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Autore: _Agrifoglio_    22/09/2022    14 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La rottura degli equilibri
 
Parigi, Palazzo de Bourges, ottobre 1811
 
– Morirò! Morirò di strazio e di crepacuore e, nel momento stesso in cui morirò, mi trasformerò in polvere! Anzi, mi trasformerò in una Villi e lo perseguiterò per avermi abbandonata!
Diane e il marito, Henri Beauregard, Signore di Bourges, guardavano costernati la loro figlia Giselle che correva da una parte all’altra della casa, in preda all’esaltazione, quasi impazzita per la disperazione e l’angoscia. Albrecht von Alois, che l’aveva corteggiata assiduamente per qualche settimana, quella mattina, le aveva detto che non avrebbe più potuto incontrarla e se ne era andato via senza fornirle alcuna spiegazione, dopo averle rivolto un elegante inchino.
– Povera me! Disgraziata me! Mai nella vita incontrerò un amore più grande!
C’era, nel dolore della ragazzina, una buona dose di fanatismo, in parte, dovuto alla giovane età e, in parte, ereditato dalla madre. Genitori e servitori la guardavano allibiti mentre piroettava su e giù per scale, stanze e corridoi e, quando sembrava avere trovato la quiete in un angolo, su una poltrona o nel suo letto, subito si rialzava e riprendeva a volteggiare ovunque, come un’anima in pena o una furia.
– Mio Dio, se continua così, la seppelliremo entro domani mattina! – gemette Diane che aveva perduto la gioventù, ma non l’attitudine a drammatizzare.
– Devo praticarle un salasso! Subito! – esclamò Henri Beauregard, medico vecchio stampo e padre pieno di paura.
– Ma a cosa potrebbe servirle un salasso, se non a farla diventare ancora più debole e pallida? – replicò Diane.
– Se non le toglierò gli umori in eccesso, questi andranno alla testa ed ella morirà o diventerà pazza! – insistette l’uomo – Ma, poi, che cosa diamine sono queste Villi?!
– Io quel maledetto damerino da strapazzo lo sfiderò a duello oppure gli piomberò addosso in un vicolo e gli fracasserò la testa contro un muro! – ruggì Alain, con gli occhi furenti e il volto trasfigurato in una maschera di collera – Non mi è mai piaciuto quel bellimbusto della malora, tutto moine e leziosità sia con Madamigella Antigone sia con Giselle!
– CalmateVi, Alain, non è il caso di trascendere! – si inserì la Contessa Ève de Lis, invitata a pranzo dai coniugi de Bourges prima che scoppiasse l’Apocalisse.
La donna, visibilmente impressionata dalle parole del soldato, tentava di placare gli animi e di razionalizzare.
– Cerchiamo di non perdere la lucidità e di non fare follie! Non gioverebbe ad alcuno!
Alain continuava a premersi le tempie con le mani e a scuotere la testa, urlando e saettando collera dagli occhi fuori dalle orbite. Aveva già vissuto sulla sua pelle lo strazio e il quasi suicidio della sorella e passarci di nuovo con la nipote era una cosa che lo faceva impazzire.
– Dicono che il Conte von Alois sia uno spadaccino provetto e un tiratore abile e preciso – insistette la Contessa de Lis – Se lo sfiderete a duello, potrebbe ucciderVi!
– Al diavolo! Non me ne importa! A questo punto, non fa differenza! – ruggì Alain.
– Mi dareste un grande dolore, se moriste!
Alain guardò la donna con tenerezza e, poi, tornò a stringere i pugni e i denti.
Vedendo che l’uomo non si calmava e approfittando di un momento in cui i genitori si erano fiondati sulla figlia, tentando di abbracciarla e di placarla, la bella Ève lo tirò in un angolo e gli sussurrò, con voce preoccupata, ma decisa:
– Tentate di calmarVi, Alain! Fatelo per Vostra nipote, se non per Voi! Se foste incarcerato o ucciso, chi penserebbe a lei? Chi la salverebbe dal suicidio o dalla follia? Vostra madre, oppressa dagli anni? Vostra sorella che già pensa a chiamare i becchini? O Vostro cognato che risolve tutto con i salassi? A Giselle serve una persona di buon senso che, in mancanza di altri, dovete essere Voi!
Mentre Alain si afflosciava su una poltrona e si nascondeva il volto fra le mani, Ève de Lis si accostò a Giselle, afflosciata sulla poltrona sistemata al capo opposto della sala.
– Lasciate che ci parli io – disse la Contessa ai due genitori che incombevano sulla figlia, quasi alitandole sul collo, ma senza saperla aiutare – A volte, con i giovani, gli estranei hanno miglior successo dei congiunti.
La donna si inginocchiò con grazia accanto al bracciolo sul quale Giselle aveva appoggiato la testa, le sfiorò delicatamente un braccio e, sempre sincerandosi, con la coda dell’occhio, che Alain non uscisse di scatto per fare uno sproposito, iniziò a sussurrarle, con voce gentile e ferma al tempo stesso:
– Non Vi agitate così, piccola mia! Se continuerete a disperarVi, Vostro padre Vi praticherà un salasso. Sapete come si fanno i salassi? Vi applicherà delle sanguisughe sulle braccia, sulle gambe e sulla schiena. Avete idea di cosa siano le sanguisughe?
Giselle sollevò la testa dal bracciolo della poltrona, facendo mostra dei begli occhi lucidi e delle gote rigate dalle lacrime e la agitò velocemente a significare un no.
– Sono degli animali scuri e viscidi, con la forma di un verme, ma molto più lunghi e grassi, che si arpionano alla pelle con degli artigli e succhiano il sangue.
Giselle inorridì e divenne ancora più pallida.
– Volete che Vostro padre Vi metta le sanguisughe sulla pelle? – insistette la donna, con tono deciso e voce atta a incutere paura.
– Oh, mio Dio, no! – gemette la ragazzina.
– E, allora, asciugateVi il viso e smettetela di fare la bambina che, oltretutto, agli uomini non piacciono le donne piagnucolose! RicordateVi sempre che devono essere loro a inseguire noi e non il contrario. Una donna che corre dietro a un uomo e che piange per lui ha già perso. CalmateVi, sorridete radiosa, fate credere a tutti che lo avete già dimenticato e che di lui non Ve ne importa e, poi, insieme, elaboreremo un piano.

 
********

Reggia di Versailles, ottobre 1811
 
Bernadette era diretta verso il deposito delle carrozze della reggia, da sola e col viso contratto. Si sarebbe dovuta trovare in compagnia di Antigone, ma, all’ultimo momento, la Regina Maria Antonietta aveva fatto richiamare la giovane de Jarjayes et de Lille e lei era rimasta sola.
Allungò il passo per concludere al più presto quel percorso che le sembrava interminabile, con in testa unicamente la paura ossessiva di vedersi spuntare di fronte, da un momento all’altro, il Tenente de Ligne.
La giornata ottobrina non era delle migliori, il cielo era coperto e tirava un vento che si faceva sempre più impetuoso. Bernadette si strinse il fichu di seta al seno e chinò il capo, accostando il mento al torace, per cercare un po’ di calore. Pregò che non scoppiasse a piovere, perché le scarpine che usava alla reggia non avrebbero retto l’acqua e non aveva con sé le soprascarpe.
A un certo punto, soffiò una folata più forte delle altre che le sollevò la gonna fino a metà polpaccio e fu in quel momento che comparve, da una stradina laterale, il Tenente de Ligne.
La ragazza sussultò e si arrestò di botto. Fu questione di un attimo, perché, subito dopo, recuperò la presenza di spirito, strinse le mani sul fichu, sopra il cuore, aggrottò le sopracciglia e proseguì per la sua strada.
Le fronde degli alberi erano scosse con intensità crescente e il fruscio delle foglie riempiva l’aria di un suono sempre più sibilante. Nella capigliatura di Bernadette, un boccolo scuro si era sganciato dalla forcina che lo fermava e volteggiava in balia della corrente.
– Bernadette, fermatevi, non potete sfuggirmi! Vi ordino di restare o farò in modo che il Re venga a conoscenza della vostra condotta e vi allontani dalla corte! Mi avete sentito, Bernadette?!
La raggiunse e le si parò dinanzi, ma lei non arrestò il passo e gli intimò di lasciarla in pace.
Ormai, tutti i riccioli dell’acconciatura erano sciolti dalle forcine e ondeggiavano convulsamente in libertà e anche lo chignon centrale era crollato.
– Non cederò alle vostre minacce! Non mi farò intimidire! Maledico la mia unica debolezza e non cederò un’altra volta, a costo della vita!
Egli si slanciò in avanti per ghermirla, ma lei indietreggiò, perse l’equilibrio e finì a terra. Lui, allora, l’afferrò per il braccio e la sollevò mentre lei si dibatteva e tentava di fuggire dall’altra parte. Le serrò il braccio ancora più forte e tentò di stringerla a sé, quando un lampo squarciò l’aria, un tuono rimbombò nel cielo e il Conte Albrecht von Alois sopraggiunse sul posto.
– Lasciate in pace questa damigella o me la pagherete!
– Non prendo ordini da voi che non siete un gentiluomo francese!
– Voi, invece, non siete un gentiluomo e basta!
Il vento infuriava sempre più impetuoso e alcune gocce di pioggia, lunghe e sottili, iniziarono a sferzare i volti dei presenti.
– Lasciate in pace Mademoiselle Châtelet, non ve lo ripeterò più!
– Non mi fate paura, siete soltanto uno smargiasso svizzero!
Non aveva neanche finito di parlare che il Conte von Alois estrasse la spada dall’elsa con una velocità inimmaginabile e ne piazzò la punta sotto il mento del Tenente dei Dragoni.
– Avete compreso?!
Robert Gabriel de Ligne indietreggiò, pallido in volto, mentre il vento un poco scemava. Guardandolo minacciosamente, Albrecht von Alois condusse via Bernadette che era rimasta muta tutto il tempo.
– Non finisce qui, capito?! – urlò il Tenente de Ligne, quando il Conte von Alois si fu allontanato a sufficienza – Non finisce qui!
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, ottobre 1811
 
– Devo confessarti che sono sempre più preoccupata, Bernadette! – gemette Rosalie, sgranando gli occhi – Quell’uomo è davvero pericoloso!
– Oh, Madre, sono disperata! E’ stato l’errore più grande della mia vita!
– Credo di avere una soluzione, perlomeno temporanea. Madame Oscar, questa mattina, ti ha offerto di soggiornare alle terme di Vichy insieme a Madamigella Antigone e a Mademoiselle de Girodel. Ha detto che sei pallida e magra e che questa vacanza ti farà bene al corpo e ti distrarrà la mente. Non è splendido? E’ sempre stata così buona e generosa con tutti noi!
– Oh, sì, davvero, è sempre stata così generosa! Io, però, devo declinare l’invito…
– E perché? – esclamò, esterrefatta, Rosalie.
– Non me la sento, non sono dell’umore adatto. Non posso recarmi in un luogo piacevole e alla moda dopo che mio figlio… E non posso approfittare così spudoratamente della generosità della famiglia Jarjayes… Il soggiorno in terme tanto eleganti deve costare una fortuna!
– Normalmente, sarei d’accordo con te, figlia mia, ma, in un caso come questo, cambiare aria è quello che ti ci vuole!
– Mi ha trovata a Lille, Madre! Quanto credete che gli ci vorrà per venire a Vichy, sapendo che la cugina vi si è recata? Non impiegherà molto a tirare le conclusioni e a capire che sono andata lì anch’io… Pensate che vergogna e che scandalo se piombasse alle terme, urlando come a Lille, in presenza di Madamigella Antigone, di Mademoiselle de Girodel e di chi sa quante altre persone!
– E, allora, che intendi fare? – chiese Rosalie, sempre più afflitta.
– Ciò che sarà necessario – rispose la ragazza, con voce calma, ma determinata – Quel che è certo è che non fuggirò più.
Bernadette rimase sul vago con la madre, ma, in cuor suo, aveva già deciso che avrebbe affrontato, una volta per tutte, il Tenente de Ligne.
 
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Milano, Palazzo Serbelloni, ottobre 1811
 
Era la mattina di una giornata come tante altre, quando il Conte Adam Albert von Neipperg fece il suo ingresso nello studio privato dell’Imperatrice Maria Luisa e, dopo un rispettoso inchino, la guardò interrogativamente e le domandò:
– Avete chiesto di conferire con me, Maestà Imperiale?
– E’ così, Conte von Neipperg – rispose Maria Luisa, con espressione seria e voce bassa – Ho un incarico di estrema delicatezza da affidarVi.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, ottobre 1811
 
– E’ un vero peccato che Bernadette non partirà con te e con Élisabeth Clotilde de Girodel – disse Oscar alla figlia – Un soggiorno rigenerante alle terme le avrebbe fatto un gran bene. La vedo affaticata nel corpo e provata nello spirito.
– Dispiace molto anche a me – rispose Antigone – ma nulla c’è stato da fare. Ha opposto un rifiuto educato, ma secco.
– Per quale ragione? – le chiese André.
– Dice che non se la sente e che non è dello spirito adatto. Sta diventando proprio strana, malinconica, introversa… Tutto l’opposto della Bernadette che conoscevamo. Non la riconosco più anche perché non si confida e, quindi, è difficile interpretarne i sentimenti. Non vuole mai essere lasciata sola, tanto che, l’altro giorno, quando la Regina mi richiamò all’improvviso, lei non fu affatto felice di dovere tornare a casa senza di me. Mi sono fatta l’idea che Robert Gabriel de Ligne la perseguiti.
– Quando sarà conclusa la faccenda del tesoro dei giacobini che ci sta impegnando le forze per intero, dovremo dedicarci seriamente a Bernadette. Ci faremo dire da lei o da Rosalie cosa sta succedendo e agiremo di conseguenza, in un modo o nell’altro, ma con forza e decisione – disse Oscar, con sguardo risoluto, mentre stringeva i pugni.
André annuì e aggiunse:
– Concordo con Antigone che il Tenente de Ligne la stia importunando. Sappiamo tutti come sono andate le cose a Lille e, anche adesso, Bernadette ha tutta l’aria di un povero animale braccato e terrorizzato.
– Antigone – domandò Oscar, cambiando argomento – Sei al corrente della vicenda di Giselle de Bourges, la nipote di Alain de Soisson?
– Sì – rispose lei, senza altro aggiungere.
– A quanto pare, Albrecht von Alois corteggiava entrambe, non si sa bene a quale scopo – proseguì Oscar.
– Quel giovane ha sempre destato molte perplessità in tutti noi – chiosò André.
– In realtà, nelle ultime settimane, mi ero accorta che il Conte von Alois riservava delle attenzioni particolari a Mademoiselle de Bourges anche se non pensavo che la frequentasse assiduamente – disse Antigone – Spero che la poverina non soffra troppo. I dolori delle persone molto giovani sono prorompenti, ma quasi mai profondi e duraturi. Quanto a me, mi stavo disaffezionando dal Conte von Alois già da tempo, essendomi accorta che, dietro quella verve mondana e quei modi brillanti e affascinanti, non c’è la solidità caratteriale e la rettitudine di principi che mi aspetterei di trovare in uno sposo. Quando ho saputo che corteggiava anche un’altra, è stata la mia vanità a soffrirne più che il mio cuore.
– Sono felice che tu la stia prendendo bene, Antigone – rispose, sorridendo, Oscar – I tempi che verranno saranno difficili e richiederanno la forza e la determinazione di tutti noi.
 
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Parigi, fine ottobre 1811
 
– Penso che questa vada bene – disse Bernadette, guardando la pistola di mogano intarsiato col calcio in madreperla – La prendo.
– E’ davvero un’ottima scelta, Mademoiselle – disse l’armaiolo – Si tratta di un’arma solida e precisa, ma anche elegante, proprio quello che ci vuole per una giovane signora. In questo scrigno, ci sono i proiettili, le polveri, l’asticella e lo stoppino. Vi faccio vedere come si fa a caricarla.
– Non Vi preoccupate, Monsieur. So sparare molto bene e so anche caricare le pistole e i fucili. Ditemi quanto Vi devo.
Bernadette uscì dalla bottega dell’armaiolo con aria stanca, ma decisa. Mai, in tutte quelle settimane, si era sentita così determinata. Avrebbe affrontato il Tenente de Ligne, gli avrebbe ordinato di non importunarla più e, se egli avesse osato avvicinarsi o afferrarla, lo avrebbe minacciato con la pistola e, all’occorrenza, avrebbe anche sparato. Non voleva, però, usare un’arma della famiglia Jarjayes. Se fosse successo il peggio, non avrebbe trascinato gli amati benefattori nella sua rovina. Per questo, aveva comprato una pistola.
Svoltò in Piazza Luigi XV, in cerca di una vettura a noleggio, quando una voce che ricordava di avere già udito la chiamò:
– Mademoiselle Châtelet, che piacere incontrarVi! E che piacere vedere che indossate il mantello e il cappellino che Vi ho donato!
– Contessa de Lis, il piacere è mio! – esclamò, sorpresa, la ragazza.
– Ma come siete pallida! Voi non state bene…
– Presto, starò molto bene o molto male.
– Mi terrorizzate… ConfidateVi con me!
– Siete molto gentile, Contessa, ma ci sono problemi che ognuno di noi deve risolvere da solo.
– Spesso, però, condividere il fardello non può che giovare. Ciò è vero specialmente per una ragazza, se c’è di mezzo un uomo.
Bernadette guardò la donna velata con aria interrogativa.
– Con una ragazza bella come Voi, c’è sempre di mezzo un uomo – rispose l’enigmatica Ève, con un sorriso dolce e ammaliante al tempo stesso.
– Nessuno può condividere il mio fardello – tagliò corto Bernadette, con voce rotta – Perdonatemi.
E sparì tra la folla.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, fine ottobre 1811
 
Alla fine di ottobre, Antigone ed Élisabeth Clotilde de Girodel erano partite per le terme di Vichy.
Honoré e Grégoire Henri de Girodel, invece, erano tornati nella Francia del sud per reprimere le ultime bande superstiti di soldati napoleonici. Si trattava, nella maggior parte dei casi, di disertori che si erano dati al brigantaggio e che compivano razzie ai danni degli abitanti dei villaggi. La guerriglia era molto insidiosa, perché, a differenza della guerra, era senza regole e i militari sbandati si nascondevano ovunque e spuntavano fuori senza preavviso, a ogni ora del giorno e della notte. Le truppe francesi, però, godevano dell’appoggio incondizionato dei locali, stanchi delle vessazioni degli invasori napoleonici, il cui passaggio era considerato peggiore di quello delle cavallette.
– Che strano silenzio c’è in questa casa! – scherzò André, nel commentare l’assenza dei figli – Nessuna giornata musicale, neppure l’ombra di una caccia ai nastri e tutto ispira pace e tranquillità!
– Di pace e tranquillità ne troveremo in abbondanza, nelle catacombe di Parigi – rispose Oscar, pensierosa e scura in volto.
– Non sarai superstiziosa! – la punzecchiò André – Fai, invece, un sorriso, pensando che, se fosse viva mia nonna, ci direbbe di coprirci, che, là sotto, sarà sicuramente freddo!
– Ricordi cosa disse Théroigne de Méricourt, quando le domandai dove si trovava il tesoro dei giacobini? – domandò Oscar – Si mise a urlare: “In una distesa di ossa!! In mezzo a un mare di morti!!”. Ella, dunque, ha sempre saputo, André e si è presa gioco di noi…
– Tanto, a questo punto, poco cambierebbe. Théroigne de Méricourt ci è sempre stata nemica e, anni fa, ha anche perso il bene dell’intelletto. Ce la vedo a prendersi gioco di noi.
– Ho chiesto ad Alain di accompagnarci nelle catacombe di Parigi e lui ha risposto di sì – continuò Oscar – Ci sarà bisogno di due braccia forti oltre a quelle di Lisimba che ha deciso di venire con noi.
– Non pensavo che ti saresti fidata di lui.
– Ha promesso di non farne parola con Napoleone e, quand’anche gli raccontasse del tesoro dei giacobini, ci farebbe buon gioco. Bonaparte non può certo portarci via il tesoro dal centro della nostra capitale e, sapendo che disponiamo di questa ricchezza, potrebbe abbassare la cresta.
– E’ una tattica antica, ma sempre efficace, la tua, Oscar! Destabilizzare gli avversari, mostrando la propria forza.
– Oltretutto, Alain mi preoccupa. Il dolore della nipote lo ha sconvolto al punto che, quando l’ho visto, sembrava un forsennato. Andava dicendo che qualcuno aveva frugato fra le carte che custodisce in camera sua, il che mi sembra alquanto improbabile! Ho pensato che partecipare a questa missione lo terrà con la mente impegnata e gli impedirà di fare uno sproposito.
Fece una pausa e, poi, proseguì:
– André?
– Sì?
– Credo che qualcuno, alcuni giorni fa, abbia preso la mappa che ci ha dato Suor Leonilde. Eppure l’avevo nascosta bene! L’ho trovata posizionata in modo diverso da come l’avevo riposta e con i soliti sbaffi di carbone.
Scosse la testa e sbuffò:
– Mi sembra di parlare come Alain!
– Suggerirei una bella cioccolata calda e, poi, una serata in un ristorante di Parigi – disse André – Se continuiamo così, finiremo tutti alla Salpêtrière, a tenere compagnia a Théroigne de Méricourt!
 
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Parigi, 1 novembre 1811
 
Scese dalla vettura di piazza e, percorsa da un brivido freddo, si strinse nel mantello di panno scuro che aveva scelto per non dare nell’occhio.
Si era svegliata quasi all’alba, quella mattina e, ora, era determinata ad agire.
Svoltò nel vicolo che conduceva al palazzo di proprietà dei suoceri del Tenente de Ligne e accelerò il passo, tenendo le mani nel manicotto e stringendo con esse la pistola per farsi coraggio.
D’improvviso, qualcuno, con una morsa ferrea, la afferrò da dietro e le premette un fazzoletto sulla bocca. Avvertì un odore penetrante e acre entrarle nelle narici e salirle fino alla testa. Le case, intorno a lei, iniziarono a ondeggiare, si sentì senza forze e perse i sensi.
 
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Versailles, Palazzo Jarjayes, 2 novembre 1811
 
In preda all’agitazione e alla frenesia, Rosalie entrò nella stanza della figlia. Non l’aveva vista rincasare, la sera prima e, ricordando la fredda determinazione che, negli ultimi giorni, le aveva notato disegnata in volto, al posto della paura che da qualche tempo l’attanagliava, iniziò a temere che la ragazza avesse in animo qualcosa di pericoloso e di terribile.
Varcò la soglia e trovò la camera vuota e il letto intatto. Si sentì gelare il sangue nelle vene, le lacrime le riempirono gli occhi e avrebbe gridato, se solo si fosse ricordata come si faceva.
Era troppo tardi per chiamare in soccorso Oscar e André che, subito dopo l’alba, si erano diretti verso le catacombe di Parigi, portandosi dietro Lisimba. Il Generale de Jarjayes, invece, era in una delle sue ville suburbane per risolvere un problema con uno dei fittavoli.
Con le mani tremanti, iniziò a frugare nei cassetti dello scrittoio di Bernadette, per scovare le lettere del Tenente de Ligne, leggerle e trovare in esse un indizio di quella sparizione. Lo scrittoio, però, era vuoto come la stanza.
Forse, le aveva nascoste nel comò, insieme alla biancheria, affinché nessuno le trovasse…
Aprì, uno a uno, i cassetti del comò, ma delle lettere non vi era traccia. Stava per desistere, quando, fra gli indumenti della figlia, vide un fazzoletto di seta da uomo, di raffinata fattura. Lo prese in mano e notò che, sul bordo, erano ricamate delle iniziali: J.d.l.M.







Il primo paragrafo contiene una citazione anzi due. La seconda proviene dal dialogo fra la Marchesa de Merteuil e Cécile de Volanges, non era intenzionale ed è legata a un contesto diverso, ma mi è balzata agli occhi mentre scrivevo. Avete individuato la prima?
Nel discorso di Antigone, c’è la terza citazione, da “Emma”, quando, a proposito della doppiezza di Frank Churchill, la protagonista dice di avere sofferto nell’amor proprio più che col cuore.
L’aspro confronto con Théroigne de Méricourt, in cui la donna pronuncia quelle frasi sibilline, è descritto nel settantaquattresimo capitolo, intitolato: “Anime perse”.
Nel prossimo capitolo, ci sarà molta azione, alcuni misteri saranno svelati e qualcuno morirà.
Come al solito, grazie a chi vorrà leggere e recensire!
   
 
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