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Autore: Soe Mame    14/09/2022    1 recensioni
C'era una volta un tritone che pensava che gli umani fossero stupidi. L'incontro con un pirata spagnolo lo convincerà di avere ragione.
[La millemilionesima rivisitazione de La Sirenetta feat. un sacco di robe pesciose e non.]
Genere: Generale, Parodia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo VIII
Il silenzio è d'oro ~ Niente, niente, non sono senza cuore, io?


Era difficile stabilire con certezza se quella situazione fosse più bizzarra, comica o disturbante.
Lovino aveva rinunciato al trono, in poco più di ventiquatt'ore avrebbe riacquistato le code e la voce e perso la libertà, una manciata di minuti prima aveva cercato di scampare all'essiccamento con un affogamento accidentale e le sue gambe sembravano risentirne talmente tanto da costringerlo ad artigliare il braccio e la spalla del primo bastardo che passava su quella spiaggia. Il primo bastardo che passava su quella spiaggia, oltre ad essere la causa di ogni male, sembrava aver scoperto la sua identità segretissima che non aveva fatto nulla per nascondere, salvo poi mostrare che no, a quanto pareva non aveva capito un cazzo, perché le parole e lo sguardo che stava riservando a quell'idiota di suo fratello erano tutto tranne che equivocabili. Suo fratello, invece, che era sì idiota ma ormai futuro re del mare, se ne stava a guardarli con gli occhi a palla e le code inchiodate alla sabbia. In tutto quello, Lovino non poteva comunicare, perché la tavoletta era nel castello, lui non si era mai dato pena di imparare il linguaggio dei segni e, ad ogni modo, nessuno degli altri due conosceva il linguaggio dei segni, dunque era spacciato.
Ma doveva andare con ordine. Non aveva abbastanza forza per provare a tramortire il bastardo, quindi cercò lo sguardo di Feliciano. Quando lo incontrò, gettò una rapida occhiata a Capitan Cretino e poi scosse la testa. La cosa più importante, in quel momento, era che l'imbecille non pronunciasse una certa dannata frase - E, per come si stava mettendo la situazione, avrebbe potuto pronunciarla alla persona sbagliata, ma forse sarebbe stato meglio così.
Vide Feliciano stringere i pugni, e fare un respiro profondo. Era agitato da prima, quella situazione doveva starlo turbando parecchio. Ma non si sentì in colpa, né provò dispiacere. Era stato Feliciano ad intervenire e a salvargli la vita. Figurarsi se lui si sentiva in colpa! O dispiaciuto! Assolutamente no!
«Ah ah ah!» Oh, no. Lo shock aveva sconvolto Feliciano a tal punto da fargli perdere la ragione. «Ebbene sì! Cazzo! Mi hai scoperto! Cazzo!» Mise i pugni ai fianchi, e si erse per quanto gli era possibile - E arrivava ai suoi, di fianchi. Non troppo spaventoso. No, neanche se faceva la voce grossa. «Sono la cazzo di sirena dei cazzo di scogli! Cazzo!»
"Felicià, ma come cazzo parli?" Era raro sentire Feliciano imprecare, sentirlo sciorinare una simile sequela di- Un dubbio.
Feliciano puntò un dito contro di loro. «Ho cazzo aspettato un mese, cazzo! Ero pronto a rapire il tuo ospite, cazzo, e a fargli cose molto cattive, cazzo, ma tu sei arrivato, cazzo!»
... Lo stava imitando, secondo lui? "Ma che minchia di opinione hai di me?"
«E» Il bastardo parlò. Lovino si voltò verso di lui. La sua voce era lo specchio della sua espressione molto, molto, molto confusa. «come mai hai aspettato un mese, per rifarti vivo?»
Feliciano non disse nulla. Rimase a guardarli, con le sopracciglia a V e un sorriso tiratissimo che, forse, nella sua testa doveva sembrare molto malvagio. Rispose dopo qualche secondo, il tempo di pensare ad una risposta senza fare niente per nasconderlo. «Ah ah ah!» E, uhm, prendere ulteriore tempo. «Cazzo! Non pensavo avresti cazzo notato la mia cazzo di assenza per un cazzo di mese intero! Cazzo!»
"Cazzo, Felicià, smettila di continuare a dire cazzo!"
A parte quello, la risposta non diceva niente. Il bastardo era visibilmente in difficoltà. Feliciano era un avversario temibilissimo, quando si parlava di stupidità.
«Non capisco cosa tu abbia in mente»
"Guarda, credo che al momento non lo sappia neanche lui."
«ma stai lontano da Romano.» Il braccio che lo sorreggeva lo spinse indietro. «È con me che ce l'hai.» Almeno era pronto ad affrontare la sua giustissima ira, senza mettere in mezzo degli innocenti. Poteva concedergli quel pregio.
Nel sentire quelle parole, Feliciano aveva abbandonato la sua espressione credibilissima. Non era sicuro fosse volontario.
«Ma tu» Continuava a fare la voce grossa - Cercava di imitare la sua? Le loro voci erano molto simili, ma il risultato non era esattamente preciso. -, ma parlò con una nota più pacata. «hai capito perché ce l'ho con te?» Parve ricordarsi di qualcosa. «Cazzo?» Ecco, appunto.
Il bastardo era così confuso che, se quel discorso senza senso fosse continuato, avrebbe fatto il giro e sarebbe diventato un genio. La risposta che diede, con una calma del tutto ingiustificata, colse Lovino di sorpresa.
«Vuoi dirmelo tu?»
Feliciano scosse la testa. Tornò seduto sulle code. «Sai già la risposta.»
Lovino era certo che, se mai fosse successo qualcosa di atroce tipo che il bastardo e suo fratello s'incontrassero e iniziassero un dialogo demenziale, avrebbe sentito la testa in procinto di esplodere per la marea di cazzate al secondo. In realtà, in quel momento in cui l'infausto incontro era avvenuto, aveva il sospetto che parlassero intendendo tutt'altro, ed era un tutt'altro che sembravano capire. Feliciano non era più spaventato, il bastardo non aveva più quello sguardo gelido. Cosa minchia stava succedendo? Cosa cazzo si stavano dicendo? Perché stracazzo non stava capendo una minchia? Era lui il più intelligente, là in mezzo, perché stava facendo la figura dell'imbecille?
Ci fu un momento di silenzio. Lovino ne approfittò. Mosse le gambe, quelle finalmente risposero. Si liberò del braccio del bastardo e s'incamminò a grandi passi verso il castello. Con un po' di fortuna, il cretino avrebbe seguito lui, e Feliciano avrebbe avuto l'occasione di scappare. Dei passi alle sue spalle. Bene. Pochi secondi dopo, il rumore di qualcosa che si buttava in acqua. Si voltò. Non che pensasse che Ludwig fosse apparso da dietro uno scoglio, avesse buttato a mare l'idiota e avesse iniziato a seguire lui sulla sabbia, ma meglio controllare. A proposito, dov'era il crostaceo? Non lo vedeva da nessuna parte. Con una punta di inquietudine, si chiese se non stesse coprendo Feliciano con il nonno.
Una stretta al polso. Alzò lo sguardo. Sì, ovvio che avesse visto il bastardo avvicinarsi, ma non pensava gli avrebbe stritolato un polso.
«Romano...» Sembrava gli fosse costato parecchio dire il nome che lui gli aveva dato. O meglio, sembrava che quello fosse l'unica certezza che aveva. Bello come non fosse il suo vero nome. «Pensavo di aver capito.» Parlava a bassa voce, come se fosse pieno di gente ad ascoltarli. «Ero certo tu fossi-» Si bloccò, e Lovino lo ringraziò - Prima e ultima volta, che non si abituasse, tanto l'aveva fatto solo mentalmente. Il bastardo scosse la testa. Evidentemente, il vincitore di quello scontro tra titani doveva essere Feliciano, visto quanto sembrava scosso - Scosso? Non lo era, fino a pochi secondi prima. Era freddo, poi calmo, forse pensieroso, ma scosso? Perché, di botto, era così scosso? Feliciano gli aveva attaccato le sue emozioni? Era possibile, in primo luogo? Era un potere dei tritoni di cui non era a conoscenza? «Però no.» Continuava a guardarlo negli occhi, nonostante tutto. «Non ha senso. Non ha mai avuto senso.» Un po' come le sue parole. «Non era una cosa naturale, ma io ho pensato che...» Sospirò. Lovino cominciò ad inquietarsi. «Ti prego.» D'accordo, era stupido, ma stava iniziando a delirare. «Perdonami.» La mano che gli bloccava il sangue al polso lo lasciò libero, salvo intrecciare le dita alle sue. «Io... Ero certo tu fossi un mostro.» Il sale ancora gli faceva male ad ogni respiro. «Un mostro che, in qualche modo, aveva assunto l'aspetto di un umano per ingannarmi.» Era il sale, senza dubbio. «Ci ho messo un po', ma... Ora ho capito che non lo sei.» Le gambe lo stavano sostenendo, vero? «Sei una persona. Non un mostro.»
Lovino liberò la mano con uno strattone. Non si mosse. Rimase a guardarlo. Forse non aveva bisogno della tavoletta. Forse poteva esprimersi in altro modo. Le gambe rispondevano, no?
Assestò una ginocchiata al bastardo, nello stomaco. Ma il bastardo non cadde in ginocchio, si limitò ad un lamento soffocato, e a portarsi le mani al punto colpito. Ma perché non era caduto in ginocchio? Avrebbe voluto calpestargli la testa.
Che illuminazione, che aveva avuto. Se il tritone che voleva vendicarsi era Feliciano, allora lui doveva essere un comune essere umano, quindi non poteva essere un mostro senz'anima! Una sequenza di pensieri bizzarramente logica.
E lui perché aveva pensato che il bastardo potesse pensare diversamente? Ora avrebbe pure dovuto ringraziare Feliciano. Senza il suo intervento, non avrebbe mai realizzato quanto il bastardo fosse- Non lo sapeva neanche lui. Però si ritrovò a camminare, e non era in direzione del castello. Il bastardo l'aveva seguito, aveva detto qualcos'altro, ma lui era riuscito ad assestargli un pugno sui denti, e poi una testata in fronte. Solo allora aveva smesso di dargli il tormento.
Doveva solo aspettare ventiquattr'ore, e tutto sarebbe finito. Avrebbe potuto fare qualcosa. Non sapeva cosa, ma qualcosa di diverso da tutto quello. Senza nessuna delle persone insopportabili che lo circondavano. Solo ventiquatt'ore. Ventiquattr'ore.

*



Arthur calò il tricorno nero sulla fronte. Alfred e Alfred Due erano arrivati di corsa, su di giri come poche volte li aveva visti - Di solito, in concomitanza di una catastrofe -, e non voleva spaventarli con il suo travestimento. Soprattutto perché sembrava avessero notizie fantastiche. E le notizie furono fantastiche davvero.
«Oh, hanno litigato?» Si portò una mano alla guancia. «How sad! Anyway.» Richiamò le due piccole murene all'attenzione. Comprendeva e condivideva il loro entusiasmo, ma era il momento di intervenire. «Questa è un'occasione fantastica. Possiamo approfittarne per dare a questo accordo un finale molto più movimentato.»
Alfred era più incapace del solito di stare fermo. «Hai in mente qualcosa?»
Arthur annuì e Alfred, se possibile, sembrò ancora più impaziente. «Per l'occasione, ho deciso di usare questa.» Un tentacolo aprì il cassetto dello scrittoio, e ne uscì con una sfera nera. Alfred e Alfred Due si avvicinarono. «È la magica palla otto magica.»
«Ha detto "magica" due volte! Deve essere proprio magica!»
«È il pagamento che hai avuto in cambio di quella gelatina verde strana?»
«Esattamente.» Meglio che nessuno dei due indagasse troppo sulla gelatina verde. «Ah, fermi!» Alfred aveva alzato un braccino, ma Arthur aveva ritratto il tentacolo. «È uno degli strumenti magici più potenti che possiedo. Non ve lo farò toccare, può essere molto pericoloso.»
Alfred si aggrappò al tentacolo. «Ma che cosa fa?»
Alfred Due lo imitò. «Non dà delle risposte?»
«Certo, dà delle risposte.» Rimirò la superficie lucida della palla. Oltre che potente, aveva anche una bella estetica. «Tuttavia, quando le si pone una domanda, darà sempre la risposta più stupida e insensata possibile.»
Alfred e Alfred Due si scambiarono uno sguardo dubbioso. Ovvio. Aveva fatto apposta una pausa, prima di rivelare il vero, temibile potere della magica palla otto magica.
«E costringerà il consultante a seguire quella risposta.»
Alfred e Alfred Due spalancarono gli occhi, in sincrono perfetto. Le manine scivolarono dal tentacolo, e si allontanarono.
«Bravi, bambini.» Arthur controllò di avere tutto. La palla ce l'aveva. La sacca ce l'aveva. E, ovviamente, la voce del principe ce l'aveva. L'aveva messa su un bracciale dal retro cavo, in modo che la sfera potesse toccare la sua pelle. Finché avesse mantenuto il contatto, avrebbe potuto usare la voce del principe. Se lo riepilogò nella mente, fosse mai che la sua mente superiore se ne scordasse. «Andiamo dall'umano.» Rigirò la magica palla otto magica tra i tentacoli. «È stato lui la causa di tutto, che dia un bello spunto per il gran finale.»

Era sera, ormai. L'umano - Che, come lui, indossava una giacca rossa, e ad Arthur già stette sulle palle - se ne stava seduto su uno scoglio a caso in mezzo alla sabbia, strumento indefinito in una mano, alabarda nell'altra. Dal rumore sinistro che risuonava nella spiaggia altrimenti vuota, doveva star affilando la lama.
Arthur, Alfred e Alfred Due erano nascosti dietro la catena di scogli che, come logica voleva, erano in acqua.
«Ma è rimasto lì tutto il tempo?» bisbigliò Alfred.
«Evidentemente, il principe Lovino non è ancora tornato.»
«Lo sta aspettando?!» Alfred sbattè le palpebre. «Ma saranno passate un paio d'ore, e tra poco farà freddo!»
«Che pena.» Arthur ridacchiò. «È proprio un imbecille!» Guardò prima Alfred, poi Alfred Due. «Andiamo?»
I due bambini annuirono. Con un movimento deciso, il tentacolo lanciò la magica palla otto magica. La sfera nera cadde ad un paio di metri dall'umano. Uno scenografico, lento rotolare nella sabbia, lo sguardo dell'umano che seguiva il suo movimento - E chissà dove si sarebbe fermata? In qualche luogo simbolico? E che cosa avrebbe rivolto all'umano, il pannello delle risposte o il suo numero, il simbolo dell'infinito che-
Arthur sbuffò. La fisica funzionava in modo diverso e la palla si conficcò nella sabbia con un tump soffocato. L'umano le gettò un'occhiata. Mosse appena la testa, come se la stesse studiando dall'alto. Tornò all'alabarda.
«Cosa?» Arthur soffocò l'urlo. «Perché non è andato a prendere un oggetto estremamente sospetto lanciato dal mare? Ridicolo!»
«E ora come facciamo?» chiese Alfred.
«Non possiamo uscire dal nascondiglio e costringerlo,» pigolò Alfred Due: «o tutto questo non avrebbe senso!»
«Aspettate.» Arthur si guardò il polso. Poteva essere un'idea interessante. Toccò la sfera rossa. Parlò a voce alta, piena, con una voce non sua.
«Beh? Cosa stai facendo?»
L'umano alzò lo sguardo di scatto.
«Il mare ti lancia qualcosa e tu lo ignori?» Arthur posò il viso su una mano. «Non vuoi scoprire cos'è?»
L'umano scese dallo scoglio. Aveva messo lo strumento per l'affilatura in tasca, ma l'alabarda era ancora in mano. Alfred e Alfred Due non perdevano di vista la lama.
«Sei stato tu a lanciarlo?» L'umano non sembrava spaventato, né arrabbiato. Dal tono, sembrava cauto.
«Chissà.»
L'umano abbassò lo sguardo alla magica palla otto magica. La toccò con il bastone dell'alabarda. La- Arthur sobbalzò, ma s'impedì di dire qualsiasi cosa - La stava quasi martellando con il bastone, e Arthur non era sicurissimo di quanto la palla fosse resistente. Se gliel'avesse rotta, all'Abisso il patto, l'avrebbe stritolato e fatto a pezzi.
«Vuoi romperla o darci un'occhiata?» Non potè tacere oltre. Sperò che il fastidio contribuisse a rendere il suo tono più credibilmente principelovinesco.
L'umano si fermò. Guardò nella sua direzione - Ovvio sentisse da dove proveniva la voce, l'importante era che non si avvicinasse. Non che sarebbe stato troppo un problema, ad Arthur sarebbe bastato immergersi e riemergere da un'altra parte, ma non voleva rischiare che l'umano si gettasse in mare e trovasse dieci tentacoli che non sarebbero dovuti esserci.
«Tu non sei una voce. Sei solo un fischio nelle orecchie.»
Alfred e Alfred Due si scambiarono un'occhiata. «Sta resistendo?»
«Se tu sirena chiami e io ti ascolto- Ma non lo farò.» specificò: «Lo sbaglio sarebbe solo mio.»
Arthur trattenne uno sbuffo. Alfred e Alfred Due gli avevano garantito fosse stupido, cos'era quella prudenza, ora? Tanto valeva osare, allora. «Non stai immaginando nulla. E quello è solo un piccolo dono da parte mia.» Cercò di suonare più derisorio che potè. «Davvero non vuoi dargli un'occhiata?»
Non era sicuro che l'umano fosse convinto. Però aveva guardato la magica palla otto magica qualche secondo più a lungo.
«Il tuo richiamo è forte, ma non mi catturerà.»
Cos'era, una preghiera? Arthur non volle approfondire. Tuttavia, l'umano stava cedendo. Non fosse stato per gli sguardi che lanciava alla palla, se si dava alle preghiere doveva sentirsi messo all'angolo. «Non c'è nessuna domanda che ti perseguita?» Era il momento giusto per insistere. «Pensi di sapere tutto? Di essere in possesso della ver-»
«Y basta, me lo has dicho miles de millones de veces!»
Arthur ammutolì. Non si aspettava quello scatto irritato. A giudicare da com'erano sobbalzati Alfred e Alfred Due, neanche loro.
«Está bien. Le daré un vistazo.»
Arthur non aveva idea di cosa avesse detto, ma lo vide chinarsi e prendere la magica palla otto magica e tanto gli bastava. Quando tornò in piedi, i suoi occhi sembravano calamitati dalla palla. Guardando con più attenzione, erano calamitati dallo schermo delle risposte. Arthur dovette tappare la bocca ai bambini - Per quanto fosse in attesa anche lui. Doveva aver pensato ad una domanda. E la risposta - di merda - doveva essere apparsa sullo schermo. L'incantesimo stava per fare effetto. Presto avrebbero saputo cosa l'umano aveva in serbo per concludere quel patto di cui era stato causa scatenante.
La magica palla otto magica ricadde nella sabbia, da qualche parte. Tump. L'umano inspirò come se dovesse respirare tutta l'aria di Napoli.
«Come ho fatto a non pensarci prima?!» Se le onde sonore fossero state solide, Arthur era certo sarebbe stato sbalzato via - Lui, le murene e i tentacoli, magari pure qualche scoglio. Alfred Due si tappò le orecchie. «È ovvio! È la soluzione a tutto!»
L'umano corse alla porta in precario equilibrio ai piedi di uno dei lati del castello. Rimase sulla soglia, e urlò.
«Sposerò Romano!»
... Oh.
Arthur serrò le labbra. Non doveva scoppiare a ridere. Le sue risate malefiche erano molto rumorose.
«... Un matrimonio?» fece Alfred, schifatissimo. «Vedi che alla fine si torna sempre alle cose schifose?»
Alfred Due disse qualcosa, ma già era impossibile da sentire, con dei simili boati sonici a pochi metri era pura utopia pensare che potesse comunicare vocalmente.
Arthur mosse le dita, arricciò i tentacoli. Era disgustoso, ma era fantastico. Una delle occasioni più belle di sempre per rovinare qualcuno e spezzare più di un cuore!
«Alfred.» chiamò, a bassa voce. «Alfred Due.»
Le due murene si fecero attente - E dovevano esserlo perché, nonostante i fuochi d'artificio vocali, non poteva alzare troppo la voce, soprattutto perché stava usando ancora quella del principe.
«Se l'umano stava aspettando, vuol dire che il principe Lovino non è ancora tornato. Trovatelo. Rinchiudetelo da qualche parte, finché non tornerà un tritone.»
Alfred Due disse qualcosa, chissà cosa. Arthur, però, lo intuì sagacemente. Sorrise. «Il principe non mi ha mai detto che non potevo intromettermi~»
Alfred ridacchiò. Alfred Due abbozzò un sorrisetto.
«Io mi spaccerò per il principe.» Gettò un'occhiata divertita all'umano - Che... stava... correndo per la spiaggia urlando che avrebbe sposato Romano? Va bene. Stava correndo per la spiaggia urlando che avrebbe sposato Romano. «E mi premurerò di rovinare questo bel matrimonio.»
Con un gesto scenografico, si tolse il cappello. Alfred e Alfred Due trattennero il respiro. Sì, sapeva quanto i suoi travestimenti fossero efficaci. Dopo tutti quegli anni, i due piccoli ancora non riuscivano a capacitarsi.
«Sei davvero Artie?» farfugliò Alfred, gli occhioni spalancati. «Sei perfettamente indistinguibile dal principe Lovino!»
Arthur si passò una mano tra i capelli, non più biondi ma castano rossiccio. «Buono a sapers-»
«E quanto ci hai messo a raderti le sopracciglia? Fai paura, non sei più tu!»
Arthur non commentò. Si limitò a lanciargli un'occhiataccia. «Sbrigatevi.» sibilò: «Sia mai che il principe decida di tornare ora!»
Con un ultimo sguardo intimorito, Alfred e Alfred Due si immersero, ad obbedire.
Arthur aveva altro da fare: il suo travestimento non era ancora completo. Con un sospiro di disappunto, trasformò i tentacoli in un paio di gambe - Come facessero i bipedi a camminare su soli due piedi, non lo sapeva, ma lui odiava farlo. Mise mano alla sacca che si era portato dietro e ne estrasse un paio di pantaloni. Li indossò, per poi togliersi la giacca e avvolgerla nella sacca, rimanendo in camicia. Sperò che Alfred e Alfred Due intuissero che, una volta allontanato l'umano, avrebbero dovuto recuperare la sacca con la giacca e la magica palla otto magica - Quest'ultima in qualche modo, visto che era stata lanciata chissà dove sulla spiaggia.
«Oh.» sussurrò: «Stavo per dimenticare.» Picchiettò le dita sulla gola e si inibì la voce. Fosse mai gli scappasse qualche commento involontario. "Romano" era muto, del resto.
Emerse da dietro gli scogli. L'umano - Antonio, tipo - si accorse di lui in una frazione di secondo. Gli corse incontro e lo stritolò in un abbraccio troppo soffocante anche per un polpo. Con un moto di stizza, Arthur lo spinse via. Antonio non fece una piega - Aveva in faccia un gran sorriso, grande e luminoso, e gli occhi brillavano come solo chi era vittima di un incantesimo piuttosto potente.
Ah, quanto amava la magica palla otto magica! L'ideale per speziare ogni situazione!
«Finalmente sei tornato, Romano!» Antonio gli afferrò le mani e gliele stritolò. Arthur sospettò che la sua presa potesse essere forte quasi quanto quella dei suoi tentacoli. «Domani ci sposiamo!»
"Domani?!" Ringraziò di aver inibito la voce, perché non riuscì a non commentare. Forse la magica palla otto magica era stata troppo potente. Oppure, più probabile, quell'Antonio era un fallito.
«Celebreremo appena possibile! Ho già pensato a tutto!» Parlava a velocità fin troppo elevata, anche più di Alfred nei suoi momenti di entusiasmo. «Mi è ancora rimasta una nave e possiamo caricare a bordo le sedie della cucina purtroppo non abbiamo soldi per il cibo ma possiamo provare a rubare una pizza una pizza con tanto pomodoro o forse solo del pomodoro in effetti possiamo far vestire tutti di rosso e far servire solo pomodori e invece del riso ci lanceranno i pomodori ah no aspetta forse porta male però sarebbe buono e i pomodori costano meno del riso certo se li rubiamo la cosa non cambia granché ma»
"... Non è che la magica palla otto magica ha suggerito un'idea di merda anche a me?"

*



Feliciano era riemerso appena il sole aveva fatto capolino sulla linea dell'orizzonte. Avrebbe voluto avere Ludwig al suo fianco ma, quel mattino, c'erano le udienze e la sua presenza al fianco del re non era negoziabile. Aveva puntato il binocolo verso il castello, nella speranza di vedere qualcuno - preferibilmente Lovino, ma anche il signor Gilbert non sarebbe stato male.
Non aveva intenzione di abbandonare Lovino. Quello era l'ultimo giorno rimasto, e non gli avrebbe permesso di scappare. Voleva parlargli di nuovo. Voleva sapere cosa fosse successo la sera precedente, dopo che lui se n'era andato. Voleva sapere se il patto fosse ancora valido, se l'avesse revocato, o se l'umano l'avesse scoperto, nonostante la sua recita eccezionale - Feliciano ne era rimasto molto soddisfatto, se poteva concederselo. Conosceva Lovino da tutta la vita, chi avrebbe potuto imitarlo tanto bene, se non lui?
Non vedeva con precisione cosa stessero facendo gli inquilini del castello. Ma gli sembrava ci fosse un gran tramestio. Aveva intravisto Lovino, però, e aveva almeno la sicurezza che fosse ancora al sicuro nel castello - Anche se quel Lovino aveva qualcosa di strano. Era indubbiamente lui, ma Feliciano provava una sensazione bizzarra. Era come se ci fosse qualcosa di sbagliato, qualcosa di molto palese, ma non capiva cosa.
Scosse la testa. Non poteva stare lì a dubitare e rimuginare, doveva agire, e doveva agire subito! Attuare il Piano A di settimane prima avrebbe richiesto troppo tempo e preparativi, a lui serviva qualcosa di immediato.
"Ragiona, Feliciano." Inspirò. Doveva calmarsi. Kiku gli diceva sempre che agitarsi non era mai una buona soluzione. Le buone idee venivano da una mente lucida. Doveva guardarsi intorno, e lasciarsi ispirare.
Sabbia. Scogli. Castello brutto. Mare. Cielo. Il rumore delle onde. Il chiacchiericcio che iniziava ad alzarsi dalla città. Degli schiamazzi oltre gli scogli.
Feliciano si fece attento. Degli schiamazzi oltre gli scogli? Si avvicinò, piano, e sbirciò: un gruppo di ragazzi umani si stava facendo il bagno. Aveva sentito del bagno di mezzanotte, ma il bagno dell'alba gli mancava. Erano in cinque, ed erano abbastanza a largo. I loro vestiti giacevano sulla riva.
Un'idea. Sì, forse avrebbe potuto farcela. Nuotò fino alla spiaggia, strisciò sulla sabbia. Di tanto in tanto, gettava qualche occhiata agli umani - Sempre più lontani, ma dove dovevano andare? Oh, beh, prima o poi il mare li avrebbe ributtati a riva. Studiò le diverse stoffe davanti a sé. Alcuni vestiti avevano la forma di quelli che indossava Lovino. Suppose dovesse mettersi quelli, per passare inosservato. Prese un vestito bianco. Aveva dei tubi in cui mettere le braccia e si allacciava davanti con dei cerchietti piccoli e duri. Si tolse la gonna di alghe e prese un vestito nero con due tubi in cui inserire le code. Non fu esattamente l'azione più facile della sua vita - I tubi erano strettissimi e, se era riuscito a farne scorrere uno per una pinna, l'altro si rifiutava. Buttò all'aria quello strumento malefico e afferrò un altro vestito - Una gonna lunga simile alla sua, però fatta di stoffa e completamente rossa. Quella fu ben più facile da indossare. Sulla sabbia c'erano anche dei rettangoli di una stoffa spugnosa, non enormi ma neanche piccolissimi. Ne prese uno, lo sbattè per togliere i granelli di sabbia e se lo avvolse attorno alla testa, per nascondere le pinne del viso. Si trascinò fino all'acqua e vi si specchiò. Fece un gran sorriso. Ora che era indistinguibile da un umano, non avrebbe dato nell'occhio e nessuno avrebbe provato a fermarlo - Né, nel caso, avrebbe sospettato nulla di Lovino, vedendolo in sua compagnia.
Il piano era ormai chiaro nella sua mente: se suo fratello non voleva venire da lui, allora sarebbe stato lui ad andare da suo fratello!
Sì, ecco, l'idea era quella. Doveva arrivarci, però, da suo fratello. Si tuffò - La stoffa sul busto era scomodissima, in acqua - e tornò dove aveva incontrato Lovino, la sera prima. Da lì, sarebbe potuto entrare nel castello dalla porticina della cucina - Ormai la conosceva bene.
Non poteva strisciare, però. Sarebbe stato difficile, ma poteva farcela. Trasse un gran respiro, si sorresse sulle mani e puntò le pinne sulla sabbia. Si buttò all'indietro e- Ricadde seduto in acqua. Sì, ci avrebbe messo un pochino - Ma, se non ci fosse riuscito nei successivi dieci minuti, avrebbe strisciato fino al castello!
«Buongiorno, principe!»
Feliciano sobbalzò. C'era qualcun altro, lì? Si guardò intorno e realizzò due cose. La prima era che sulla spiaggia c'era un arpione: l'arpione era collegato ad una corda e la corda stava venendo tirata da una piccola murena bionda in acqua. A guardare meglio, sembrava che una palla nera stesse rotolando nell'ardiglione, mentre l'arpione veniva tirato. La seconda cosa era che, a pochi centimetri da lui, c'era un'altra piccola murena bionda che lo guardava con enormi occhi blu e un gran sorriso allegro.
«Buongiorno!» Feliciano sventolò la mano. Essere di fretta non giustificava l'essere maleducati!
«Dovete venire con noi!»
La murena non aveva cambiato espressione. Feliciano sbattè le palpebre. Poi scosse la testa. «Mi dispiace, ma adesso non posso!» Giunse le mani, in segno di preghiera. «Magari un'altra volta, sono proprio di fret-»
«Ma non era un invito!» Il bambino scoprì i denti affilati. «Sono ordini dall'alto!»
«Eh?»
Non c'era più sabbia, non c'era più acqua. Le code si agitarono nel vuoto, arrivando a schiaffare la spiaggia solo di sfuggita. Feliciano guardò sotto di sé e trattenne il respiro. La murena, piccola ed esile, l'aveva sollevato fin sopra la testa come se pesasse pochi grammi.
«Non vi agitate, principe.» Feliciano non seppe come udì quel sussurro. Spostò lo sguardo e un brivido gli attraversò la schiena: l'altra murena si era avvicinata, la palla nera in una mano, l'arpione nell'altra. «Vi potreste far male, con questo vicino.»
«Matt, Matt, sgancia la corda, così lo leghiamo!»
«Stavo per farlo, in verità.»
«Avete sentito, principe?» La murena lo lanciò in aria - Per svariati metri in aria - e lo recuperò come se nulla fosse - Il suo stomaco cominciava a pensarla diversamente. «Non vi agitate!» Scoppiò a ridere, una risata acuta e a volume ridicolamente alto.
"Lovino..." Feliciano lanciò un'ultima occhiata al castello, gli occhi più calamitati dall'arpione e dai due Davy Jones. "... Magari non arrivo subito, ma farò del mio meglio, quindi non fare cose stupide, va bene?"
Aveva l'atroce sospetto che la risposta sarebbe stata no.

*



In quelle ore, Arthur aveva potuto studiare il peculiare esempio di architettura post-sbronza che si ergeva su quella spiaggia, e l'aveva fatto per due minuti - Gli abitanti erano ben più interessanti di quella massa informe di scale e porte.
Gli inquilini erano cinque: l'umano causa di tutto, tre elfi e un ex-granchio di sua conoscenza. Si era dovuto trattenere dal fare qualsiasi commento, ma la sua presenza lì, in assenza di qualsivoglia donna - E no, l'elfa non sembrava la donna per cui aveva abbandonato la sua vita e la sua dignità -, non poteva che fargli sospettare che, forse, i suoi piani non fossero andati a buon fine. Oh, che triste anima sola! - Letteralmente.
In tutta onestà, Arthur aveva avuto un accenno di allarme quando aveva visto gli altri tre: gli elfi erano creature magiche, quanto ci sarebbe voluto perché intuissero la verità? Fin da subito aveva notato come lo stessero scrutando, più perplessi che guardinghi. Poi, li aveva sentiti.

«Non ti sembra che Romano abbia qualcosa di diverso?»
Il più giovane aveva annuito. «Eppure è lui. Lo vedi benissimo che è lui!»
«Ma» La ragazza si era portata una mano al mento. «non puoi negare che abbia qualcosa di strano...»
«È identico a Romano,» aveva detto il gigante: «si comporta come Romano, non è umano come Romano,» Ovviamente, l'avevano capito subito. «ma sì, ha decisamente qualcosa di strano.»
Ed erano rimasti a pensare, tutti e tre, senza infine capire.


Arthur non si aspettava di riuscire ad imitare il principe Lovino con tanta efficacia ma, a quanto pareva, gli bastava essere altezzoso, arrogante e scostante per dissipare ogni dubbio. Davvero una persona disdicevole. Era davvero difficile mantenersi così, senza lasciar trasparire la sua naturale classe e il suo innato carisma.
Antonio, invece... Antonio era troppo preso dai preparativi del suo matrimonio per badare al suo futuro marito. Starlo a guardare era interessante sia come studio magico - Dunque l'incantesimo della magica palla otto magica faceva ossessionare con la risposta letterale, dato che il pirata era presissimo solo ed esclusivamente dalla cerimonia - sia come studio antropologico - Erano gli umani o era quell'umano ad avere energie, voce e idee stupide illimitate?
«Riassumendo!» Antonio aveva chiamato tutti a raccolta. Se avesse dormito, nessuno lo sapeva. «Abbiamo una sola nave, quindi è lì che si svolgerà la cerimonia.» La donna e l'elfo più giovane, Manon e Lucilin, annuirono più per cortesia che per convinzione.
«Però non abbiamo soldi per le decorazioni.» fece notare Lucilin.
Antonio annuì. Poco ci mancava iniziasse a brillare. «Lo so! Ma possiamo buttare qua e là un po' di lenzuola bianche e fingere siano tende e festoni.»
«In effetti» borbottò Manon, a bassa voce: «perché abbiamo tutte quelle lenzuola?»
«Per le sedie, prenderemo quelle della cucina.» Antonio proseguiva nel suo ciarlare entusiasta. «Tanto ci siamo solo noi e la ciurma. Chi non ha una sedia, resta in piedi o si siede per terra.»
Era uno studio meraviglioso, anche se doloroso - Faceva male allo stomaco e alle guance cercare disperatamente di soffocare una risata.
«Lasciamo stare testimoni, portafedi e tutte quelle figure inutili.»
«Oh!» Manon si rabbuiò. «E io che volevo fare la damigella...»
«Meglio mettere gente tra il pubblico che mettere tutti a fare qualcosa e lasciare le sedie vuote.» Una logica inoppugnabile. «Ah, Gilbert?»
Il diretto interessato si riscosse. Sembrava non avesse ascoltato una sola parola. «Sì?»
«Tu hai studiato per fare il prete, vero?»
Esisteva una cosa del genere? Arthur scoccò un'occhiata stupita all'ex-crostaceo. Lui, un prete? Ma perché ci aveva pensato, ora il dolore era raddoppiato.
Lo sguardo rosso di Gilbert vacillò. «Ssssssì, ma molto poco...»
«Perfetto!» Antonio gli assestò una pacca sulle spalle, e il povero quartiermastro finì quasi per schiantarsi addosso al gigante, Abel. Da quale botta avrebbe ricavato più danni, difficile dirlo. «Allora il celebrante sarai tu!»
«Antò, che straminchia-»
«Abel, riesci a procurarci un po' di fiori?»
«Legali?»
Antonio alzò le spalle. «Ma quello che trovi, basta siano fiori!»
«Ti prego.» Manon afferrò un braccio del fratello. «Niente papaveri da oppio, marie o-»Papaveri da oppio? C'erano papaveri da oppio, in quel castello? Un'informazione interessante, ma magari per un'altra volta.
«Intendevo» spiegò Abel, calmo come sempre: «se i fiori dovessi pagarli o meno.»
«Oh.» Manon ritrasse la mano. La sua voce fu ridotta ad un sibilo. «Ovvio che no, o dovremmo saltare la cena di stasera!»
«Chissà perché Gennaro non si fa incantare...» borbottò Lucilin, chiunque fosse Gennaro.
«Mi raccomando, indossate i vostri vestiti migliori! Ma non bianchi, perché solo Romano ed io abbiamo questo privilegio, perché è il nostro matrimonio!»
Arthur alzò le mani, la faccia impassibile, a mimare un sentitissimo "evviva".
«A proposito.»
«Dimmi, Lucilin.»
«Ma è vera quella storia che i suoi vestiti, in origine, erano bianchi?»
Antonio piegò appena la testa di lato. «Eh?»
«C'è una leggenda che dice che i suoi vestiti siano bianchi, e che siano diventati rossi a seguito delle sue imprese-»
«Ehi!» Antonio scattò su, l'espressione non più da black moor ma indignata. «Io li lavo, i vestiti! E poi non sarebbe igienico!»
Gilbert annuì, con fare grave. «Avevamo una lavatrice, a bordo. E funzionava, in qualche modo.»
Un rumore di campane riempì la sala. Il rumore solenne di una manciata di rintocchi della Big Ben, ma come se ci si trovasse ad un braccio di distanza dalla Big Ben.
«Oh!» Antonio si voltò verso l'ingresso. «Suonano alla porta!»
Quella roba era il campanello? Ma soprattutto, quel castello aveva un campanello?
Manon trotterellò al portone e lo aprì. Un verso di sorpresa, dei convenevoli, poi la domestica tornò, seguita da due figure, una donna e un uomo. La donna era vestita di verde e aveva dei lunghi capelli castani. Sembrava un'elegante signora dell'aristocrazia. L'uomo era vestito di nero e viola e portava gli occhiali. Sembrava un altezzoso signore dell'aristocrazia.
«Elisa!» Antonio li raggiunse in un paio di falcate. «Rodrigo! Che entrata in scena conveniente e nient'affatto forzata! Cosa ci fate qui?»
Dopo altri convenevoli di rito e doppi baci come pensava si facesse solo a casa del dannato pennuto, fu la donna - Elisa? - a parlare. «Ah, sapevo che la lettera non ti era arrivata!» Portò una mano al viso e sospirò. «Stavamo facendo un viaggio e ci siamo detti "Ehi, Antonio sarà morto, alla fine?". Così volevamo venirti a trovare, ma non ho mai riposto alcuna fiducia nel sistema postale.»
«Nessuno l'ha mai riposta.» la corresse l'altro, Rodrigo.
«Siete venuti con il treno?»
Elisa scosse la testa. «Siamo partiti ieri. Se avessimo preso il treno, saremmo arrivati il mese prossimo. Quindi, abbiamo usato due deltaplani. Li abbiamo parcheggiati qua fuori, disturbano?»
«Ma no, figurati!»
Mentre Antonio ed Elisa parlavano di cose interessantissime, Rodrigo stava studiando la piccola folla nella sala. O meglio, stava cercando di guardare la figura che si era nascosta dietro Abel.
«Gilbert?» Lo chiamò, ad un tratto.
L'ex-granchio trasalì - Pensava davvero di essere invisibile? - ed emerse dal suo nascondiglio. Prima di voltarsi, Arthur lo vide bene, aveva un'espressione di puro terrore. Ne aveva viste parecchie, così. Quella era particolarmente scioccata. Lo Stregone del Mare finalmente si concesse di ridacchiare, ma soffocò la risata in un pugno. Qualcosa gli diceva che la bella Elisa fosse qualcuno che Gilbert conosceva molto bene.
«Rod!» Quando li guardò, Gilbert aveva recuperato l'espressione sbruffona che Arthur ricordava. «Liz!» L'ex-granchio si avvicinò a loro. «Il Magnifico Me non vi ha sentito arrivare, vi avrei fatto un'accoglienza degna di me!»
Rodrigo lo guardava da sopra gli occhiali, impassibile. Elisa era impallidita, la bocca appena aperta.
«Vi conoscete?» Lo sguardo di Antonio andava prima ad uno, poi all'altra.
Manon, Abel e Lucilin si unirono in un muro compatto.
«Tre su Erzsébet.» sussurrò Manon.
«Tre su Gilbert.» ribattè Lucilin.
«Perché dovresti scommettere su Gilbert?» La domanda di Abel era di genuina confusione.
«Gilbert...» Elisa, Erzsébet o come diavolo di mare si chiamava si avvicinò a Gilbert, piano. «È passato così tanto tempo...»
Gilbert annuì, pancia in dentro petto in fuori, gonfio come un pesce palla. «Eh, sì!»
Erzsébet abbassò lo sguardo. «E stai bene...» sussurrò, in un filo di voce.
Gilbert annuì di nuovo, un po' meno gonfio. «Eh... sì...»
Erzsébet rialzò lo sguardo. Lo fissò, per qualche secondo, quasi a sincerarsi che fosse vero. Gli afferrò una mano. Gilbert sobbalzò come se si fosse preso una scarica elettrica.
«Allora...»
Un boato, e Gilbert atterrò sul pavimento con un'imprecazione che tuonò per tutta la sala.
«perché» Erzsébet troneggiava sopra di lui, gli occhi prossimi al lanciare lampi. «sei sparito, dannata testa di cazzo?»
Arthur non potè più trattenersi. Si avvicinò ai tre elfi e fece loro un cenno. Alzò tre dita e indicò Erzsébet. Amava le sfide, ma non si sarebbe tirato indietro di fronte ad una vittoria facile.

*



Ludwig era certo di non essere mai stato nei guai come in quel momento. La cosa assurda era che fosse la seconda volta che pensava una cosa del genere nell'arco di un paio di mesi, e sperò vivamente di non doverla pensare una terza - Perché aveva rimediato a tutto, certo, non perché era stato esiliato, condannato a morte o-
D'accordo. Forse stava esagerando. La scomparsa del principe Lovino in concomitanza di una nave prossima alla natura di relitto era un conto, la scomparsa di Feliciano in concomitanza della risoluzione - negativa - di un patto di suo fratello con lo Stregone del Mare era un altro.
Doveva essere razionale. Non poteva permettere all'agitazione di avere la meglio su di lui, anche se si trattava di Feliciano. Forse non era tornato al castello perché si era perso a guardare la migrazione dei salmoni. Forse non era sulla spiaggia perché in realtà stava tornando al castello e l'aveva perso per un soffio. Forse non era né al castello né alla spiaggia perché lo Stregone del Mare aveva scoperto che Lovino aveva rinunciato al trono in suo favore e-
No. Niente scenari apocalittici. Si stava parlando di Feliciano, di solito la soluzione era quella più semplice e insensata.
Si era azzardato ad avvicinarsi alla riva, ora che era vuota. Avrebbe voluto contattare Gilbert o Francis, ma non doveva dare nell'occhio e lui, con la sua stazza e la sua corazza rossa, era l'ultima cosa al mondo che non avrebbe dato nell'occhio.
No, balle, non era andato nel castello solo perché la cosa si sarebbe potuta ritorcere contro il re - Il capo delle guardie che sfonda la porta di una proprietà privata e mette tutto sottosopra perché deve trovare uno- due- insomma, deve trovare l'erede al trono scomparso - che fino a pochi giorni prima non era l'erede al trono, e il re non sapeva che l'erede al trono fosse lui e non l'altro principe scomparso, principe che supponeva avrebbe trovato nel castello e-
Ludwig si prese la testa tra le mani. Era certo gli stesse uscendo il fumo dalle orecchie, ed era invisibile, ecco perché non lo vedeva. Oh, no. Ormai pensava come Feliciano.
Qualcosa sulla spiaggia. Guardò meglio. Il cuore sobbalzò, ma non riuscì a capire se in positivo o in negativo: sul bagnasciuga c'era la gonna di alghe di Feliciano. Non sembrava strappata, doveva essersela tolta da solo.
Bene. Aveva un indizio di non poco conto. Feliciano era disperso e senza vestiti. Era un indizio importante, perché era una cosa insensata, quindi vicina alla soluzione.
Doveva stare calmo. Anche con il sole a picco sulla testa e l'ansia che lo assaliva come un'ondata di larve - Larve che gli strisciavano su ogni centimetro di pelle, migliaia, milioni, più un solletico inquietante che una minaccia, ma comunque poco piacevole. Trasse un respiro profondo. Feliciano. Spiaggia. No vestiti. Castello. Lovino.
Doveva essersi travestito da umano per raggiungere Lovino.
Si schiaffò una mano in faccia. Se non altro, il castello era facile da raggiungere, il principe Lovino avrebbe potuto soccorrerlo e idratarlo. Sperò che fosse andata così. Sentiva il bisogno di sapere che fosse andata così. Eppure una vocina nella sua testa, una vocina che somigliava spaventosamente a quella di Feliciano, gli diceva che non era così. Ludwig si fidò. Era la voce dell'irragionevolezza, e per qualche motivo ci azzeccava sempre, quando si parlava di Feliciano.
Un'ombra passò sopra di lui. Alzò lo sguardo. Doveva essere un segno.
«Francis!» Probabilmente l'avevano sentito anche a Rostock.
Il gabbiano fece una manovra a U e si lanciò in picchiata su di lui, salvo atterrare in acqua. Ludwig non disse niente - O Francis era molto agitato, o era-
«Sii breve, cherì.» -molto arrabbiato.
«Feliciano è scomparso.» E breve sarebbe stato. «Qui c'è la sua gonna. Credo si sia travestito da umano per raggiungere il principe Lovino. Deve essere nel castel-»
«Non ho visto Felicianò.» Francis guardò il castello come se volesse vederlo esplodere. «Ma non è nel castello. E neppure Lovinò è nel castello.»
«Cosa?» D'accordo. Era insensato, e anche molto irragionevole. Ma così era troppo.
«Non so dove sia Felicianò.» Il gabbiano fece per rialzarsi in volo. Un'ultima occhiata. «Ma sono sicuro c'entri Arthùr.»
Doveva trattarsi dello Stregone del Mare. Francis era già volato via. Ludwig mise mano alla frusta. Forse Francis era talmente arrabbiato che la sua rabbia era diventata contagiosa.
Si era già detto che avrebbe dato un po' di ceffoni al principe Lovino e al pirata Antonio, e si era ripromesso di darne anche allo Stregone del Mare. Era salito in vantaggio, con la vicenda di Gilbert. Ma ora... Ora voleva ritrovare Feliciano e non era sicuro avrebbe avuto la lucidità di passare dal re a chiedergli il permesso di ridurre in poltiglia un grosso calamaro magico.

*



Era una cosa molto poco Magnifica da ammettere - o, forse, la Magnificenza stava nell'umiltà di ammetterlo? -, ma Gilbert non aveva la minima idea di cosa fare.
La situazione era iniziata a precipitare quella notte: di colpo, Antonio si era messo ad urlare di voler sposare Romano - E fin qui nulla di strano, a parte le corse per la spiaggia -, e che il matrimonio si sarebbe dovuto svolgere in meno di ventiquattr'ore. Questo era strano, invece. Molto strano. Inquietante, persino. In un primo momento, Gilbert aveva pensato che Antonio avesse parlato sotto gli effetti dell'alcool ma no, era lucidissimo e ben deciso a portare a termine il suo progetto demenziale.
I tre elfi non si erano opposti. Forse non avevano realizzato la portata dell'idiozia di quell'idea o, più probabile, l'avevano capito e volevano divertirsi. Romano era un altro elemento che l'aveva confuso: non si era opposto - Dunque Antonio gli si era davvero proposto, e Romano aveva davvero accettato? -, ma non stava facendo niente per aiutare il suo futuro marito nel loro matrimonio. "Aiutare" si sarebbe potuto intendere in chiave non necessariamente produttiva, quanto più distruttiva e rasente l'autosabotaggio.
E poi che fine aveva fatto il suo piano di vendetta? Era ancora umano e muto, quindi non aveva revocato il patto - Quindi, insomma, che cazzo stava succedendo?
Poi era arrivata Erzsébet. Sì, c'era anche il damerino, ma la cosa più assurda, ridicola, impossibile da credere era che lì, a Napoli, in quel castello, fosse apparsa Erzsébet. Erzsébet. Erzsébet.
A quanto pareva, Erzsébet conosceva Antonio perché era il damerino a conoscere Antonio. Il mondo di superficie non era piccolo, era lillipuziano.
Per quanto Magnifica, la sua mente non poteva reggere tutto quello che stava succedendo. Prima Ludwig, ora Erzsébet - e, nel mentre, Antonio usciva di testa e lo Stregone del Mare era a pochi fathom da lui. Il mondo era intenzionato ad aggredirlo e Gilbert sapeva che si sarebbe dovuto difendere - Era un arrembaggio, quello, un arrembaggio alla più pericolosa e armata flotta nemica che avesse mai incontrato. Per affrontare al meglio una simile, epica battaglia, aveva bisogno di concentrazione.
«Uhm, signor Gilbert?» Lucilin lo guardò, un sopracciglio inarcato.
«Sì?»
«Cosa ci fa nell'armadio?»
«Rifletto.»
Lucilin annuì, piano. «È una gruccia, quella laggiù? Può passarmela?»
Gilbert gliela porse. Con un «La ringrazio.», l'elfo uscì dalla cornice illuminata dell'anta lasciata aperta. Il quartiermastro sbattè le palpebre. Pensava che un luogo stretto e buio l'avrebbe schermato dal disagio della realtà per un po', ma Francis appollaiato sul davanzale della finestra gli fece comprendere quanto si sbagliasse. La finestra era lasciata aperta in diagonale, di modo che l'aria entrasse solo da sopra. Era impossibile che Francis riuscisse ad entrare. Giusto, altra cosa che l'aveva colpito ma che, in tutto quello, era passato in quindicesimo piano - Da quando Francis era un gabbiano? E perché conosceva Romano - anzi, Lovino? Se l'era chiesto, ma il momento promesso delle spiegazioni non era mai arrivato.
«Mancano poche ore al matrimonio.»
La voce di Lucilin lo riportò alla realtà. Francis, dall'altro lato del vetro, era trasalito fino quasi a saltare. A guardarlo bene, in effetti, sembrava abbastanza turbato da qualcosa. Cosa stracazzo era successo, ancora?
«Dovrebbe prepararsi.» Lucilin riapparve davanti a lui, oscurandogli la finestra. «Abbiamo reperito una tunica bianca. Può indossare quella.»
«Reperito dove?»
«Da un lenzuolo. Manon ci ha disegnato sopra una croce con un pennarello nero.»
«Was?» Gilbert si aggrappò all'anta chiusa. «Il Magnifico me non indosserà una cosa tanto ridicola!» D'accordo Erzsébet. D'accordo Ludwig. D'accordo Antonio. D'accordo Francis. D'accordo tutto. Ma una poracciata simile no. Uscì dall'armadio, Lucilin si fece da parte. Con la coda dell'occhio, Gilbert notò che Francis stava agitando le mani, in un tentativo di richiamare la sua attenzione. Forse avrebbe dovuto mandar via Lucilin con una scusa e ascoltare cosa Francis avesse da dirgli - Glielo stava pure mimando e scandendo, ma lui non era mai stato bravo con le sciarade, né aveva mai imparato a leggere il labiale. La seconda ce l'aveva sulla lista delle cose da fare, però!
«E allora cosa vuole indossare?» Lucilin non sembrava minimamente turbato.
«Dovrei avere qualcosa.» Un vecchio vestito da chierico, dato in omaggio al seminario. L'ultima volta era nel secondo cassetto, quindi...
«E perché non ce l'ha detto prima?» Lucilin gonfiò le guance. «Vorrà dire che con quel lenzuolo ci faremo dei fiocchetti...»
«Ma chiedetele prima, le cose-»
Sì, Francis si stava spazientendo, ormai lo vedeva benissimo. Si sarebbe messo ad urlare, Lucilin l'avrebbe visto e si sarebbe fatto domande sensatissime sul tipo di fauna locale - Sul tipo di gente che frequentavano lui e Antonio, invece, nessuno si era mai fatto la minima domanda.
Francis scomparve dietro la tenda. Gilbert non potè non voltarsi esplicitamente verso la finestra. Romano aveva tirato la tenda, e si era girato a guardarli. Quando era entrato? Perché aveva chiuso la tenda?
Romano sollevò la lavagnetta. «"È quasi tutto pronto. Dovreste vestirvi."»
«Anche tu dovresti vestirti.» Lucilin sorrise. «Sei uno dei protagonisti di questa serata!»
Anche Romano sorrise. Ghignò, come suo solito, ma in un modo diverso che a Gilbert non piacque. Decisamente. Quel Romano davanti alla tenda aveva qualcosa di sinistro.

.

Note:
* Il primo titolo del capitolo viene da Silence is Golden, canzone cancellata del film Disney che è servita da base per Poor Unfortunate Souls.
Il secondo titolo viene da Prisoner of Love and Desire (Aiyoku no Prisoner), canzone composta da Hitoshizuku & Yama e cantata da Len e Rin Kagamine. Una delle mie canzoni preferite dei Kagamine - E, nonostante la trama, mi fa ridere. Tutta colpa di Len. Also, ha l'inquietante potere di sedimentarsi in testa al primo ascolto e non andarsene mai più.
* «How sad! Anyway.»: Da Loki (Che in realtà era «Yes, very sad. Anyway.», ma tant'è. Anyway.)
* «Tu non sei una voce. [...]»: Into the unknown/Nell'ignoto, da Frozen II, sia la versione inglese che quella italiana. Non c'entra niente, ma mi martellava in testa e mi sembrava ci stesse bene. (?)
* «Y basta, me lo has dicho miles de millones de veces!»: «E basta, me l'hanno detto miliardi di volte!»
«Está bien. Le daré un vistazo.»: «Va bene. Darò un'occhiata.»


Per prima cosa, mi scuso per aver saltato l'aggiornamento della settimana scorsa. La RL mi sta risucchiando come Cariddi. ( ꒪Д꒪)ノ Non posso garantire al mille per mille che cioè guarda proprio non ti dico non succeda di nuovo, ma l'idea è fare in modo non succeda. (!)

Parlando del capitolo. Per chi se lo stesse chiedendo, il travestimento troppo bellissimo di Arthur è letteralmente Arthur con le sopracciglia fini e i capelli castano-rossiccio. Fine. Nella mia testa è divertente. (Come l'inizio del capitolo. Sì, mi diverto con molto poco.)
(Poi, per quanto la UkSp mi piaccia, niente scene UkSp. Non credo ci starebbero a fare niente, qui. (・□・;))

Nota a parte: non avete idea di quanto sia soddisfatta del fatto che esista una versione beta proprio di Poor Unfortunate Souls e che abbia un titolo del genere. Trovo sia parecchio azzeccata, sia per il testo sia per la sua natura di "versione beta"/"canzone cancellata"!

Spero che questo capitolo tardivo vi sia piaciuto e vi saluto! Ciao!
  
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