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Autore: Fanny Jumping Sparrow    17/09/2022    0 recensioni
La maledizione azteca è finalmente spezzata, la Perla Nera è svanita nella notte e i nostri tre eroi, Jack, Will ed Elizabeth, dopo tante battaglie, si ritrovano tutti sulla stessa nave, dovendo fare i conti con il futuro incerto che li attende una volta tornati a Port Royal.
In questa breve storia in 5 capitoli ho provato ad immaginare come sia potuta andare la loro navigazione.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Jack Sparrow, James Norrington, Weatherby Swann, Will Turner
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III – Non ci sono eroi fra i ladri

- Tutta a dritta!

È un confuso brusio, un sommesso cigolare, un leggero sgocciolio che accompagna il risveglio dei suoi sensi annebbiati dalla coltre di un sonno inquieto, affollato da immagini spaventose e raccapriccianti. Quel suono di acqua che scorre a gocce è così vicino al suo orecchio, che Will finisce per schiudere le palpebre appiccicaticce, ritrovandosi ad un palmo dal naso un paio di brache calate su due gambe magre e pallide.
Il giovane, ancora un po’ intontito dalla brusca ripresa di coscienza, mettendo a fuoco nel labile chiarore del mattino il resto della figura in piedi accanto a lui, si scosta d’impulso, battendo sonoramente la nuca sulla grata di ferro.
«Ben svegliato, giovane Turner!», lo saluta sogghignante mastro Pintel, comparendo alla sua destra.
Nel mentre Ragetti, dopo una scrollatina, si rialza i calzoni, richiude la patta e riabbassa la gonna: «Quasi non ricordavo più come si fa!», sbotta ironico, e poi, porgendogli con nonchalance il secchio in cui ha urinato, «Vuoi favorire?»
Il ragazzo inghiotte a vuoto, temendo di essere molto vicino ad avere un conato di vomito, pur avendo lo stomaco sostanzialmente digiuno. L’odore persistente del sego delle candele ormai consunte si mescola al tanfo acre del sudore, di sangue e sporcizia, ammorbando l’aria immobile che puzza terribilmente di umidità e di rinchiuso.
Il briccone con la pelata e i capelli arruffati gli si rivolge ancora: «Che c’è, ragazzino? Ti vergogni? Sei proprio la copia sputata di Sputafuoco Bill!», sghignazza irriverente, contagiando con la sua vena canzonatoria il compare di scorribande che ridacchia reiterando: «Sputafuoco sputato!».
Will inspira a fondo, premendosi le dita sulle tempie pulsanti, incassando la becera battuta. Dopo la loro tetra dissertazione della sera precedente, non si aspettava che recuperassero così velocemente quella smargiassa spudoratezza.
In lui, invece, al rammarico e al timore sta subentrando una disperata apatia.
Non riesce ancora a capire se sentire nominare suo padre gli susciti più risentimento o delusione, avendo scoperto chi fosse realmente, da dove provenissero i suoi sparuti regali. Eppure è combattuto anche dal desiderio di sapere qualcosa di più su di lui. Gli fa uno strano effetto sentirsi ripetere da tutti che gli somiglia, se lo ricorda così poco ...
«Non arriveremo a Port Royal prima dell’alba di domani», afferma navigato Sparrow, sbirciando il cielo livido da una stretta finestrella e aspirando avidamente l’aria salmastra, «Ti conviene approfittare, se non vuoi che ti scoppi la vescica», sbiascica caustico.
Avvertendo effettivamente una certa pressione sul basso addome, il ragazzo dopo qualche secondo è costretto malvolentieri a dargli retta. Stiracchia gli arti anchilosati dalla posizione scomoda di quel duro giaciglio improvvisato e lentamente si rimette in piedi. L’essere ammanettato gli rende penoso espletare quel naturale atto corporeo, e ancora di più lo inibisce quella situazione di promiscuità cui non è abituato, ma che a tutti gli altri non suscita il minimo imbarazzo. Spontaneamente si domanda quante volte Bill Turner, per quella sua discutibile scelta di diventare un bucaniere, si sia ritrovato in simili frangenti degradanti, intrappolato tra squallore e sudiciume.
«Non gettarla fuori, siamo controvento», gli raccomanda con saccenteria il pirata più smilzo, quando intuisce che ha finito, facendolo sentire nuovamente uno sprovveduto.
Will riappoggia il lercio recipiente di legno per terra e si scosta, pulendosi alla bell’e meglio le mani sulle ginocchia. Se il suo futuro prossimo, breve o lungo che sia, sarà quello di miserabile recluso, deve imparare alla svelta a non essere troppo schizzinoso.
Ragetti intanto riavvicina a sé il secchio, scambiandosi un sorrisetto diabolico con il compare di lungo corso.
«Comincio ad avere una fame boia, accidenti», prorompe innervosito quest’ultimo, massaggiandosi la pancia che brontola.
Il biondino di fronte a lui si sfrega l’occhio finto, bofonchiando: «Non penso ci daranno qualcosa da mettere sotto i denti. Oramai siamo cadaveri che respirano. Non che prima la nostra situazione fosse tanto diversa …».
Morte. Ne parlano con tale naturalezza. Turner sospira avvilito, affacciandosi alla feritoia.
«Beh ma, giacché non sono ancora morto, ho una dannata fame!», insiste a cercare ragione il furfante calvo e tarchiato, ottenendo riscontro dagli altri sodali imprigionati, che cominciano a vociare e protestare anch’essi, picchiando con le catene contro le sbarre.
«Io ho voglia di sbronzarmi. Mi scolerei anche un intero barile di rum. O forse un’intera stiva di barili di rum», borbotta tra sé e sé Jack Sparrow, le iridi liquide e le labbra incurvate in sorriso bramoso al solo vagheggiare l’appagamento di un simile desiderio, che gli fa aumentare la salivazione.
Quasi invocati dalle loro lamentele, irrompono quattro soldati, subito assaliti da coloriti improperi. Si accertano che durante la notte non ci siano stati altri decessi tra i feriti più gravi, né che qualcuno abbia tentato di forzare le serrature delle prigioni. Rassicurati sull’assenza di rischi per potersi accostare a quegli uomini scellerati capaci di tramare qualunque insidia, richiamano un quinto soldato che reca con sé un pentolone.
Quel pietoso rancio, che è probabilmente composto dai rimasugli di quanto avanzato dalla mensa destinata ai residenti dei ponti superiori, viene distribuito riempiendo delle scodelle fatte passare appena sotto le grate di ogni cella, in numero notevolmente inferiore alle bocche da saziare, così che tra quei furfanti si scatena una gazzarra per accaparrarsi il misero pasto.
Appena giungono davanti alla loro soglia, Will nota un furtivo scambio di occhiate tra i due ex cannonieri della Perla Nera. Con un movimento fluido il magrolino si alza, la secchia di urina tra le braccia, e adesso il suo intento gli è chiaro. Vorrebbe avvertire in qualche modo il malcapitato marinaio, ma d’un tratto accade qualcos’altro.
Sparrow stende una gamba, per poi ripiegarla rapidamente contro il busto; guarda Will inarcando le sopracciglia, intimandogli di tacere. E lui, non sa né come né perché, lo asseconda. Quell’uomo scorretto e ambiguo esercita un insano ascendente su di lui.
Ragetti, ignaro del suo sleale sgambetto, prevedibilmente inciampa, riversandosi addosso tutto il maleodorante contenuto. Il soldato invece si allontana, lanciandogli con negligenza le ciotole mezze piene, neanche fossero animali da foraggiare.
«Così finalmente ti deciderai a toglierti quel vestito da donnicciola!», lo motteggia un collega della ciurma che ha assistito alla scena dalla cella opposta, scatenando il riso malevolo degli altri pirati.
«Era grazioso come abito, però», s’imbroncia il diretto interessato, sgusciando impacciatamente fuori dal corpetto e dalla gonna color malva, che il defunto quartier mastro Bo’sun lo aveva costretto a indossare per creare un diversivo.
«Smettila di dire così! Sei un invertito o cosa? Mi fai vergognare!», lo ammonisce irritato Pintel, spogliandosi anche lui di quel che resta dello sbrindellato abito giallo canarino.
Mentre i due si ricompongono, risistemandosi le consuete vesti piratesche che avevano mantenuto sotto il buffo travestimento, Jack annusa circospetto la brodosa vivanda, che ha la vaga parvenza di essere una zuppa di pesce: «Mi sento magnanimo, signori. La lascio a voi», arriccia il naso schifato.
Il giovane Turner intanto gli si accosta e, scartata anche lui quella repellente brodaglia, spostandone la ciotola, tenta di estorcergli una confessione: «Perché lo hai fatto?», indaga cauto, inclinando il mento in direzione dei due furfanti che continuano a lagnarsi dello sgradito incidente, quando il pirata finge di non capire il suo sottinteso.
«Non mi piaceva il modo in cui sparlavano di Bill», rimastica stringato quello, deviando lo sguardo verso una minuscola apertura che mostra acque leggermente increspate.
Nonostante la laconicità della sua risposta, Will rimane stupito di ricevere tale sincera ammissione da parte di quel tipo che sembra sempre pronto a schermirsi e a indossare una cinica maschera di menzogne; perciò s’incoraggia a chiedere ancora: «Lui com’era? »
L’ex capitano lo sbircia appena, scoccandogli un cipiglio serioso e infastidito, poi reclina la testa contro il tramezzo metallico, il suo accento è schietto, quasi nostalgico: «Era un tipo schivo, mansueto, impulsivo. Cocciuto come uno stramaledetto mulo. Sapeva farsi valere, quando ce n’era bisogno. Se qualcosa non gli andava a genio, non temeva di dire il fatto suo, anche cacciandosi scelleratamente nei guai … Ne abbiamo combinate a bizzeffe, ai bei tempi andati».
Una baraonda di ricordi, alcuni graditi, altri spiacevoli, gli sfarfalla davanti agli occhi.
Si perde per qualche istante nel ripensare ai loro rocamboleschi trascorsi insieme a caccia di mitici tesori, tra le Americhe e l’Estremo Oriente, alle audaci azioni piratesche perpetrate contro altri loschi individui di malaffare.
«Ti aveva mai raccontato di me?», lo incalza imperterrito il ragazzo, più scettico che speranzoso, afferrandosi le ginocchia, dondolando lievemente, in una posa quasi infantile. Jack lo scruta di sbieco: ora davanti a lui c’è soltanto un bambino cresciuto troppo in fretta che si sforza di apparire forte e inscalfibile, mentre elemosina qualche briciola di conforto che sfami il suo bisogno di approvazione. Non è estraneo a tale anelito.
D’improvviso torna in sé: «Forse. Non mi ricordo», glissa con freddezza, scrollando le spalle e incrociando le braccia dietro il collo, sollevato di riuscire ancora imperturbabilmente a mentire.
Turner non insiste a stuzzicarlo, piuttosto si strofina un avambraccio sul viso madido, emettendo un sussurro dolente: «Stavo pensando che, ovunque fosse … potremmo averlo ucciso, spezzando la maledizione».
Sparrow è sconcertato da quella terribile deduzione, ma non è tipo da indulgere in rimpianti: «Non pensarci. Era l’unico modo. E tanto ormai non puoi cambiare le cose».


C’erano soltanto il timoniere e qualche mozzo intento a strigliare il ponte di coperta, quando è sgattaiolata fuori ai primi albori, sospinta dall’irresistibile bisogno di riempirsi gli occhi dello straordinario azzurro di quel mare cristallino, di sentire il vento caldo dei Caraibi scompigliarle i capelli liberi da acconciature, avvertirlo infilarsi sotto il tessuto di percalle, solleticandole deliziosamente la pelle intirizzita dal freddo della notte, come una peccaminosa e proibita carezza.
Aveva fatto spesso quelle sortite anche durante la lunga traversata oceanica che, più di otto anni prima, su quella stessa nave, l’aveva condotta dalla nebbiosa Inghilterra all’assolata Giamaica, con gran disperazione della sua governante.
Adesso non c’è stato nessuno a controllare le sue mosse, è riuscita a eludere facilmente la stretta sorveglianza di due piantoni e di suo padre, che pure alla fine si è arrangiato a dormire nel suo stesso alloggio, troppo grande e confortevole per non essere diviso almeno fra due occupanti. Ha voluto evitare di permettergli di intuire che ha continuato a struggersi, nel sonno e soprattutto nella veglia, e così è fuggita via. Via dalle futili farneticazioni, via dagli insostenibili sensi di colpa, via dai suoi pensieri tormentosi che tornano sempre inevitabilmente a ruotare intorno a lui.
Elizabeth distoglie lo sguardo dalla fasciatura alla mano sinistra, tentando di scacciare la memoria del suo amorevole tocco e delle indecenti sensazioni che le ha fatto divampare dentro, quando poi le sue dita callose l’hanno sfiorata sul collo. E quando l’ha fissata con quello sguardo ardente di adorazione, manifestando tutto quello che provava per lei, anche senza la necessità di parlare ... Come avevano potuto restare impassibili, pur avvertendo quella tensione che li spingeva ad annullare le distanze? Sarebbe bastato così poco per cambiare ogni cosa.
Espira lentamente. Ha sperato che trascorrere qualche minuto lassù potesse aiutarla ad alleggerire la testa e il cuore dal peso della responsabilità che sente gravare su di sé, avendo accettato di piegarsi a quel mortificante compromesso che cambierà per sempre il corso della sua vita. Invece perfino il tempo atmosferico sembra riflettere il suo malumore: nubi temporalesche si addensano all’orizzonte e le onde si stanno ingrossando.
Perdendosi ad osservare le creste grigie che si infrangono sullo scafo, si domanda ancora se sarà mai capace di non desiderare più di avere al suo fianco la presenza confortante ed eccitante di Will Turner e di riuscire ad essere una buona moglie per l’irreprensibile James Norrington. Un uomo rigido e ligio al dovere come lui perché mai ha scelto di chiedere la mano ad una giovane acerba e refrattaria all’etichetta come lei? E per quale motivo aspira a sposarsi? Rischia quotidianamente la pelle, mette piede a terra per pochi giorni all’anno, è tutto preso dalla smania di far carriera e non avrebbe tempo da dedicare ad una come lei, che si sente ancora una ragazzina desiderosa di vivere fuori da costrittive mura domestiche, di esplorare il mondo in tutta la sua grandezza e varietà.
Si sporge un po’ di più dalla ringhiera di prua, riuscendo a scorgere il leone e l’unicorno scolpiti sulla polena della Dauntless e, per qualche minuto, decide di chiudere le palpebre, lasciandosi trasportare dal suono cadenzato delle onde, restando in ascolto degli scricchiolii del legno, del fruscio delle corde e delle schioccare delle vele, fantasticando su quanto le piacerebbe udire sempre quei suoni, mattina e sera …
«Ah, Elizabeth, eccoti qui. Stanno per servire il pranzo», la voce compassata di suo padre giunge come una secchiata d’acqua fredda, che le rammenta come il tempo per sognare si sia drasticamente esaurito. Raddrizza la postura, si riabbottona nella giubba rossa per coprire le inopportune trasparenze della camiciola e si volta verso di lui con un saluto cordiale, facendosi prendere sottobraccio e accompagnare alla cabina del Capitano.
Il Governatore Swann affretta il passo, faticando a mantenere l’equilibrio per il beccheggio crescente. Non gli è mai piaciuto navigare, eppure, non appena gli è stata ventilata la possibilità di farlo, ha abbandonato la comoda ed elegante scrivania di noce del suo ufficio di Fort Charles e si è imbarcato senza esitazione, perché non sopportava l’angoscia di dover aspettare passivamente l’arrivo di una missiva per accertarsi che la sua unica figlia fosse stata tratta in salvo dalle grinfie dei rapitori e stesse per tornare a casa illesa.
Le porte della sala adibita a convivio vengono aperte da due camerotti, che indicano agli Swann i posti loro destinati, affaccendandosi a finire di apparecchiare.
Il Commodoro James Norrington e i suoi due ufficiali, i tenenti Andrew Gillette e Theodore Groves, in piedi davanti all’ampia parete vetrata di poppa, si esibiscono all’unisono in un ossequioso inchino; poi gli ultimi due, scambiando qualche altra parola con il loro superiore, prendono congedo, tornando sul ponte di comando.
Al Governatore è riservato il posto a capotavola, mentre i novelli fidanzati sono fatti sedere uno di fronte all’altra nel lungo tavolo imbandito in maniera frugale.
«Miss Swann», Norrington le omaggia di nuovo una galante riverenza, attendendo che sia lei la prima a sedersi. «Spero abbiate riposato bene, nonostante la mancanza delle comodità cui siete usa. Sono desolato di non aver potuto offrirvi niente di meglio del mio spartano alloggio. D’altronde una nave non è il luogo più adatto ad una signora», opina con tono severo ma affabile, afferrando le posate, potendo così evitare di contemplarla più del necessario. La sua naturale e fresca bellezza, con i lunghi capelli sciolti che le ricadono scomposti sulle spalle, è ancora più spaventosamente disarmante.
Elizabeth non vuole essere scortese, né apparire troppo condiscendente: «Ad essere sincera, Commodoro, mi è risultato alquanto gravoso riuscire a prendere sonno, sapendo che molti uomini nelle scorse ore hanno perduto la loro vita o sono moribondi a causa mia, e che pochi metri sotto di noi ci sono uomini destinati a patire una sorte altrettanto ignobile, se non peggiore», asserisce con una sfumatura polemica, rimestando il cucchiaio nel piatto fondo senza arrivare a portarlo alla bocca.
L’ufficiale inglese sente su di sé lo sguardo giudicante di entrambi i suoi ospiti, perciò poggia il tozzo di pane che ha spezzato con gesti misurati, puntando gli occhi sulla giovane e indocile aristocratica di cui è infatuato: «Ogni soldato nel momento stesso in cui si arruola è consapevole di dover mettere in conto un prezzo molto elevato per difendere i valori in cui crede e che ci consentono di prosperare: civiltà, ordine, legge. E per quanto concerne i pirati … Beh sono coscienti che l’immorale rotta da loro intrapresa alla fine li condurrà alla dannazione», argomenta irreprensibile e spassionato.
La ragazza è quasi invidiosa della sua compostezza; lei invece ha sempre avuto difficoltà a non accalorarsi quando è in disaccordo: «Ritengo sia comunque eticamente discutibile, vantarci di essere civili e progrediti, e poi infliggere ancora oggi certe barbare condanne a chi sbaglia. Chi ci dà il diritto di privare un essere umano della sua facoltà di scegliere come vivere …»
«Elizabeth!», la richiama al contegno suo padre, tamponandosi le labbra col tovagliolo, «Se sei ancora preoccupata per il tuo amico, ti ribadisco che non appena tornati a Port Royal, emanerò un provvedimento di clemenza a suo favore», la rassicura lanciandole un’occhiata supplice e ammonitoria. Con quel suo ostinato impuntarsi a difendere tali canaglie, sembra che voglia fare un affronto a lui e alla sua autorità.
«Vi riferite al signor Turner?», si acciglia il Commodoro Norrington; più che una domanda è quasi un’affermazione. Non è cieco, negli ultimi anni, e soprattutto con il susseguirsi degli ultimi eventi, ha intuito quanto i due coetanei siano reciprocamente affezionati.
Benché abbia ancora delle riserve su quell’orfano dal passato ignoto ripescato dopo un tragico naufragio; è diventato un bravo artigiano, puntuale, capace e serio, forse il suo garbo, il suo riserbo e il suo aitante aspetto possono risultare attraenti ad un occhio femminile, ma non gli è mai parso tanto speciale da essere degno dell’alta considerazione di una lady del suo rango. Che abbia dei talenti nascosti, di cui lui non è a conoscenza?
Il Governatore Swann giustifica la sua magnanima decisione: «Concordo sia giusto che resti in cella per la durata del viaggio, affinché abbia modo di riflettere sulla sua disdicevole condotta, ma il signor Turner è sempre stato un ragazzo perbene, non si è mai macchiato di alcun delitto. Sono certo che avrà occasione di redimersi, in fondo è ancora molto giovane. In quanto a tutti gli altri … Buon Dio! Un trattamento eguale è fuori discussione! Sono nemici della corona e dell’umanità, devono pagare il loro conto alla giustizia», decreta irremovibile, intimando persuasivo alla figlia: «Mi auguro tu non abbia nulla da ridire su questo punto, Elizabeth».
Lei annuisce, e, non trovando niente di più pertinente da aggiungere si limita a bisbigliare: «No, padre. Certo che no», bevendo un sorso d’acqua per deglutire lo sdegno.
Vedendola insolitamente remissiva, James Norrington invece ci tiene a fare una puntualizzazione: «Non temete, Miss Swann. Non è nei miei piani trasformare la nostra bella isola, che ha già patito la distruzione e il lutto per mano di quei malviventi, in un cimitero a cielo aperto. La maggior parte di quei criminali saranno trasferiti in carceri oltreoceano. Basterà giustiziarne pubblicamente uno per dare l’esempio a tutti e vendicare l’onta della vile aggressione che abbiamo subito».
Le palpebre della ragazza hanno un leggero fremito. Crede di aver intuito a chi stia sottintendendo: «Jack Sparrow?», esterna timorosa della sua stessa perspicace conclusione.
«Esatto. Ha già mancato il suo precedente appuntamento col patibolo», assevera impietoso il Commodoro, lasciando comparire una smorfia di spregio sul volto arrossato, mentre impugna forchetta e coltello per sminuzzare il filetto di merluzzo.
Elizabeth stringe le labbra. Aveva quasi dimenticato che anche sul bislacco avventuriero dai magnetici occhi bistrati pende una condanna capitale. Dopo aver letto tanto di lui e delle sue incredibili prodezze nelle cronache e nei gazzettini locali, conoscerlo di persona ad un primo impatto è stato emozionante, spiazzante e un po’ deludente. Astuto, egoista, manipolatore, ha compiuto atti spregevoli, li ha circuiti per i suoi scopi, eppure ci sono lati del suo carattere che hanno riscosso la sua ammirazione: è tenace, spericolato, spiritoso, a suo modo cavalleresco, e in parte ispirato da ideali di libertà e ribellione che condivide.
Assistere alla sua esecuzione sarà come dire addio definitivamente alla spensieratezza della sua infanzia.


Qualche ponte più giù, nelle celle di bordo, i prigionieri, spossati dalla noia, dalla debolezza e dalla limitata ventilazione, sono quasi tutti assopiti.
Ci ha provato e riprovato ripetutamente anche lui a farsi una dormita, ma la sua brillante mente tattica lo tiene vigile, vagliando tutte le possibili azioni da mettere in atto per uscire indenne da quell’inghippo. E non è un inghippo da poco, stavolta.
Quel Commodoro sembra un tipo piuttosto ostico e sciaguratamente fortunato: è già riuscito a catturare l’imprendibile Capitan Jack Sparrow per ben tre volte negli ultimi cinque giorni! Presupposto che lo rende un avversario temibile, da non sottovalutare. Anche perché può contare sul leale supporto di parecchi uomini, esaltati quanto lui dal senso del dovere e dall’odio per i fuorilegge conclamati come lui.
Jack Sparrow sente come un rigurgito di bile raschiargli la gola. Sa bene che da qualche tempo ormai, più precisamente da quando si è fatto sottrarre stupidamente la Perla Nera, molti non serbano più una grande opinione di lui. Eppure non ha ancora digerito il torto infertogli dalla nuova ciurma. Già, ma chi è stato il capo degli ammutinati, questa volta?
Gibbs non ce lo vede a commettere una simile carognata: anche se è ligio al Codice, è un uomo troppo mite e non ha mai avuto alcuna attitudine al comando; in quanto alla combriccola di derelitti da lui raccattati, gli sono parsi per lo più abbastanza tonti, quando non servizievoli e passivi.
«Anamaria!», sibila indispettito tra se e sé. La bella e intraprendente mulatta potrebbe benissimo aver organizzato la sommossa, scontrosa e vendicativa com’è.
E poi si sa, le donne si legano al dito ogni minimo torto e prendono tutto troppo alla lettera, rimugina scornato.
Neanche Will Turner, alle prese coi suoi patemi amorosi, riesce a trovare requie. Malgrado lo spazio angusto a sua disposizione, continua a camminare in tondo, avanti e indietro, incapace di rassegnarsi al fatidico destino che lo attende.
Di colpo il consumato filibustiere è fulminato da un’idea che lo rianima.
È priva di logica e buon senso, ma forse, se ci s’impegna, potrà volgere a suo vantaggio.



Salve naviganti!
Ed ecco a voi anche il terzo capitolo di questa mini long che però, forse, avrà un (mezzo) capitolo in più rispetto a quanto preventivato.
Il quarto è ancora in scrittura e purtroppo, causa sopraggiunti impegni, temo di non potere riuscire a pubblicarlo per la prossima settimana.
Intanto ringrazio tutti i lettori silenziosi: se vorrete palesarvi, non potrà che farmi piacere

Al prossimo approdo!)
   
 
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