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Autore: Kanako91    17/09/2022    1 recensioni
Chi erano l’Esterling Nero e il Re Stregone di Angmar prima di diventare famosi come Nazgûl?
Come sono entrati in possesso dei rispettivi anelli?
Nove erano gli anelli dati agli Uomini e questa è la storia di due di loro, tra Númenor e l’Est della Terra di Mezzo.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Khamûl, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Parte I. Il tenente - Capitolo 2. Il prezzo da pagare


Nomi utili:

Khamûl: futuro tenente dei Nazgûl (unico con un nome canonico)
Hurren: zia di Khamûl
Badem: secondo marito della zia di Khamûl
Gente del Sole: gli Esterling
Gente del Serpente: gli Haradrim
Uomini della Morte: i Númenóreani




Capitolo 2. Il prezzo da pagare




Nella saletta della taverna si levava il vapore degli hookah e il vino speziato scorreva a fiumi. Fu probabilmente per quello che Khamûl si ritrovò a parlare con la lingua più sciolta del solito.

«Per quanto credete che resisterà ancora questo esercito? Il Governatore non verserà i suoi fondi ancora per molto, anche se continuano ad arrivare notizie di invasioni degli Uomini della Morte» disse e mandò giù quel che rimaneva nella coppa.

Al suo fianco, Oshmar premette la gamba contro la sua, in una carezza di pelle contro pelle.

«Ma cosa dovremmo fare?» disse un altro uomo della compagnia. «Non abbiamo soldi nostri. Molti di noi sono qui perché è l’unico lavoro che sappiamo fare».

«Unico lavoro che sta perdendo valore da quando è caduto il Doragmalik» disse un secondo uomo.

«Ecco!» disse Khamûl.

Oshmar gli versò altro vino, forse capendo che non si sarebbe abbandonato contro il suo braccio sullo schienale del divanetto, e poi riprese ad aspirare dall’hookah.

«Quello è il problema e quella sarà la soluzione» continuò Khamûl, rigirando il vino nella coppa. «Ci vuole un nuovo Doragmalik. Le tribù devono tornare unite sotto una sola guida. Abbiamo ancora a Doragzûl quel che resta del vecchio esercito, e dobbiamo darci una mossa a consolidarlo prima che la Gente del Serpente decida che non c’è altro da fare qui e torni nel Sud».

«E come proponi di farlo? Il Governatore non ha la stoffa del Doragmalik» disse un altro uomo.

«Khamûl ne ha a sufficienza» mormorò Oshmar, con tono abbastanza basso che solo lui riuscì a sentirlo.

Gli gettò un’occhiata oltre la spalla, in una silenziosa promessa di retribuzione per quell’adulazione provocatoria.

«Bisogna trovare qualcuno che abbia il carisma necessario per comandare un simile esercito, che riesca a parlare con tutti i capitribù e abbia anche un canale di comunicazione con il Sud» disse Khamûl.

Uno degli altri uomini lasciò andare una risata incredula. «Fai prima a dire che dobbiamo far rinascere il Doragmalik».

«Sarebbe più semplice di trovare qualcuno del genere ora» disse un altro. «Gli eserciti sono allo sbando da sette anni ormai».

«Non è ancora troppo tardi per recuperarli» giunse da una voce nuova. «Come dice il giovanotto qui, noi del Serpente siamo ancora in giro».

Khamûl si voltò verso la voce, per incontrare un uomo tra i quaranta e i cinquant’anni, con folti baffi striati di bianco e una barba pettinata a punta che gli arrivava a metà petto, intrecciata con decorazioni dorate.

Se non fossero bastati gli spallacci ornati e il braccio destro con il serpente tatuato, qualcuno lo identificò con tono rispettoso: «Generale Rahamadi».

Il generale del Sud passò il rassegna i presenti e si fece largo nello spazio tra i divanetti e i cuscini.

«Lasciateci soli» ordinò e nessuno osò contraddirlo.

Oshmar esitò prima di mettersi in piedi e, con uno sguardo a Khamûl, si allontanò.

Il generale Rahamadi prese posto sul divanetto opposto a quello di Khamûl, che posò sul tavolino tra loro la sua coppa di vino. Avrebbe preferito averne bevuto di meno, ma non si sarebbe mai sognato un simile incontro.

Né in quel momento aveva idea di cosa avesse in mente l’uomo davanti a lui.

Poteva essere tutta una scusa per catturarlo e portarlo davanti alla corte marziale per alto tradimento.

Il generale posò al suo fianco l’elmo che teneva sotto braccio e puntellò i gomiti sulle cosce, per guardare Khamûl in faccia.

«Ti chiami?»

«Khamûl».

«Ho sentito i tuoi discorsi, Khamûl. Dici cose pericolose, per un soldato di questo esercito, per quanto allo sbando».

Come volevasi dimostrare. Poteva andargli bene qualcosa per una volta, e invece no!

Khamûl strinse la testa nelle spalle, le mani sollevate in segno di resa.

«Erano discorsi dettati dal vino–»

«Anche se fosse questo il caso, si tratta di verità indiscutibili».

Khamûl lo scrutò, ma il generale non aveva l’aria di scherzare.

«Hai anche le idee chiare su cosa sia necessario. E gran parte di quello che hai elencato c’è. Manca solo una figura carismatica alla guida di tutto».

«Potresti esserlo tu» disse Khamûl, dopotutto aveva visto come avevano reagito gli uomini a lui.

Il generale rise.

«Per quanto tempo? Non ho più tutta la vita davanti» disse lui. «Ci vuole qualcuno di molto più giovane, che però stia già dimostrando non solo carisma, ma anche una visione».

Lo sguardo del generale su di lui non gli faceva sperare in nulla di buono.

«Hai indovinato» gli disse, infatti.

Khamûl si passò una mano sul viso. «Non credo di esserne in grado».

«Hai bisogno di una dose quotidiana di vino per attirare l’attenzione della gente come ti ho visto fare qui?» disse il generale. «Non erano solo i tuoi amici ad ascoltarti. Un po’ tutta la taverna era attenta alle tue parole. È stato per questo che mi sono avvicinato».

Khamûl non sapeva dove guardare. Era una situazione imbarazzante. Non tanto perché non gli faceva piacere aver attirato tanta attenzione, ma perché non era stata la sua intenzione. In quegli anni aveva badato a tenere un profilo basso per non finire nei guai: non poteva correre il rischio di perdere l’unica fonte di sostentamento per sua madre, sua zia e i suoi quattro cugini.

Dipendevano tutti da lui.

«Ti ho già visto nei campi di addestramento» continuò il generale. «Ho potuto osservare come, anche quando non fai discorsi sovversivi, i tuoi compagni ti ascoltano. Non è solo perché sei un bel ragazzo dai modi piacevoli e quelli come te non riescono a resisterti, ma perché hai quel carisma che ci vuole per riunificare tutte le tribù. Come aveva fatto il Doragmalik».

«Lo hai mai conosciuto?»

Il generale annuì e si accarezzò la barba.

«Quando sono diventato ufficiale sono andato a giurare davanti a lui» disse. «Il Doragmalik non aveva solo carisma, ma anche un fascino particolare. E un modo di parlarti che ti faceva sentire come se lui fosse la soluzione di tutti i problemi. Per molto tempo lo è stato. Ma come tutte le cose belle, era destinato a finire.

«Per fortuna è durato a lungo, al di là di una vita comune. Basta vedere la situazione in cui ci troviamo ora per far sperare che la sua vita innaturale significhi un ritorno dai morti».

Khamûl si guardò le mani, assorbendo quel che gli era appena stato raccontato.

Nessuno del suo villaggio aveva avuto quella fortuna, ma giravano molte leggende sul Doragmalik. La più quotata era che fosse il sacerdote di una divinità misericordiosa che aveva visto la sofferenza dei popoli delle terre del Sole e aveva mandato un emissario a liberarli dal caos in cui erano sprofondati dalla rovina della vecchia Doragzûl. Un’altra leggenda sosteneva che non ci fosse stato molto di umano in lui, ma che fosse stato uno stregone talmente potente da raggiungere la divinità.

«Perché proprio io? Sono certo che esistano uomini più giusti di me per questo ruolo. Non mi sento adatto» disse Khamûl.

«O forse temi di avere davanti una fregatura?»

Già, soprattutto quello.

Khamûl si limitò a guardarlo e sembrò essere una risposta sufficiente, a giudicare dal sorriso che gli rivolse il generale.

«Quel che ti offro sono i miei contatti e la mia autorità, mentre tu metti la tua persona al servizio di un nuovo regno unito. Non sarà un processo breve –anche se abbiamo ancora qualche possibilità di recuperare il vecchio impero– perciò ti devi rendere conto che l’impegno che stai prendendo sarà per la vita.

«Non si tratterà solo di riunire le tribù, ma anche di mantenerle unite per i prossimi anni e assicurarti che alla tua morte rimangano tali».

Sembrava un’occasione troppo ghiotta per resistere, ma Khamûl aveva imparato a essere diffidente.

«Cosa vuoi in cambio?»

Il generale si raddrizzò, per scrutarlo da capo a piedi.

«Vuoi dei territori? Qualche ruolo di governo?»

Il generale curvò un angolo della bocca e il baffo si sollevò.

«Che senso ha riunire un regno per prendermene una parte?» disse lui. «Quel che voglio è molto più strutturale: ho una figlia, ti chiedo di sposarla e generare con lei gli eredi di ciò che costruiremo».

Khamûl si chiedeva cosa ne pensasse la figlia. Se aveva il caratterino di sua zia, sarebbe stata una bella gatta da pelare.

Il generale dovette vedere qualcosa sul volto di Khamûl, perché si affrettò ad aggiungere: «Lo so che le tue preferenze vanno in un’altra direzione, ma credo tu possa trovare un modo per fare il tuo dovere quelle poche volte in cui ti sarà richiesto».

Khamûl si passò una mano sul viso per nascondere una risata.

«Penso di potercela fare, anche se ti ringrazio per la tua premura».

Il generale strinse la testa nelle spalle. «Non so quanto sia adatto ringraziarmi per un matrimonio».

«Stai cercando di farmi sposare tua figlia, non dovresti essere più convincente?»

«Be’, giovanotto, ricordo come la pensavo alla tua età sul matrimonio e mettiamoci pure che a me le donne piacevano, e molto».

Non c’era niente da fare per nasconderlo. Khamûl scoppiò a ridere e quello parve rilassare il generale.

«Sposerò tua figlia, e avremo gli eredi necessari per assicurare la durata del regno oltre la mia vita».

Il generale si alzò dal divanetto e gli porse una mano. Khamûl gliela strinse, con abbastanza forza da fargli sentire quanto era convinto, ma non così tanta da sembrare un disperato tentativo di affermare la propria superiorità. Non aveva bisogno di simili giochetti.

«Ti ricontatterò appena avrò raccolto le adesioni degli altri ufficiali» disse il generale.

«Penso tu sappia dove trovarmi, generale».

«Certo» disse. «Ma d’ora in poi chiamami Rahamadi».

* * *


Una settimana dopo quell’incontro, Rahamadi cercò Khamûl per fissare una riunione con gli altri ufficiali del Sud, ma anche delle terre del Sole, e da lì tutto il progetto prese velocità.

Khamûl ebbe a malapena il tempo di parlare con la sua famiglia.

«Vai» disse sua madre. «Fai quello che devi fare. Ti ho sentito parlare di questi piani per troppo tempo perché ti fermi ora».

«Non preoccuparti per noi. Non campiamo solo della tua paga dell’esercito» disse la zia.

Khamûl non seppe bene cosa dire.

«È ora che vivi la tua vita» disse ancora sua madre. «Hai vissuto troppo a lungo in funzione di quel che avrebbe protetto noi. Qui a Doragzûl non è come nel villaggio, staremo bene».

«Se andrà tutto per il meglio, vi porterò a vivere con me, ovunque stabilirò la nuova capitale».

E così si era buttato a capofitto nella riunificazione dell’impero.

La prima vittima fu il Governatore di Doragzûl. In quel modo riuscirono ad accedere subito alle risorse per pagare non solo l’esercito in carica, ma anche per radunare i soldati che erano tornati alle loro case dopo la sconfitta del Doragmalik e che ancora non avevano trovato un’occupazione.

In seguito, si scontrarono con quelle tribù che non avevano intenzione di stringere alcuna alleanza con chiunque non fosse il Doragmalik, per poi muoversi contro le colonie degli Uomini della Morte e chi aveva collaborato con loro.

Non fu veloce, né privo di sofferenza.

Sua madre morì mentre lui era lontano miglia da casa, nel Sud dove si stava tentando di ritrovare un Gran Re. Gli arrivò la notizia con le truppe fresche da Doragzûl, una pugnalata al petto del tutto inaspettata, che gli tolse il fiato per qualche giorno e gli fece rivalutare quel che stava facendo. Dopotutto, si era lanciato in quell’impresa per dare una vita migliore anche a lei, ma sua madre non avrebbe vissuto nemmeno un giorno nel nuovo regno.

Finì per ritrovare se stesso e la motivazione perduta parlandone con Rahamadi, che non avrebbe mai sostituito Badem come figura paterna, ma era diventato una sorta di zio e mentore durante la lunga campagna.

In quegli anni, Rahamadi gli insegnò più del mero combattimento. Se Khamûl aveva scoperto da sé di avere del fiuto innato per cogliere le correnti di potere e tensione in chi lo circondava, con Rahamadi affinò quel fiuto e imparò a cogliere tutte le trame della politica per sfruttare al meglio quel che le persone intorno a lui avevano da offrirgli.

Il che gli fu molto utile nell’assoggettare in maniera definitiva il Sud, facendosi acclamare re dei Regni del Sole –il nuovo Doragmalik–, e a decidere di stanziarsi a Vaharabadi, la capitale del Sud, la casa del Gran Re. Perché se il Nord era fedele a lui in quanto sua patria e grossa parte dell’esercito proveniva dalle sue terre, nel Sud la situazione richiedeva la sua presenza costante perché la popolazione si rendesse conto che il Sole del Nord era parte del Serpente del Sud, e che il Serpente altro non era che il Sole che nasceva per illuminare tutte le loro terre.

C’era però un ultimo passo per suggellare l’unione tra le terre del Nord e del Sud: il matrimonio con la figlia di Rahamadi.


* * *


Dopo la cerimonia nuziale pubblica, Khamûl entrò nella tenda predisposta alla notte di nozze e vi trovò la sua sposa seduta a uno scranno, una coppa di vino in mano e l’aria di chi non era affatto disposta a continuare con i festeggiamenti.

«Soddisfatto?» gli chiese Harshani. «Hai sposato la tua fattrice, che starà a casa a occuparsi dei tuoi marmocchi mentre tu sarai in giro a sfoggiare la tua possanza ammazzando i figli degli altri».

Khamûl inspirò. Durante la cerimonia e il banchetto che era seguito era stata così placida e sorridente che aveva quasi temuto di aver sposato qualcuno di troppo buono per la vita che avrebbe dovuto fare con lui.

Per fortuna si era sbagliato, eh?

Raggiunse il tavolino dove c’era un’altra coppa di fianco alla brocca e si versò del vino.

«In realtà, speravo di poter contare sulla tua compagnia, mentre vado in giro a sfoggiare la mia possanza».

Harshani lo adocchiò sospettosa.

«È stato mio padre a convincerti? Chissà cosa ti ha raccontato di me».

Khamûl sedette all’altro scranno. «In realtà, non è stato molto convincente. Sembrava credere di avermi affibbiato una patata bollente e di essersene pentito un attimo dopo».

«AH! Dopotutto, non è mai stato abbastanza a casa da poter dire di aver vissuto il matrimonio con mia madre».

«Indicativo del terrore con cui mi ha messo in guardia sul matrimonio» disse Khamûl e incontrò lo sguardo di Harshani, per la prima volta interessato a quel che lui le stava dicendo.

«Sono riuscita a illuderti di aver fatto un buon matrimonio?»

Khamûl portò la coppa alle labbra e, prima di prendere un sorso, le disse: «A dire il vero, durante i festeggiamenti ho temuto di aver commesso un grave errore. Ma mi sto ricredendo».

Harshani emise un verso nasale.

«Adulatore».

«Dico la verità».

«E quante donne ti sei portato a letto dicendo la verità?»

Khamûl inarcò un sopracciglio. «Nessuna, tu sarai la prima».

Quella risposta dovette sembrarle una barzelletta, perché Harshani scoppiò a ridere così di gusto che dimenticò di coprirsi la bocca per tenersi invece la pancia.

«Oh, per favore, raccontami una barzelletta migliore».

«Sono serio. Uomini a volontà, ma tu sarai la prima donna».

Harshani si fece cupa. «Aaah, sei uno di quelli. Allora perché hai accettato di sposarmi? Per gratitudine verso mio padre?»

«Gliel’ho promesso prima ancora di sapere se fossi sopravvissuto ai nostri piani e se avessi avuto davvero motivo di essergli grato» disse Khamûl. «Ma l’ho fatto perché ha senso: tanta fatica per riunire le tribù del Nord e il Sud, per poi perdere tutto alla mia morte? È bastata una caduta del Doragmalik».

Lei strinse gli occhi, ora seduta sulla punta della sedia.

«Cosa cerchi da questo matrimonio, quindi?» gli chiese.

«Un’alleata prima di tutto. Poi degli eredi».

Harshani mandò giù quel che rimaneva nella coppa. «Penso di poter fare entrambe le cose. Certo, dipende da cosa intendi con alleata».

Khamûl sollevò un angolo della bocca.

«Continua a dirmi quel che ti passa per la testa quando siamo solo noi due, ma fuori di qui sembra meno di quello che sei. Proprio come hai fatto oggi».

«Adoro farmi sottovalutare» disse lei, con una vena sarcastica. «Ma credi di poter sopportare la mia lingua biforcuta quando siamo soli?»

Khamûl posò la coppa per terra e le prese il mento tra pollice e indice.

«Penso di sì. Soprattutto quando ti avrò insegnato un paio di modi per metterla a buon uso».

Harshani aprì la bocca per ribattere, le guance scurite dall’oltraggio, ma prima che potesse farlo Khamûl premette le labbra sulle sue. E per quella sera, quella linguaccia biforcuta fu altrimenti occupata.






Nota dell'autrice


Dimenticavo il bello delle long: il primo capitolo è una scocciatura da postare, quelli successivi molto meno.

Non ho nessuna nota in particolare da fare, se non che chi ha letto "Caccia Grossa nell'Est" ritroverà menzionate cose familiari (l'ho detto che mi piace collegare tutte le mie storie? No? Allora lo dico!)

Grazie a chi sta seguendo la storia e alla prossima settimana,

Kan


   
 
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