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Autore: Nike90Wyatt    23/09/2022    0 recensioni
Milano, 2016. Marinette Dupain-Cheng vive la nuova realtà di studentessa dell’Accademia di Moda Bellerofonte per coronare il suo sogno di diventare un giorno una stilista di livello internazionale. Quella borsa studio ottenuta grazie al suo immenso talento è stata una vera benedizione del cielo. Ma la strada verso la gloria è frastagliata e irta di imprevisti e le certezze di Marinette, lontana dal sostegno dei suoi amici, iniziano a vacillare fino a crollare del tutto quando una minaccia tanto pericolosa quanto imprevedibile inizia a incombere su Milano. I poteri di Ladybug potrebbero non essere sufficienti per affrontarla; pertanto, Marinette dovrà ricorrere a tutto il suo coraggio e fare delle scelte che cambieranno per sempre la sua vita.
[Cover Credits: https://www.instagram.com/my_bagaboo_/]
Genere: Azione, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nonna Gina, Tikki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Infilo la chiave nella serratura e apro la porta di casa. «Nonna, sono a casa!»
Chiudo il battente alle mie spalle e mi sfilo le scarpe. Devo ammettere che, sebbene all’inizio il cambio sia stato traumatico, le sneakers mi stanno molto più comode rispetto alle ballerine che ero solita indossare.
Sfilo anche i calzini, li adagio nelle scarpe e metto piede sul parquet. Un formicolio mi solletica le piante dei piedi.
Nonna Gina si palesa sull’uscio della cucina, da cui proviene un sensazionale profumo di arrosto. «Bentornata, Marinetta.»
Indossa un grembiule da cucina sporco di verdure tritate, sopra al solito look da motociclista incallita. Mi schiocca un bacio sulla fronte, mi posa le mani sulle spalle e mi scruta con i suoi occhi cerulei. «Cosa ti turba mia cara?»
Apro la bocca, ma nessuna risposta – o scusa – affiora dalla gola. In passato, consideravo nonna Gina una donna amante dell’avventura e poco attenta quando si tratta degli affetti familiari: teoria confermata dal fatto che mi regalò una magliettina per bambini al mio quattordicesimo compleanno.
Invece, da quando abbiamo iniziato la convivenza ha sviluppato delle doti da mastino della polizia. È in grado di capire se una giornata è andata storta solo con un’occhiata.
Mi accarezza la guancia e mi sorride. «D’accordo. Me ne parlerai dopo se lo vorrai.»
Annuisco e abbozzo un sorriso che suona finto persino a me che non lo vedo.
Leon sbuca dal corridoio e zampetta fino alle mie ginocchia, scodinzolando. Mi gira intorno annusandomi e solleva le zampe anteriori posandole sul mio petto.
Mi chino sulle ginocchia e lo abbraccio, affondando il naso nel suo folto pelo nero e profumato.
«Va’ pure in camera, mia cara.» Nonna Gina strizza l’occhio. «Ti chiamo io quando è pronto.»
«Grazie nonna.» Mi sollevo. «Vieni, Leon.»
Chiudo la porta della camera, getto lo zaino a terra e mi tuffo sul letto, sulla coperta con la Tour Eiffel stampata sopra.
Non posso continuare così, a farmi avvelenare questa bellissima esperienza da Letizia. Giorno dopo giorno, peggiora sempre di più e io, da stupida, le vado anche dietro. Oggi le ho permesso di tentare un omicidio nei miei confronti, di insultare le mie doti di pasticciera – che già non sono eccelse, se poi ci si mette anche lei la mia autostima scende sottozero –, di mettere a disagio Sonia, Juan e Richard e di presentare una sua opera al posto mio.
Leon balza sul letto e avvicina il muso al mio naso, fissandomi con i suoi occhioni scuri. Come se comprendesse il mio turbamento. Anzi, di sicuro lo comprende.
Gli accarezzo la testa. «Per fortuna ho te.»
Tikki mi svolazza davanti al viso, le zampette incrociate in petto, l’espressione corrucciata.
Le tocco la punta del naso con l’indice. «E ovviamente te, amica mia.»
Tikki rilassa il volto. «Non capisco perché non sei entrata anche tu dal professor Ursi.»
«Perché so già che avrebbe trovato mille difetti nei miei bozzetti. Specialmente dopo aver ammirato le meraviglie disegnate da Letizia.»
«Questo non puoi saperlo. Né tu, né lei siete professioniste nella moda. Avete entrambe margine di miglioramento e i professori sono lì proprio per aiutarvi.»
«Non volevo fare brutta figura.»
«Ricordati che tu hai meritato almeno quanto lei di frequentare questa scuola. Sei stata ammessa perché in te hanno visto del potenziale.»
Mi sollevo sui gomiti e tiro a me il cuscino a forma di gatto. Vi poggio sopra il mento, godendone la morbidezza. «Sì, ma…»
Tikki sfreccia verso la scrivania, attraversa magicamente il cassetto e lo apre dall’interno.
Sbuca fuori reggendo un foglio piegato. «Se ancora hai dei dubbi, ti consiglio di rileggere la lettera di ammissione: specificano non una, ma ben due volte che sono stati colpiti dal tuo talento, ammirando la bombetta che tu hai disegnato e confezionato. All’epoca non esitasti così tanto quando partecipasti a quel concorso.»
«A Parigi era diverso, Tikki. I miei compagni di scuola non erano bravi quanto lo è Letizia, Sonia o chiunque altro frequenti l’Accademia. Il livello è molto più alto e io…» Batto un indice contro l’altro. «Non mi sento alla loro altezza.»
Leon annusa l’aria, leva una zampa verso Tikki e abbaia.
Dei passi si avvicinano dal corridoio.
Tre colpi battono sulla porta. Tikki si fionda a nascondersi dietro il monitor del computer.
«Marinetta,» cantilena Nonna Gina. «Il tuo pranzo è pronto, bocciolo.»
Inarco la schiena, la spina dorsale manda uno scrocchio. «Arrivo!»
 
***
 
Mi siedo alla scrivania e apro il quaderno dei bozzetti. Il disegno dell’ultima mia creazione mi osserva inquisitorio, come se volesse indicarmi quanti e quali errori ho fatto, bocciando in toto la mia idea.
Afferro la matita dal portapenne e sfioro il foglio con la punta, proprio sotto uno dei tacchi a spillo. Scuoto la testa. Che cosa dovrei migliorare? Perché più passa il tempo, più mi sembra un disegno orripilante?
Tikki ha ragione. Avrei dovuto farlo vedere al professor Ursi, chiedergli su quali punti avrei dovuto soffermarmi, cosa correggere e cosa, invece, andava tenuto.
Dal computer giunge il trillo di una chiamata. Sullo schermo, in basso a destra, compare il quadratino con la foto della mamma accanto all’icona della videocamera.
Sposto il cursore sul quadratino e accetto la chiamata. Si apre una finestra in cui compare il volto di mamma, con alle spalle la libreria del soggiorno. Ha i capelli corvini legati in un codino, gli occhi color platino trasmettono serenità.
«Mamma!»
«Ciao tesoro. Come stai?»
Mi torturo le dita sotto alla scrivania. «Potrebbe andare meglio.» Non me la sento di inventarmi scuse o di mentire, affermando che va tutto bene. L’ho già sperimentato in passato e mi sono sentita peggio.
«Problemi a scuola? Fai ancora ritardi?» chiede mamma, senza riuscire a trattenere una risatina.
«Sotto quel punto di vista, hai di fronte una nuova Marinette. Niente più ritardi, niente più note sul diario.»
«Ne sono contenta.»
«È solo che…» Mi mordo il labbro inferiore. «Pensavo fosse più facile; un conto è disegnare per diletto, un conto è farlo tra persone che condividono la tua stessa passione, persone con cui devi confrontarti e scoprire che la loro abilità è superiore alla tua.»
«Sei abbastanza matura da comprendere che le difficoltà ci saranno sempre, non importa quanto ami o odi fare qualcosa. Man mano che andrai avanti, esse si moltiplicheranno e tu non potrai evitarlo, non potrai fuggire. Ma qualcosa sarà sempre sotto il tuo controllo: il modo in cui le affronti, quante volte sarai in grado di rialzarti dopo essere caduta. È questo quello che fa davvero la differenza.»
Le parole di mamma sono come un balsamo rilassante dopo una giornata disastrosa. Vorrei tanto essere come lei, calma, tranquilla, sempre pacata anche quando tutto rema contro.
La sagoma imponente di papà emerge alle spalle di mamma. Agita la manona. «Ciao, tesoro.»
«Ciao, papà.»
Papà affianca mamma, le loro guance si sfiorano. «Approfitto della chiamata per chiederti un rapido consulto: secondo te, la nonna preferisce il cioccolato al latte o il fondente?»
Batto un dito sul mento. «Credo il fondente.»
«Perfetto! Allora la ganache sarà al fondente.»
«Vuoi spedirle una torta?»
Papà e mamma si scambiano un’occhiata perplessa. Lei rotea gli occhi al cielo e si stringe nelle spalle.
Cambio posizione sulla sedia. «Ho detto qualcosa che non va?»
Papà si allontana dallo schermo e scompare dall’inquadratura. La sua ombra si allontana sul muro.
Mamma sospira e piega le labbra di lato. «L’hai dimenticato, vero?»
Sollevo un sopracciglio. «Dimenticato, cosa?»
Dietro al monitor del computer, Tikki agita le zampette per attirare l’attenzione. Indica il calendario.
Assottiglio le palpebre per mettere a fuoco: il giorno di domenica è cerchiato in rosso, accanto ho disegnato una torta affiancandole la scritta NONNA GINA.
Oh, no…
Il compleanno della nonna è questa domenica!
Mi infilo le dita tra i capelli, con tutta l’intenzione di strapparmeli ad uno ad uno. «Ma dove ho la testa!»
Mamma si copre la bocca, celando una risata. «Spero non ti sia dimenticata anche che io e papà arriveremo sabato.»
Vorrei sotterrarmi. Mancano cinque giorni al compleanno della nonna e non le ho ancora preso un regalo, non ho organizzato nulla, non ho—
«Marinette?»
La voce della mamma mi scuote.
Mi alzo e inizio a camminare intorno a Leon, accucciato proprio al centro della camera sul tappetino in moquette. «Devo assolutamente trovare il regalo giusto. Ho pochissimo tempo per farlo, mi devo mettere subito all’opera.»
«Sono sicura che Gina apprezzerà qualsiasi cosa, perché sarai tu a donargliela.»
«Non esiste!» Taglio l’aria con una mano. «Dev’essere qualcosa di speciale. È il suo…» Arriccio la bocca. «Quanti anni compie?»
Mamma si stringe nelle spalle. «Mistero.»
«Beh, non importa. Le farò un regalo indimenticabile.»
 
***
 
Attraverso la strada e giungo sul lato opposto del naviglio. Gruppi di ragazzi, coppiette e uomini d’affari siedono ai tavolini dei bar, all’aperto. Sullo sfondo, le guglie del Duomo si stagliano contro il cielo crepuscolare.
Sono due ore che vago senza meta e ancora non ho trovato l’idea giusta per il regalo della nonna. Avevo pensato ad un fermaglio da abbinare ai suoi capelli color platino, un braccialetto o degli orecchini da sfoggiare quando sfreccia in moto, ma ho scartato tutto. È una donna d’avventura, non una patita degli accessori.
È una forza della natura; potrebbe dichiarare di avere trent’anni e chiunque le crederebbe ad occhi chiusi. Ci vuole qualcosa di specifico che la riporti in quell’esperienze che ha vissuto e che ancora ha intenzione di vivere.
Svolto l’angolo in fondo alla via, un lungo viale zeppo di negozi si apre di fronte a me.
Accanto al portone di un palazzo, due tizi coperti dai cappucci delle felpe trafficano con delle bombolette spray. Quello chino sulle ginocchia ne agita una, spruzza sul muro una nuvola rossa, disegnando un cerchio con due spuntoni sulla parte superiore.
Accidenti. Sono i Satiri.
Il tipo in piedi si volta a guardarmi, metà volto è coperto da uno scaldacollo grigio, lasciando scoperti solo un paio di occhi sottili e una fronte rugosa.
Incasso la testa nelle spalle e accelero il passo. Non voglio affatto avere a che fare con questa gente. Ai telegiornali si parla ogni giorno degli atti di vandalismo perpetuati in tutta la città dai Satiri dell’Anarchia: graffiti su muri, autobus, vagoni della metropolitana, bottiglie di vetro lanciate contro le volanti della polizia, falò nelle zone periferiche.
La gente non sembra essere preoccupata, ma c’è da stare tranquilli? Da piccoli reati di vandalismo a reati gravi il passo è breve.
Fortuna che a Milano non può arrivare l’influenza nefasta di Papillon e delle sue akuma. Quello sì che sarebbe un guaio difficile da gestire.
Il clacson di auto che sfreccia lungo il viale mi riscuote. Sono giunta ad un cinema. la locandina presenta lo spettacolo del giorno: Le avventure di Ladybug e Chat Noir.
Roteo gli occhi al cielo. È una persecuzione.
Scuoto il capo e proseguo lungo il marciapiede. Quel film romanza un po’ troppo le imprese di Ladybug secondo i miei gusti. L’avrò guardato almeno tre volte e non è mai capitato che non trovassi almeno un difetto nuovo che mi ha fatto storcere il naso. Se non avessi già tanti grilli per la testa, avrei volentieri fatto una visita allo sceneggiatore nei panni di Ladybug per dirgliene quattro.
Ma, in fondo, che importanza ha?
Alla gente piace e chi sono io per discutere i loro gusti?
Mi fermo davanti ad una vetrina di un negozietto. Esposti ci sono vari monili, strumenti musicali e dipinti di origine esoterica.
Potrebbe essere la scelta giusta per il carattere avventuroso della nonna. Spingo la porta vetrata col palmo, il campanello in alto trilla. Un profumo di melograno e oli rilassanti aleggia nell’ambiente, le note di un’arpa risuonano nell’aria. Sembra di essere in un tempio esoterico.
Una donna dai capelli color cenere legati in una crocchia mi accoglie da dietro a un bancone. «Benvenuta.» Stiracchia le labbra rugose in un sorriso e si sistema lo scialle sulle spalle. «Posso esserti d’aiuto?»
Ha un marcato accento del posto. Ho impiegato poco tempo a impararne le sfumature più comuni, ma ogni volta c’è qualcuno che me ne insegna una nuova.
«Posso dare un’occhiata in giro?»
La donna china il capo in un cenno d’assenso senza smettere di sorridere. «Sono qui se hai bisogno.»
Scruto gli scaffali sulla sinistra. In alto campeggiano fialette di spezie di ogni tipo, anche alcune di cui ignoravo l’esistenza. Più in basso, sono esposti dei quadretti raffiguranti paesaggi, costruzioni in pietra simili ai giardini pensili di Babilonia e disegni stilizzati della fauna africana. Su un cavalletto da pittore, giace un arazzo col disegno di una donna con un velo sulla testa che tiene in braccio un neonato e un uomo che le posa una mano sulla spalla.
«È cucito a mano,» dice la donna. «Un lavoro che ha impiegato anni.»
Non ne dubito. Accarezzo la superficie della tela, è ruvida e scanalata. La cura dei dettagli è impressionante: dai piccoli solchi di espressione sul volto della donna, alla pelle perlacea del bimbo, alle pieghe dell’abito dell’uomo, in giacca e pantaloni neri, con una camicia merlettata sotto.
Mi pizzicano le dita dalla voglia di replicare sul mio quaderno un look così particolare, fino a farne una creazione personale da presentare al professor Ursi.
Ma, per ora, la mia creatività dovrà aspettare. Il regalo della nonna ha la priorità.
Mi volto e mi avvicino alla vetrinetta sul lato opposto degli scaffali. Sul ripiano, giace un medaglione a forma di cipolla, dorato; sul fronte è inciso una specie di simbolo, che ricorda la forma di un pavone rovesciato.
Giro il capo verso la donna e pianto l’indice sul vetro. «Potrebbe farmi vedere questo?»
La donna si alza dallo sgabellino puntellando i palmi sul bancone ed estrae dalla tasca un mazzo di chiavi. Afferra quella più piccola, la gira nella serratura e fa scorrere la vetrinetta di lato.
Il campanello alla porta trilla di nuovo, un uomo dal volto simile ad una maschera piatta, largo e schiacciato, fa il suo ingresso nel negozio. Il cappello borsalino fa ombra alle guance smunte e al naso aquilino. Sotto al gilet di lana, porta una camicia azzurra scolorita.
«Questo qui?» Le mani chiazzate di macchie di vecchiaia della donna artigliano il medaglione.
Annuisco e prendo il portamonete dalla pochette. «Sì, esatto.»
La donna torna al bancone, stringendosi lo scialle al collo tra due dita.
Il tizio mi passa accanto, urtandomi, e strappa il medaglione dalle mani della donna. «Lo pago il doppio del suo valore.»
La donna fa una smorfia di disapprovazione e passa lo sguardo dal tizio a me, quindi di nuovo al tizio. «Veramente c’era prima la ragazza.»
L’uomo non si volta neanche. «Non m’interessa. Voglio questo medaglione. È perfetto per farmi perdonare da mia moglie.» Una pausa. «Lo pago il triplo.»
Stringo il pugno intorno al laccio della pochette. Detesto i prepotenti, con le loro ostentazioni di superiorità di potere e di denaro. Se questo tizio si rivelasse essere un parente stretto di Letizia, non ne sarei affatto stupita.
La donna abbassa le spalle, con un’espressione contrita. «D’accordo…»
L’uomo piazza sul bancone tre banconote da cento euro, si intasca il medaglione e si fionda fuori al negozio zoppicando.
«Mi dispiace, ragazza.»
«Non importa.» Non posso dare la colpa a lei. Da buona negoziante ha accettato l’offerta migliore, sebbene fosse palese che non ha apprezzato il comportamento di quel prepotente.
Sarebbe stato inutile tentare di discutere con un elemento simile. Avrei solo perso tempo prezioso e, in fondo, non ne valeva nemmeno la pena: questo posto offre tante altre alternative come regalo per nonna Gina.
Sorrido. «Sceglierò qualcos’altro.»
   
 
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