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Autore: Cress Morlet    14/09/2022    10 recensioni
[Sandor/Sansa] AU Wonderland
“La Regina vuole la tua testa.”
Lo disse senza adornare il comando con merletti zuccherati e centrini di pizzo. Non meritava abbellimenti un ordine crudele che gli era stato gettato sulla guancia sfregiata con sadismo e spietato godimento. Era un imperativo che lui era stato costretto a sputare dalla sua bocca, simile ad un rimasuglio di cicuta gocciolante tra i denti. Sporco, contrito e con lo sterno dolorosamente in affanno. Si era reso conto troppo tardi che insieme al fiele era scivolato giù anche un brandello nerastro del suo cuore.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Margaery Tyrell, Sandor Clegane, Sansa Stark, Tyrion Lannister
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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NESCIO, SED FIERI SENTIO ET EXCRUCIOR

“La Regina vuole la tua testa.”
Lo disse senza adornare il comando con merletti zuccherati e centrini di pizzo. Non meritava abbellimenti un ordine crudele che gli era stato gettato sulla guancia sfregiata con sadismo e spietato godimento. Era un imperativo che lui era stato costretto a sputare dalla sua bocca, simile ad un rimasuglio di cicuta gocciolante tra i denti. Sporco, contrito e con lo sterno dolorosamente in affanno. Si era reso conto troppo tardi che insieme al fiele era scivolato giù anche un brandello nerastro del suo cuore.
Il suo sguardo era crollato verso il basso solo in seguito al silenzio con cui era stato accolto. Tutto concentrato ad osservare le espressioni del viso della bambina Stark non si era reso conto che non gli aveva risposto - la bambina impazzita a causa del dolore e delle angherie.
Troppo bella nei suoi gesti. Corrosiva nel modo in cui versava gocce di tè in tante tazze sbeccate. Ognuna era stata rotta nello stesso punto e nel medesimo modo - un gioco malevolo in cui era stata imprigionata dalle mani del figlio della Regina.
Lui era stato costretto ad assistere senza poter compiere un passo indietro. Fermo lì - e lei seduta su una sedia logora e con le vesti strappate, i suoi capelli sciolti e così malamente afferrati e strattonati dai pugni dell’abominevole mostro.
Non aveva mai realmente compreso quanto potesse essere senza limiti il dolore.
Bevi il tè. Sansa, bevi il tè con il tuo nasino. Non mi ami abbastanza da farlo?
“La tua testa sarà posizionata vicino a quella di tuo padre.”
Quanta sofferenza il suo corpo era in grado di contenere e non lasciar cadere via, in tanti pezzi minuscoli.
Bevi il tè. Sansa. Mi ami?
“Vicino a quella di tutti i tuoi fratelli. Vicino a quella di tua sorella.”
Io amo il mio Re con tutto il mio cuore.
La sua fronte che sfiorava il tavolo e le narici immerse con forza dentro una piccola tazza di tè caldo. La Regina madre era sempre tanto contenta di guardarla mentre scalciava e si scorticava le mani contro le schegge del legno. Il bambino sempre immensamente divertito dalla disperazione della sua vittima. Con le guance violacee a causa delle troppe risate, l'unica cosa che gli impediva di crollare era immaginarlo in grado di strozzarsi da solo e morire tra atroci sofferenze - ma sempre con un dito puntato contro Sansa.
Lei nelle vesti della causa di ogni male. Orrore incarnato nelle sembianze di una ragazzina con la pelle color perla e i capelli fiamme di stelle incandescenti.
Relegata con dei pazzi in una stanza rettangolare. Pochi metri arredati con un lungo tavolo pieno di vene colorate e decine di sedie sbilenche. Centrotavola di pizzo e nastri rossi ai pomelli delle porte dorate. Destinata a mangiare dolci e bere tè in ogni momento della giornata - soltanto zucchero filato da adagiare, come bende, sulle croste delle sue piaghe oscenamente aperte.
Pensava al modo in cui il sangue era colato sulle sue vesti o come si era asciugato sulle sue guance e sciolto tra i suoi capelli. Come se piangesse sempre lacrime rossastre. Era capitato anche che lo avesse sputato e che avesse sorriso con i denti decorati da strisce scure.
Spesso si era fermata ad osservarlo e lui si era aggrappato alla sua spada pur di trattenersi dal compiere qualcosa di pazzo.
Siamo tutti matti qui.
Sansa gli aveva rivolto una risata roca e così si era reso conto di aver già perso.
Matto anche lui. Perse tutte le rotelle.
Io ho perso. Ho perso tutto e come è potuto accadere? Quando? Chi è stato?
Quella stupida bambina. Non desidero che lei soffra. E non voglio che le facciano ancora del male. Che muoiano. Chiunque l’abbia toccata, che muoia per mano mia.
“Hai capito? Mi stai ascoltando?”
Continuava a non guardarlo. Ostentava le spalle nude tappezzate di cicatrici e lo incastrava tra quelle ragnatele fino a fargli ingoiare il suo respiro. Gli occludeva il naso con polvere e fumo. Lasciava che dei ragni gli stringessero lo sterno con fili d’argento e ciocche di promesse infrante.
Stupida bambina.
Nel suo corpo il dolore aveva sempre gorgogliato in un pozzo nero pece. I suoi continui tentativi di salvezza si erano basati sul dimenticare. Aveva preteso che rimanesse intatta soltanto una cocente rabbia con cui trascorrere la sua egoistica solitudine. Non aveva fatto altro se non schiacciato i rammarichi in dei gusci di noci chiuse a chiave, sotterrate sotto un campo di battaglia polveroso. Senza sapere - stupido stolto di un cane - che in quei campi le ossa piangevano cocenti lacrime di vergogna e che i loro laghi creavano vene nel terreno da cui sbucavano tutti gli scrigni.
Era sempre stato sconfitto. Molti dei suoi incubi erano ritornati in superficie durante le notti di veglia o le albe assonnate. Poche parole e una strana ansia racchiusa al centro del suo addome e così la cute straziata del suo volto all’improvviso si spalancava e lo inghiottiva al suo interno. Come nel suo eterno passato - sempre presente - soltanto i ceppi ardenti e le mani di suo fratello erano stati in grado di fare. Era bastato poco. E poi era bastata lei.
Lei lo aveva spezzato tutto.
Pezzo dopo pezzo gli aveva strappato ogni sua resistenza e lo aveva lasciato da solo con un rigurgito di sentimenti di cui non sapeva cosa farsene. Lo stava ancora soffocando. Lei. La stupida ragazzina folle tanto innamorata del suo Re.
“È buffo. Buffo buffissimo.”
Sansa era intenta a rigirarsi tra le sue dita una foglia d’acero. Contava con i polpastrelli ogni punta scheggiata. Sorrideva estatica tra le evanescenti volute di fumo del Brucaliffo. Era simile ad una falena bruciacchiata dalle code delle stelle appena nate. Bellissima.
“Che cosa, uccelletto?”
Sorrideva con i denti bianco perla. I suoi occhi di porcellana brillavano.
Bella.
“La foglia. Mi ricorda il tuo viso.”
E subito dopo la strinse creando dei coriandoli nel suo palmo. Piano piano Sansa ne lasciò cadere dei pezzi nel suo tè.
Oh. Come era capace lei di distruggerlo. Di destrutturare ogni sua parte.
Il suo cuore ero grondo di terra con orologi bloccati sempre allo stesso orario. La morte.

“Temo di essere definitivamente impazzita.”
Gli faceva male il cuore.
Stupida lei.
Stupido lui.
Fanculo gli ordini. Fanculo il Re.
Desiderava scuoterla e fece un passo verso di lei. Desiderava stringerle forte le braccia e sollevarla da terra chiedendole perché.
Perché fai questo, smettila. Smettila adesso.
Così fece un altro passo verso di lei e poi un altro ancora e forse un altro.
Bramava avvicinarsi. Baciarla e sentire il suo corpo schiacciato contro il suo ventre. Un altro passo avanti. E poi un altro? . Un altro e un altro ancora e un altro ancora e le sue mani tese a sfiorare il suo abito e poi un altro passo e poi. E poi. Poi si fermò.
Sono come gli altri. Sono come lui.
Fanculo ogni cosa.
Sansa fece cadere la tazzina a terra e quel suono gli fermò il respiro.
Lei si sporse appoggiandosi sui gomiti. Il suo grazioso collo teso verso l’alto. Lo guardava e si masticava le labbra con estrema calma.
Gli ricordava un uccellino curioso. Uno di quegli uccellini stupidi che cade dal nido e muore trafitto da spine e bocche assassine.
“Taglierai la mia testa con quella spada? Posso vederla?”
Che ogni cosa si fotta. Fanculo. Fanculo il mondo.
Strinse l’elsa e fece un passo indietro. Si era avvicinato troppo senza accorgersene e non avrebbe dovuto. Era pericoloso.
Patetico. Ti spaventi di una bambina matta?
Sansa stese la mano - giostrando le dita come una manovra di marionette.
Glielo chiese di nuovo e lo fece con un soffio di voce. Impregnata di filtri magici e qualche altra stregoneria. Per questo non era mai stato in grado di negarle nulla. Giusto?
Il rumore della spada sguainata gli diede un fremito di goduria. Lei abbandonò la sedia e il tavolo. Con un passo leggero lo raggiunse e poi d’improvviso Sansa era troppo vicina. Sentì lo schiocco delle sue labbra contro la lama e la ferita aperta sulla sua bocca.
Spostati. Corri. Scappa.
Con entrambe le mani Sansa strinse il ferro della spada e lo avvicinò alla sua gola.
Io devo andarmene. Non posso.
Eccole le macchie rosse sui suoi denti mentre continua a spingere la lama contro le ossa e a sorridere. 
Stupida bambina. Ti stai soltanto facendo male. Rischi di ucciderti. Di uccidere me.

Cercare di riprendersi la spada senza procurarle dolore sembrava impossibile. Si stava disintegrando le mani scavandone il centro. Dita di petali e rubini che gli mangiavano il cuore fino a lasciargli una sensazione di tepore.
“Lo sai che sono innamorata di te? Credo di essermi innamorata nell’esatto istante in cui hai pulito le mie labbra sporche di sangue. Ho visto i tuoi occhi e ho compreso che eravamo uguali. Ti ho amato subito. Non ho mai smesso.”
Il suo sguardo dovette tradire i suoi pensieri.
Con le rotele fuse, dei matti. Qui siamo tutti folli e tu mi stai prendendo in giro. Non mi ami. No, non c’è amore qui. Non c’è amore per me e non da te. Tu mi detesti. Io ti odio tanto. Tanto, tantissimo e infinitamente.
Ti odio talmente tanto che vorrei entrare dentro di te e rimanerci fino alla fine della mia schifosa esistenza. Il tuo corpo mi stringerebbe forte ed io sentirei finalmente qualcosa di buono tra i tuoi sospiri e la tua bocca che mi bacia. Senza mai pensare al mio volto sfregiato e a tutto il male che hanno fatto a te. Ci rimarrei dentro di te, voglio te, ogni singola cosa che ti riguarda è mia. Tu saresti mia.
La bambina dovette comprendere ogni cosa.
Anche il dolore e l’incredulità di cui lui stesso non si era reso conto.
“Non ci credi? Brucaliffo, lo confermi? Brucaliffo. Margaery, mia Margaery, lo confermi?”
Sansa non si volse ad osservare il Brucaliffo nel suo inchino silenzioso, senza esalare alcuna parola se non il tintinnio dei suoi riccioli di rame. L’unico suono che si fece largo nell’aria bluastra e che si tese in un elastico d’argento sottile. Li univa causandogli una strana nausea e dolore in qualche parte del suo sterno - lì avrebbe dovuto esserci il cuore, ma se lo era strappato da tempo.
Ci credi?
Sì. L’ho bruciato insieme ad ogni possibile altra esistenza che avrei potuto crearmi. L’ho visto sciogliersi sui ceppi e colorare le fiamme di viola. Un odore putrido.
E cosa c’è di reale nel tuo sterno?
Soltanto un animale chiuso in gabbia.
“Lord Tyrion. Confermi anche tu? A che ora mi sono innamorata?”
Non si volse neppure ad osservare Lord Tyrion che estraeva il suo orologio da taschino e declamava ore e minuti e secondi. Guardava soltanto il loro riflesso nella lama e lui sentì un fischio acuto tra gli spazi vuoti del suo costato.
Una collisione di stelle e Sansa nel cuore dell’esplosione. Colta a divorargli l’anima con sguardi e respiri trattenuti fino a far scoppiare le arterie. Sarebbe capace di abbandonarlo versando colori ossidati tra i suoi capelli e buttando ai suoi piedi una bambola di pezza. Gli scorticherebbe la ruggine caduta sul suo costato e poi farebbe scomparire la mano nel suo petto - fino al polso, e lui sentirebbe un battito confondersi con il suo e così si scoprirebbe innamorato.
Fanculo. No.
Lui la ama. E proprio per questo la odia. Perché fargli questo?
“Tu non mi farai del male. Non puoi. Non ci riuscirai mai.”
Sansa lo disse con orgoglio. Serena, compiaciuta e cominciando a ridere. Senza mai smettere di puntarsi la lama alla gola.
Come se fosse una vittoria e fosse solamente sua e nessuno potesse sottrarle il suo trofeo. Le guance arrossate e gli occhi lucidi mentre tanti bisbigli strisciavano insolenti tra le mura della stanza in cui era stata rinchiusa e il ticchettio della spada caduta a terra riempiva lo spazio intorno alle loro caviglie. Le gambe iniziarono a tremare e le ginocchia a cedere. Cadde in ginocchio dinanzi alla lama e parte del suo abito scese a scoprirle le clavicole e il seno a malapena coperto dai suoi lunghi capelli rossi. Segni di lividi ovunque.
Le risate le sconvolgevano il petto anche se il sangue continuava a colare dalle sue labbra e si mescolava con le sue lacrime.
Era bellissima e lui sentì la terra tremare al suo cospetto - come se il mondo non potesse accettare oltre la sua sofferenza.
“Puoi baciare la sposa. Questo puoi farlo.”
E la vide farsi forza sulle ginocchia e sollevarsi su di esse mentre con le mani tastava il terreno. Le braccia stanche lungo i fianchi e il viso sollevato con il mento in su.
“Io sono tua e tu sei mio, da oggi, fino alla fine dei miei giorni.”
Sansa allungò le dita verso i suoi polsi e lo ripetè.
“Io sono tua e tu sei mio, da oggi, fino alla fine dei miei giorni.”
Non riuscì a mantenersi in equilibrio e cadde di nuovo scomposta, tentando con le mani di aggrapparsi alle sue ginocchia e poi ai suoi piedi.
“Io sono tua e tu sei mio, da oggi, fino alla fine dei miei giorni.”
Lei era con la fronte contro le sue scarpe, ma era un gioco di specchi in cui sarebbe stato semplice scivolare. Lei così umile negli atteggiamenti e così sbagliato tutto - era lui ai suoi piedi, lui in preda alla sua trappola, lui che si era rinchiuso in una gabbia innamorandosi di una tale bambina magnifica e pericolosa.
Non era in grado di dirle di no o di farle del male o di ferirla in alcun modo o di accettare che anche un solo capello le fosse sottratto contro la sua volontà. Lui aveva visto cosa aveva sofferto e mai più lo avrebbe permesso.
Fanculo. Non avresti dovuto farmi provare questo. Perché lo hai fatto? Perché non lo fai smettere subito?
Sansa sollevò il suo sguardo e le lacrime incastrate nelle sue ciglia erano simili a perle e diamanti. Preziose come tante stelle che cadono giù e ti divorano il cuore mentre ti lasciano un sasso incastrato tra gli altri organi.
“Non pronunci i voti?”
Glielo chiese con una voce impastata e si accorse che tutti i membri della stanza si erano bloccati ad osservarli.
Lady Margaery non fumava più.
Lady Brienne sorreggeva la teiera al contrario senza rendersene conto.
Lord Tyrion aveva lasciato l’orologio sul tavolo e glielo indicava - non c’è più tempo, stanno arrivando.
Se lui. E se lui. Se. 
La sua mente era un disastro mentre le parole e i gesti si confodevano come i cerchi evanescenti dei fumi degli incensi. Linee sottili senza sapore e con un profumo di ambra e resina. L'unica cosa che ricordava era che l'amava e che desiderava soltanto nasconderla sotto la sua cappa bianca e rossa - sangue, sempre sangue - e correre via, in un luogo senza fiamme e senza matti. Si rese conto che era in grado di farlo e che nessuno le avrebbe mai più fatto del male. Bastava essere l'assassino più crudele e spietato di tutti.

“Io sono tuo e tu sei mia, da oggi, fino alla fine dei miei giorni.”








Angolo autrice

Mi sembra impossibile, irreale, invece eccomi qui. Sono tornata su Efp, con una SanSan e con una SanSan AU Wonderland. Bessie ha dato l'idea per questa ambientazione e la ringrazio, ho amato scrivere questa storia, amando loro infinitamente. Spero vi sia piaciuta e sarebbe bello un vostro commento per un riscontro. Inoltre, state guardando House of The Dragon? Non mi dispiacerebbe scrivere anche una storia su Daemon e Rhaenyra, ditemi voi cosa ne pensate. Grazie a chiunque sceglierà di leggere questo lavoro, ve ne sono grata.
   
 
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