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Autore: hakkaisan    19/09/2022    2 recensioni
"Non gli era mai successo di desiderare così tanto un po’ di riposo. Quasi mai. Se c’era mai stato un periodo in cui avesse avuto bisogno di una vacanza, era proprio quello."
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"Sam gli aveva rotto le uova nel paniere. Ai suoi occhi aveva calpestato anche uno dei ricordi che conservava gelosamente della rude gentilezza di papà."
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"Quel ragazzo era in grado di toccare i suoi nervi ogni qualvolta non ne sentiva il bisogno e questo, se possibile, lo alterava ancor di più."
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Settima stagione
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Erano rimasti solo lui e il barista.

Un periodo della settimana, o meglio dell’anno, molto tranquillo, al limite della noia, in una cittadina assolutamente dimenticabile. Meglio così.

Lui e Sam non avevano nulla di particolare da fare. Avevano deviato la rotta da una caccia, in direzione di questo paesino sperduto che avevano frequentato altre volte, proprio in virtù del suo essere miracolosamente circondato da eventi soprannaturali; ma mai coinvolto davvero dal male, per quello che ne sapevano. La città verso cui originariamente si stavano dirigendo si era rivelata un falso caso, o almeno così erano stati avvisati prontamente da Garth. “Il nuovo Bobby” pensò Dean con una punta di amarezza e ironia, come se quello fosse solo il nome di un ruolo nella scala sociale dei cacciatori e non del loro padrino de facto.

Quando lui e Sam capirono che si trovavano a poche ore di distanza da quel posto, la decisione fu presa all’unisono con un’occhiata complice. Quella città era una sorta di isola felice.

Si erano chiesti, anche con John, quando la scoprirono tanti anni prima, perché il male ci girasse attorno come se non esistesse. Ma a poco importava darsi una risposta precisa: era la città più piccola e isolata dei dintorni, non esattamente di passaggio, ma neanche troppo celata agli occhi di viaggiatori esperti in cerca di conforto. I forestieri erano pochi e pochi gli abitanti, relativamente nuove le fondamenta e scarse le occasioni di nuovi malefici moderni in approdo. Erano tutte motivazioni scarne, ma plausibili e tanto gli bastava per approfittare di quella quiete, una manna dal cielo. A quel pensiero un sorriso sbieco piegò le labbra di Dean mentre sorseggiava, non sapeva di preciso neanche cosa. Un miele alcolico sorprendentemente piacevole, ma forte.

Non era male. Niente in quella città era eccezionale, né degradato, tanto da destare sospetti. Tutto era lievemente accidentato e imperfetto, ma gradevole. Non male, appunto.

Non gli era mai successo di desiderare così tanto un po’ di riposo. Quasi mai. Se c’era mai stato un periodo in cui avesse avuto bisogno di una vacanza, era proprio quello.

Per una volta sembrava girare tutto per il verso giusto e forse per questo aveva perso la calma prima del solito, quando Sam aveva deciso di buttare tutto alle ortiche facendolo incazzare come un cane rabbioso. Dovevano essere i loro giorni liberi, ossia giorni per vuotare la testa e non lasciarsi sopraffare dalla fine del mondo e tutte le altre cazzate che facevano da corollario alle loro odierne follie. Quella città era sempre stata il simbolo di una normalità che non avevano mai neanche potuto desiderare, una meta in cui fuggire se se ne poteva avere l’occasione, per fare tutto tranne che lavorare, tranne che cacciare. Lo avevano deciso tutti e tre insieme, lui, Sam e papà, quando ne avevano scoperto e valutato la natura. Era la loro meta segreta e speciale. Il calderone d’oro alla fine dell’arcobaleno.

Sam gli aveva rotto le uova nel paniere. Ai suoi occhi aveva calpestato anche uno dei ricordi che conservava gelosamente della rude gentilezza di papà.

Così Dean si era limitato a rispondergli in malo modo e scappare, via dalla sua acredine, sbattendogli la porta in faccia. Certo non era andato troppo lontano, ma Sam aveva capito l’antifona e non l’aveva seguito.

Quel ragazzo era in grado di toccare i suoi nervi ogni qualvolta non ne sentiva il bisogno e questo, se possibile, lo alterava ancor di più.

Ora che finalmente potevano godersi un po’ della reciproca compagnia, nella città della calma, nel Triangolo delle Bermuda delle stramberie, dove gli incantesimi malvagi non prendevano e storie di sangue, mostri e fantasmi non attecchivano, perché non avevano terreno fertile. Lì dove la normalità era palpabile e non costruita; le persone gioviali, la comunità unita, ma discreta; case, negozi e motel, carini a vedersi e curati; Sam se n’era risentito a quanto pare, e aveva dovuto per forza riportare a galla vecchi dissapori, vecchi rancori irrisolti tra loro e quel dannato del loro padre, che si ostinava a non far riposare nella sua memoria. Riportare alla luce colpe che Dean non voleva neanche sapere di chi fossero; com’erano stati cresciuti, perché il loro benessere non era mai stato preso in considerazione. Perché i pilastri della loro esistenza non erano stati famiglia, educazione e socializzazione, ma paura, vendetta, isolamento.

Dean aveva notato ciò che Sam aveva accuratamente escluso. La Famiglia? Beh, quello restava un caposaldo, ma non era un pilastro, saldo e sano su cui far ruotare il proprio senso etico, era la spada di Damocle che pendeva su ognuno di loro. Questo Dean lo aveva visto coi propri occhi: nel passato condiviso con Sam sulla pelle di entrambi e in quello dei suoi genitori, forzatogli giù per il gozzo dagli angeli, come grossi uccellacci quando nutrono i propri piccoli fino a farli scoppiare.

Dean era furioso perché si sentiva strozzato da quelle domande. Non erano nemmeno domande rivolte a lui. Domande retoriche, o rivolte al Cielo – il che era praticamente lo stesso – di un ragazzo disperato quanto lui, ma non altrettanto rassegnato.

Perché, perché, perché.

Perché sì, Sam. Perché le nostre vite fanno schifo, Sam. Quindi perché non godersi quel poco che offre, quando e se, lo offre? Eh, Sammy?

Ma non gli aveva detto niente di tutto ciò. Non gli aveva sputato di rimando le sue domande retoriche. Sarebbe stato inutile; per l’appunto, ciò che li divideva era quella linea di rassegnazione.

Dean conosceva quei perché, eppure non voleva saperne nulla. Vedeva il sentiero verso cui li avrebbe guidati e non avrebbe ceduto, stavolta. Si sarebbero sentiti soli. E la solitudine reciproca non avrebbe portato nulla di buono. Solo a un temporaneo, miserabile, tentativo di trovare consolazione l’uno nell’altro e i soliti sensi di colpa conseguenti, di cui Dean poteva fare tranquillamente a meno per una volta. Ne aveva già troppi con cui fare i conti. Grazie.

 

Quella città era la scusa per mettere a tacere tutto per pochi, benedetti giorni, non il contrario.

Non era più completamente solo a dividere il peso della responsabilità di badare a dove svoltasse ogni giorno il destino di Sam, perché suo fratello sembrava aver ritrovato un certo autocontrollo, ma Dean sentiva paradossalmente ancor più grave quel macigno sulle spalle. Forse erano nell’occhio del ciclone, ma ancora non potevano capirlo? Chissà quando avrebbero rischiato di nuovo, non-seppe-dire-cosa oltre le loro vite…presto forse. Era proprio questo quello su cui non voleva rimuginare.

Bevve un altro sorso per far scivolare in fondo allo stomaco quel pensiero perché non lo tormentasse oltre.

Avrebbe voluto che Sam facesse lo stesso con le sue angosce, invece di forzarle su di lui e al tempo stesso cercare di sentirsi meno solo tirando a forza, via da Dean, quello che con così tanta fatica il fratello maggiore cercava di seppellire dentro il proprio cuore – o quel che ne restava – ogni giorno.

Invece no, Sam voleva parlarne.

Però, pensò sconsolato, quando lo stesso Sam aveva voluto proteggerlo da ciò che aveva fatto, perché se ne vergognava, sapendo in cuor suo quanto fosse profondamente sbagliato, e proteggere sé stesso dalla rabbia di Dean, aveva trattato il fratello maggiore come lui stesso faceva ora. E sentirsi dalla parte di quello a cui venivano voltate le spalle era stato soffocante. Un cappio che si stringeva intorno al collo ad ogni menzogna che Dean era stato cosciente di ricevere.

Era da tanto che non si affrontavano e quella sera non ne aveva avuto la forza. D’altronde non sapeva più sotto cos’altro nascondere la propria polvere, i tappeti dentro di lui erano diventati troppo sottili e quasi non riusciva piu a celare nulla, neanche a sé stesso.

Quello che ingoiava, tornava su e gli rimaneva incastrato in gola.

Tutto lo tradiva. Ancora e ancora. Prima o poi avrebbe dovuto trovare il modo di andare avanti. Sforzarsi di sorridere a fine settimana, non gli bastava più. Sperava di farlo con suo fratello al proprio fianco, ma adesso non sapeva più cosa sperare davvero.

Scolò il bicchiere e si alzò lasciando una manciata di dollari sul bancone e un saluto distratto al barista che lo ricambiò appena.

La notte fuori dalle finestre era abbastanza buia per tornare in stanza, sicuramente Sam aveva lasciato perdere il suo irrecuperabile e moralmente discutibile fratello maggiore -troppo impegnato a dimostrare sempre qualcosa a qualcuno per parlare di ciò che realmente pensava- ed era andato a dormire.

Sam non capiva che nessuno aveva bisogno di ciò che Dean realmente aveva dentro, pensò lui, risoluto. Tutt’altro. Più buttava giù il rospo e meglio sarebbe stato per tutti.

Per questo odiava Sam quando faceva così. Gli lasciava la sgradevole sensazione di avere un amo incastrato in bocca, che dimenticava lì, finché non veniva tirato. Alla fine sarebbe tornato sempre da lui e sarebbe morto soffocato dall’aria che non riusciva a respirare.

Si scrollò di dosso quel primo filo di pensieri. No, non lo odiava. Ma se quell’amo era già agganciato ben prima che il mondo crollasse loro addosso più e più volte, adesso, dopo l’inferno e il sangue di demone, Lilith e compagnia infernale, non aveva più le forze di resistere alla corrente, al filo che lo trascinava a galla.

Non faceva quasi più resistenza al dolore che provava, che stillava continuamente dalle crepe nell’anima che non aveva mai rimarginato, che era troppo tardi per ricucire. Quel dolore che spesso veniva fuori di getto e incontrollabile, proprio di fronte a Sam che voleva curarlo con le parole, ma che impotente stava lì a guardare rompersi quegli argini di quando in quando, fallendo miseramente nel tentativo di mettere una pezza al cuore di suo fratello.

Sam aveva le migliori intenzioni, ma Dean si sentiva sempre solo contro il mondo quando si trattava di lui. Pur di risolvere quei guai e di vedere Sam finalmente in pace con sé stesso, avrebbe abbandonato volentieri quella vita a brandelli, che faceva una fatica immensa a tenere insieme e che gli si staccava di dosso come la pelle di un mutaforma.

Erano tornati a cacciare abbastanza frequentemente e con una certa complicità. Avevano un momento per respirare e invece Sam stava pensando solo a tirarlo fuori dal pelo dell’acqua. Non capiva che voleva solo un po’di tregua? Per quanto fittizia fosse?

È perché siamo troppo diversi. O troppo simili. Non ne ho idea. Pensò camminando piano sull’asfalto bagnato, testa china e mani in tasca. Nonostante tutto, l’ultimo anello di quella catena di pensieri fu l’immagine di suo fratello sorridente, nel sedile passeggero di Baby, lui alla guida.

Dopotutto sapeva che Sam non aveva torto. Ma Dean aveva paura.

Paura di vedere sé stesso sfinito e arreso nelle confessioni di suo fratello. Di vederci un’angoscia e un dolore che non era stato in grado di risparmiargli. Ci aveva provato, a prendere tutto su di sé, ma questo lo aveva spezzato. Si era sopravvalutato.

Lui non era John. Papà era riuscito a vivere senza la mamma. In qualche modo lo aveva fatto. Dean non sarebbe stato mai in grado di farlo, non con Sam. Non desiderava esserlo. Si chiese dove avesse trovato tutta quella forza, suo padre, dove la tenesse nascosta, con cosa l’avesse nutrita.

Non voleva ammettere, proprio di fronte a suo fratello, di quanto si sentisse incapace. Dopo tutti quegli anni in cui lo aveva cresciuto e non aveva fatto altro che cercare di sembrargli forte. Il più forte. Quello a cui avrebbe dovuto affidarsi sempre, che ci sarebbe sempre stato per lui e avrebbe risolto tutto con un sorriso sfacciato e la battuta pronta.

Che ridicolo pagliaccio.

Gli voleva troppo bene.

Troppo, decisamente. Era la parola giusta. Indagare fin dove poteva spingere quel limite, era qualcosa che li aveva trascinati entrambi al punto di non ritorno. Aveva portato alla morte e alla follia, loro stessi e coloro che li circondavano, che fossero persone care o meno.

Dean si fermò in mezzo al parcheggio del Motel, cercò Baby con gli occhi e sospirò. Una nuvoletta di vapore – innocua, faceva davvero molto freddo – si dissolse di fronte a lui, mentre continuava a restare immobile: il turbinio di pensieri che gli frullavano in mente lo paralizzavano. Non poteva muovere un passo avanti perché al tempo stesso pensava di doverne fare uno indietro, così il tempo e lo spazio lo comprimevano in quel punto dove si era fermato, mentre fissava l’Impala senza davvero vederla.

C’erano state notti in cui gli aveva voluto troppo bene.

Non si erano lasciati vie di fuga l’uno dall’altro. Sam ci aveva provato, ci era quasi riuscito, ma Dean e i patti stretti prima che nascessero, suggellati sulla loro pelle, l’avevano catturato di nuovo e Sam gliel’aveva lasciato fare.

Adesso per liberarsi da quel bene era troppo tardi.

Era tutto così sbagliato. Dean non voleva chiedere perché, non desiderava la verità. Non avrebbe saputo che farsene. Voleva chiedere, per favore, che quel tormento avesse fine, però. Non lo fece, no. Non l’avrebbe ascoltato un orecchio amico.

Le nuvolette di vapore si formavano frenetiche, mentre perdeva il controllo del respiro. Stava cadendo di nuovo a pezzi.

“Basta!” Disse con voce strozzata trattenendo la parola tra i denti. Guardò verso il cielo e per un secondo pensò di chiedere aiuto a Cass istintivamente, anche senza aspettarsi nulla in cambio. A questo punto se Sam aveva ragione, perché non confessare tutto?

Ma non lo fece.

Bastò quel pensiero proiettato fuori dal vortice che avevano generato lui e Sam nella sua testa, a calmarlo quel tanto che gli serviva per tornare in sé. Immaginò di prendere quella catena che sentiva pesante attorno al collo, scioglierla quel poco per poter tornare a camminare e di gettarsela dietro le spalle; poteva trascinarla senza farsi sopraffare ancora per un po’. Finché sarebbe durato, ce l’avrebbe fatta da solo.

 

*********


 

 

 

 

Maybe we're victims of fate
 Remember when we'd celebrate
 We'd drink and get high until late
 And now we're all alone

Wedding bells ain't gonna chime
 With both of us guilty of crime
 And both of us sentenced to time
 And now we're all alone

Protect me from what I want,
 Protect me protect me


 

Protect me from what I want

Sleeping with ghosts, Placebo

 

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NOTE:

Salve a tutti,

Questa è la mia prima fic a tema wincest (e la mia prima pubblicazione in assoluto!)

Ogni capitolo sarà accompagnato da una canzone dei Placebo (o una cover interpretata da loro) di cui consiglio vivamente l’ascolto durante la lettura.

Sono fiera di aver ispirato la FAVOLOSA opera d’arte in copertina, ideata dalla mia amica e beta reader, WALECHU, che adoro alla follia!

Potete trovarla su Tumblr, Instagram e Twitter, mi raccomando seguitela!

In occasione del nostro incontro, dopo anni di distanza, beta reading, revisioni, gioie e dolori tramite chiamate, abbiamo deciso di pubblicare questo primo capitolo insieme!

Gli altri verranno pubblicati una volta al mese.

Qualsiasi commento è più che gradito! :D

Trovate questo primo capitolo anche sul mio Tumblrqui.

Grazie a chiunque legga!

  
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