sapeva ciò che Myriam e padre Cliamon stavano facendo col corpo del suo amico? – gli domandò, dando come per scontato che padre Craig sapesse la risposta a tale domanda.
- Sì. Sì, lo sapeva. Lo ha aiutato e gli è stato accanto… per tutto questo tempo – ammise padre Craig, la voce ridotta ad un sussurro dolorante.
- Quel ragazzo è stato distrutto, deturpato sotto ogni punto di vista, padre, da chiunque in questo villaggio.
Ciò che è accaduto a lui non dovrà mai ripetersi. Mai – disse la ragazza, solennemente.
- Vorrei poter credere che non si ripeterà mai davvero, Judith. Lo vorrei con tutto il cuore – rispose amaramente.
Trascorse qualche attimo di silenzio.
- Non vi ho chiesto come sia andata la Festa di Beltane.
Padre Craig ammutolì. Judith lo notò.
- Sapete, anche Imogene era presente.
Padre Craig la guardò sconvolto. – Dite davvero..? E perché?
- Non lo so e non mi importa, padre.
- Sapete.. sono abbastanza certo che Imogene non gradisca affatto la mia presenza qui.
Judith sorrise con un pizzico di sarcasmo. – Imogene non gradisce la presenza di nessuno che non le sia direttamente utile a qualcosa. O che soddisfi i suoi piaceri, corporei o visivi.
Ad ogni modo, sapete che siete sempre il benvenuto qui, malgrado il pensiero di Imogene. Vi ospiteremo volentieri fin quando lo vorrete.
Tuttavia, se sentite di volervene andare, non ve lo impedirò, certamente – gli disse con naturalezza.
- Non capisco.. mi state implicitamente mandando via?
- Non vi sto mandando via. Vi sto solo dicendo di risolvere le questioni che avete in sospeso.
La vita è sin troppo breve, padre, per permettersi di nutrire inutili rancori e risentimenti.
Un ragazzo di soli quattordici anni e una ragazza di diciannove si sono tolti la vita questa mattina.
Sicuramente neanche la metà delle persone che erano loro accanto avranno avuto modo di confessare loro quanto li amavano, o qualsiasi altra cosa avrebbero voluto dirgli.
Non avranno vissuto lontanamente neppure la metà dei piaceri e dei dolori della vita.
Se ne sono andati all’improvviso, inaspettatamente, dolorosamente, lasciando i loro cari in un oblio di cose non dette, di sentimenti inespressi, di occasioni perdute.
Non commettete lo stesso errore.
Il giovane prete non stava capendo cosa Judith stesse cercando di dirgli, o meglio, si ripeteva di non star capendo.
La ragazza lo guardò, rivolgendogli uno sguardo che lo fece sciogliere per la profondità e per la comprensione che emanava:
- Siete in collera l’uno con l’altro.
Ma da quanto? Ricordate ancora il motivo per cui siete arrabbiato con lui o per cui lui vi ha cacciato via di casa?
Ho intravisto dai vostri occhi il profondo legame che vi lega a Blake.
Dovreste andare da lui e parlargli, una volta per tutte.
So che state attendendo che sia lui a presentarsi a voi, per scusarsi, ma non lo farà.
Forse, in determinati casi, sarebbe bene mettere da parte l’orgoglio e fare il primo passo.
Sono certa che, se andrete da lui, lui vi riaccoglierà in casa.
- Non immaginate neanche quante volte io abbia messo da parte l’orgoglio per lui…
- C’è una cosa che dovete sapere – gli disse, attirando ancor di più la sua attenzione. – Ieri, Hinedia mi ha detto che Quaglia è temporaneamente ospite a casa sua, al momento.
- Quaglia..? A casa di Hinedia?? Per quale motivo? Quaglia è sempre rimasto ospite da Blake – disse confuso.
- Me lo sono chiesta anche io.
Dalle parole di Quaglia, sembra che Blake, preso da uno stato di delirio, gli abbia letteralmente ordinato di non dormire in casa per alcune notti.
Pare voglia a tutti i costi restare da solo in quella casa, e non c’è stato verso per Quaglia di convincerlo del contrario; ci ha provato ma non ha avuto alcun successo, ed è stato costretto a fare come gli è stato detto, ad andarsene via. Per tal ragione ha chiesto momentaneamente ospitalità a casa di Hinedia e dei suoi genitori.
- Uno stato di delirio..? Che significa? – domandò padre Craig iniziando a preoccuparsi.
- Io e Blake ci siamo scambiati delle lettere nel corso delle ultime settimane.
Sentivo che qualcosa non andasse. Nell’ultima lettera che ho ricevuto da lui, mi ha detto che non avremmo potuto continuare a scriverci perché “non era più se stesso” e “non riusciva più a distinguere la realtà dall’allucinazione” – gli confessò. – Tali parole mi hanno allarmata, non ve lo nego. Una persona che pronuncia cose simili deve essere giunta ad un punto di non ritorno, alle soglie dell’irrecuperabile. Io… non posso fare nulla per aiutarlo. Neanche Quaglia può. Ma forse voi potete.
Vi conosce da più tempo, padre. E anche se non credete di significare molto per lui, sono certa vi sbagliate. Siete una persona fidata per chiunque vi stia accanto e io ne sono una prova: mi avete sempre sostenuta e aiutata, da quando ho perso la memoria, in ogni modo possibile. Forse il vostro intervento potrebbe aiutarlo a tornare in sé – terminò la ragazza, posando nuovamente lo sguardo sul giovane prete, il quale teneva gli occhi bassi. Era in evidente stato di confusione e preoccupazione, ma al tempo stesso anche combattuto.
Judith comprese che, se avesse avuto la speranza di poterlo aiutare anche solo minimamente, non si sarebbe mai tirato indietro.
- Suo padre è appena morto, sua madre è scappata, suo fratello è sparito. Oltre a ciò, i monaci gli stanno col fiato sul collo qualsiasi cosa faccia, un potente tiranno straniero lo sta cercando in lungo e in largo, e, come se non bastasse, i traumi passati del suo viaggio fuori da Bliant lo tormentano da quando è tornato. Tutto ciò è troppo persino per lui, lui che vuole far credere a tutti di essere immune e indifferente a qualsiasi cosa. Non lo è. Non lo è affatto – le spiegò padre Craig, realizzando tutto ciò egli stesso. - Andrò da lui – disse con decisione. – Tornerò a casa. Tornerò e ci resterò, anche se lui non dovesse volerlo.
Judith gli sorrise, fiera di lui. – Mi piacete così, padre.
- Tuttavia, sappiate che mi mancherete.
- Anche voi, mi mancherete. Ma ci vedremo comunque, non temete.
- Potete starne certa, mia amata Judith – le garantì, baciandole la mano con dovizia e reverenza. – Vi ringrazio. Per tutto.
- Non ringraziatemi. Spero che riuscirete primariamente ad aiutarlo e a salvarlo da se stesso, poi che vi riappacificherete con lui.
- Lo spero anche io, cara. Lo spero anche io – concluse alzandosi in piedi e dirigendosi verso le sue stanze, per mettere tutte le sue cose dentro una sacca.
Dopo qualche minuto, Judith venne raggiunta da un’ennesima “ospite”.
Il miagolio la raggiunse a metri di distanza, allietandole lo spirito.
Nellie saltò sulle sue gambe senza complimenti, iniziando a farle le fusa senza nemmeno essere accarezzata.
Judith le poggiò delicatamente una mano sul musetto, e la micia rimase in quella posizione, sotto la sua protezione.
- Sembra che dovremmo dividerci, mia piccola, dolce compagna.
Siamo rimaste solo noi due, eh?
 
Quando padre Craig raggiunse la casa che lo aveva ospitato per mesi e in cui aveva vissuto il suo cambiamento in un uomo diverso, non esitò neanche un momento prima di bussare alla porta.
Come immaginava, nessuno gli aprì. A ciò, raggiunse la finestra che dava alla cucina, la aprì ed entrò da lì.
L’abitazione appariva come disabitata.
Alcune ragnatele si annidavano sugli spigoli dei muri, il camino era pieno di cenere, il tavolo e altre superfici coperti da un lieve strato di polvere.
Varcò il soggiorno e si diresse verso il corridoio: sapeva dove trovarlo.
Aprì la porta, fortunatamente non sigillata, che portava alla fucina sotterranea, iniziando a scendere le scale.
Le sue narici vennero immediatamente invase da un odore strano, molto forte, che non aveva mai sentito, nemmeno nella fucina.
Non era metallo, non era acido, non era solo carbone.
Era un particolare odore di bruciato. Bruciato e … qualcos’altro che, per quanto si sforzasse, non riusciva a riconoscere.
Terminò di scendere la scalinata, trovando l’oggetto della sua agognata ricerca in piedi, che gli dava le spalle.
Se ne stava di fronte ad un grosso vaso nero, dal quale proveniva quell’odore insopportabile, con la fornace perennemente accesa che lo illuminava obliquamente.
- Sapevo che vi avrei trovato qui – le sue parole furono in grado di far sussultare il ragazzo, il quale, stranamente, non si era accorto della sua presenza.
Solitamente Blake aveva un udito e una recezione particolari alla vicinanza delle persone. Il fatto che non si fosse accorto che qualcuno fosse entrato indisturbato nella fucina, fece comprendere a padre Craig quanto fosse estraniato e alienato dalla realtà.
Nonostante il lieve sussulto, Blake non si girò verso di lui, continuando a dargli le spalle. - Andatevene via di qui – disse laconico.
Nessun preambolo, nessuna reazione di sorpresa, nessun “cosa ci fate qui?”; bensì una richiesta precisa, un ordine impartito.
- No. Non ho intenzione di andarmene – gli rispose padre Craig, ostentando una decisione e un’autorevolezza che non credeva di avere.
- Questo è più grande di noi due, padre. Più grande di me e più grande di voi. Fareste meglio a fare come dico se volete uscire vivo di qui.
- Trovo difficile che esista qualcosa di più grande di voi e del vostro ego.
Blake non venne toccato da quella piccola offesa, né dal suo tono pungente. - Credete sia un capriccio, un gioco?
- Credo semplicemente che l’unico in grado di farvi davvero del male, siete voi e voi soltanto. Dunque, se c’è davvero qualcosa di pericoloso qui, che dovrei temere per la mia incolumità, quel qualcosa è la vostra spericolatezza e la vostra cieca ambizione.
Blake sorrise, di un sorriso delirante e amaro che il giovane prete poté solo udire. – Credete sia solo questo. Credete sia tutto nella mia testa. Un seme della follia che posseggo solo io e che mi distruggerà, così come distruggerà quelli che mi sono accanto.
- Ora siete in voi, no? Se avete coscienza della realtà in questo momento, potete anche spiegarmi cos’è questo qualcosa che vi sta spingendo ad isolarvi per autoannientarvi – tentò il prete, ora con un tono più accomodante.
- Non so cosa sia. Ora che avete la vostra risposta, andatevene.
- Non volete sapere perché sono qui? Sono giorni che non ci vediamo, da quando voi mi avete cacciato via.
- Vi ho appena detto che quello che sta succedendo qui è più grande di me e di voi, e voi avete l’ardire di chiedermi se voglio sapere perché siete qui? – gli domandò il ragazzo, la rabbia repressa dentro la voce. Si voltò finalmente a guardarlo, donandogli la visione tanto mancata del suo viso.
Disgraziatamente, come ogni volta, padre Craig lo trovò più bello che mai.
Come potesse esserlo così tanto, seppur con il seme del delirio e dell’insania che gli brillava negli occhi, padre Craig non seppe spiegarselo.
Aveva l’aspetto di una divinità in cattività, esiliata, allucinata e perduta, nelle ombre della propria mente corrotta e nella dannazione.
Blake girò intorno all’enorme recipiente che emetteva fumo nero, fin quando questo non fu tra di loro.
- Mi sono raccomandato con Quaglia di non mettere piede qui dentro per almeno tre giorni, per nessun motivo al mondo.
Vi ho cacciato di casa, siete stato lontano per giorni, acquietandovi nella vostra quotidianità con Judith.
Per quale motivo, proprio oggi, il giorno meno adatto, avete deciso di manifestare la vostra presenza qui? – gli domandò inviperito, bucandogli lo sguardo con i suoi occhi.
- Perché voglio parlarvi.
- Vi sembra il momento?
- Se avessi aspettato ancora, non avrei più potuto farlo, considerando ciò che state facendo qui questa notte. Avete intenzione di uccidervi, Blake?
A ciò, il ragazzo fece una mossa che il giovane prete non si sarebbe mai aspettato.
Tirò fuori un elegante pugnale affilato dal bordo dei pantaloni, e lo alzò, puntandoglielo contro, a distanza.
La lunga linea del braccio teso e perpendicolare sembrava un tutt’uno con l’arma che impugnava.
- Andatevene via di qui – gli ripeté.
- Altrimenti cosa farete? – gli domandò il prete, cercando di far risultare la propria voce ferma. – Mi ucciderete? Questo non siete voi.
- Oh, posso garantirvi che sono proprio io, invece – rispose Blake, rinforzando la presa sul pugnale. - Andatevene.
- Perché? Perché devo andarmene?
- Perché, se resterete qui, potreste morire.
- Potreste morire anche voi.
- Di me non mi importa. Di voi sì.
Il cuore del giovane prete si scaldò oltremodo in seguito a quelle parole che uscirono con tanta naturalezza dalle labbra serafiche del ragazzo.
- Per questo avete vietato a Quaglia di mettere piede in casa? Per proteggerlo da quello che avreste fatto stanotte? – dedusse padre Craig. – Cosa state facendo, Blake? Ditemelo. A cosa appartiene questo odore soffocante?
- È la polvere nera – gli rivelò il ragazzo.
- La… la polvere nera…? – balbettò padre Craig, sconcertato. – Ne avete scoperto la formula…? Non posso crederci..
- Credo sappiate già quanto sia catastroficamente pericolosa, e quanto sia rischioso usarla.
Sto affinando le mie tecniche. Sto scoprendo come usarla per fare del bene.
- Blake, è troppo pericoloso. Bisogna essere lucidi per maneggiare armi di tale portata… potrebbe saltare in aria l’intera casa!
- Non osate dire altro.
Sono a conoscenza dei pericoli che corro. Se dovesse disgraziatamente accadere qualche incidente imprevisto, sarei solo io a rimetterci la vita, dentro questa casa vuota.
Sapete già che non vi ascolterò, perciò ve lo domando una volta sola: per quale motivo siete ancora qui?
- Per quale oscura ragione parlate in modo tanto sconsiderato e superficiale della vostra stessa vita??
- Parlate come se non mi conosceste. Ho mai fatto diversamente?
- Rispondete alla domanda.
- Non lo so! Ed ora andate via di qui!
- “Non lo so” non è una risposta! Vi disgusta così tanto continuare a vivere??
- Tanto sono morto ugualmente!
- Cosa…? – chiese spiegazioni padre Craig, incredulo, avvicinandosi di qualche passo nonostante l’odore paralizzante della polvere nera nell’enorme recipiente in mezzo a loro.
- Sono morto in ogni caso! – ripeté il ragazzo, ridendo disilluso, privo di qualsivoglia istinto di sopravvivenza.
- Perché dite così?
- Me lo hanno detto. Tante, innumerevoli volte. Ormai è inciso nella mia mente, so che accadrà, in un modo o nell’altro.
- Non accadrà se mostrerete un minimo di spirito di autoconservazione e permetterete agli altri di aiutarvi! Se vi affidaste minimamente anche al vostro Signore, forse persino lui vi aiuterà! Il Creatore mi ha sempre aiutato nei momenti di difficoltà, sono certo che anche il Diavolo lo farebbe, se confidaste nel suo potere.
- Oh, con che coraggio! – esclamò il ragazzo, ostentando un sorriso astioso e stralunato che agghiacciò il prete. Inclinò il busto in avanti e si aggrappò con le mani ai bordi del recipiente, per farsi leva e sporgersi lievemente. - Il “fedelissimo” servo di Dio, votato a lui, che aiuta i bisognosi e non pecca in nulla. La sua anima è immacolata dinnanzi al Creatore che tanto venera!
Vi ho visto alla Festa di Beltane, sapete?
Per quel poco che sono riuscito a restare in me, mi è parso foste in compagnia di diverse bellissime donne.
Tali parole fecero impietrire il giovane prete, il quale realizzò immediatamente:
C’eravate anche voi alla Festa di Beltane.
Vi ho cercato, e ho creduto che non foste lì.
Invece eravate nello stesso luogo in cui ero io. Ma io, come uno stolto, non vi ho visto.
Quella notte… vi siete lasciato toccare e saggiare dai piaceri della carne come ho fatto io?
Lo avete fatto a distanza ravvicinata da me forse?
Ma io… io come ho fatto a non vedervi?
Io che vi guardo sempre e ovunque, in qualsiasi luogo siate.
- Quello è stato un errore – si giustificò, con voce rotta e incerta.
- Oh, certo, un errore, immagino.
Osate dare lezioni di fede a me, quando voi siete il primo ad avere un rapporto funesto e tormentato con il vostro dio.
Io non ho nulla in cui credere e nessuno a cui rendere conto, a differenza vostra.
Fareste bene a tenerlo a mente sempre, d’ora in avanti, padre.
- Voi cosa avete fatto a Beltane? – quella domanda gli era uscita dalle labbra senza che potesse controllarla, nonostante sapesse di non avere alcun diritto di chiederglielo.
- Volete sapere cosa ho fatto io, quella notte? – ripeté la domanda il ragazzo, facendogli bruciare ancor di più sottopelle l’ardente desiderio di scoprire chi lo avesse toccato, e come. – Le ho viste. Le ho sentite. Mi sono entrate nella mente e non sono più uscite. Ho subìto il tormento di uno stato di irrealtà per l’intera nottata. Non ho fatto, non ho visto, non ho udito quasi niente, se non lievi sprazzi di ciò che era intorno a me – gli rispose il ragazzo, fuori di sé, inquieto e inquietato, agghiacciato al solo ricordo.
- Avete avuto delle visioni anche quella notte…? – domandò padre Craig incredulo. – Blake, ascoltatemi. Siete vittima di un terribile avvelenamento da mercurio. In voi non c’è nulla che non va. Dobbiamo solo trovare un modo per disintossicarvi e guarirete…
- Come fate ad essere così ingenuo? Dopo tutto questo tempo??
- Avete bisogno di aiuto.
- Io non ho bisogno di niente.
- Per quanto strenuamente lo ripeterete, non riuscirete mai ad autoconvincervene, né a convincere me! Avete bisogno dell’affetto di vostro fratello, avete bisogno dell’amore di Judith, avete bisogno della fratellanza di Quaglia, della comprensione di Hinedia. Avete bisogno della mia amicizia.
Avevate bisogno anche della solidarietà di vostro padre, ma non lo ammetterete mai e poi mai – ebbe il coraggio di dirgli. – So quanto vogliate scavare, creare, scoprire ciò che non è lecito scoprire, spingervi oltre i limiti della conoscenza e comprensione umana. Ma quello che state facendo questa notte deve essere fermato.
- Come credete di riuscire a fermarmi, padre? – lo sfidò, diabolico, nonostante le parole di poco prima non lo avessero lasciato del tutto indifferente.
- Dovrò chiamare qualcuno – rispose incerto, provocando le risa del ragazzo.
- E chi vorreste mai chiamare?? Vi ho già detto di andare via di qui. Per quale motivo non volete ascoltarmi??
- Perché i vostri tentativi di ottenere ciò che non potete ottenere sono tutti inutili e dannosi! Vi porteranno alla rovina! Siete un’anima senza pace, Blake! Per quale dannato motivo non volete nemmeno tentare di smettere di fare tutto questo?!
- Non posso smettere e non voglio farlo!! – esclamò, bloccandosi immediatamente e cambiando espressione. A guardarlo dall’esterno, sembrò che qualcosa o qualcuno gli fosse appena entrato nella testa.
Padre Craig lo osservò, allarmato. Si rese conto che Blake non lo vedeva, che non riusciva a vedere più niente di ciò che lo circondava, nonostante avesse gli occhi aperti.
Padre Craig lo richiamò, senza successo.
Blake si infilò le mani tra i capelli e se li strinse, emettendo una smorfia contorta, di dolore misto a orrore.
- Non so come aiutarvi… io non so come aiutarvi! – esclamò il prete in preda al panico e, improvvisamente, gli tornarono alla mente le tremende immagini del suo incubo di qualche settimana prima, immagini in cui Blake veniva legato, esorcizzato e torturato esattamente come era stato fatto a Leah.
Si avvicinò finalmente a lui, annullando i metri di distanza che li dividevano, incurante della reazione del ragazzo: in ogni caso, nello stato in cui era, non poteva né vederlo né udirlo.
Era come fosse in un’altra dimensione, al di là del mondo terreno, impegnato a vedere cose che nessuno riusciva a vedere oltre lui.
Padre Craig gli prese i polsi tra le mani con delicatezza, carezzandoglieli col pollice, come avrebbe fatto con un bambino.
- Per favore… torna da me.
Torna da me – lo pregò, sull’orlo delle lacrime.
- Non puoi farmi questo – continuò, ogni parola che gli usciva dalle labbra era come un macigno in meno da portare sulle spalle. – Io ti amo – lo aveva detto ad alta voce. Per la prima volta in vita sua. Si lasciò andare, liberandosi di quel peso insostenibile, abbassando ogni difesa. – Ti amo. Ti amo e sempre ti amerò. E se tu dovessi sparire dalla faccia di questa terra… io non saprei più come continuare a vivere.
Non mi sente.
Non mi vede.
Non mi sente e non mi vede.
Se solo riuscisse ad udirmi… mi odierebbe, mi rinnegherebbe e mi ordinerebbe di stargli il più lontano possibile.
Ma lui non mi vede e non mi sente.
Si accorse di stargli stringendo i polsi troppo forte e di avere il volto completamente rigato dalle lacrime solo quando una terza voce fece il suo ingresso, ridestandolo con stupore:
- Allontanatevi, padre.
Avete fatto tutto quello che avete potuto.
Il vostro intervento qui non è più richiesto.
Lasciatelo nelle mie mani ora – quella voce conosciuta, così insolitamente premurosa, eppure autoritaria, lo spinse a voltarsi verso di lei, individuando la sua sagoma, dritta e apparentemente impassibile, in piedi accanto alla scalinata.
- Myriam…? Cosa ci fate qui? – le domandò, guardandola come si guarda l’arrivo di un angelo.
Non gli importava minimamente se lei avesse udito la sua dichiarazione d’amore inascoltata. Nulla di tutto ciò importava.
La sua priorità, al momento, era solo l’incolumità di Blake. Sapeva, sentiva che Myriam poteva aiutarlo.
La strega si avvicinò, non smettendo mai di guardare il ragazzo verso cui nutriva un affetto senza pari, immenso quanto era immenso il cielo e il mare, padre Craig glielo lesse negli occhi, profondi, scuri e materni. Il prete si fece da parte, allontanandosi e permettendo a lei di avvicinarglisi al suo posto.
- Blake, mio caro – lo richiamò lei, con estrema calma e gentilezza, ogni sua parola rilasciava amore incontaminato. – Mi hai chiesto di farmi da parte. Di restare fuori da ogni questione ti riguardasse. E io l’ho fatto. Con difficoltà, ma l’ho fatto, rispettando la tua richiesta, non intervenendo né avvicinandomi a te. Ma ora è il momento di infrangere questa tacita promessa: sei giunto sul bordo di un dirupo, caro. Un altro passo falso… sancirà la fine. Non posso restare a guardare, lo comprendi?
Sembrò che la magia di Myriam avesse sortito qualche effetto, in quanto il ragazzo parve udire le parole di lei, e ritirarsi indietro di conseguenza. Indietreggiò, mentre Myriam continuava ad avanzare adagio verso di lui.
- Vattene… - sibilò Blake, sentendola avvicinarsi, ma non vedendola pienamente. Ebbe la lucidità di tirare nuovamente fuori il pugnale e di puntarglielo contro con decisione.
La punta affilatissima dell’arma toccò il petto di Myriam, la quale rimase immobile e non mostrò alcuna esitazione, né alcun segno di paura.
- Hai già attirato sin troppo l’attenzione dei monaci. Ti stanno col fiato sul collo, Blake, da un po’. Se continuerai così la situazione si farà seria, e neanche la mia influenza, né quella di Judith, serviranno a salvarti – lo ammonì con calma e decisione.
- Vattene! – urlò lui, continuando a mantenere il braccio ben teso e l’arma puntata su di lei.
- Mio amato bambino.. cosa ti affligge? Dillo a me, e ti prometto che ogni tua pena svanirà nel nulla così come è apparsa.
- Non c’è nulla che mi affligge – lo disse guardandola negli occhi, la lucidità era tornata in lui, chissà per quanto.
- Io sono uno dei molteplici motivi per cui sei afflitto e adirato. Puoi confessarlo.
- Pensi di contare ancora qualcosa per me? Un tempo, sicuramente. Ora non sento niente nei tuoi confronti.
La freddezza con cui lo disse, scandendo bene ogni parola, fu talmente definitiva e tagliente, che lasciò padre Craig allibito. Provò pena per Myriam.
Ma questa sembrò nascondere bene il modo in cui quelle parole la afflissero. – Perché mi odi? – gli domandò schietta.
- Io non ti odio, Myriam.
Io non voglio niente da te.
Voglio che mi lasci in pace. Voglio che ognuno di voi mi lasci in pace, dimenticandosi di me.
Voglio che i monaci si dimentichino di me, voglio che quel maledetto conte si dimentichi di me.
Vorrei che il Giudice non mi avesse fatto quello che mi ha fatto. E nonostante tutto, vorrei non sentirmi così in colpa per averlo mutilato e ridotto in fin di vita.
Vorrei che Ephram e Selma non si fossero uniti a me.
Vorrei che Judith non mi avesse chiesto di stringere un accordo con lei. Vorrei non averle mentito, fingendomi uno sconosciuto.
Vorrei non aver mai scoperto della polvere nera, vorrei non aver provocato la perdita di memoria di un uomo, strappandolo via alla sua vita.
Vorrei che mio fratello fosse nato sano e in salute, vorrei non essere il figlio di mia madre, vorrei che mio padre… - si bloccò con voce strozzata, un nodo alla gola gli impedì di continuare.
- Vorresti che tuo padre…? – lo incoraggiò Myriam.
- Vorrei che mio padre non fosse uscito di casa quella notte. Vorrei che fosse rimasto accanto alla sua famiglia, per una volta. Vorrei che fosse ancora qui.
E voi… - concluse il ragazzo, voltando lo sguardo verso padre Craig questa volta, a distanza, facendolo paralizzare. – Vorrei riuscire a mostrarvi il rispetto che meritate e desiderate da me. Vorrei essere in grado di non allontanarvi da me ogni volta che vi avvicinate, senza sentire l’esigenza di spingervi a tornare da dove siete venuto. Vorrei credervi capace di vivere in questo inferno. Ma non lo siete. Siete troppo buono per Bliaint. E lo siete anche per me. Vorrei non fuggire da voi, ma non ci riesco.
Padre Craig si ritrovò a bocca aperta, senza parole, né voce, né respiro.
- Alcune di queste cose non si possono cambiare… – intervenne nuovamente Myriam, riportando la sua attenzione su di lei, mentre afferrava la lama puntatale contro e la abbassava adagio, riprendendo ad avvicinarsi. – Altre sì, Blake. O, almeno, puoi provarci.
- Credi non ci abbia già provato...? – la sua voce era dolorosa da sentire. – Io non sento più niente. Non sento niente da quando… - il ragazzo si bloccò ancora, tornando nello stato di trance di poco prima, isolato nella propria mente.
- Padre Craig, andatevene subito di qui – gli ordinò a gran voce Myriam, continuando a tenere gli occhi sul ragazzo.
Il prete, ancora non ripresosi dalle parole udite poco prima, fece fatica a metabolizzare.
- Non capisco… - le rispose.
- Andatevene immediatamente.
Stava facendo esperimenti con la polvere nera, questo posto sta diventando pericoloso! Non voglio avere anche la vostra morte sulla coscienza nel caso accadesse qualcosa!
Blake è vittima di un grave avvelenamento da mercurio e forse anche da qualcos’altro.
Lo guarirò, ma mi serve tutta la forza e la concentrazione che riesco ad ottenere!
Ora uscite subito!
Padre Craig si fidò di lei senza remore e fece subito come gli era stato detto, uscendo dalla fucina e lasciandoli soli.
Blake fece aderire la schiena al muro e ci si addossò, come se volesse diventare un tutt’uno con la parete, pur di non avvicinarsi a lei, nonostante le allucinazioni avessero oramai preso il sopravvento nella sua mente.
Myriam cercò di riportarlo alla realtà con il suo potere, riuscendoci in parte. – Blake, ascoltami. Devi collaborare o sarà immensamente doloroso per entrambi: per me, che ti guarderò soffrire, e per te che attraverserai pene mai attraversate prima – si raccomandò lei afferrandogli le mani con forza, nonostante lui provasse a ribellarsi alla sua presa.
- No! – iniziò a delirare. – No, non farlo!!
- Blake!
- Non usare su di me la tua maledetta magia, strega!  Ti ho già proibito di farlo!
- Non posso fare altrimenti!
- Tu mi farai dimenticare tutto quello che so, mi farai diventare qualcuno che non sono!
- No, non farò niente di tutto questo, te lo prometto! Non ti toglierò nulla dalla testa, rimarrai te stesso!
- No!! Bugiarda!! Sei una bugiarda!! Non infilare le mani nella mia mente! Sta’ lontana da me!!
Oramai era fuori controllo e doveva fare in fretta.
Non immaginava che la situazione fosse tanto grave.
Myriam, con tutta la forza che aveva in corpo, potenziata anche dalla magia, gli afferrò le braccia e lo attirò a sé, nonostante il ragazzo fosse più alto e prestante di lei.
Egli continuò a fare resistenza, ma non poté nulla contro la sua magia.
- Myriam, no!! Ti prego!! Ti prego, non farlo!! – quando iniziò persino a supplicarla, qualcosa che il ragazzo non aveva mai fatto in vita sua con nessuno, Myriam tentennò per un attimo, distrutta mentalmente e fisicamente. Quello che aveva davanti non era lui, eppure lo era in una maniera contorta e sbagliata.
Poi, in un momento di incontrollata furia, il ragazzo urlò qualcosa che la agghiacciò:
- Se lo farai non avrò più niente, non crederò più in niente, non sarò più niente!! Sarò morto anche se non lo sarò! E allora sarai tu a dovermi dire quando il mio respiro si fermerà!!
Doveva agire, e in fretta.
Sapeva sarebbe stato il rito più difficile di tutta la sua vita, tanto che non era affatto certa sarebbe riuscita a portarlo a termine incolume.
Se fosse morta nel tentativo di guarire colui che amava come un figlio, non le sarebbe importato, purché lui fosse salvo.
Si inginocchiò a terra e trascinò anche lui con lei.
Chiese al Signore la forza necessaria per compiere ciò che andava compiuto, poi gli prese la testa tra le mani e iniziò ad esercitare tutta la magia che aveva in corpo, evocando uno dei più potenti incantesimi che aveva appreso negli ultimi tempi.
- NO!!! No, no, no, no, no!!! – gridò lui, completamente fuori di sé, mentre tentava di ribellarsi, di allontanarsi e di sfuggire alle mani della strega, inutilmente.
Iniziò a ribellarsi come un dannato tra le fiamme più profonde dell’inferno, rendendo il compito quasi impossibile a Myriam, la quale pianse lacrime amare, mentre continuava il suo operato.
L’ultima volta che aveva pianto, la strega non la ricordava neanche.
Gli stava entrando nella testa, esattamente come aveva detto, cercando di cacciare via quell’infezione tossica, insieme a tutto il buio e al male che lo stava affliggendo e lo aveva reso delirante come un diavolo inviperito.
Quel veleno si era impigliato ai suoi traumi, alle sue più celate paure, alle sue volontà e ambizioni, alle sue credenze ed emozioni, diventando un tutt’uno con esse.
Ma Myriam iniziò a credere che nulla di ciò che stava facendo avrebbe funzionato, dal momento che il ragazzo soffriva, scalpitava e urlava tra le sue braccia talmente forte che se, disgraziatamente, qualcuno fosse passato nel retro dell’abitazione e lo avesse udito, avrebbe creduto che qualcuno lo stesso torturando nel peggiore dei modi.
E forse era davvero così.
La voce del ragazzo, per quanto resistente, non riuscì a sopportare l’intenso sforzo vocale, tanto che divenne gracchiante e rauca.
Lo vide piangere fiumi di lacrime per il dolore mentre urlava, nell’incoscienza, lui che non piangeva mai esattamente come lei.
Myriam si era quasi dimenticata di quanta energia avesse in corpo quel ragazzo, e ne prese ben consapevolezza nel momento in cui egli riuscì a sfuggirle nonostante la potente magia che gli impediva i movimenti e gli immobilizzava il corpo: Blake scosse la testa con violenza inaudita, le artigliò i polsi e li allontanò dalla propria testa, per poi morderle con forza le dita, facendole emettere un maltrattenuto verso di dolore; poi strisciò via, non riuscendo comunque a rimettersi in piedi a causa del dolore atroce che ancora provava alla testa e che gli pietrificava le membra.  
Cercò di sfuggirle in ogni modo, come avrebbe fatto una qualsiasi belva selvaggia incatenata e maltrattata.
Esercitare una tale violenza, essere costretta ad usare in tal modo la sua potente magia su di lui, forzandolo contro la sua volontà, la stava distruggendo interiormente, fino a lasciarla senza forze.
Ma perseverò, perché doveva, e perché, se non lo avesse fatto, sarebbero morti entrambi lì dentro molto probabilmente.
Raccolse tutte le energie necessarie per tenerlo a bada, chiedendo nuovamente aiuto al suo Signore, invocando anche il potere delle prime e più antiche streghe.
 Lo raggiunse nuovamente nonostante i tentativi di lui di scappare, e tornò in contatto con la sua mente, riprendendo il rituale.
Quando il dolore raggiunse una soglia troppo alta di sopportazione per Blake, questo smise di urlare e di ribellarsi, divenendo un burattino nelle sapienti mani della donna, al pari di un vegetale; tanto che Myriam iniziò a temere di essere andata troppo oltre.
Non era saggio maneggiare la mente di un essere umano.
Era un gioco pericoloso e proibito, in tutti i libri di magia che aveva letto, condannato al pari dei rituali di resurrezione.
Non lo aveva mai fatto prima, ma la sua forza di volontà e la sua abilità nelle arti magiche le permisero di compiere quel miracolo e di maneggiare la mente del ragazzo come fosse creta tra le sue mani, con un solo tocco.
Quando riuscì ad assorbire e a distruggere tutto il buio, il male e il veleno che lo infettava, era notte fonda.
Blake le svenne tra le braccia, come un corpo morto; e lei, come la madre doviziosa e devota che era sempre stata con lui, lo sdraiò e lo resse a sé, nonostante la stanchezza e l’assenza di forze.
Il suo compito era stato portato a termine.
 
Quando il ragazzo riaprì gli occhi, la fornace era spenta e il sole era già alto in cielo, e filtrava dalla finestrella in cima alla fucina.
Si era accorto che non era stato lasciato solo, neanche per un istante, quella notte.
La sua testa doleva terribilmente, reduce dell’atroce rito subìto qualche ora prima, svuotata di qualsiasi cosa. Tuttavia, sentiva di essere ancora se stesso.
Un tocco, una mano dolcissima, gli carezzava la tempia e i capelli ripetutamente, spostando delicatamente le ciocche ingombranti.
Si rese conto di essere sdraiato a terra, la sua testa era adagiata sulle gambe piegate e inginocchiate di Myriam, la quale aveva vegliato su di lui fino al suo risveglio.
Alzò gli occhi verso l’alto, sopra di sé, e notò il bel volto di lei, al contrario, che lo osservava a sua volta, intonando una leggera litania a bocca chiusa.
La morbida pelle scura del volto della strega era rigata di lacrime fresche. Gli occhi scuri erano estremamente stanchi, ma anche sollevati, ricolmi di un amore spaventoso, e profondi come un pozzo senza fine.
- Le tue labbra hanno cominciato a diventare blu – esordì la donna con voce calma, continuando a carezzargli la tempia e la guancia, guardandolo dall’alto. – Non ti muovevi. Sembrava non respirassi neppure. Ho iniziato a credere di…
- Di avermi ucciso? – la voce solitamente calda e limpida del ragazzo, uscì fuori sottoforma di gracchio roco, e la causa non era imputabile solamente al fatto che fosse appena sveglio, lo sapeva bene: non ricordava quasi nulla di quei tremendi momenti di delirio, in cui la strega gli era entrata nella testa, provocandogli una sofferenza continua, implacabile e necessaria; tuttavia, sapeva di aver urlato di dolore, inumanamente, fino a sgolarsi.
- Hai dovuto farlo – continuò Blake, nonostante la poca voce. Lo riconobbe, glielo concesse, ringraziandola implicitamente, e non appena lo disse, vide il volto di Myriam rilassarsi visibilmente.  
- Se senti un forte dolore alla testa è del tutto normale. Passerà in poche ore – lo informò lei. – Non ero sicura sarebbe andato tutto bene. Non lo ero affatto.
- Invece ce l’hai fatta.
- Sì. Ma non ti farò mai più una cosa del genere, Blake. Non mettermi mai più nella condizione di doverti fare una cosa simile. Puoi promettermelo…?
La sua era una supplica, affatto celata.
Il ragazzo annuì, non distogliendo mai gli occhi da quelli di lei.
Percepì tutto l’amore che gli stava trasmettendo, tramite le carezze, tramite i suoi occhi, tramite il suo sguardo e semplicemente il suo tocco.
Si domandò come avesse fatto, a fare a meno di quell’amore, quand’era bambino, e gli era stato strappato via all’improvviso.
- Non ti chiederò più di farti da parte, né ti allontanerò da me – le promise, e lei gli sorrise in risposta, sollevata.
- C’è una cosa che devo sapere, Even: ultimamente, ti è capitato di tossire con frequenza una sostanza nera e densa?
- Sì.
- E non hai detto nulla a nessuno, a riguardo?
- No.
- Anche i tuoi polmoni erano infetti, non solo la tua mente. La magia mi ha permesso di vederlo. Quella sostanza, frutto di tutti gli esperimenti fatti e dell’aria velenosa che hai respirato con costanza, ti avrebbe infestato il respiro fino a lasciartene totalmente privo. Se non me ne fossi accorta io… molto probabilmente, ti avrebbe ucciso in poco tempo.
- Sei riuscita ad assorbire anche quella?
- Sì, per la maggior parte. D’ora in poi, la tosse non dovrebbe più darti fastidio.
Tuttavia… su qualcosa avevi ragione: la magia non è infallibile, devo dartene atto.
Per ciò che riguarda il corpo, i malanni fisici e carnali... la magia non può tutto. Motivo per cui devi mostrare attenzione e devi parlarmene, nel caso in futuro dovessi manifestare qualche strano sintomo; oppure parlarne al medico del villaggio.
Lui annuì, socchiudendo gli occhi e godendosi le gentili carezze che continuavano ad allietarlo e ad illuderlo che il dolore alla testa si stesse alleviando.
- Da bambino mi addormentavi così – sussurrò dopo un po’.
- Lo rimembri?
- Rimembro tutto, Myriam. Amavo quando aspettavi che mi addormentassi, accanto a me.
- Talvolta… nel dormiveglia, mi chiamavi “mamma”, senza renderti conto che fossi io a stringerti e non lei .. – ricordò ella con nostalgia.
- Sapevo benissimo fossi tu – le rivelò lui riaprendo gli occhi all’improvviso, sentendola irrigidirsi per lo stupore.
- Lo sapevi…? – sibilò lei, con voce rotta dall’emozione.
- Certo.
- E mi chiamavi comunque “mamma”?
- Lo sei sempre stata per me. E sempre lo sarai – le garantì, vedendo i suoi occhi divenire lucidi nuovamente.
- Grazie. Per avermelo detto.
- Grazie a te, Myriam. Per tutto.
- Credo che padre Craig sia al piano di sopra, ad aspettarti. Ho la sensazione sia rimasto di sopra tutta la notte ad aspettarti. Dovresti andare da lui.
- Lo farò. E tu dovresti andare a riposare.
- Lo farò.
- C’è un’ultima cosa, Myriam – le disse, mantenendo la calma irreale che avevano assunto le loro voci in quel momento sospeso nel tempo; mentre le poggiava un palmo sulla mano che gli stava ancora carezzando premurosamente il viso, fermandola. – So bene quanto potere tu abbia acquisito ultimamente, da quando hai preso i voti in quanto monaca del Diavolo. So bene quanto tu abbia rischiato per me questa notte. Tuttavia… c’è una richiesta che devo farti.
- Considerala già realizzata.
- Con la tua influenza, devi convincere i monaci che mia madre sia innocente – le disse, vedendola impietrire. – Fallo in qualsiasi modo tu preferisca, non mi importa. So che la odi. So quanto tu la voglia morta. Ma ho bisogno che mia madre e mio fratello tornino a casa, Myriam. Ti chiedo di fare solo questo. Ti chiedo di farlo per me – concluse, stringendole la mano.
Dopo qualche istante di silenzio, Myriam rispose: - Lo farò per te. Non posso e non potrò mai sottrarmi alle tue richieste, lo sai.
A ciò, egli le regalò il primo splendido sorriso, dopo mesi.
- Even – lo richiamò lei dopo alcuni attimi.
- Sì?
- Vuoi davvero che io ti dimentichi? – il suo tono era fermo ma il suo animo tremava. Blake riuscì a sentirlo.
Si odiò per averle detto una cosa simile.
- No. Non lo vorrei mai – le disse, rincuorandola ancora una volta.
Myriam abbassò il volto sul suo e lo salutò come era abituata a fare quando era bambino: poggiò la bocca sulla sua e gli lasciò un bacio a fior di labbra.
Dopo di che, si alzò e uscì dalla fucina.
 
 
 
   
 
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