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Autore: Sakkaku    18/09/2022    2 recensioni
Becky Carter deve scegliere una specializzazione, così decide di tentare con il lavoro sotto copertura.
Può essere letta anche senza conoscere le vicende della long di cui fa parte, perché è ambientata prima.
Genere: Azione, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Day and Night'
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The Sanctuary

 

L'accademia di polizia di Toronto era conosciuta per essere la più rinomata, in quanto era la più severa nel selezionare i futuri poliziotti. Becky Carter avrebbe sicuramente mandato tutto al diavolo, se al suo fianco non avesse avuto il suo migliore amico, Timothy Mitchell, con il quale conviveva e che era sempre pronto a infonderle sicurezza e forza per andare avanti. Al momento di scegliere in quale dipartimento andare o se prendere una specializzazione particolare, non aveva potuto evitare di parlarne con lui.
«E se provassi a lavorare sotto copertura?» domandò Becky.
«Penso che sia troppo pericoloso» disse Timothy. «Non potrei contattarti per molto tempo, di sicuro starei in pensiero. Sei una testa calda, sono sicuro che ti metteresti nei guai e in quei casi lavoreresti da sola. Sinceramente starei più tranquillo a saperti in coppia con qualcuno.»
L'amica sbuffò e alzò gli occhi al soffitto. «Se faccio la prova posso capire se è qualcosa che fa per me e se rientra nelle mie capacità» spiegò la donna. «Oltretutto ci sarà qualcuno con esperienza a farmi da supporto. Allora? Me lo lascerai fare?» Si mise a sbattere ripetutamente le ciglia.
«Va bene. Ora smetti di guardarmi così, mi metti i brividi!» acconsentì l'amico spingendola leggermente.
«Sapevo che mi avresti dato il permesso. Sei il migliore!» esclamò felice Becky abbracciandolo e stampandogli un bacio sulla guancia.

Il giorno seguente Carter riferì la sua decisione e subito iniziò il suo corso speciale. Phil Zongher lavorava sotto copertura da cinque anni e si occupava lui di valutare se le reclute fossero idonee o meno a intraprendere la specializzazione. Aveva la mentalità ristretta, perché pensava che le poliziotte dovessero essere protette dai colleghi e che il lavoro sotto copertura non fosse adatto a loro. Becky a quelle parole protestò a gran voce, ricordandogli che se lei e le altre avevano deciso di diventare poliziotte era proprio per evitare comportamenti e mentalità antiche come quella e per essere autosufficienti nel difendersi senza avere bisogno di nessuno.
Le altre donne presenti nell'aula applaudirono e l'oratore Zongher prese un appunto riguardo quell'agente che aveva obiettato durante la sua lezione.
Tre settimane più tardi, dopo aver terminato di seguire il corso, venne convocata nell'ufficio dell'istruttore.
«Signora Carter» esordì Zongher. «Sono rimasto colpito dal suo intervento durante la prima lezione. L'ho vista molto concentrata e seria per tutta la durata del corso. Per questo motivo ho deciso di darle un'opportunità.»
«Le sono molto grata» replicò Becky.
«Parteciperà a un'azione sotto copertura reale, quindi le chiedo massima serietà.»
«Sissignore.»
«Le consiglio di informare i suoi famigliari che non tornerà per un po’. Le darò le istruzioni e poi inizierà il suo test finale» avvisò l'istruttore.
Carter uscì dall'ufficio e telefonò subito al suo migliore amico. «Devo fare una prova, quindi starò via per qualche tempo.»
«Mi raccomando, fai attenzione.»
«Puoi contarci, Tim. Non so per quanto tempo non potremo sentirci, cerca di non preoccuparti troppo, non sarò da sola. Okay?»
«Sai che starò in pensiero per tutto il tempo. Sei una persona importante per me, sarebbe strano se non fosse così.»
«Tim.»
«Sono certo che ce la farai, Becky, hai molto talento. Soprattutto, cerca di tenere a freno la tua linguaccia, potrebbe metterti nei guai» si raccomandò il suo migliore amico. «Ti aspetterò a casa, cerca di restare indenne e di non farti male o ferirti.»
«Grazie Tim, sei il migliore! Ti voglio bene» disse Becky.
«Ti voglio bene anch'io» disse Mitchell prima di terminare la chiamata.
Una volta rientrata nell'ufficio di Zongher era completamente carica e pronta a memorizzare le informazioni di cui necessitava.
L'organizzazione dove si era infiltrato da un mese si occupava di prelevare una tassa nelle attività presenti nella loro zona, come servizio di protezione; inoltre aveva un piccolo giro di spaccio, ma il prodotto era mischiato con l'anfetamina e se usato nella maniera sbagliata, risultava più mortale di altre sostanze in circolo nelle strade.

Phil le spiegò come riconoscere la loro cocaina, spiegandole che se la metteva in controluce, avrebbe visto un breve scintillio dovuto ai cristalli di anfetamina.
«Quanti anni ha, signora Carter?»
«Ventisette. Per potermi iscrivere all'accademia di polizia ho dovuto aspettare di avere tre anni di residenza per ottenere la cittadinanza canadese.»
«Capisco» annuì Zongher. «È abbastanza adulta da sopportare quanto succederà dopo. Adesso deve memorizzare la storia. Tenga conto che sono considerato un novellino anch'io all'interno dell'organizzazione, quindi dovrò giustificare la mia assenza. Lei sarà il mio alibi, intesi?»
«Sissignore» rispose Becky.
«Posso darti del tu?» Senza lasciarle il tempo di replicare proseguì: «Cerca di ricordare la storia che sto per dirti, dobbiamo essere completamente in linea, mezza parola sbagliata e siamo fottuti».
La bugia per giustificare tre settimane di assenza era che lui, Cody – quello era il suo nome sotto copertura –, si era occupato di lei perché era stata male e l'aveva aiutata a superare la crisi d'astinenza da Lexotan finché non era tornata stabile. L'aveva portata con sé perché stava vivendo abusivamente in una casa che sarebbe stata demolita il giorno seguente. Il motivo per cui teneva tanto a lei era che si trattava la figlia del suo vecchio amico morto per overdose quando la bambina aveva dieci anni, quindi si sentiva responsabile di aiutarla nel momento del bisogno.
Mancava solo una cosa: il nome che avrebbe utilizzato. Carter scelse il nome Emma, era semplice e avrebbe risposto senza esitazione se qualcuno l'avesse chiamata in quel modo.



Tre ore dopo, Cody portò Emma al bunker per presentarla al gruppo dell'organizzazione di cui faceva parte. Dopo aver spiegato il motivo della sua assenza e perché avesse portato con sé la donna, nessuno obiettò.
«Direi di procedere subito con l'iniziazione» disse un uomo calvo con lunghi baffi. «Non puoi restare qui se non diventi ufficialmente un nostro membro.»
«Sono pronta» affermò Emma con sicurezza.
Il pelato le sventolò davanti al viso due piccole bustine di plastica.
«Devi capire quale dei due prodotti è la nostra» spiegò. «Uno dei due è soltanto robaccia mischiata a caso. Pensi di riuscirci?»
Le pupille della donna tremarono e avvertì la gola seccarsi. «Certamente. Posso indovinare anche senza provare il prodotto» proclamò prendendo le due bustine per analizzarle.
Ricordava perfettamente cosa le aveva detto l'istruttore e seguì alla lettera il suo suggerimento. Le scosse e le osservò controluce, schiacciò il contenuto e lo scosse nuovamente, per poi controllare di nuovo.
Max, il capo del gruppo, la scrutava attentamente: dubitava che sarebbe riuscita a capire la differenza in quel modo, la fasulla era riconoscibile generalmente solo dopo un vero e proprio assaggio. Solo lui e suo fratello erano in grado di capire la differenza tra la loro e quella degli avversari.
«Questa è originale» disse Emma alzando una bustina e porgendola al baffuto.
«Provala» le ordinò lui.
La donna si congelò sul posto. Doveva prendere una decisione senza consultarsi con Cody, doveva dimostrare di essere in grado di gestire situazioni simili.
«Ha appena finito di disintossicarsi» intervenne Cody. «Se la provasse, rischierebbe una ricaduta e non ci sarebbe d'aiuto.»
«Stai al tuo posto» lo zittì l'uomo calvo. «Questa è una decisione che aspetta a me. Inoltre cocaina e Lexotan sono due cose completamente diverse!»
Emma non staccava lo sguardo dalla bustina. Era terrorizzata al pensiero di dover fare uso di sostanze stupefacenti, più che altro perché rischiava di essere scoperta a causa di una reazione esagerata. Inspirò ed espirò a fondo e poi aprì la bustina, immerse un dito al suo interno, per poi passarselo sulle gengive.
«Basta o devo fare altro?»
«Fatti una striscia.»
«Va bene.» La donna scosse le spalle. «Ti avviso che nei prossimi giorni sarò in uno stato catatonico e dovrai sopportare la mia crisi. Sono veramente insopportabile quando sono in astinenza da qualcosa. Puoi chiedere a Cody se non mi credi.»
Si avvicinò al tavolino e rovesciò tutto il contenuto, prese il documento d'identità dal proprio portafoglio e diligentemente mise la polvere in linea. Dopodiché prese una banconota e la arrotolò, cercando di nascondere il tremore alle mani.
Prima che potesse fare altro Max intervenne: «Dobbiamo venderla, non usarla per una stupida sfida. Basta così, Emma. Daniel, rimetti tutto a posto.»
«Come puoi fidarti?» chiese il pelato. «E se le facessimo fare il giro delle stanze?»
«Ho abolito categoricamente un'iniziazione tanto barbara nei confronti delle nostre collaboratrici» gridò irato Max. «Devo per caso riferirlo a mio fratello?»
«No, no, stavo scherzando» si affrettò a dire Daniel. «Sono consapevole di questo.»
«Sapete che non tollero comportamenti violenti contro le donne. Possiamo essere una gang, ma abbiamo dei principi» continuò Max. «Cody, visto che l'hai portata tu qui, controlla che nessuno ne approfitti visto che è l'ultima arrivata.»
«Assolutamente!»

Cody aveva raccomandato a Emma di prestare particolare attenzione a Daniel perché, a parte Max che era il fratello minore, era l'unico del gruppo che di tanto in tanto incontrava Ryan, il capo dell'organizzazione. Doveva solo riuscire a capire dove si nascondesse, senza farsi scoprire e comunicarglielo, bastava una minima parte dell'indirizzo. Purtroppo però Daniel l’aveva presa in antipatia e la evitava come la peste, guardandola sempre con disprezzo. Aveva cercato di avvicinarsi a Kelly, la ragazza del pelato, ma lei rifiutò di parlarle per evitare di avere problemi con il compagno.
Max era molto alto, dalla chioma corvina e occhi marroni. Il suo carattere era molto severo, eppure raramente gridava, il suo tono era sempre pacato ma autoritario. Emanava una calma che le ricordava quella di Timothy.
Tre settimane dopo, mentre Emma stava sistemando delle scatole, le si avvicinò chiedendole di accompagnarlo in un posto, visto che era l'unica presente nel bunker. Lei accettò, perché poteva rivelarsi un'occasione per scoprire qualche altro collaboratore da togliere dalle strade nelle settimane a seguire. Prese con sé la Glock 45 per precauzione e seguì il capo, sedendosi sul sedile del passeggero perché Max non permetteva a nessuno di guidare la sua Range Rover Evoque.
«Mi dispiace doverti portare in un posto come questo, ma i ragazzi si lascerebbero distrarre.» Parlò solo dopo aver parcheggiato davanti al luogo della loro destinazione. «Inoltre, eri l'unica disponibile in questo momento.»
La donna guardò fuori dal finestrino e si accorse che sarebbero entrati in uno strip club.
«Tranquillo, la cosa non mi dispiace» affermò Emma. «È sempre un bel vedere.»
Lui la fissò con un sopracciglio alzato, di certo non si aspettava una risposta simile.
«Limitarsi a causa del genere è sbagliato. L'anima e la persona, sono queste le cose che contano. Chi sono e cosa fanno per vivere è una cosa che deve passare in secondo piano» disse Emma.
«Bel modo di pensare» approvò Max. «In questo caso: cerca di non farti distrarre troppo, ma goditi pure lo spettacolo.» Le fece l'occhiolino prima di scendere dalla macchina.
La guardia di sicurezza davanti all'entrata li perquisì e controllò che fossero disarmati prima di concedere loro l'accesso al locale. Controvoglia, Emma fu costretta a lasciare la sua pistola. Una volta entrati, vennero scortati fino alla stanza VIP. L’ambiente era poco affollato, visto che era tardo pomeriggio, nonostante ciò sul palco si stava esibendo una ballerina.
«Quanto tempo, amico mio» salutò il proprietario stringendo la mano a Max e invitandolo ad accomodarsi.
Emma rimase in piedi alle sue spalle, fingendo di essere totalmente concentrata sulla ballerina che poteva guardare oltre la vetrata panoramica; di tanto in tanto lanciava occhiate furtive alle due guardie palesemente armate presenti nella stanza.
«Parliamo subito di affari. I ragazzi mi hanno detto che ti sei rifiutato di pagare la tassa mensile» disse Max. «Volevo capire se fosse solo un malinteso. Hai forse avuto problemi con le entrate, Jack?»
«Niente di tutto ciò.» Il proprietario sorrise sornione. «Ho semplicemente trovato qualcuno che mi offre un prezzo migliore, nessun rancore.»
«È la nostra zona» sottolineò Max. «Chi sarebbero questi?»
«Ho promesso di tacere sulla loro identità, cerca di capire. Tradirei la loro fiducia se te lo rivelassi.»
«Non ti sei fatto scrupoli a tradire noi» ribatté Max indurendo il tono.
«Andiamo, amico, ogni tanto fa bene agli affari effettuare dei cambiamenti.» Jack cercò di scherzare. «Siete sempre i numeri uno e sarete sempre i benvenuti nel mio locale.»
«Quindi? Quale motivo avevi per sostituirci? Dubito che si tratti solo di una questione di prezzo.»
«Sono dei buoni clienti e hanno un buon giro per trovarmi nuove ballerine. Più entrate, capisci?»
«Riferirò a mio fratello, aspettati una sua visita.» Max si alzò in piedi, sistemandosi la giacca. «Lo conosci, sai che non sarà un incontro tranquillo come quello che hai appena avuto con me.»
«Questo non succederà» commentò sarcastico Jack.
Emma reagì prontamente non appena vide un movimento della mano di Jack fare segno alla guardia sulla sinistra; si mise davanti al proprio capo e venne ferita al fianco sinistro da un pugnale. Inveì contro l'uomo, vide la fondina ascellare e, dopo averlo colpito per disarmarlo, gli rubò la pistola ignorando il dolore della ferita causata dalla lama. Senza pensare e senza guardare dove, sparò alla guardia che collassò a terra. Emma sparò in testa all'altra guardia e velocemente spostò la pistola contro Jack.
«Adesso dirai ai tuoi di farci uscire senza troppe storie o pianto un proiettile in fronte anche a te, stronzo» ringhiò la donna.
«Credevo fosse solo una bella statuina che ti eri portato appresso, invece mi hai fregato» disse sprezzante Jack. «Dovresti vendermela, mi farebbe comodo una guardia del genere. Dopotutto ha eliminato due dei miei.»
«Scordatelo, chiedilo ai tuoi nuovi amichetti» rifiutò Max. «Con questo tuo gesto, puoi reputarti in cima alla nostra lista nera.» Detto ciò uscì, seguito da Emma che non abbassò l'arma finché non riprese la propria pistola e udì l'ordine di Jack di non bloccare loro l'uscita.
Una volta nuovamente all'interno della macchina, Max la guardò e si accorse che la donna stava tremando.
«Fa male?» chiese l'uomo.
Lei scosse la testa.
«Allora perché…»
«Ho ucciso qualcuno… ho tolto la vita a una persona» balbettò mentre le lacrime riempivano i suoi occhi verdi, facendo trapelare una fragilità che prima di quel momento non aveva mai mostrato.
Per Max lei era l'ombra di Cody, pareva voler seguire le sue orme ed essere una persona fredda come il marmo, era stupito di come avesse agito a mente lucida e sangue freddo, nonostante fosse disarmata. Sicuramente l'adrenalina aveva avuto un ruolo importante, facendola agire in maniera esemplare, ma adesso che era svanita la vedeva per quello che era realmente.
Istintivamente allungò le braccia verso di lei, avvolgendola in un abbraccio. Emma avvertì calore e un senso di sicurezza contro quelle spalle larghe.
«Sei stata brava» le disse accarezzandole la schiena. «Non hai fatto niente di male. È stato un incidente, considerala difesa personale, perché è esattamente quello che è. Sei stata brava, stai tranquilla. Respira piano e a fondo. Brava.»
Emma seguì il suo consiglio e si lasciò calmare da quelle parole.
«Ti ringrazio, anche se non era un tuo compito, mi hai difeso e protetto.»
«Ti sbagli: la tua incolumità viene prima di tutto. Cody me l'ha insegnato» lo corresse la donna.
«Ti sono debitore, non me ne dimenticherò» affermò Max sciogliendo l'abbraccio quando si accorse che aveva smesso di tremare. «Stai sanguinando troppo, meglio che ci sbrighiamo a tornare indietro. Ho fatto alcuni corsi per diventare paramedico, quindi mi occuperò di tutto.»
Dopodiché si mise a guidare velocemente per ritornare al bunker.
Max condusse Emma nella sua stanza, le fece sollevare la maglietta mentre recuperava la cassetta del pronto soccorso. Dopo aver indossato i guanti in lattice, iniziò a pulire la zona della ferita per capire quanto fosse grande e profondo il taglio. In seguito usò delle pinzette per togliere dei fili di tessuto che erano impigliati nella carne, infine applicò il disinfettante.
«Porca troia, fa un male cane» inveì Emma, i suoi occhi indugiarono sula ferita.
«Sei ridicola. Ti fai accoltellare senza fare una piega e ora sei qui a piagnucolare per del disinfettante» la derise Max continuando a muovere il bastoncino d'ovatta dall'interno verso l'esterno.
La donna voleva ribattere, ma si dovette mordere il labbro per sopportare il bruciore senza lamentarsi.
«Vuoi bere un bicchiere? O qualcosa da mordere?»
«Perché?»
«Devo cucire la ferita, altrimenti appena ti muovi riprenderà a sanguinare» spiegò Max.
«Non hai della morfina?»
L'uomo la guardò in malo modo.
«Stavo scherzando» affermò Emma. «Posso sopportare.»
La donna strinse forte gli occhi, cercando di pensare di trovarsi altrove.
«Se non ti lamenterai, ti darò una caramella» scherzò Max. «Devi fare la brava bambina, altrimenti niente.»
«Bada a come parli!» lo avvisò Emma, il viso si contrasse in una smorfia quando avvertì l'ago infilarsi sulla ferita.
«Ti stavo prendendo in giro per distrarti!»
«Sei uno stronzo, ne approfitti perché non posso muovermi. Dopo ti farò pentire di avermi dato della bambina. Ti ucciderò.»
«Avevo sentito dire da Daniel che hai una boccaccia, ma non pensavo avessi il coraggio di parlarmi così.»
«Te lo meriti e posso permettermelo, dopotutto ti ho salvato.»
Una volta finito di cucire la ferita, Max applicò una garza sterile e ipoallergenica per assicurarsi che non facesse infezione, poi alzò gli occhi per guardarla in volto.
«Sei così incosciente…» Le dita sfiorarono il bendaggio. «Ti rimarrà sicuramente la cicatrice.»
«Poco importa» disse Emma con un'alzata di spalle. «Ne siamo usciti vivi, questo è quello che importa.»
«Ti ho portato a uccidere una persona, non era mia intenzione. Devi scusarmi, pensavo fosse un'ispezione tranquilla» mormorò Max.
«Gli imprevisti succedono, bisogna solo essere pronti ad agire. Prima ho avuto una reazione esagerata. Spero di non aver rovinato la mia reputazione, sarà stata colpa del dolore che mi stava annebbiando il cervello.»
Max le stampò un bacio sulla fronte. «Sei una persona con delle emozioni, non hai nulla di cui vergognarti. Sei stata brava» disse lui con un sorriso mentre lei lo guardava sorpresa, spalancando i suoi occhi verdi.
Max aveva ancora la mano sulla garza e senza accorgersene aumentò la pressione e subito si guadagnò un pugno.
«Fai attenzione, idiota. Fa male, cazzo!»
«Scusami, non l’ho fatto apposta.»
«Mi hanno detto che ti sei ferita ed eri qui» disse Cody entrando senza bussare. «Mi scuso per il disturbo, capo. Adesso la riaccompagno nella sua stanza. Vieni, Emma.»
«Nessun problema. Grazie per essere passato a prenderla. Ho una faccenda importante da sbrigare» disse Max.
«Non tornerai da Jack, vero?» chiese la donna mentre accettava l'aiuto per alzarsi.
«Prima minacci di uccidermi e ora mi guardi come un cane che sta per essere abbandonato» scherzò lui sorridendole, le accarezzò la testa convinto che si sarebbe allontanata, ma non accadde. «Gliela faremo pagare a quegli stronzi, vado a riferire l'accaduto a Ryan, ci penserà lui a sistemare la faccenda.»
Emma annuì, poi seguì Cody. Una volta nella sua stanza si sdraiò e chiuse gli occhi.
«Si può sapere cosa diavolo è successo? Perché sei andata via senza dirmi nulla?»
«Non eri qui» rispose Emma sospirando. «Se avessi rifiutato di accompagnarlo sarebbe stato sospetto.»
«Voglio un rapporto dettagliato di quello che è successo» pretese Cody.
«Ho un gran mal di testa» si lamentò la donna. «Ho bisogno di riposare un po', poi prometto di riferirti tutto.»
Il supervisore scosse la testa, ma la lasciò da sola a riposare.
Distesa sul letto, Emma poteva sentire le sue tempie pulsare talmente forte come se potessero esplodere e riusciva perfino a contare i battiti del proprio cuore. Si addormentò tenendosi una mano sul fianco, cercando di allontanare il pensiero di aver premuto il grilletto per salvare la seconda persona più importante all'interno dell'organizzazione nella quale si era infiltrata insieme a Cody.

Dopo l'incidente allo strip club, Emma guadagnò più rispetto e Daniel smise di essere scorbutico nei suoi confronti.
«Hai agito bene, ora hai la sua fiducia. Devi giocare bene le tue carte» le ordinò Cody. «Sfrutta l'occasione per avvicinarti ed entrare nella loro cerchia ristretta.»
La donna arricciò il naso. Quello che le stava dicendo il suo coordinatore non le piaceva per niente. Ingannare in quel modo le sembrava sbagliato, ma era il lavoro che doveva fare.
«Emma, ho bisogno di parlarti» la chiamò Max.
La donna lo raggiunse solo dopo che Cody le fece cenno che poteva andare.
«Hai un legame molto intimo con lui?»
«Mi ha aiutato parecchio durante gli anni. L'ultima volta mi sarei tolta la vita a causa dell'astinenza se lui non fosse rimasto al mio fianco» rispose Emma, mantenendo fede alla storia raccontata all'inizio da Cody. «Sono grata per ciò che ha fatto, per questo l'ho seguito qui, anche perché non avevo altro posto dove andare.»
«Non intendevo in quel senso.» Il tono di Max suonò lievemente stizzito.
La donna sbatté le palpebre per la sorpresa. «No, è impossibile che succeda qualcosa tra di noi. Cody è come un genitore per me» spiegò. «Mio padre è morto quando avevo dieci anni, lui è l'unico che si è preso cura di me. Sebbene vivessi da sola, potevo contare su di lui nel momento del bisogno.»
«Capisco.»
«Perché ti interessa così tanto?»
«Volevo solo essere sicuro, prima di fare qualcosa.» Dopo quella frase, Max inclinò il suo viso verso quello di Emma, che si mosse per andare incontro alla sua bocca e lasciarsi trasportare dalle emozioni di quel bacio.
Le mani si appoggiarono sul petto di lui, indecise se allontanarlo o spingerlo ancora più vicino a sé. Alla fine scelse la seconda opzione, premendoselo contro mentre le loro lingue si aggrovigliavano.
«Sai che non mi comporto così di solito, vero?» domandò lui quando si separarono, probabilmente voleva assicurarsi che lei non pensasse che si stesse approfittando del suo ruolo.
«Lo so. Kelly mi ha detto che non hai mai frequentato nessuno all'interno dell'organizzazione» annuì la donna.
«Ora è meglio se vai, ho alcune cose da preparare e non vorrei che il tuo papino pensasse male» scherzò Max sorridendo.
«Sei un idiota» affermò Emma colpendolo alla spalla, ma sorridendo a sua volta.
Quando tornò nella sala comune, Cody le si avvicinò per avere informazioni.
«Ti ha detto o chiesto qualcosa in particolare?»
«No, voleva solo sapere se avessi ancora dolore al fianco. Temeva di aver messo male i punti e che la ferita non fosse guarita bene» mentì Emma.
Voleva tenere per sé il fatto di aver baciato Max, più che altro perché temeva che Cody l'avrebbe allontanata dal caso reputandola non idonea.
«Cerca di lavorarti Daniel tramite Kelly, è più facile carpire informazioni da lui» ordinò l'uomo.
Emma annuì.
“Sei solo un fottuto egocentrico del cazzo! Quanto mi piacerebbe insultare la tua faccia da pallone gonfiato” pensò la donna. “Devo trattenermi perché mi serve per superare l'ultimo esame. Devo mantenere la calma e respirare lentamente o mi caccerò davvero nei guai.”
Le mancava moltissimo il suo migliore amico. Quando il suo cuore e la sua anima erano agitati, lui riusciva sempre a trovare le parole giuste per calmarla, soprattutto mentre le pettinava e intrecciava i lunghi capelli corvini.
Il metodo migliore che conosceva per far parlare la gente era farla ubriacare. Emma riusciva a reggere piuttosto bene l'alcool, a seconda di ciò che beveva, per cui invitò Kelly e le altre donne della gang a una serata solo tra di loro. Da quella uscita di gruppo Emma scoprì solo che Ryan incontrava sempre Daniel in ristoranti di lusso, senza mai convocarlo a casa sua o nel suo ufficio.
«Probabilmente l'unico a sapere dove si trova è Max» disse Kelly svuotando un altro bicchiere. «Ryan è un fottuto mostro. Se mai dovessi incontrarlo, stai attenta a non contraddirlo mai. Tempo fa qualcuno ci ha provato e l'ha fatto uccidere seduta stante, come esempio di cosa sarebbe successo a chiunque avesse osato fare lo stesso.»
Emma si fece un appunto mentale, doveva assolutamente ricordarsi di quel dettaglio, era importante.
Quando tornarono al bunker, erano tutte ubriache e ridevano a crepapelle.
«A quanto pare vi siete divertite» commentò in tono acido Daniel.
«Tesoro!» strillò Kelly. «Emma è divertentissima! Il cameriere si è offerto di pagarci due giri se avesse ballato con lui. È stato il momento clou della serata.»
«Hai ballato davvero con un cameriere?» domandò Cody guardandola torvo.
«Quel piccolo teppista voleva pagarci da bere, è ovvio che ho accettato» confermò Emma. «Quando ha cercato di allungare le mani, l'ho rimesso al suo posto. Poi ci ha provato con Lydia mentre stava andando in bagno, a quel punto sono intervenuta e forse gli ho spezzato qualche falange, però non ne sono sicura.»
«Emma! Quante volte ti ho detto di non agire in maniera impulsiva?» la sgridò.
«Smetti di farmi la morale» borbottò la donna imbronciata. «Nessuno ha il diritto di mettere le mani addosso a qualcuno senza il suo consenso. Avrei potuto spaccargli il naso, mi sono limitata. Dovresti complimentarti con me.»
«Adesso sappiamo che se le nostre donne escono con te, possiamo stare tranquilli e certi che non vengano molestate» rise Daniel.
«Cody, mi riporti al bar?» chiese Emma.
«Perché dovrei?»
«Almeno puoi vedere le condizioni di quel teppista e io posso provarci con la proprietaria. Dovevo riaccompagnare le altre prima di cominciare a divertirmi sul serio.» Prese a ridacchiare e si coprì il volto con le mani quando i membri della gang iniziarono ad applaudire e fischiare.
«Tu sì che sai quali sono le priorità. Avanti Cody, accompagnala, merita di divertirsi!» lo esortò Daniel.
«Emma, vai nella tua stanza a dormire, hai fatto abbastanza per oggi.»
«Sei un fottuto coglione!» lo insultò la donna. «Sai solo darmi ordini e non mi lasci mai fare nulla. Se fossi rimasta nella casa dove stavo, non sarei stata intrappolata qui con i tuoi occhi sempre addosso.»
«Ha ragione, merita di divertirsi» concordò qualcuno appena arrivato, avvicinandosi a loro.
«Capo, ha già combinato disastri aggredendo un cameriere, non vorrei che mettesse a repentaglio il buon nome e la reputazione che abbiamo» si giustificò Cody.
«Tranquillo, l'accompagnerò io. Mi scuserò e pagherò per il cameriere che è stato ferito, garantendo che non accadrà più. Va bene?» disse Max.
Emma esultò, fece una pernacchia a Cody e si avviò verso l'uscita, mentre blaterava sul fatto che la notte fosse ancora giovane e ci fosse tempo per spassarsela.
Quando entrarono nel locale, la proprietaria si avvicinò a parlare con Max, mentre Emma si buttava a sedere su un divanetto.
«Ti ordino da bere e torno» le disse l'uomo.
«Mi dispiace per l'accaduto. Mi assicurerò che i miei dipendenti non commettano più un errore simile» disse la proprietaria del locale.
«Tranquilla, sono consapevole che non puoi sempre controllare ogni cameriere e nemmeno prevedere se avrà un comportamento scorretto nei confronti delle clienti.»
«Ti ringrazio per la comprensione!»
«Sono venuto qui solo per essere sicuro che non si creasse un qualche genere di incomprensione.» Le porse diverse banconote. «Dovrebbero bastare per le cure mediche del tuo dipendente.»
«Grazie, grazie!»
«Da parte mia, mi assicurerò che quella piantagrane non metta più piede nel tuo locale» promise Max. «Solo così sarò certo che eviteremo altri problemi.»
Quando raggiunse Emma, si accorse che stava dormendo. La scena lo fece sorridere e scuotere la testa. «Fino a poco fa dicevi di voler fare baldoria.»
L'uomo chiamò una cameriera chiedendole di preparare una bevanda calda con miele e limone e di portarla nel privé.
«Emma» la chiamò mentre si sedeva accanto a lei per svegliarla. «Hanno portato il tuo drink.»
«Passa qua» disse la donna aprendo gli occhi e afferrando il bicchiere.
Lo bevve tutto d'un fiato. «Che cazzo mi hai ordinato? Fa schifo, cazzo!» si lamentò. «Se avessi saputo che non sai scegliere gli alcolici avrei fatto da sola.»
«Cody deve aver avuto molto da fare con il tuo caratteraccio» commentò Max sorridendo affabile.
La donna lo guardò in malo modo, ma avvertiva la testa pesante e quindi si appoggiò alla spalla di Max.
«Sei comodo» biascicò. «Lasciami riposare solo cinque minuti, dopo continuerò il discorso.»
I suoi occhi verdi erano lucidi a causa dell'alcool, l'uomo se ne accorse ma li trovò ugualmente belli.
«Sai, mi piaci davvero» confessò Emma. «Se solo ti avessi conosciuto in altre circostanze… finirai per odiarmi e non so se sopporterò questa cosa.»
«Non succederà» la rassicurò Max accarezzandole la testa.
La donna si augurò che andasse in quel modo, ma in cuor suo sapeva che era impossibile. Era inevitabile, dopotutto era una traditrice e nessuno avrebbe mai perdonato un simile affronto.
Rimasero in silenzio per almeno mezz'ora. Quando la donna si mise seduta composta, pareva sobria.
«Ti senti meglio? Sei ancora ubriaca?»
«A dire il vero no. Dev'essere stata quella robaccia che mi hai fatto bere» commentò Emma.
«Allora possiamo tornare indietro» disse Max.
«Aspetta» lo fermò la donna. «Perché mi hai riaccompagnato al pub per farmi passare la sbronza?»
«Sono egoista.»
«Non è una risposta.»
«Hai detto che volevi tornare qui per provarci con la proprietaria. Ti ho accompagnato solo per impedirtelo.»
Emma aprì e chiuse la bocca. Stava cercando di capire dall'espressione di quell'uomo se la stesse prendendo in giro o fosse serio. Per quanto l'espressione potesse apparire dura e seria, gli occhi le trasmettevano altro.
Senza sapere perché iniziò a parlare: «Mio padre biologico mi ha abbandonato dopo avermi chiesto se preferivo vivere con lui o con mia madre. Che cosa si aspettava da parte di una bambina di sei anni? Probabilmente non avevo nemmeno capito il senso della domanda. Forse, se lo avessi seguito, a quest'ora non sarei nemmeno più viva. L'uomo con cui mia madre decise di convivere successivamente, era un essere ignobile che si divertiva a umiliarmi, picchiarmi e farmi sentire una nullità.»
Quella era una parte del suo reale passato, la verità. Sapeva che quella confessione poteva mettere a rischio la storia raccontata da Cody, ma quello sguardo fermo e intenso le stava tirando fuori la verità. Voleva essere onesta con lui almeno su qualcosa. Per sentirsi meno in colpa.
«Mi dispiace.»
«Non è mica colpa tua» disse lei scrollando le spalle.
«Vieni qui.»
Le braccia di Max l'afferrarono e la strinsero contro il suo petto. Era la seconda volta che Emma si ritrovava ad avere il viso appoggiato a quelle spalle, di solito si sarebbe allontanata bruscamente, affermando di non aver bisogno di essere consolata e che era abbastanza grande da aver superato il trauma.
“Di solito permetto solo a Tim di consolarmi. Prima d'ora è stato l'unico a trasmettermi questa sensazione di serenità. Lui è davvero una persona dall'animo buono” pensò Emma chiudendo gli occhi e beandosi del calore che emanavano le mani di Max sulla sua schiena.
«Posso capire come ti senti, anche la mia situazione famigliare era un disastro. Per questo Ryan ha intrapreso questo percorso malavitoso, perché era la via più veloce per essere autonomi e uscire da quell'incubo. L'ho seguito senza pensarci» raccontò a sua volta Max.
La donna si scostò per scrutarlo in volto, notando che la stava guardando dolcemente e sentì un fremito nell'avere un contatto visivo di quel tipo.
La sua testa le ripeteva che doveva rimanere focalizzata sull'obiettivo, però lui la capiva davvero, conosceva il dolore di crescere in un inferno. Era stato solo sfortunato a non avere incontrato una persona come il suo migliore amico. La strada più semplice si era rivelata l'illegalità. Emma si sentiva connessa a Max, così gli strinse le spalle per darsi lo slancio per poterlo baciare. Un contatto a fior di labbra, giusto qualche attimo, prima di sedersi nuovamente composta.
Lui l'aveva rassicurata dopo che aveva ucciso qualcuno per la prima volta. L'aveva fatto per proteggerlo e lui era riuscito a calmare la sua ansia, era riuscito a placarla mentre stava affrontando una crisi e ora si dimostrava comprensivo ed empatico con la storia del suo passato perché aveva vissuto qualcosa di simile.
La missione sotto copertura era stata schiacciata da quel sentimento che stava crescendo nel suo petto.
La donna sapeva che era un paradosso: aveva trovato la persona che la sapeva gestire in una banda che svolgeva attività illegali. Alla fine quello non era mai stato l’intento di Max, aveva solo seguito il fratello maggiore per fuggire dall'incubo che viveva con i suoi genitori. Lei poteva comprendere il senso di oppressione e la voglia di libertà per poter finalmente respirare. Il suo fiuto per capire le persone di certo non poteva ingannarla: quell'uomo era buono.

Il giorno seguente Cody si fece accompagnare da Emma a prendere il caffè, ma era solo una scusa per poterle parlare in privato, lontano da orecchie indiscrete. Le fece una lavata di capo, insultandola e dicendole che si era comportata da incompetente, priva di rispetto verso un superiore, che si era dimenticata della sua priorità, lasciandosi annebbiare dall'alcol.
«Ho sbagliato, però ho scoperto qualcosa sul conto di Ryan.»
«Sentiamo» disse Cody a braccia conserte.
«Daniel non è mai stato a casa sua o nell'ufficio dove lavora. Si incontrano sempre in un ristorante di lusso, ogni volta cambia, spesso anche fuori dal territorio.»
«Ti sembra per caso un'informazione interessante che può esserci utile?» le gridò addosso Cody. «Hai imparato qualcosa dal mio corso o devo farti qualche ripetizione? Pensavo fossi più intelligente!»
«Almeno ho scoperto qualcosa a differenza tua» borbottò Emma.
«Hai detto qualcosa?»
«Nossignore» negò la donna.
«Forse non lo sai, ma ho fatto chiudere ben tre laboratori. Quindi non ti permettere di insultare il mio lavoro!»
Emma roteò gli occhi, questo le fece guadagnare un'altra strigliata sul genere di comportamento che avrebbe dovuto avere.
Emma aveva ricevuto nuove istruzioni da Cody, ma il suo spirito ribelle le suggeriva di procedere seguendo il suo istinto. Con il tempo aveva imparato a conoscere le storie dei componenti del gruppo. Prima pensava fossero solo dei delinquenti senza speranza, invece avevano solo fatto delle scelte sbagliate e avevano accumulato una serie di reati che avevano abbellito la loro fedina penale, non avendo nessun modo per rimediare. Emma non voleva che qualcuno si facesse del male, era diventata empatica nei loro confronti e ovviamente questo non era sfuggito a Cody, che le aveva ricordato di mantenere un distacco emotivo da tutti, perché prima o poi qualcuno sarebbe rimasto ferito o sarebbe addirittura morto. La donna si chiese se sarebbe mai riuscita a essere così indifferente come lui, lo ammirava per come riuscisse a essere sempre distaccato e lucido. Tutti dicevano che lo sguardo del capo era inquietante, ma per lei gli occhi di Max erano molto comunicativi, riusciva a comprenderlo ed Emma era sicura di non sbagliarsi sul suo conto. Sapeva che le sensazioni che lei percepiva erano le stesse per lui, poteva capirlo dalle occhiate che le lanciava per controllarla e dal modo in cui girava il viso dall'altra parte quando i loro sguardi si incrociavano. Quel comportamento era incoerente con il suo ruolo, era buffo e tenero agli occhi di Emma, che ogni tanto faticava a trattenere una risata.
Passarono alcuni giorni e oramai tutti sapevano che, se era libera, Max la preferiva a tutti come guardia del corpo, nonostante il suo essere minuta: si fidava del suo istinto.
«Dobbiamo andare a controllare un laboratorio e poi andremo a mangiare qualcosa» disse l'uomo qualche tempo dopo. «Pensa a cosa ti piacerebbe per cena.»
«Poutine con bacon croccante, cheddar e tanta salsa» disse Emma.
«Pensavo mi chiedessi di andare in qualche posto raffinato e costoso» rise Max.
«Niente può battere la poutine o il cibo spazzatura» sostenne con tono categorico la donna. «Inoltre, in quei posti ti danno una porzione misera che ne esci come se non avessi neppure mangiato.»
Si recarono al laboratorio per controllare la droga, prima che fosse venduta nelle strade Max doveva testarne la qualità. Scartò diversi stock perché non li ritenne idonei, ma fece tutto senza provarla. Non si trattava solo di riconoscere il prodotto a occhio, ma di capire se la quantità di anfetamina mischiata con la cocaina fosse adeguata e non eccessiva. Era ammirevole, doveva avere un'ampia conoscenza della chimica.
Una volta finito di supervisionare la merce, si diressero verso una tavola calda. Il viso di Emma si illuminò quando le venne servito il suo piatto di poutine. Dopo il primo boccone sorrise come se stesse mangiando il cibo più prelibato del mondo.
«Sei davvero buffa e carina quando mangi. Ti sporchi come una bambina» la derise Max.
«Smetti di sparare cazzate» lo zittì la donna con la bocca mezza piena. «Se continui a parlare il cibo si raffredderà, diventerà immangiabile e sarebbe un vero spreco.»
Dopo il dessert uscirono dalla tavola calda, l'aria fredda della sera li investì.
«Possiamo farci un giro?» domandò Emma. «Se torniamo subito al bunker, Cody mi starà addosso e non ho voglia di sentirlo. Mi rovinerà la digestione.»
«Va bene» acconsentì Max. «Andiamo in un posto tranquillo.»
Si diressero verso la banchina del porto, in quel momento deserta, tranne per la presenza di qualche gabbiano. Il rumore dell'acqua che si infrangeva sulle barche e navi attraccate era rilassante. Nessuno dei due parlò, si limitarono a guardare il paesaggio intorno a loro.
Max si decise e l'abbracciò da dietro, strusciando il naso sul suo collo, Emma avvertì il suo respiro caldo ed ebbe un brivido.
«Cosa fai?» chiese con voce flebile, cercando di capire se fosse il suo cuore o quello di lui a battere così forte. Avendo la schiena appoggiata al suo petto, faticava a capire a chi appartenesse quello più veloce e rumoroso.
«Al bunker devo controllarmi, volevo abbracciarti da tutto il giorno» disse l'uomo. «Vorrei poterti tenere stretta per ore.»
«Stai dicendo delle stronzate, adesso lasciami» protestò Emma spostandosi.
«La tua bocca dice decisamente troppe parolacce» osservò Max. «Vediamo se riesco a farti parlare meglio.»
La fece voltare verso di sé, afferrandola per la vita e la baciò. Era l'unico modo che aveva per fermarla quando iniziava a diventare lamentosa e a usare un linguaggio troppo maschile. Fu allontanato subito e notò che lo stava guardando male.
«Ti vedo infastidita. Ci siamo già baciati, quindi perché?»
«Perché sei un idiota.»
«No, ti senti turbata e per questo mi stai insultando, lo vedo dai tuoi occhi. Cerca di capire i tuoi sentimenti e i miei» disse Max. «Sai che sono onesto, dovresti fare lo stesso.»
Aveva ragione ed Emma lo sapeva. Chiuse gli occhi cercando di pensare a cosa le avrebbe consigliato il suo migliore amico se fosse stato lì in quel momento. Sicuramente Timothy le avrebbe suggerito di seguire il suo istinto, senza dimenticare i suoi doveri. Doveva dare una risposta sia a se stessa che alla persona che aveva davanti.
Max ricambiò il suo sguardo intenso, comprendendo che lei era molto orgogliosa e che certe cose non le avrebbe mai ammesse o dette ad alta voce, ma lui riusciva comunque a capirla. Era come se lo stesse supplicando di restare con lei, sebbene non trovasse la forza per dirlo a parole.
«Ho capito» sussurrò comprensivo Max. «Ora smetti di guardarmi in quel modo o stasera non ti farò tornare al bunker.»
«Chi ha mai detto di volerci tornare?» chiese Emma prima di mettersi sulle punte e baciargli il collo. «Torniamo indietro?» scherzò poi.
«Dovevi pensarci prima, adesso andremo da un'altra parte. Ti avevo avvisato e hai giocato male le tue carte» disse Max. «Adesso mi seguirai, giusto?»
«Sei tu il capo» rispose Emma sorridendo. «Devo seguirti per proteggerti.»
Una volta tornati alla macchina, si diressero verso l'hotel di lusso presente nel territorio dell'organizzazione. Quando l'addetta alla ricezione lo vide arrivare, gli porse la chiave della suite.
Non appena i due entrarono all'interno della stanza, unirono le loro labbra in un bacio profondo.
«La tua bocca è dolce quando mi baci, a differenza di quando mi parli.»
«Max, chiudi il becco» lo zittì Emma mentre allacciava le mani dietro il suo collo per avvicinarlo a sé e riprendere a intrecciare la sua lingua a quella di lui.
Si separarono per riprendere fiato e Max fece scivolare le labbra dalle guance di Emma fino al collo. Nel frattempo avevano raggiunto la camera, Emma si sedette e indietreggiò sul letto, mentre entrambi si toglievano gli indumenti. La loro unione avvenne con dolcezza, tra abbracci, baci e gemiti.
Dopodiché si ritrovarono sdraiati sul letto, per metà avvolti dalla coperta. Max era alle spalle di Emma che aveva il fianco scoperto e si poteva vedere la cicatrice chiara della lama da taglio che le aveva ferito la pelle. Max ci passò sopra l'indice, avanti e indietro.
«Potresti smetterla? Mi fai il solletico» ridacchiò Emma voltandosi e mettendosi più vicina all'incavo del suo collo.
«Mi dispiace» disse Max. «Se non ti avessi chiesto di accompagnarmi quel giorno, non avresti questo sfregio sulla pelle.»
«Ho deciso di mia iniziativa di intervenire, tu non ne hai colpa» lo rassicurò la donna.
«Sei stata avventata, se invece del coltello avesse impugnato la pistola, sarebbe potuta andarti peggio. In quel momento non sapevi in che modo avevano intenzione di ferirmi.»
«Ora basta.» Emma gli mise un dito sulle labbra. «Se parli ancora di questo, giuro che mi alzo e me ne vado.»
«D'accordo» si arrese Max stringendola a sé. «Allora rispondi a una mia domanda.»
«Dimmi.»
«Perché Cody ti gira sempre attorno?»
La donna si morse il labbro inferiore e non rispose.
«Mi pare che sia troppo possessivo con te. So di avertelo già chiesto, ma hai per caso avuto una storia con lui?» proseguì Max scostandosi per guardarla meglio in volto.
«No, assolutamente no! È troppo vecchio e bisbetico! Per chi mi prendi?» affermò con enfasi Emma. «Se sapesse di questo… mi ucciderebbe.»
«Perché?»
«Ti ricordo che è lui che mi ha portata qui, ha garantito per me. E io me la faccio con il capo, nonché fratello minore del grande boss. Ne sarebbe deluso, di sicuro mi farebbe cacciare» disse la donna senza avere il coraggio di incrociare i suoi occhi.
«Lo sai che sono bravo a capire i miei sottoposti. Mi stai nascondendo qualcosa. Ti puoi fidare di me.»
«Mi odieresti e non voglio» sussurrò Emma. «Sono una stronza egoista, ma non voglio.»
«Non potrei mai odiarti.»
«Sì, invece. Dubiteresti dei miei sentimenti e perderti mi porterebbe a odiare me stessa per essere stata un'idiota.» Si coprì il viso con le mani. «Forse sono davvero troppo debole.»
«Che cosa stai dicendo? Sei molto coraggiosa, incosciente e avventata, ma coraggiosa» ribatté Max appoggiando le mani sulle sue spalle.
«Vorrei tanto vedere Tim e parlare con lui.» La sua voce si spezzò e alcune lacrime lasciarono i suoi occhi verdi. «Lui saprebbe darmi il consiglio giusto, è così saggio. Mi manca così tanto.»
«È la prima volta che sento questo nome. Chi è? Se mi dici dove si trova te lo porto qui.» Max aveva una morsa nel petto a vederla in quello stato.
«Lui è tutta la mia famiglia. Sarà preoccupato, non mi sente da due mesi.»
«Cody ti proibisce di vederlo?» tentò d'indovinare.
La donna annuì. «Non posso nemmeno spedirgli un biglietto per rassicurarlo. Quando scoprirà della cicatrice, mi farà una ramanzina mentre piange a dirotto. È un tale piagnucolone.»
«Stai piangendo anche tu ora» le fece notare Max, poi si alzò e tornò con un pacchetto di fazzoletti.
Lentamente le tamponò le lacrime, senza chiedere più nulla. Stava collegando tutte le frasi che la donna accanto a lui aveva pronunciato, così come la storia del padre e del patrigno che gli aveva confidato poco tempo prima. Il significato poteva essere solo uno: lei era un’agente sotto copertura.
«Lavori per la polizia?»
Emma sobbalzò e smise di respirare. I suoi occhi si dilatarono, deglutì e annuì. Era inutile negarlo: aveva fallito. Cody aveva avuto ragione sul suo conto, questo le faceva ribollire il sangue, ma lo sguardo freddo di Max glielo fece gelare.
«Mi fido di te, nonostante tutto, lo confesso. E accetterò qualsiasi punizione. Solo, promettimi di non cercare Tim, lui è fuori da questa storia, non sa nemmeno dove mi trovo. Sono consapevole di meritare la morte, dopotutto è come se stessi tradendo l'organizzazione. Sempre meglio morire che sentirmi dire da Cody che aveva ragione sul mio conto, che non sono adeguata perché mi faccio coinvolgere emotivamente dai criminali. Consegnami pure a tuo fratello.» Pronunciò quelle parole a testa alta, sebbene trovasse insopportabile quello sguardo gelido. «Voglio solo dirti che ho ucciso per difenderti. Mai avrei pensato di premere il grilletto e togliere la vita a qualcuno, ma l'ho fatto. Se fossi stata immobile, Jack ti avrebbe fatto fuori, questo avrebbe indebolito l'organizzazione, però non ho potuto fare a meno di…» Le sue parole furono interrotte dalla bocca di Max che si appoggiava alla sua.
La baciò lentamente per rassicurarla e le mise una mano sotto il mento per inclinarlo, in modo da avere una maggiore trazione.
«Sei davvero una stupida» disse Max abbracciandola e guardandola dolcemente. «Come potrei consegnarti a Ryan e farti torturare? Mi sono ripromesso che avrei evitato di farti ferire di nuovo.»
«Ma…»
«Zitta. Non dire niente. Sono dalla tua parte. Anche se…»
«Anche se?»
«Sono geloso di questo Tim. Eri disposta a sopportare qualsiasi conseguenza purché non andassi a cercarlo.»
«Puoi stare tranquillo, non è mai successo nulla tra di noi. In primo luogo non è il mio tipo, inoltre a lui non piacciono le donne.»
«Allora potrebbe starmi simpatico.»
«Cazzo se sei un idiota.» Nonostante quelle parole Emma avvertì gli occhi pungere e si sforzò di trattenere le lacrime.
Appoggiò la fronte su quelle spalle confortevoli e si lasciò cullare dalle sue carezze che partivano dalla testa fino ad arrivare alla schiena. Si sentiva serena. Lo sguardo di Max era tornato quello di sempre.
«Il tuo modo di maneggiare la pistola era strano, però me l'hai fatta. Ho deciso di perdonarti perché sei stata onesta e non hai approfittato di questa situazione» disse l'uomo. «Sei davvero la mia salvezza per uscire da questo pozzo di criminalità. Ti resterò accanto e ciò non cambierà, Emma.»
«Chiamami Becky.» Gli occhi di lei si alzarono. «Solo una volta, pronuncia il mio vero nome.»
«Becky» l'accontentò Max baciandole la fronte.
«Grazie, Max» disse la donna prima di coricarsi e addormentarsi tra le sue braccia.

Quando tornarono al bunker la mattina seguente, Kelly si avvicinò e prese Emma per un braccio in cerca di pettegolezzi, senza avere fortuna, perché l'unica informazione che ottenne fu che era stata di guardia mentre il loro capo si divertiva al casinò circondato da molte donne.
Daniel ordinò a Emma di andare a prelevare una tassa al ristorante messicano, perché lui non aveva il tempo. Cody si offrì di accompagnarla.
«Qualche progresso?» le chiese quando furono da soli in auto.
«Nessuno» rispose Emma.
Sapeva di dover tenere per sé il legame che aveva instaurato con Max, altrimenti Cody avrebbe sicuramente interferito o le avrebbe detto di procedere per il bene della missione. La donna negava a se stessa che stava vacillando, quel senso di luogo sicuro e proibito egoisticamente non voleva perderlo. Era una sensazione reale più di quella missione che sembrava essere ferma nel fango.
«Dove siete stati tutta la notte?»
«Al casinò» rispose sbadigliando. «Ha continuato a giocare alla roulette per ore.»
«Che mi dici del laboratorio che avete visitato?» continuò Cody.
«È nella zona est, vicino a un ferramenta. Ieri ha controllato la droga prima che la spostassero per venderla.»
«Quindi le tue informazioni sono ancora inutili.»
«Non rompermi il cazzo!» sbottò Emma. «Sono stufa delle tue fottute lamentele! Se sei così bravo, perché non mi trovi un maledetto posto dove stare e mi fai escludere?»
«Ti ho già detto di non alzare il tono e di non parlare in questo modo a un tuo superiore» sibilò l'uomo.
«Adesso ho capito perché bisogna lavorare da soli, almeno nessuno ti rompe i coglioni e puoi agire come meglio credi e fare rapporto una volta a settimana!»
«Datti una regolata o sei davvero fuori» la minacciò Cody. «Adesso preleviamo la quota e torniamo subito al bunker. Cerca di comportarti seriamente, dobbiamo avere in mano delle prove per costruire un caso solido.»
«Lo so. Me lo ripeti ogni fottuto giorno» si lamentò Emma alzando gli occhi al cielo.
Al ristorante messicano attendevano il loro arrivo, consegnarono la busta con la tassa mensile per la protezione e i due ritornarono al bunker. Non appena entrarono, notarono che l'ambiente era fin troppo tranquillo. Capirono subito il perché: Ryan, il fratello maggiore di Max, era lì.
Il suo aspetto era molto simile a quello del minore, ma era di corporatura più robusta e aveva uno sguardo spietato.
«Ora che ci siamo tutti posso finalmente iniziare» esordì Ryan. «Ho sistemato la questione con il club di Jack. I rivali che volevano espandersi nel nostro territorio hanno fatto marcia indietro, o per meglio dire, li abbiamo rispediti da dov'erano venuti. Devo ammettere di essere molto deluso da voi. Vi avevo chiesto espressamente di essere sempre a disposizione per scortare Max ovunque, invece lo avete lasciato da solo. Avete per caso dimenticato le mie indicazioni? Pensate per caso che sia propenso a perdonare gli sbagli?»
Il silenzio regnava. Nessuno osava alzare il capo, lo mantenevano chino, senza fiatare o dare segno di voler rispondere alle domande.
«Lo avete lasciato con una novizia. Fortunatamente, Emma ha agito prontamente o la situazione sarebbe finita molto male.» Ryan si voltò a guardare la donna. «Per questo sono qui: verrai premiata con un pranzo. Seguimi.»
Emma rimase immobile.
«Farai meglio a seguirlo subito» le suggerì Kelly a bassa voce.
Emma temeva che potesse essere stata scoperta. Cody era lì, ma non avevano parlato in previsione di un avvenimento simile, per cui non aveva ricevuto istruzioni su come avrebbe dovuto agire o parlare. Seguendo il consiglio dell'amica andò appresso al boss.
«Verrò con te, stai tranquilla» le sussurrò Max affiancandola.
La donna annuì rassicurata.
Il boss dell'organizzazione rimase seduto con le gambe accavallate nella spaziosa GMC Yukon. Con espressione impassibile fissava il fratello minore che ricambiava con altrettanta intensità. L'aria all'interno della macchina era molto tesa e la donna si sentiva a disagio, come se fosse di troppo.
La loro destinazione era un ristorante di lusso. Quando entrarono Emma si rese conto che era completamente vuoto.
«Come da lei richiesto, le abbiamo riservato l'intero locale» disse il titolare avvicinandosi e inchinandosi.
«Molto bene» commentò Ryan prima di incamminarsi verso il tavolo in fondo alla sala.
Da quel punto si poteva godere di un'ottima vista; inoltre si aveva il muro alle spalle, si poteva controllare l'intero locale, sia l'entrata principale che quelle secondarie.
“Ha scelto un posto strategico, sebbene sia distante da un'eventuale uscita d'emergenza” pensò Emma.
«È un posto sicuro, nessuno entrerà per attaccarci. Ho una decina di uomini intorno al perimetro, puoi rilassarti» disse Ryan.
«Mi spieghi perché l'hai invitata? Di solito premi i ragazzi con somme di denaro o un viaggio. Il tuo comportamento è strano.»
«Come il tuo» ribatté il maggiore. «Perché sei così sulla difensiva? Pensi davvero che io sia all'oscuro di quello che fai?»
«Non capisco a cosa ti riferisci.»
«So sempre tutto, ricordi? Volevo semplicemente invitare a pranzo la donna con cui hai una tresca per conoscerla meglio.»
Emma sussultò dietro il menù.
«Come?» chiese Max.
«Ho sempre qualcuno che ti osserva. Allo strip club stava per intervenire quando ha capito che eri in pericolo, lei ti ha difeso molto bene, quindi è rimasto dietro le quinte.»
«Mi fai pedinare?» Max era sorpreso e scosso.
«Certamente, la tua sicurezza è importante. Solo così posso concentrarmi sulle faccende senza preoccuparmi. Devo farti i complimenti, in mezzo a quell'ammasso di tirapiedi hai scelto bene. È diligente e seria. Emma, vorresti diventare un mio diretto sottoposto? Saresti trattata come una persona di prima classe.»
«No» rispose Emma.
Il terzetto di guardie poco distante la squadrò ammutolito. Nessuno aveva mai osato rifiutare una proposta del loro boss.
«I sentimenti non possono essere trasferiti da una persona all'altra a piacimento» aggiunse, accorgendosi di essere stata troppo diretta.
«Sei un tipetto tosto» commentò Ryan ridendo. «Dubito che il mio fratellino sarà capace di gestirti, ma se sei onesta per me va bene.» Divenne serio e aggiunse: «Se dovessi mai tradirlo, ti ucciderò con le mie stesse mani. A nessuno è concesso ferire il mio fratellino.»
Era una minaccia e una promessa allo stesso tempo.
Una mano si appoggiò sul ginocchio di Emma e l'accarezzò per rassicurarla e grazie a ciò, non abbassò lo sguardo, sebbene sapesse di star mentendo spudoratamente. Era rincuorata dal fatto che Max sapesse la verità e la stesse proteggendo apertamente davanti al fratello maggiore.
«Tra due giorni tornerò di nuovo al bunker e resterò lì a controllare la situazione per una settimana» informò Ryan. «Sei troppo clemente, devo tornare a metterli in riga e fargli capire che devono rispettare gli ordini.»
«Potresti dire al tuo stalker di smettere di seguirmi?» chiese Max.
«È per la tua incolumità. Tranquillo, puoi andare dove vuoi con lei, non è interessato ai vostri momenti intimi. Controlla solo il perimetro e che nessuno sia un pericolo per te.»
«Lo fa perché ti vuole bene, non dovresti lamentarti» disse Emma. «Dovresti ringraziare il fatto che si preoccupi così.»
«Sei dalla sua parte?»
«Questo perché ha più cervello di te» disse Ryan. «È un vero peccato che abbia rifiutato la mia offerta. Tienila in considerazione, è sempre valida» concluse, facendole l'occhiolino.
«Potresti evitare di provarci con lei?» gli domandò Max. «Mi dai sui nervi.»
«Stavo solo scherzando per provocarti.» Un sorriso falso si dipinse sul volto del fratello maggiore.

Quando tornarono al bunker, Kelly e le altre la rapirono e le fecero molte domande. Ryan aveva espressamente detto di non rivelare che nei giorni successivi sarebbe tornato perché voleva controllare con i propri occhi come si comportava la gang normalmente. Quindi Emma disse solo che il ristorante era di lusso e completamente riservato a loro.
Nel cuore della notte sentì bussare alla porta della sua stanza e sapeva esattamente chi fosse. Disse a Cody che il momento di arrestare il boss dell'organizzazione era arrivato, perché Ryan si sarebbe fermato nel bunker per diversi giorni. Il superiore annuì soddisfatto.
«A quanto pare aver ucciso per difendere la sua famiglia ha dato i suoi frutti. Bel lavoro» si complimentò con lei, però Emma non si sentiva felice. «Avviserò la squadra e dirò agli agenti di tenersi pronti per un raid. Ricordati: è importante che tu rimanga nel tuo ruolo fino alla fine, nessuno deve sospettare di te. Sparerai contro la squadra che farà irruzione, come per difendere il bunker, loro ti conoscono e spareranno alto nella tua direzione in modo da non ferirti. Chiaro?»
«Sissignore» assentì la donna.
Il giorno seguente Max chiamò Emma con tono autoritario, richiedendo la sua presenza per andare a fare un sopralluogo. La donna come sempre prese la sua Glock 45 e controllò che fosse carica; prima di seguirlo raccolse anche una scatola di munizioni.
«Sei stato molto credibile» disse Emma una volta all'interno della macchina. «Andiamo a mangiare?»
In tutta risposta ottenne solo un sorrisetto furbo. Si allontanarono da Toronto fino a raggiungere la città di Brampton. Prima entrarono in un parcheggio sotterraneo, per poi infilarsi in un ascensore che portò il veicolo a piano di destinazione. Mentre l'ascensore saliva, Max slacciò la cintura a Emma che lo guardò confusa.
«Dove siamo?»
«Hai paura?»
«No» rispose lei avvicinandosi al suo viso e sorridendo mentre gli sfiorava le labbra.
«Mi stai provocando?»
«Assolutamente no! Potresti avermi portato nel covo dove uccidi le persone, senza avermi dato modo di avvisare Cody» recitò Emma fingendosi spaventata.
«Non nominarlo. Non qui» l'ammonì Max severamente. «Questo è il mio rifugio, nemmeno mio fratello sospetta della sua esistenza. Sei la prima che ha il permesso di entrare qui, perché sei diventata tu il luogo a cui appartengo.»
«Dimentichi del tuo stalker.»
«L'ho seminato già a metà strada.»
«Come sei audace» disse Emma allacciandogli le mani dietro il collo.
L'ascensore si aprì.
«Usciamo. Ti faccio vedere l'appartamento.»
Era un attico molto spazioso e luminoso, pochi mobili arredavano lo spazio.
«Ti piace?»
«Manca un divano e la TV» notò Emma.
«Di solito venivo qui solo quando avevo bisogno di riposare e staccare la spina. Ritrovare un equilibrio. Era un rifugio per ricordare a me stesso che forse era il momento di cambiare vita. È da più di un anno che ho affittato questo posto senza mai riuscire a fare il passo decisivo.» La guardò calorosamente. «Adesso che ci sei tu, mi sono finalmente deciso. Sei riuscita a capirmi, sebbene mostrassi un lato serio, hai percepito il mio stato d'animo e sei stata onesta con me.»
«Inizialmente ti ho mentito» lo corresse Emma.
«Non ha importanza, perché ti sei fidata e mi hai detto la verità.»
«Visto che siamo in tema, devo dirti un'altra cosa.»
A quel punto Emma gli confidò del piano di Cody e che ci sarebbe stato un raid per arrestare Ryan.
«Sarà pericoloso per te, quindi resta sempre dietro di me, almeno la squadra non ti punterà una pistola addosso» gli ordinò Emma.
«Dovresti preoccuparti per te» disse l'uomo accarezzandole la testa.
«So badare a me stessa» ribatté lei facendogli la linguaccia. «Ricordati che ti ho salvato.»
«Lo so. Continui a ripetermelo, come potrei dimenticarlo? Eppure sono disposto a sentire questa frase ancora e ancora nel corso degli anni.»
«Mi metti i brividi» lo derise Emma, nonostante quell'affermazione il suo volto illuminato tradiva la sua felicità. «Comunque devi trovare un nuovo nome.»
«Perché?»
«Quando questa storia sarà finita, avrai bisogno di un'altra identità, perché ti farò passare per un mio informatore, almeno non dovrai scontare alcuna pena. Tim è un ottimo avvocato, ci penserà lui a tutte quelle pratiche.»
«Che nome ti piace?»
La donna ci pensò. Iniziò a elencare vari nomi mentre stava seduta sulle sue gambe a guardare il panorama della città.
«Mi stai proponendo nomi brutti di proposito?» le chiese Max a un certo punto, mentre le puntava un dito sulla fronte.
«Cazzo, ce ne hai messo di tempo per accorgertene!» ridacchio Emma.
«Becky» la chiamò con il suo vero nome. «Sai che non mi piace quando usi un linguaggio volgare.»
«Charlie» disse lei ignorandolo. «È un bel nome, non trovi?»
«Mi piace» annuì l'uomo.
«Allora è deciso» disse Emma. «Ora dovremmo tornare indietro, altrimenti la nostra assenza si farà sospetta.»
«Prima meriti un premio per avermi trovato un bel nome» disse Max avvicinandola a sé. «Dopotutto potrebbero passare dei giorni prima di poter stare di nuovo insieme.»
Si scambiarono un bacio profondo e lento, poi lei indietreggiò per riprendere fiato. «Dovremmo andare o rischiamo di restare qui.»
«Sarebbe così male?»
«Certo che sì, idiota» disse Emma colpendolo sul braccio. «Dobbiamo mantenere un basso profilo o si insospettiranno.»
«Lascia che pensino quello che vogliono.»
«No. Ho una fottuta reputazione.»
«Davvero?» domandò divertito Max.
«Sì, sono quella che difende le donne della gang quando vanno in giro per locali notturni e non si lascia abbindolare dai camerieri, solo dalle proprietarie sexy.»
«Cosa?»
«Chi pensi mi abbia riferito che il mio capo aveva uno sguardo furente verso di lei quando le ha assicurato che non sarei più tornata al pub?» domandò a sua volta Emma. «Mi ha detto che non hai lasciato neanche che la cameriera si avvicinasse perché l'hai reputata troppo scollata e hai voluto aiutarmi tu a bere la brodaglia per la sbornia.»
L'uomo rimase in silenzio.
«Sei rimasto senza parole? Sono riuscita a zittirti?»
«Ero geloso perché mostravi interesse per lei» ammise infine Max. «Contenta?»
«Sei come una ciambella al cioccolato con glassa e zuccherini» lo prese in giro Emma ridacchiando. «Adorabilmente dolce!»
Dopo quell'affermazione lui arrossì e si alzò per non farsi scoprire dalla donna. Lei lo seguì e gli saltò sulla schiena.
«Non devi vergognarti con me» gli sussurrò Emma all'orecchio.
«Sei pesante» finse di lamentarsi lui.
Max la guardò e avvicinò il volto al suo, per poi abbassarsi verso il suo collo e iniziare a farle solletico.
Emma prese a ridere a crepapelle. «Dobbiamo andare. Basta. Mi arrendo! Basta!» gridò.
«Mi fermo solo perché si sta facendo tardi, non perché me l'hai chiesto tu» specificò Max, però il suo sguardo tradiva le sue parole.
Avrebbe fatto davvero di tutto per continuare a vederla allegra come in quel momento. Per lui, era fin troppo rigida per il lavoro che aveva scelto, doveva nascondere il suo lato empatico e passare per una brontolona menefreghista.
Richiamarono l'ascensore e salirono in macchina. Durante il tragitto mantennero le mani intrecciate, un ultimo contatto che potevano permettersi prima di ritornare a comportarsi normalmente.
Prima però si fermarono a prendere un hamburger vegano con patatine fritte e un frappè al cioccolato. Era il mix preferito di Max e, sebbene la prima volta l'avesse deriso alla tavola calda per quella scelta, Emma doveva ammettere che dopo averlo provato un paio di volte ne era diventata dipendente.

Due giorni dopo Ryan si presentò nel bunker e alloggiò nella stanza insieme al fratello minore. Fortunatamente Max possedeva un divano letto, cosicché non dovesse condividere il letto con Ryan.
Erano trascorsi tre giorni dal suo arrivo e aveva svolto colloqui singoli con metà della banda.
«Daniel è preoccupato» confidò Kelly a Emma. «Sostiene che il boss sia qui per eliminare qualcuno. Sospetta che ci sia una talpa a causa dei laboratori che sono stati smantellati.»
«Sul serio?» domandò Emma preoccupata.
«Altrimenti perché ci avrebbe impedito di uscire? Solo le sue guardie hanno l'autorizzazione di muoversi liberamente» continuò Kelly. «Sicuramente è uno dei ragazzi.»
In quel momento la squadra d'assalto entrò nel bunker, approfittando del rientro di una delle guardie di Ryan. Daniel fu il primo a notare la presenza degli intrusi, gridò a tutti di prendere le armi e di non far avanzare nessuno. Cody si spostò sulla sinistra in modo da restare protetto, ma mantenendo la sua copertura, sparando in direzione degli invasori.
Emma afferrò Kelly per un braccio e intimò a lei e a tutte le altre donne di restare abbassate. Le fece allontanare, per poi farle entrare in un'unica stanza.
«Chiudete a chiave e non uscite» si raccomandò.
«Tu dove vai?» le chiese l'amica.
«Torno indietro ad aiutare gli altri» rispose Emma.
In coscienza non poteva lasciare che le donne fossero coinvolte nel raid e rimanessero ferite, dopotutto erano incapaci di utilizzare qualsiasi arma, in genere si occupavano di commissioni che non richiedevano l'uso di pistole. Si affiancò a Daniel, perché non riusciva a vedere Max in giro.
«Hai visto per caso dove si è cacciato il capo?»
«È andato a prendere delle armi decenti» rispose l'uomo. «Questi stronzi pare che abbiano una scorta illimitata di proiettili.»
Un nodo alla gola le bloccò il fiato. Gli aveva raccomandata di starle vicino, in quel modo rischiava di essere colpito.
Delle mani si appoggiarono alle sue spalle facendola sussultare, perché era un tocco rude e pesante, diverso da quello lieve e caloroso di Max. Si girò e vide che si trattava di Ryan.
«Hai una buona mira e mi fido di te. Devi aiutarmi a uscire da questo posto. C'è un tunnel sotterraneo d'emergenza, devi solo scortarmi fino a lì.» Il suo sguardo era immutato e non mostrava alcuna paura, era completamente impassibile.
«Aspettiamo tuo fratello» disse Emma. «Senza di lui non mi muovo da qui.»
La donna tornò a concentrarsi sulle forze di polizia e colpì un agente sul braccio, costringendolo a retrocedere.
«Cosa ci fai qui, Ryan?» domandò Max mentre distribuiva i fucili ai membri della gang.
«Ho chiesto alla tua ragazza di coprirmi mentre raggiungo la via d'uscita, ma si è rifiutata perché senza di te non voleva allontanarsi.»
Max la guardò, quegli occhi le trasmisero tranquillità.
«Andiamo!»
«Vi copro io, capo!» garantì Daniel afferrando un fucile d'assalto. «Questi bastardi si pentiranno di essere entrati nella nostra base!»
«Dove stai andando, Emma?» gridò Cody quando la vide allontanarsi con Ryan.
La donna lo ignorò.
Il trio camminò accucciato, nascondendosi fino a che non fu abbastanza lontano da potersi muovere in posizione eretta. Avevano quasi raggiunto l'uscita, quando un poliziotto si parò davanti a loro.
«Abbassate le armi!» ordinò.
Ryan comandò ai due armati di sparare. Nessuno dei due lo ascoltò.
«Spostati dal nostro cammino» disse Emma. «Non voglio ferirti. Levati dai coglioni e fingi di non averci incontrato.»
«È l'ultimo avviso, gettate quelle armi!»
Cody le aveva assicurato che nessuno della squadra d'assalto avrebbe puntato l'arma per ferirla, ma che l’avrebbe soltanto tenuta più alta.
Quella però era puntata alla sua testa.
Qualcuno si mise alle sue spalle.
«Levati di torno, stronzo» disse la donna stringendo meglio l'arma.
Accadde tutto talmente in fretta che non ebbe neanche il tempo di realizzare.
Vide il poliziotto premere il grilletto, istintivamente chiuse gli occhi, avvertì il suono dello sparo, ma non sentì nulla. Solo calore. A quel punto alzò le palpebre.
Emma si ritrovò appoggiata al petto di Max. Sbarrò gli occhi, perché in quel momento capì che era stato Ryan a ripararsi dietro di lei.
Con le mani tastò la schiena di Max e avvertì qualcosa di appiccicoso, controllò la mano e constatò che era sporca di sangue.
Si scostò per poterlo guardare: il volto dell'uomo era una smorfia di dolore, ma i suoi occhi la scrutavano calorosamente, come sempre.
«Va tutto bene» la rassicurò prima di accasciarsi a terra.
«Max… Max!» lo chiamò Emma inginocchiandosi e sollevandogli la testa «Cazzo! Perché ti sei messo in mezzo? Sei un imbecille, coglione!»
Lui le afferrò la maglia per avvicinarla a sé. «Ti ho detto che devi cambiare linguaggio» bisbigliò prima di sfiorarle le labbra con il naso.
Alle sue spalle arrivò Cody con altri agenti che ammanettarono Ryan, il quale era rimasto paralizzato quando aveva visto il fratello minore ferito.
«Tu, razza di idiota!» sbottò Emma mettendosi di scatto in piedi e correndo verso il poliziotto che aveva sparato. «Hai ascoltato le istruzioni prima di fare irruzione o cosa? Perché cazzo mi stavi puntando il tuo fottuto fucile in faccia?»
A quelle parole il boss dell'organizzazione capì.
«Sei una lurida puttana» la insultò Ryan. «Mio fratello è morto per colpa tua! Sei una traditrice!»
«Zitto! È solo ferito, starà meglio. Lui deve stare meglio.» Abbassò lo sguardo verso Max e notò che era impallidito e che attorno a lui si stava formando una considerevole pozza di sangue. «Muovetevi a caricarlo su quella barella e portarlo all'ospedale!» gridò istericamente, prima di afferrargli la mano. «Hai detto che volevi diventare Charlie. Ricordi?»
Max si sforzò di sorriderle e le sue labbra si mossero per pronunciare il suo vero nome: Becky.
La donna avvertì tutto vorticare, si guardò le mani e notò che una era sporca del sangue di Max.
Subito dopo svenne.


 

Rimase ricoverata in ospedale, dormendo per quattro giorni di fila. Non appena le sue palpebre si alzarono, si guardò intorno in cerca di Max. L'istruttore Phil le comunicò che nonostante l'avessero operato, il proiettile era esploso e le schegge avevano causato dei danni troppo gravi.
Max era morto.
Ryan era stato informato e aveva richiesto che venisse subito cremato, senza autorizzare un'autopsia o un funerale. A quella notizia la donna si agitò talmente tanto che dovettero darle un calmante per farla riaddormentare.
Quando si svegliò trovò Timothy al suo capezzale.
«Tim» lo chiamò con voce spezzata. «Non sai come sono contenta di vederti.»
«Anch'io» disse l'amico stringendole la mano.
«Perché hai quello sguardo sofferente? Sto bene!»
«Mi hai fatto preoccupare!» Gli occhi scuri di Mitchell si riempirono di lacrime. «Sapevo che ti saresti comportata da incosciente! Hai dormito per quattro giorni!»
Vederlo afflitto in quel modo la rattristò, però il suo cuore era più triste per la perdita di Max.
«Mi sei mancato. Molte volte ho pensato a cosa mi avresti consigliato, altrimenti non sarei riuscita ad andare avanti» ammise Carter. «Se fossi stato con me, sicuramente non avrei commesso errori.»
«Ti sei comportata bene» cercò di rincuorarla Timothy. Gli si stringeva il cuore nel petto alla vista della sua migliore amica in quello stato, immobile nel letto senza alcuna voglia di scherzare.
«Puoi essere dimessa, Carter. Cosa diamine ci fai ancora lì?» sbraitò Phil entrando nella stanza. «Hai un rapporto da stilare, non agire da fannullona e alzati.»
«Becky non sta ancora bene» cercò di spiegare l'amico.
«Tu levati di mezzo» gli ordinò l'istruttore, spintonandolo e facendolo andare a sbattere contro il tavolo.
«Che cazzo hai fatto a Tim?» gridò la donna scendendo dal letto. «Come ti permetti di mettergli le mani addosso, stronzo? Giuro che ti spacco la faccia!»
«Sto bene Becky, tranquilla» la rassicurò l'amico afferrandola per le braccia. «Va tutto bene.»
«Era ora che reagissi, Carter. Domani ti attendo nel mio ufficio in accademia.» Subito dopo aver pronunciato quelle parole, Phil se ne andò.

Quando tornò a casa, Becky si sentì spaesata.
Aveva passato diversi mesi nel bunker con la banda, si era in un certo senso abituata e rientrare nel suo appartamento le pareva strano.
«Possiamo andarcene?» chiese con voce tremante. «Questa città… non voglio vederla mai più.»
«Va bene. Dammi il tempo di trovare un nuovo posto e di organizzare il trasloco» acconsentì Timothy.
Erano anni che non vedeva la sua migliore amica così turbata, sapeva che cambiare città le sarebbe stato di enorme aiuto per riprendersi.
«Sai che non ti abbandonerò mai, vero?»
«Verrai con me?» domandò Becky guardandolo con occhi lucidi.
«Assolutamente! Sei la mia famiglia, come potrei lasciarti andare da sola?»
La donna lo abbracciò e respirò il suo profumo che era sempre in grado di rilassarla.
Senza bisogno di dire nulla, si sedette e gli diede le spalle, lasciando che Timothy cominciasse a pettinarle i capelli per poi intrecciarli. Quel gesto così familiare calmò il suo cuore tormentato.

Il giorno seguente raggiunse l'accademia e andò nell'ufficio di Zongher.
«Agente Carter» esordì Phil. «Sei riuscita a resistere per diversi mesi sotto copertura e non è stato semplice, hai agito d'impulso. Nonostante tutto però, sei riuscita a scoprire informazioni utili per il caso e hai fatto arrestare il capo dell'organizzazione. Quindi è stato un successo.»
«Sissignore» disse Becky.
«Per questo ti offro ufficialmente un posto nella mia squadra.»
«Devo rifiutare. Tra qualche giorno mi trasferirò» annunciò la donna.
«Si tratta di Max?»
«Mi sono fatta troppi nemici e non voglio che il mio amico avvocato sia in pericolo a causa mia» rispose l'agente eludendo la domanda.
«Sai che Ryan ha fatto cremare suo fratello, vero?» le chiese nuovamente Zongher.
«Sì, me l’hai detto ieri. Ciò non toglie che in prigione non ha il permesso di tenerlo, per cui ho compilato le carte per essere la sua tutrice ufficiale. Lo porterò a Calgary con me e lo metterò in un posto tranquillo, come piaceva a lui.»
«Posso chiederti perché diavolo mi hai tenuto nascosto il vostro rapporto?»
«Temevo di essere ritenuta non idonea» rispose onestamente la donna. «Se potessi tornare indietro, rivelerei tutto subito, almeno Charlie sarebbe ancora vivo.»
«Charlie?»
«Il nome che avrebbe usato per la sua nuova identità, una volta lasciata la vita passata legata all'illegalità» spiegò Becky. «Qualcosa che non avrà mai modo di vivere a causa di un mio errore.»
«Devi superarlo. Sei una brava poliziotta, sarebbe un peccato perdere un elemento come te.»
«Grazie, capo» disse la donna. «Sicuramente continuerò a lavorare come agente, ho giurato di servire e proteggere i cittadini, devo mantenere fede a tale promessa.»
«Arrivederci, Carter.»
«Addio, supervisore Zongher» salutò Becky.

 

Due settimane dopo i due migliori amici presero l'aereo per Calgary, dove avrebbero iniziato la loro nuova vita.
Seppellito l'urna di Charlie su una collinetta del cimitero, sotto un salice piangente; dopodiché Timothy notò che pian piano Becky stava tornando a essere la stessa di sempre, forse leggermente più cinica e acida nei confronti delle persone che la circondavano.
Era comprensibile dopo ciò che aveva vissuto nel lavorare sotto copertura e dopo la perdita che aveva subito.
L’amico sapeva che, una volta a settimana, Becky andava al cimitero per parlare con Charlie.
Le sarebbe rimasto vicino, poco importava se lo insultava un po’ più spesso del solito: con il tempo avrebbe ripreso a scherzare e sorridere.
Ne era certo, perché Becky Carter era la persona più forte che conoscesse.






NdA:
Buonasera a tutti^^
Ho voluto scrivere questa piccola OS su Becky, perché volevo mostrare che in fondo non è solo una persona acida e scorbutica, lo è, ma non è solo quello XD
Spero abbiate gradito la lettura e... prima o poi ritornerò ad aggiornare anche la long, promesso! :)

  
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