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Autore: EleAB98    18/09/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo VIII – Solo e Soltanto Per Me

 

«E così si trattava di un piano, eh?» Aspirai un'altra boccata di fumo.

Ryan annuì, più che soddisfatto. «Un piano riuscito alla perfezione, a quanto pare. Allora? Gliel'hai detto?»

Lo guardai stranito. «Detto cosa? E a chi?»

«Ma a Benedetta, a chi sennò?! Cosa aspetti a dirle quello che provi?»

«Ma se non lo so nemmeno io!» ribattei, stringendo nervosamente la sigaretta.

«Tu credi di non saperlo. Ma la tua reazione dell'altro giorno è stata sin troppo esagerata per uno che si professa un semplice amico.»

«Okay, forse hai ragione tu. Però—»

«Non c'è nessun però.» Ryan si sedette dietro la scrivania del suo ufficio e si tolse gli occhiali da vista. «Sii sincero con me. Che cos'hai provato quando io e Megan ti abbiamo fatto credere che Benedetta se ne sarebbe andata?»

Sospirai. «Ho temuto che l'avrei persa per sempre.»

Ryan sorrise. «Questo è proprio quello che speravo di sentire. E allora? Qual è il problema, si può sapere? Cos'è che ti rende così insicuro e indeciso?»

«Io... io non sono sicuro di provare un forte sentimento per Benedetta, ma non posso nemmeno negare che qualcosa sia cambiato, da quando ho saputo che la donna misteriosa non era altri che lei. Però... sono davvero molte le differenze che ci dividono.»

«Ma altrettante le cose che vi accomunano e vi uniscono.»

«Diciotto, lunghi anni, ci separano, Ryan. Non sono pochi.»

«Eppure hai cercato di fermarla. Sei corso come un disperato in aeroporto solo con lo scopo di non lasciarla partire. Qualcosa vorrà dire, no?»

«Sì. Mi sono affezionato molto a lei, questo non posso negarlo.» Spensi la sigaretta. «E non posso nemmeno negare di aver provato un trasporto particolare, quando l'ho rivista in aeroporto. Sarà stata l'atmosfera, non so...»

«Sì sì, l'atmosfera, come no. Dì piuttosto che te la sei fatta sotto e che il solo pensiero di stare senza di lei ti attecchiva l'anima.»

«Stava per prendermi un infarto, in effetti. Sei contento, adesso?» replicai, gettandogli un'occhiataccia.

Ryan trattenne, a stento, una risata. «Così va meglio. Ma non mi hai ancora detto cosa intendi fare.»

«Un paio di giorni fa le ho chiesto di partire con me. Per Asti. Sfrutterò i biglietti che ho vinto mediante l'ultimo concorso di giornalismo.»

«E come ti senti a riguardo?»

«Speravo tanto che accettasse la mia proposta. Quindi sono felice.»

«Ed è questo quello che conta, Malcom. Che tu sia felice.»

Sorrisi. Non sapevo cosa ci avrebbe riservato quel viaggio, però mi sentivo come un adolescente alle prime esperienze, per alcuni versi. Avrei passato ore con lei, e questa volta non lo avrei fatto da mentore. «Non ti ho mai ringraziato per tutto il supporto che mi hai regalato, Ryan.»

L'altro fece spallucce. «Be', lo stai facendo adesso, mi pare.»

«Già. Anche se non sarà mai abbastanza. Sei stato come un secondo padre, per me.»

Ryan gli diede una pacca sulla spalla. «Non trattenerti troppo, Malcom. Sì, è vero che Benedetta è molto giovane e—»

«Inesperta», aggiunsi io, estraendo un'altra sigaretta dal taschino della camicia.

«E inesperta, sì. Ma non ingenua. Lei non può reprimere quello che prova per te. E neanche tu devi, se provi le stesse cose. Sei stato solo per troppo tempo e ti sei privato dell'amore per altrettanto. Non farlo più.»

«Staremo a vedere. So soltanto che non vedo l'ora di partire e, soprattutto, di stare un po' solo con lei. Anche se non si tratterà di un vero e proprio viaggio di piacere. Faremo anche una capatina al cimitero dov'è sepolto suo padre.»

«Vedrai che insieme a te sarà tutto più facile.»

«Me lo auguro», gli risposi, avviandomi fuori dall'ufficio. «Adesso vado, che devo ultimare gli ultimi preparativi per il viaggio. Staremo via un paio di giorni, niente di più.»

«D'accordo, Malcom. Registrerò la vostra assenza, non preoccuparti. E mi raccomando... fate i bravi, okay?»

Mi fece un occhiolino e mi scappò da ridere. Lo salutai con un cenno del capo e uscii dall'ufficio, a cuor leggero. Accesi la sigaretta e presi a fumarla con estrema calma.

L'Italia, ancora una volta, mi stava aspettando. Con l'unica differenza che, questa volta, avrei avuto accanto una ragazza speciale.

Aspirai un'altra lunga boccata. Tra qualche ora, avrei dovuto chiamare quella ragazza per aggiornarci sulle rispettive incombenze, dato che lei aveva il giorno libero. Per un istante, l'immagine della donna misteriosa mi si riaffacciò nella mente e provai un formicolio al basso ventre. Salvo poi accorgermi seduta stante di aver pensato, di fatto, proprio a Benedetta.
 

*

 

Tutto era pronto. Io e Benedetta avevamo caricato le valigie sulla stiva dell'aereo e ci eravamo approntati per la partenza. Non ci eravamo scambiati molte parole il giorno antecedente al viaggio, poiché troppo impegnati a non dimenticare tutto il necessario per quei due giorni all'insegna della conoscenza reciproca e, forse, dell'avventura.
Mi inorgoglii parecchio quando vidi che Benedetta, per combattere la monotonia del viaggio, aveva portato con sé il libro che le avevo regalato solo qualche giorno prima. Notavo che lo stava divorando con molto interesse e la cosa mi rincuorò. Mi persi nel guardarla per alcuni minuti, poi mi risolsi a smanettare con il portatile che avevo portato con me per ultimare alcuni articoli. Soltanto poche ore prima, mi ero ingegnato a rispondere all'e-mail di Megan e le avevo augurato infinita felicità, non mancando di mandare un saluto anche al mio sosia

Mi sfuggì un sorriso.

«Ancora non mi hai detto perché l'altro giorno eri così agitato», se ne uscì di colpo Benedetta, provocandomi un sussulto.

«Temevo solo che... sì, ecco, che te ne stessi chissà dove per qualche tempo senza salutarmi.»

Lei mi guardò dubbiosa. «Ma... perché questo timore così assurdo?»

Ah, se solo sapessi... «Benedetta, non sono ancora pronto a parlartene. Non credo sia il momento giusto.»

«Eppure siamo qui. Sullo stesso aereo. Insieme

«Già. Insieme», mormorai, sfuggendo al suo sguardo.

«E allora? Quale occasione migliore di questa?»

Non le risposi.

«Malcom... c'è forse qualcosa che dovrei sapere?»

Più di un qualcosa, dissi tra me e me, continuando a scrutare il paesaggio che si intravedeva dalla finestra circolare del velivolo. «Ti prometto che te lo dirò presto», mi limitai a risponderle, combattuto tra la voglia di parlare subito e l'esitazione che era ancora molto forte.

«Cosa ti trattiene dal farlo ora?»

«Un uomo di nome Malcom Stone. Lo conosci?» le chiesi, sorridendo appena.

Benedetta finse di ridere. «Ah ah, molto divertente. Be', allora, mio caro sconosciuto, dì a questo Malcom Stone di smetterla di fare il misterioso, e al più presto!»

«Sta' tranquilla, riferirò. A parte gli scherzi, Benedetta...» mi voltai di nuovo verso di lei. «Non vorrei essere in nessun altro posto in questo momento. Può bastarti per adesso?»

Lei cercò di mantenersi distaccata, ma l'ombra di un sorriso si fece strada sulle sue labbra non appena si rimise a leggere.
 

*

 

Il Cimitero Urbano di Viale Don Bianco 34 aveva una struttura simile a un eptagono. La zona circostante era prettamente rurale, con porzioni di strada asfaltata delimitate dagli alberi che si estendevano a perdita d'occhio, insieme a curate distese di praticelli verdi nei quali sorgevano numerose lapidi. Di certo, non era il posto più idilliaco del mondo, ma per fortuna il tempo era dalla nostra parte e contribuiva a regalarci un senso di tepore comunque acuito dalle nostre mani perennemente intrecciate.

«Da quant'è che non vieni qui?» chiesi a Benedetta, che continuava a scandagliare quanto la circondava.

«Mi sembra sia passata una vita. Sarà da almeno cinque anni.»

«E c'eri venuta tutta sola?»

«Be', purtroppo sono figlia unica e mia madre non se l'è mai sentita. Troppi ricordi, dice.»

«Doveva amarlo proprio alla follia.»

«Già. Non ha mai cercato di rifarsi una vita. La sua priorità sono sempre stata io.»

«Anche per mia madre è stato così. Da un lato, avrei sperato che potesse trovare qualcuno, dato che ormai è tutta sola a Firenze.»

Benedetta mi guardò sconsolata. «Ho pensato lo stesso per mia madre.»

«Sa che sei qui con me?» le chiesi dopo un po'.

«Ho preferito non dirglielo, per ora. O potrebbe farsi strane idee.»

«Ah, capisco. Deduco che tua madre sia proprio uguale alla mia.»

Benedetta sorrise. «Anche lei insiste affinché tu trovi la tua dolce metà»?

«Qualcosa del genere, sì. Ma credo che ormai si sia arresa all'idea che resterò scapolo per il resto della mia vita.»

«E avrebbe ragione a crederlo?» mi domandò, senza esitare.

Scrollai le spalle. «Chissà... Dati gli ultimi sviluppi, forse non lo rimarrò troppo a lungo.»

«Ti riferisci forse a Megan?»

Arrestai il passo e lei fece lo stesso. Sfuggii alla sua stretta e le presi il mento con decisione.
«Con Megan ho chiuso per sempre. Non era la donna giusta per me. Credo che la donna giusta potrebbe essere un'altra.»
Mi sorpresi delle mie stesse parole. Mi ostinavo a ricacciare da settimane quelle emozioni che mi coglievano quando pensavo a Benedetta, o quando stavo con lei. Ma in quel momento, sembrava che ogni forma di prudenza si fosse estinta, che l'avessi gettata al vento. E tutto per fare spazio a un Malcom che non voleva più nascondersi, ma solo esprimere se stesso. O quasi.

Lei si avvicinò di più al mio viso, come ipnotizzata dal mio stesso sguardo o, forse, dalle mie risolute parole. «La conosco?» soffiò, titubante.

Continuai a guardarla con viva serietà, ma alla fine mi sfuggì un mezzo sorriso. Smisi di sfiorarle il mento ma non di guardarla. La sua pelle diafana risplendeva ancora di più sotto ai raggi solari, le sue labbra sottili sembravano chiamare con silenziosa disperazione le mie. Fui davvero tentato di baciarla, però mi trattenni.
Non era il luogo né il momento adatto per rispondere alla sua domanda con quel semplice – ma bramato – gesto, che tra l'altro avrebbe sancito un nuovo inizio, un qualcosa di molto importante che avrebbe esulato dalla mera amicizia fino ad allora coltivata. «A fine serata, magari, potrò dirti qualcosa di più», mi sforzai di dirle, non senza provare un certo fastidio. A ogni minuto che passava, mi sentivo sempre più coinvolto da lei. Sempre più attratto. E contenersi era sempre più difficile.
Ero partito per questo viaggio con l'intento di tenere il freno a mano tirato, ma il continuo contatto con Benedetta mi stava rendendo più morbido e non meno vulnerabile. Anche solo sfiorarla, adesso, mi faceva fremere.
Qualcosa di indefinito si stava agitando, dentro di me.
Da quando Megan era uscita dalla mia vita, stavo cominciando ad accettare l'inaccettabile.

Benedetta mi piaceva, e anche molto.

Alla faccia del non so bene cosa provo per lei, pensai, distogliendo finalmente lo sguardo dalla ragazza.
Provavo, in verità, una grande attrazione, soltanto che ci avevo messo tanto, troppo tempo per ammetterlo. Forse avevo cominciato a provarla dal momento in cui eravamo tornati a sentirci e a vederci come un tempo, stando sempre più vicini.
Accettare di provare curiosità per una ragazza tanto giovane non mi sembrava giusto, tantomeno naturale. Avevo superato ormai i quaranta e non desideravo circuire una ragazza che doveva ancora fare molta strada.

Eppure, anche solo immaginare di starle lontano per settimane, o addirittura mesi, sortiva in me un effetto a dir poco angosciante. Non riuscivo a privarmi di lei. Lei che mi aveva dato tanto, lei che avevo istruito affinché diventasse una giornalista sempre più capace. Tornai a guardarla, qualche ricciolo ribelle le aveva ricoperto il viso e lei si affrettò a scacciarlo. Mi persi a guardarla e quasi incespicai sulle mie stesse scarpe. Benedetta si voltò e io feci appena in tempo a scostare lo sguardo, fingendo che non fosse successo nulla.
Sospirai appena.

Benedetta non era solo bella. D'altra parte, di ragazze belle ne era pieno il mondo.
Lei aveva qualcosa in più, la sua era una bellezza particolare che la rendeva diversa dalle altre. Solo in quel momento me ne resi pienamente conto.
Senza contare il fatto che fosse dannatamente intelligente ed empatica.
Sapeva ascoltare e farsi ascoltare. Sapeva farti sentire importante. E sapeva come provocare al momento giusto, senza però darsi arie o cercando di sedurre con il corpo. Perché lei seduceva con la mente. E questo non sapevano farlo tutte.

Estrassi una sigaretta dalla tasca, stanco di tutte quelle difese che, di volta in volta, stavano disgregandosi sotto ai miei occhi.  Forse ero fottuto. Fottuto e basta, mi dissi ancora, mentre l'accendevo e mi apprestavo a fumarla.

Notai con la coda dell'occhio che Benedetta, per un momento, mi guardò affascinata, soggiogata forse da come accarezzavo con le labbra quel bastoncino. In verità, stavo sognando di assaggiare la sua bocca con la stessa delicatezza con cui aspiravo quel fumo. Scacciai quel pensiero non proprio innocente e cercai di ricordare dove ci trovavamo.
Se da una parte mi compiacevo dell'effetto che le stavo facendo, dall'altra temevo di perdere il controllo troppo presto. Non ero mai stato bravo ad andarci troppo piano; se provavo una sensazione, la volevo vivere. E fino in fondo.

«Dai, ti porto da papà», riprese lei, tornando del tutto in sé. Incontrò appena i miei occhi, però non diede segno di essersi offesa per la mia ennesima reticenza, anche se potevo percepire la sua confusione. D'altronde, chi non ne avrebbe avuta?
Dovevo fare chiarezza dentro di me, mi redarguii, seguendola a ruota. Benedetta non meritava di stare in un limbo fatto di incertezze e paranoie.

Dopo qualche minuto di pura meditazione, arrivammo di fronte a una vecchia lapide. L'immagine di un uomo sorridente era impressa su pietra e Benedetta si chinò all'istante sul prato. Sfiorò con le dita la fotografia e le sfuggì un sussulto. Mi inchinai dietro di lei. Sarei stata la sua ombra, se necessario. Sapevo bene cosa significasse perdere un genitore, per giunta a un'età in cui non si era poi così pronti per affrontare la vita e tutto quello che ne derivava. Quel tragico evento ti condizionava l'esistenza, non lo si poteva negare.
Percepii qualche singhiozzo e strinsi a me Benedetta. Lei si lasciò completamente andare, del tutto presa dal dolore e dalla mancanza.
«Non piangere, Benedetta. Lui è sempre con te, nonostante tutto.»

«Mi ero ripromessa di non piangere, però...» Si scostò da me e si asciugò le lacrime. «Troppi ricordi stanno tornando a galla.»

Immagino. Succede sempre anche a me quando vado a fargli visita. Le sfiorai le guance e le sorrisi. «Non essere triste, okay?»

«Menomale che ci sei tu», mi rispose, tornando ad abbracciarmi.

«Grazie a te per avermi mostrato questa parte della tua vita.»

«Mi fido ciecamente di te. Ti stimo tanto. Ma non è solo questo. Io ti...» Scosse la testa, come se d'un tratto non volesse più dire altro. «Ti ringrazio per avermi proposto di venire qui. Ne avevo bisogno», disse alla fine.

Ci rialzammo dal prato e continuai a stringerla. Tenerla tra le braccia mi fece sentire in pace, ma un altro desiderio si fece strada dentro di me.
Quello non era un semplice abbraccio tra amici, perché io la tenevo troppo stretta e lei non dava cenno di volersi scostare. Eravamo praticamente appiccicati.
Girammo in tondo per qualche istante, mentre le accarezzavo la schiena simulando movimenti circolari. Il suo respiro, da affannoso che era, tornò tranquillo e regolare.

«Stai meglio?»

«Molto meglio, sì. Però... credo mi sia venuta una certa fame. A te no?»

Mi abbandonai a una risata allegra e colsi l'occasione per staccarmi da lei. Mi stavo abituando troppo ai suoi abbracci. «Dici che lui sarebbe d'accordo?» chiesi poi, indicando la foto del padre con un cenno del capo.

Benedetta alzò un sopracciglio. «D'accordo... per cosa, esattamente?»

«Una ragazza speciale meriterebbe di essere scortata a pranzo da un ragazzo altrettanto speciale. E io, be'... non sono né un ragazzo, né speciale.»

«Pensi davvero che lui avrebbe badato alle apparenze?» replicò Benedetta, sorridendo alla mia battuta. Tornò a guardare la foto e si chinò su di essa. «Che dici, papà? Secondo te il signor Malcom Stone è abbastanza degno di me per accompagnarmi a pranzo?» Sorrise, commossa. «Ciao, pa'. Spero tanto di tornare a trovarti presto. Ti voglio tanto bene.» Si rialzò e si asciugò una lacrima, tornando a sorridere. Si rifiondò tra le mie braccia e la accolsi, senza fiatare. Ci allontanammo dalla lapide e ci avviammo verso l'uscita del cimitero.

Questa volta, ci tenevamo stretti per la vita e di tanto in tanto ci guardavamo.

«Allora? Ha detto di no, non è così?»

Benedetta ridacchiò. «Ma la smetti con questa storia?! Nessun ragazzo è più esperto di te quando si tratta di ristoranti.»

«Infatti sono un uomo», constatai, regalandole un'occhiata severa.

Benedetta mi diede una leggera gomitata. «Tanto non cambio idea», replicò, quindi mi fece l'occhiolino e si avviò verso la fermata dell'autobus, scostandosi da me.

Mi soffermai sulla sua figura e mi venne da sorridere. Non avevo mai conosciuto una ragazza così determinata.
 

*

 

«Allora? Cosa ne pensi?»

«È straordinario.» Ammirai estasiato la facciata del palazzo in perfetto stile barocco. E lo feci da tutte le angolazioni possibili, tant'è che stava per tornarmi il torcicollo.

«Come hai detto che si chiama? Palazzo Alfieri?»

«Già.»

«Davvero notevole.» Ci aggirammo per il cortile del palazzo e notai il busto di marmo di Alfieri, la cui espressione era fiera e irreprensibile.

«In realtà, il palazzo era la casa del poeta», disse Benedetta. «Alfieri è rimasto qui fino all'età di cinque anni e poi ha iniziato a girare tutta l'Europa.»

«Interessante. Di Alfieri conosco qualche opera, ma non avevo idea che esistesse addirittura un palazzo a suo nome.
"Vero è, che la penna in mano di un eccellente scrittore riesce per se stessa un'arma assai più possente e terribile, e..."»

«"...di assai più lungo effetto, che non lo possa mai essere nessuno scettro, né brando, nelle mani d'un principe"», continuò Benedetta, unendosi a me.

Ci guardammo sbigottiti e scoppiammo a ridere.

«Non ci credo! La conosci anche tu?» mi chiese, a bocca aperta.

«Be', sono un uomo di cultura, io. E a quanto pare... tu non sei da meno.»

Benedetta mi rivolse un'occhiata ambigua. «E quest'uomo di cultura è anche molto modesto, vedo.»

Ricambiai lo sguardo. «Moltissimo.» Le feci cenno di entrare nel palazzo e lo visitammo tutto, da cima a fondo. Arredi di ogni tipo, litografie, incisioni varie, costumi e documenti teatrali appartenenti all'artista italiano davano sfoggio di una vetustà e una beltà senza pari.

Fu poi la volta del Palazzo Mazzetti, situato poco lontano da quello appena visitato, nel cuore della città di Asti. Anche questa dimora signorile del Settecento si fregava di un elegante stile barocco impreziosito, all'interno, di numerosi dipinti su tela, ritratti ottocenteschi della borghesia astigiana, manufatti orientali e tessuti antichi.
Quel pomeriggio all'insegna della scoperta terminò verso le diciannove e trenta, quando ci avviammo verso l'hotel prendendo la metro più vicina.

«Spero che tu sia rimasto soddisfatto del tour», disse Benedetta, non appena ci ritrovammo davanti La Regibussa, hotel scelto dal comitato che aveva organizzato il Concorso di Giornalismo.

«Asti è proprio una bella cittadina, quindi direi di sì», le risposi, ammirando la hall in tutto il suo splendore. Non era un albergo troppo prestigioso, in compenso sembrava molto pulito e altrettanto curato.

«Domani ci aspetto il Palazzo Ottolenghi e Il Museo Paleontologico

Corrugai la fronte. «Museo Paleontologico? Come mai tutto questo interesse?»

«Be', ecco... devi sapere che ho rischiato di prendere Geologia, all'università. Ho sempre avuto una certa passione per i fossili e le Scienze Naturali. Sai, colpa di un professore di liceo che mi ha trasmesso un'immane curiosità in merito. Alla fine, però, ho scelto comunque l'indirizzo umanistico. Mi si addiceva decisamente di più. E alla luce dei fatti, non credo di aver sbagliato.»

«Vorrei vedere!» la schernii, sorridendo. «Anche perché, se avessi scelto Geologia, a quest'ora non saremmo certamente qui.»

«E quindi non mi avresti conosciuta.» Scrollò le spalle. «Non ti saresti perso granché.»

«Non sono d'accordo», ribattei, risoluto. «Sono entusiasta di essere qui con te. Come non lo ero da tempo», aggiunsi in tono più dolce.

«Veramente?» chiese lei, indecisa.

Mi avvicinai al suo viso, incurante che ci trovassimo nel bel mezzo della hall senza privacy alcuna. «Credevo lo avessi capito», le risposi, senza più sorridere. Quello sguardo che metteva all'asta ogni volta che andava in confusione mi faceva perdere la testa. «Evidentemente, non sono stato molto chiaro.» Sospirai. La presi per mano e la trascinai fuori dall'albergo. Dovevo farlo, o sarei morto d'impazienza di lì a poco.

«Malcom! Ma dove mi stai portando, si può sapere?»

Una volta fuori, nei pressi del lussureggiante giardino che ospitava la struttura, mi voltai verso Benedetta. «Basta parlare. Okay?» le dissi, avvicinandomi sempre di più a lei. Quelle labbra – le sue – mi stavano chiamando da ore, e io non ne potevo davvero più. Le accarezzai con dolcezza le guance e, senza pensare alle conseguenze, incollai la mia bocca alla sua. La strinsi forte a me, e anche lei, di rimando, fece lo stesso. Con tenerezza e ardore, gustai quella bocca di rosa e provai un miscuglio di sensazioni talmente paradisiache da lasciarmi quasi attonito e incapace di pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse Benedetta. Poco dopo, il bacio si fece più impetuoso, quasi disperato. Non aveva proprio niente a che vedere con il primo che ci eravamo scambiati mesi prima – dolce, breve e timido insieme. Questa volta, ci stavamo letteralmente divorando, tra morsi famelici, lingue intrecciate e lievi sospiri; sospiri pieni di desiderio e felicità. Dei sospiri talmente inebrianti, che rimasi ancora più stupito dal fatto che la dolce Benedetta serbasse così tanta bramosia, così tanta passione.

E quell'accecante e sublime passione era tutta per me. Solo e soltanto per me.

   
 
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