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Autore: Nike90Wyatt    16/09/2022    1 recensioni
Milano, 2016. Marinette Dupain-Cheng vive la nuova realtà di studentessa dell’Accademia di Moda Bellerofonte per coronare il suo sogno di diventare un giorno una stilista di livello internazionale. Quella borsa studio ottenuta grazie al suo immenso talento è stata una vera benedizione del cielo. Ma la strada verso la gloria è frastagliata e irta di imprevisti e le certezze di Marinette, lontana dal sostegno dei suoi amici, iniziano a vacillare fino a crollare del tutto quando una minaccia tanto pericolosa quanto imprevedibile inizia a incombere su Milano. I poteri di Ladybug potrebbero non essere sufficienti per affrontarla; pertanto, Marinette dovrà ricorrere a tutto il suo coraggio e fare delle scelte che cambieranno per sempre la sua vita.
[Cover Credits: https://www.instagram.com/my_bagaboo_/]
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nonna Gina, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prefazione:

A volte ritornano. Dopo ben due anni dalla mia ultima pubblicazione, rieccomi sul fandom di Miraculous a presentarvi una nuova opera.

Ritengo opportuno scrivere una breve premessa per introdurvi al meglio a ciò che andrete a leggere: quest’opera deriva da un’idea presentata all’interno di un episodio della quarta stagione di Miraculous, che mi ha affascinato particolarmente. Non entro troppo nel dettaglio in quanto non è mio desiderio rovinare la scoperta dei dettagli della storia, ma sappiate che mi sono divertito tanto a plasmare l’idea in modo da essere il fulcro di quest’opera.
Un altro appunto che mi preme spiegare è la collocazione temporale della presente storia: da quanto potete leggere nella breve sinossi, le vicende si collocano esattamente in un intervallo di tempo che colma una parte mancante dell’ultima storia che ho pubblicato, Le scelte della vita. Non è assolutamente obbligatorio leggerla (ogni opera che scrivo è autoconclusiva e a sé stante), ma comunque ve ne consiglio la lettura per approfondire alcuni dettagli che poi vedrete.
Detto ciò, vi auguro una buona lettura.
Nike90Wyatt



L’autobus rallenta sulla carreggiata e inizia ad accostarsi al marciapiede.
Balzo giù dal sediolino, schivo un signore in giacca e cravatta che parla al telefono e premo il pulsante per prenotare la fermata. L’Accademia si staglia contro il cielo terso, le vetrate della facciata riflettono i raggi solari costringendomi a distogliere lo sguardo.
Artiglio il palo ed evito di cadere per la frenata brusca dell’autista. Lungo l’asta corrono le solite scritte dei Satiri dell’Anarchia, l’inchiostro rosso risalta sul grigio. Devono averle fatte massimo due giorni fa.
«Accademia di Moda Bellerofonte,» gracchia la voce nell’altoparlante.
Le porte si aprono e scendo dall’autobus.
Prendo lo smartphone dalla tasca e blocco la riproduzione della playlist. Devo ammettere che provare nuovi gusti musicali è stata un’ottima idea: grazie nonna.
Sfilo le cuffie dalle orecchie.
Due colpi di clacson stridono da destra, un motorino mi sfreccia davanti nello strettissimo spazio tra me e il marciapiede. Il cellulare mi sfugge dalle dita, fa una parabola in aria e si schianta sulle mattonelle rosse. La scocca della custodia si apre e lo smartphone salta fuori.
Sbatto le palpebre e giro la testa a sinistra.
Il motorino ha rallentato la sua corsa. La ragazza in groppa suona altre due volte il clacson; boccoli biondi sbucano dal casco rosa tempestato di glitter e ballano sul giubbottino di jeans. Letizia…
Si volta e mi sorride fiera, orgogliosa della sua bravata. «Sta attenta a dove metti i tuoi piedi palmati, baguette!»
Ingoio una risposta affilata e corro a recuperare il cellulare.
Letizia dà un altro colpo di clacson, solleva il braccio e mi mostra il dito medio. Sgasa col motorino e scende la stradina che conduce al parcheggio.
Molto maturo da parte sua. Perché proprio a me doveva capitare come compagna di classe la fusione maligna di Chloé e Lila? A confronto con lei, quelle due sembrano angioletti.
 Afferro il polsino della maglietta e lo strofino sullo schermo: sembra non abbia riportato graffi. Premo il pulsante di accensione e sul display compare la foto di me che abbraccio Alya, la Tour Eiffel sullo sfondo. Se avesse assistito alla scena, avrebbe già cercato di forare entrambe le gomme del motorino di Letizia e, come al solito, io tenterei in tutti i modi di bloccarla per evitare discussioni con un’oca giuliva.
Che le oche giulive mi perdonino per il paragone.   
Il cellulare funziona ancora, ma la custodia è da buttare. L’angolo in alto si è spaccato impedendone l’utilizzo.
Un lieve movimento agita la pochette sul fianco. Apro la zip e gli occhi blu cobalto di Tikki mi fissano. «Stai bene, Marinette?»
«Per ora, sì.» Le spingo la testolina con l’indice. «Nasconditi, non vorrai farti vedere da qualcuno.»
Stringo la tracolla della borsa e mi incammino lungo il piastrellato che conduce al maestoso ingresso dell’Accademia. Un rigurgito acido mi risale lungo l’esofago: sapevo che ieri non avrei dovuto esagerare con gli assaggi mentre provavo la nuova ricetta dei macaron di mio padre. Questo è il motivo per cui la gola è un peccato capitale.
Spero almeno che ne sia valsa la pena.
Sulla parete dell’edificio che affaccia sul parcheggio riservato agli insegnanti, spicca il logo degli anarchici, una A rovesciata a strisce rosse e gialle circoscritta da un sole nero. Due addetti dell’impresa di pulizia, in tute azzurre con tanto di mascherina, stanno spruzzando del detersivo sul disegno per rimuoverlo.
L’aria puzza di varichina e ammoniaca.
Mi copro la bocca con il braccio e allungo la falcata. Passo accanto a un gruppo di studenti dell’ultimo anno e imbocco l’ingresso. Fumano e ridacchiano, presi dai loro discorsi sulla partita di Champions League di ieri sera: ancora una volta, ho dovuto ingoiare una cocente sconfitta del Paris Saint Germain, ma ormai ci ho fatto il callo. Il presidente non capirà mai che spendere milioni di euro alla cieca per comprare campioni su campioni non ci garantisce la vittoria di diritto. Serve coesione, un progetto serio.
Salgo le scale che conducono al primo piano, il chiacchiericcio dell’atrio diventa man mano un semplice brusio.
In cima, mi accoglie la riproduzione in scala dell’eroe greco che dà il nome all’Accademia. Il bel volto disteso è incorniciato dall’elmo, nella mano destra impugna la lancia puntata contro il muso da leone della chimera. Le zampe caprine del mostro sono piegate sulla base della scultura, la coda di drago vortica sulla testa di Bellerofonte.
Mi sono sempre chiesta se la mitologia greca non posasse le proprie fondamenta su eroi reali che brandivano Miraculous. D’altronde, i gioielli esistono da migliaia di anni, non è da escludere come teoria.
Cammino lungo il corridoio, l’aria è pregna del profumo di cera che viene stesa ogni settimana sul parquet. Ci tengono molto all’estetica qui, quindi i pavimenti devono brillare sempre, costi quel che costi. Peccato che risparmino sulle luci, al mattino occorre sempre camminare al buio.
Davanti alla porta dell’aula, incrocio un familiare sguardo verde: Sonia mi corre incontro, la coda castana le oscilla dietro la schiena.
Guarda l’orologio e annuisce convinta. «Sei minuti in anticipo sul suono della campanella. È record.»
«Avrei fatto anche prima se non avessi incrociato una chimera sul cammino. E non mi riferisco alla scultura.»
 «Che ha combinato Letizia?»
Storco il naso. «Non mi va di parlarne.» Apro la zip della borsa e ci ficco la mano dentro. «Ho qualcosa per te.» Scosto l’astuccio e le dita sfiorano la scatoletta ricoperta di pellicola trasparente.
La estraggo e la porgo a Sonia. «Per te.»
«È quello che penso?»
«Macaron al cioccolato, vaniglia e fragola.»
Gli occhi di Sonia si illuminano. Strappa via la pellicola e la getta di lato, facendola planare sul pavimento.
Apre la scatoletta, afferra un macaron e lo addenta a metà. Si lascia andare a un mugolio di piacere, la testa oscilla come se fosse pervasa da una sensazione di estasi. «Tu sei pericolosissima per la mia linea. Se dovessi farci l’abitudine a questi, nel giro di un mese non riuscirò più a passare per le porte e dovrò rifarmi il guardaroba.»
«Non correrai questo rischio.» Ridacchio. «Ieri ho messo la cucina sottosopra per prepararli e non ho potuto apportare le modifiche che volevo agli schizzi che avevo preparato.»
Sonia infila la mano nella scatoletta, esita un istante e la ritrae. Scuote la testa, la richiude e la mette via nella borsa. «Resisterò fino alla pausa. Non cederò al richiamo dei tuoi manicaretti.»
Dal fondo del corridoio giungono due voci familiari. Juan e Richard compaiono dalla rampa di scale e ci vengono incontro.
Sonia mi dà di gomito. «Perché devono vestirsi ogni giorno uguali?»
Mi stringo nelle spalle. «Si definiscono “gemelli”. Chi siamo noi per infrangere le loro convinzioni?»
Nella penombra del corridoio, l’incarnato pallido di Richard risalta sul golfino amaranto che indossa. Si passa una mano tra i capelli rossicci e mima un calcio nel vuoto.
Di sicuro stanno parlando della partita di ieri. Dunque, devo prepararmi alle loro battutine di scherno.
Juan avvolge con un braccio Sonia e le schiocca due sonori baci sulle guance. Si avvicina a me e ripete l’operazione, il suo profumo al bergamotto è così forte da farmi pizzicare il naso.
Si scosta il ciuffo color ebano dalla fronte e ghigna. «Allora, chiquita? Questo Paris?»
Sospiro. «Direi che ci siamo meritati di uscire. Il Manchester ha giocato meglio.»
Juan scuote l’indice. «Non te la caverai con la scenetta della tifosa sportiva. Sono andato a dormire all’una pur di trovare i dettagli del budget che avete speso in estate e a gennaio nel mercato.»
Richard sbotta in una risata. «Come on, my friend. Non torturarla.»
«Non esiste!» Juan tira fuori dalla tasca un foglio spiegazzato e lo apre. Sembra il prospetto finanziario di un’azienda. Punta il dito su un rigo e lo mostra a Richard. «Guarda qua! Il loro tetto ingaggi è pauroso e—»
«Yeah, yeah, ma ti ricordo che è stato buttato fuori dal Manchester City, che di certo non spende meno soldi sul mercato.»
Ineccepibile argomentazione.
Le braccia di Juan calano lungo i fianchi.
Richard scuote le spalle per bilanciare il peso dello zaino. «Stasera vedremo cosa farà il tuo Real, my friend.»
Sonia si lascia andare a un verso spazientito. «La volete finire di parlare di calcio?» Mi prende sottobraccio. «Io non so come tu faccia a sopportarli.»
Sorrido. «Abitudine.»
A Parigi ero abituata a intavolare discussioni che duravano giorni con Kim, Alix e Nino: oggi saranno a lutto visto il risultato di ieri, oppure saranno talmente furiosi da riuscire a farsi cacciare dalla classe dalla professoressa di turno.
Juan mostra i palmi e attraversa per primo l’uscio della classe. «Està bien. Ne riparliamo domani allora.»
Richard mi strizza l’occhio. «Domani ci divertiamo. Il Real è practically con un piede fuori.» Arriccia il naso e annusa l’aria. «Cos’è questo odore di dolci?»
Sonia mi indica col pollice. «Saranno i macaron che Marinette ha preparato per me.»
Richard disegna una O con la bocca. «What?»
Juan lo affianca di corsa. «Macaron? Di Marinette?»
Si scambia un’occhiata con Richard ed entrambi si gettano in ginocchio ai miei piedi, le mani giunte a mo’ di preghiera.
«Falli anche per me,» piagnucola Juan. «Juro che non ti prenderò più in giro sulla tua squadra.»
Richard fa eco alla sua preghiera. «Me too. Per favore, Marinette.»
Il resto della classe osserva la scena divertita. Risatine e cori di sostegno si alzano dal gruppetto. Non manca giorno che Juan e Richard si lascino andare a queste sceneggiate teatrali.
Sonia si piazza davanti a loro, i pugni premuti sui fianchi. «Ma guardali. Due schiavetti al nostro servizio.»
Un versaccio di disgusto tuona dal fondo dell’aula. Il gruppo di ragazzi si apre rivelando la sagoma di Letizia, seduta sul banco con le gambe accavallate.
«Tante storie per degli esperimenti casalinghi di dubbio gusto.» Fa oscillare i piedi avvolti nelle decolleté rosa confetto. «Siete davvero patetici, voi due.»
Juan e Richard si rimettono in piedi e vanno a sedersi, senza proferire parola. Non sono tipi che si abbattono dopo essere colpiti dal veleno di quella serpe, ma sui loro volti si legge l’imbarazzo e la vergogna.
La rabbia mi infiamma il petto. Non solo stamattina Letizia ha rischiato di uccidermi, ma adesso si permette anche di insultare i miei amici.
Sonia mi prende la mano. «Lasciala perdere, Marinette.» Parla a voce alta così da assicurarsi che Letizia la senta. «La signorina è abituata a mangiare le schifezze da ricchi, non ha idea delle prelibatezze che si perde.»
Letizia si punta una ciocca bionda dietro all’orecchio, il padiglione è tempestato di orecchini e piercing brillanti. «Almeno io riesco a mantenere una siluette perfetta, al contrario di altre persone.»
La mano di Sonia diventa di ghiaccio. Lei passa ore e ore ad allenarsi per bilanciare il suo metabolismo lento che altrimenti le farebbe mettere su chili appena compie qualche sgarro. Riesce a permettersi una piccolissima quantità di zucchero al giorno, il resto sono solo rinunce.
I ragazzi della classe tacciono, come se fosse una forma di assenso. Al suono della campanella, ognuno prende posto al proprio banco e la discussione cade lì.
Letizia si schiaffeggia i capelli e si siede con aria trionfante.
Non è giusto che debba avere sempre l’ultima parola.
 
***
 
Stacco la penna dal foglio e morsico il tappino. L’espressione contrita di Sonia mi ha provocato una stretta al cuore.
Non mi ha mai raccontato i particolari di quello che le è successo, ma, a grandi linee, so che poco più di un anno fa ha dovuto affrontare una crisi depressiva che l’ha condotta a mangiare pochissimo, fino a sfiorare l’anoressia. Solo con l’aiuto di uno specialista ne è uscita riprendendo il peso forma normale per una ragazza della sua età. Gli strascichi di quell’episodio, però, continuano ancora oggi a manifestarsi: basta una parola fuori posto e Sonia diventa fredda come un ghiacciolo appena preso dal frigo.
Mi agito sulla sedia.
Il professor Rissagno pinza con due dita l’asticella dei suoi occhialini e li sistema più in basso sulla radice del naso. Osserva con minuziosa attenzione le formule scritte alla lavagna.
Tra la rabbia per le angherie della serpe bionda e la preoccupazione per Sonia, non riesco a seguire la lezione. Dovrò farmi passare gli appunti da Richard.
«Dupain-Cheng.»
Accidenti a quella Letizia. Perché dev’essere così acida con tutti? Eppure, non dovrebbe esserci un motivo per avercela col mondo: è una brillante studentessa, ha una carriera spianata nel mondo della moda e può scegliere senza problemi di intraprendere la strada di stilista o di modella, in quanto eccelle in entrambe le discipline.
«Dupain-Cheng!»
E io che pensavo di essermi liberata definitivamente delle prepotenze, allontanandomi da Chloè e Lila per chilometri e chilometri.
Che illusa che sono stata.
«Dupain-Cheng, mi ascolti o preferisci continuare a dormire?»
Il gomito di Richard mi colpisce al fianco. Sbatto le ciglia e mi riscuoto, la penna ricade sul foglio. Tutti gli occhi della classe sono puntati su di me, compresi quelli severi e inceneritori di Rissagno.
«Ebbene, Dupain-Cheng?» Il professore tiene sollevato all’altezza della spalla il gessetto. «Devo scusarmi per aver interrotto il tuo flusso di pensieri?»
«I-io,» balbetto. «M-mi scusi, professore.»
«Se il tuo desiderio è dormire in classe, preferirei che tu stessi a casa.»
Letizia gira la testa sulla spalla e mi rivolge un ghigno. Sta godendo del rimprovero che ho preso. E se conosco bene Rissagno—
«Forza, vieni alla lavagna.»
Proprio quello che temevo.
Mi alzo dalla sedia e claudico fino alla cattedra. L’odore pungente del dopobarba del professore ristagna in zona. E lui vuole anche tenere le finestre serrate quando fa lezione.
Rissagno allunga il gessetto, o quello che ne rimane, e lo pianta sotto al mio naso. «La formula per determinare il fascio di rette passante per un punto.»
Prendo il gessetto. Ripasso a mente tutte le formule che ho studiato negli ultimi mesi. Accidenti, una domanda così a bruciapelo è paragonabile all’attacco di un’akuma. E la seconda la saprei gestire sicuramente meglio.
Avvicino il gessetto alla lavagna e inizio a scrivere. Il fascio di rette passante per un punto… «P-per un punto passano infinite r-rette.»
Scrivo l’equazione, ma all’ultimo punto mi blocco. La mia testa mi suggerisce che manca qualcosa. Mi volto verso Rissagno, il quale ha il muso sporgente e gli zigomi contratti. Un’espressione che non lascia presagire nulla di buono.
«La domanda è troppo difficile per te, Dupain-Cheng?»
Deglutisco. Ho sbagliato. So che ho sbagliato.
Richard solleva appena il gomito oltre la spalla e, con le dita rivolte verso il basso, forma una M.
Mi viene spontaneo di sorridere. Mancava il coefficiente angolare. Lo scrivo e completo la formula.
Il professor Rissagno accoglie la mia risposta con un grugnito. «Bene, Dupain-Cheng. Almeno la tua memoria funziona, sebbene ci impieghi un po’ per carburare.»
Abbasso lo sguardo fino a fissarmi le sneakers, le mani giunte al ventre. «Mi scusi ancora, professore. Non capiterà più.»
«Non voglio promesse da marinaio. Voglio fatti.» Rissagno punta l’indice su quello che ho scritto. «Se il punto è l’origine, come cambia la formula?»
Traccio una barra sulle coordinate generiche del punto.
Rissagno annuisce e mi prende il gessetto da mano. «Torna a posto, Dupain-Cheng.»
A testa bassa, vado a risedermi.
Accarezzo la mano di Richard. «Ti sei guadagnato un’intera guantiera di dolciumi.»
Richard mette la mano a coppa davanti alla bocca. «Abbonda con la crema al cioccolato.»
 
***
 
Nel silenzio del corridoio, mi accosto all’ufficio del professor Ursi, l’insegnante di fashion design.
Sfoglio il quaderno dei bozzetti, fino ad arrivare all’ultima creazione: un abito femminile, sportivo e aderente, giacchetto a coprire il top, leggings e un paio di stivaletti neri, tacco a punta. Quando ho avuto l’illuminazione e mi sono messa a disegnare, lo ritenevo una creazione fantastica. Ora che lo guardo a freddo, mi sembra zeppo di difetti, indegno anche solo di giacere sul quaderno di una studentessa dell’Accademia.
Poggio le spalle al muro e mi colpisco la fronte col quaderno. Magari Ursi non gradirebbe affatto una visita al di fuori dell’orario scolastico e mi beccherei di sicuro un rimprovero. E forse anche una nota di demerito.
No, meglio non rischiare.
«Io ti consiglierei di dar fuoco a quel quaderno.»
Sollevo lo sguardo e incrocio gli occhi celesti di Letizia. Non l’ho nemmeno sentita arrivare, persa nelle mie fantasie mentali. Sotto al braccio ha una cartelletta rosa shocking; sul fronte spicca una L disegnata con tanti brillantini incollati.
Trotterella davanti alla porta di Ursi e oscilla il collo, facendo danzare i suoi boccoli biondi. «Ancora non capisco come hanno fatto ad ammetterti qui, baguette. La tua sola presenza squalifica l’intera Accademia.» Posa le unghie smaltate di viola sul petto. «Per fortuna ci sono io.»
Una sfilza di insulti mi sale lungo la gola, ma li ricaccio giù. Non vale la pena abbassarsi al suo livello, non vale la pena nemmeno starla a sentire.
Letizia bussa alla porta. Entra senza nemmeno attendere il permesso. «Buon pomeriggio, professore,» cinguetta con la sua voce stridula in grado di raggiungere gli ultrasuoni. «Desidero proporle qualche mio schizzo e affidarmi alla sua eccelsa competenza in materia per limare qualche imperfezione.»
Faccio capolino dietro allo stipite per dare una sbirciata.
Ursi chiude la schermata al pc e rivolge la sua attenzione a Letizia. «In realtà non dovrei accettare…» Sospira e le sorride dolce. «Va bene, Letizia. Fammi dare un’occhiata.»
Avrei voglia di prendermi a pugni. Al posto di quella serpe dovevo esserci io. Il professor Ursi è la bontà fatta persona, non avrebbe mai detto di no, chiunque si fosse presentato. Dannata insicurezza.
Non ho voglia di ascoltare le sviolinate di Letizia e gli elogi che il professore le rivolgerà per l’ottimo lavoro svolto. Non voglio subire anche questo.
Giro i tacchi e mi allontano.
 
   
 
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