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Autore: _Frame_    23/09/2022    0 recensioni
- Insomma l’ideale dell’ostrica! - direte voi. - Proprio l’ideale dell’ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi -.
(Giovanni Verga, Fantasticheria)
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«Io sono l’ostrica, Alberto. Sono nato su uno scoglio ed è lì che sarei dovuto rimanere, perché non c’è altro modo per me di sopravvivere. Ho creduto di essere un pesce più grande di quello che sono, mi sono buttato in una corrente che alla fine mi ha rigettato, e ora non so più a quale mondo appartengo. E se un giorno dovessi finire per nuotare così in là da non avere più la forza di tornare indietro, quando avrò bisogno di aiuto? Cosa ne sarà di me? Non potrò sempre contare sul fatto che ci sarete tu e Giulia a venirmi a ripescare.»
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le Cronache di Portorosso'
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Luca riprese conoscenza, emerse dalla nebbia del suo sonno come gli scogli affiorano in superficie dopo il ritirarsi dell’alta marea. Stropicciò gli occhi, venne trafitto da una scossa di dolore acuto alla radice del naso che lo fece gemere e rattrappire. Senza accorgersene, strinse le mani su qualcosa di soffice che lo avvolgeva e che gli solleticava i piedi e il collo. Una coperta.

Luca socchiuse le palpebre, superò il dolore dell’emicrania e, attraverso le ciglia umettate, lo raggiunse una prima sfumatura di caldi colori traballanti. Colori tenui, arancioni e gialli, che si distribuivano su un’alta parete di pietra.

Inspirò. Per primo riconobbe l’odore di salsedine che non era più così prepotente come in fondo al mare. Assieme a quello lo raggiunse un odore diverso ma altrettanto familiare di pareti di pietra umida, di lacca per legno, di vernice, di ferro arrugginito, di petrolio bruciato, e della stoffa in cui era avvolto.

La voce dei suoi pensieri rimbombò come un eco: dove sono?

Era certo di non trovarsi più in mezzo alla tempesta, anche se era capace di sentirla imperversare in lontananza, come dietro un vetro, come quando a Genova lui e Giulia si affacciavano alla finestra della cameretta per rincorrere il gocciolare della pioggia. Era ancora udibile il fischio occasionale del vento, il rovesciarsi del diluvio, e il regolare infrangersi delle onde sugli scogli.

Il mare, realizzò. Anche io ero in mare. C’era la tempesta, e i fulmini, e tutte quelle onde…

Luca sfilò una mano da sotto la coperta. Spalancò le rosee dita da ragazzo umano che vennero irradiate da sfumature tenui, simili a quelle spante da un fuocherello che brucia pacifico e innocuo nella nicchia di un caminetto.

Sono asciutto.

Strinse, riaprì, e rigirò la mano per assicurarsi di non avere qualche squama nascosta.

Sono fuori dall’acqua.

Abbassò il braccio e mise a fuoco l’ambiente racchiuso dalle pareti di pietra. Un tavolo da lavoro sporco di chiazze di vernice e sormontato da cassette degli attrezzi; una bicicletta smontata; barattoli rovesciati; bulloni spanti sul pavimento; cassette dell’ortofrutta riempite da carte ripiegate, manuali e vecchi giornali; un armadio a parete dagli scaffali stracolmi; i muri tappezzati da poster pubblicitari, poster del cinema, e…

Un profondo ed elettrico crampo al cuore lo strappò del tutto alla foschia del sonno.

Il loro poster della Vespa. La Vespa che pareva sfrecciare fuori dalla carta, e la parola “Libertà” che bruciava di luce propria.

La nostra torre? Sono…

Sempre più confuso, Luca sbatacchiò le palpebre doloranti e si strofinò la testa ancora gonfiata dal fruscio delle onde.

Sull’Isola del Mare? Ma come…

I ricordi si schiarirono, sovrapposero nuove immagini. Il cielo grigio del porto, le nuvole che avevano preso a gorgogliare su Genova, le prime gocce di pioggia che gli avevano punto la pelle, le rauche grida di spavento dei marinai e degli operai, la fuga verso il mare, il tuffo in quell’acqua sporca e oleosa, il nuoto affaticato dalle onde ingrossate che lo avevano respinto trascinandolo verso il fondo. Una chiazza buia si era dilatata nella sua testa, aveva spento ogni suono e cancellato ogni pensiero, chiudendogli gli occhi e rallentandogli il respiro. Allora era annegato.

Ma come sono arrivato fino a qui?

Batté le palpebre e fu abbagliato da un lampo di colore blu, anch’esso emerso dal vortice di ricordi. Quella luce plasmò il muso di Alberto. I suoi occhi verdi splendevano nell’oscurità del mare, le sue braccia si allungavano verso il corpo fluttuante di Luca, le sue zampe gli avvolgevano le guance, le loro fronti si toccavano, e quel contatto congelava un attimo sospeso in cui esistevano solo loro due.

Alberto.

Ma quel nome suonava ancora così flebile e distante.

È stato lui a portarmi in salvo.

E poi c’era stata la risalita in superficie, i salti fra le onde, i brucianti schiaffi d’acqua, e la nuotata in direzione della torre illuminata dai lampi del temporale.

Allora ci siamo riusciti. Abbiamo sul serio raggiunto l’isola.

Luca si strofinò il naso ghiacciato, rimboccò la coperta e rabbrividì, sentendosi pericolosamente solo e vulnerabile, privo della possibilità di stringere le braccia attorno alle spalle di Alberto e di farsi così sostenere nel flusso della corrente avversa.

Ma Alberto è…

«Bentornato fra noi, piccolo fuggiasco.»

Luca sussultò, «Ah!», si girò verso l’angolino della torre da dove la voce lo aveva chiamato, e sollevò la mano, rimanendo abbagliato dalla luce più intensa della lanterna che brillava sul davanzale della finestra aperta.

Alberto sedeva sul cornicione. Una gamba a penzoloni e l’altra raccolta contro il petto, il piede nudo a sfiorare il pavimento, e la schiena poggiata sulla pietra. Il riverbero rossiccio della fiaccola avvolgeva il suo profilo, donandogli un’aureola calda e opaca che lo faceva somigliare a una figura scivolata fuori dalla bruma di un sogno. Dietro di lui, a riempire il ritaglio della finestra, una tenda di pioggia argentea cadeva incessante, rovesciandosi in un mare nero come il cielo notturno. All’orizzonte, simili a tante lanterne distribuite sulla costa, le luci di Portorosso brillavano come stelle cadute dalle nubi.

Alberto sollevò il mento dal palmo e sorrise a Luca. Tuttavia fu un sorriso esitante, come se stesse celando l’ombra di una paura che non era ancora passata. «Ti sei fatto una bella dormita, sì?»

Luca sbatté più volte le palpebre senza riuscire a muovere la bocca torta in un muto gemito di stupore. Le guance formicolanti e il cuore gonfio. Ancora non poteva credere che Alberto fosse lì davanti a lui. Alberto! Quello stesso pomeriggio si trovavano a chilometri di distanza, e invece ora… «Io ho…» Strinse le mani sulla coperta in cui era avvolto. Una coperta color arancio, di morbida lana cotta. Una delle coperte che Alberto conservava nella torre. Era stato lui a mettergliela attorno? «Io ho dormito? Ma come…» Un’altra botta di emicrania gli martellò la nuca e gli strappò le parole dalla bocca. Luca si strofinò la testa, e scoprì che era anche il braccio a fargli male. E le spalle, e la schiena, e le ginocchia, e i polpacci, e le piante dei piedi. «Da quanto tempo siamo qui?» gemette. «Come ci siamo arrivati?»

«A nuoto.»

«A nuoto?» Di nuovo Luca ripercorse i ricordi. L’impatto con l’acqua del porto. Acqua acidula, sporca e stagnante, odorante di nafta, e la fuga verso le correnti fredde che lo avevano sospinto verso il mare aperto, di un blu pesto, dove emergendo poteva odorare il diluvio tiepido e ferroso. «È vero, io sono scappato da Genova.» Lo disse con una naturalezza spiazzante, come se quel fatto non lo riguardasse. «È scoppiato a piovere mentre io mi trovavo al porto, tutti quegli uomini mi hanno visto, hanno cominciato a urlare. Io mi sono spaventato e allora…» Rivisse il momento, lo stesso colpo al cuore e la stessa agghiacciante sensazione di trovarsi in trappola, schiacciato dagli sguardi degli uomini, dai loro volti truci, dai loro occhi iniettati di odio e di terrore. Rabbrividì, e assieme a quel brivido sorse anche un altro ricordo. La sua pelle annaffiata dalla pioggia, le squame sbocciate sul muso raggrinzito, il ringhio che gli era tremato fra le zanne, il cemento sbriciolato fra gli artigli, la vista iniettata di sangue, e la rabbia che, ribollendo dallo stomaco, gli aveva rizzato le pinne sulla schiena.

Luca si tappò la bocca e sbiancò, travolto da una fredda vampata di rimorso. Cos’ho combinato? Se solo avesse potuto tornare indietro. Dio, se solo ci fosse stato un modo per tornare indietro e per cancellare ogni secondo di quella giornata catastrofica…

Alberto fece scivolare le gambe giù dal cornicione, restando però seduto. Entrambi i piedi nudi a toccare il pavimento, lo sguardo rivolto a Luca, e la luce della lanterna a tingergli la pelle di bronzo e ad allungare la sua ombra sulla parete di pietra. Mostrò uno sguardo dolce e apprensivo. Il riflesso della fiaccola traballava nella limpidezza dei suoi occhi. «Come ti senti?»

Luca credette di non aver mai ricevuto una domanda più difficile in vita sua, nemmeno durante un’interrogazione di Latino. Come mi sento? Confuso, stordito, sconvolto. Un lungo sospiro gli appesantì il petto dolorante. E incredibilmente deluso da me stesso. Optò per la risposta più semplice e immediata. «Mi fa male tutto.» Tornò a massaggiarsi braccia e gambe sotto la coperta. Ogni strofinio gli costava una smorfia e una fatica immane, come spostarsi in un ambiente fatto di spilli. I muscoli ridotti in poltiglia, il petto in fiamme, le ossa sbriciolate, e una forte pressione a martellarlo in fondo alla schiena, in corrispondenza dell’attaccatura della coda.

«Per forza che ti fa male tutto» sogghignò Alberto, riacquistando una scintilla di buon umore. «Hai nuotato nel bel mezzo della tempesta del secolo. Persino uno squalo si sarebbe spaccato le ossa nell’attraversare onde simili.»

«Ma adesso è passata?» Luca tornò a spostare lo sguardo fuori dalla finestra. Vide solo la pioggia fittissima che gli impediva di allungare lo sguardo verso la costa e di mettere a fuoco le luci più distanti. Tese l’orecchio. Lo scroscio allungato del diluvio e quello più breve e ritmico delle onde che si infrangevano sulla spiaggia. «Non sento più tanto vento.»

Alberto annuì. «Il vento si è acquietato, ma sta comunque continuando a piovere e il mare è ancora mosso.» Restando seduto, si girò di schiena, incrociò le gambe sul cornicione della finestra, e tese la mano davanti alla fronte come la vedetta di un galeone che scruta la rotta dalla cima dell’albero maestro. «Noi siamo in salvo, ma la tempesta durerà fino a domattina, garantito. È meglio che restiamo qui, almeno fino a che non torna fuori il sole e il mare non si è dato una calmata.» Sbirciò Luca da sopra la spalla. «E tu di certo non puoi nuotare fino a Portorosso in quelle condizioni.» Avvitò la chiavetta della lanterna per alzare la fiaccola e fare più luce. «Hai bisogno di riposare.»

Luca stette quasi per dargli retta, ma gli fu impossibile ignorare il gesto che Alberto aveva appena compiuto, quello di alimentare la fiammella della lampada. Quella fuoco accese una luce nuova anche dentro di lui. Quell’immagine era tutto ciò che aveva sempre sognato, era la salvezza in cui aveva sperato anche quando si era sentito in procinto di annegare. Era il compiersi di un destino. «Perché hai acceso la lanterna?»

Alberto la indicò con il mento. «Faccio segnale a Massimo.» Picchiettò l’indice sul vetro. «Così in paese sanno che ti ho trovato e che stai bene, e potranno anche interrompere le ricerche.»

«Ricerche?» Luca scrollò il capo. «Qua… quali ricerche?» Sgranò gli occhi, afflitto da un dubbio. «Mi stavate cercando?»

Alberto tornò con un ginocchio contro il petto e la mano sotto il mento. «Come credi che io sia stato in grado di trovarti?»

«Ma come facevate a sapere che mi trovavo in mare?» insistette Luca. «Sono scappato da Genova così all’improvviso, senza dire niente a nessuno. Cioè…» Si morsicò il labbro e si coprì la bocca con il dorso della mano, desiderando mangiarsi la lingua. Solo ora, pronunciandola, rendendola reale e tangibile, si rese conto di quanto suonasse male quella sentenza e di quanto riprovevole fosse stata la sua fuga. «Uhm, io…» Gettò lo sguardo in disparte e si grattò la nuca. «Volevo dire…» Tirò su un lembo di coperta e si rannicchiò sotto la stoffa, schiacciato dalla vergogna e incapace di sostenere lo sguardo di Alberto.

Alberto sollevò le sopracciglia in uno sguardo sufficientemente eloquente. Non infierì oltre. Sapeva che non ce n’era bisogno. «Giulia ci ha avvisati per telefono nel pomeriggio» gli disse, «subito dopo essersi accorta che non eri né a casa né a scuola. Non so bene come, ma ha capito immediatamente che tu eri scappato in mare, e così anche noi ci siamo dati da fare per cercarti.»

Luca emerse da sotto il cappuccio di coperta. «Voi?»

«Noi di Portorosso, già.»

«Tutta Portorosso? Tutto il paese…» Luca fece scivolare la coperta dalle spalle e strabuzzò gli occhi. «A cercare me?»

Alberto tornò a mettersi a gambe incrociate, fece dondolare le ginocchia e sollevò un mezzo sorriso di compiacimento. «Sei sorpreso? Secondo te non saremmo dovuti rimanere sconvolti dopo aver saputo della tua scomparsa?» Sollevò un cenno del capo per indicare alle sue spalle, verso gli opachi grappoli di luce che tremolavano fra le insenature della costa. I suoi occhi rabbuiarono. «Secondo te io sarei dovuto rimanere con le mani in mano, magari sorseggiando un caffè e distraendomi con qualche partita a carte, aspettando che fossi tu a rifarti vivo da solo?»

«Non pensavo che lo avreste saputo anche qui» confessò Luca. «L’ultima cosa che volevo era causarvi delle preoccupazioni.»

«Allora come prima cosa non saresti mai dovuto scappare.» Alberto sfoderò uno sguardo più duro. «Ci hai spaventati a morte, Luca.»

Luca abbassò d’istinto gli occhi, come quando veniva rimproverato dai suoi genitori. «Scusami. Non…» Un respiro timido e tremolante. «Non l’ho fatto apposta. È solo che per una volta…» Tornò a stringersi sotto la coperta. Un gesto di protezione spontanea. «È solo che per una volta non ho badato alle conseguenze delle mie azioni. Non ho pensato a quello che sarebbe potuto succedere se fossi fuggito. Non ho proprio pensato a niente. Sono…» Sospirò di nuovo. «Sono scappato e basta.» E non riusciva ancora a pentirsene.

«Be’» ridacchiò Alberto, «per una volta hai avuto la meglio su Bruno e anche su di me. Così però non vale, Luca, mi hai battuto sul tempo.» Strizzò l’occhiolino. «Non ero io quello che doveva farsi la strada a nuoto da Portorosso a Genova, e non il contrario?»

Luca scosse la testa, per una volta determinato a non farsi contagiare dalla giovialità di Alberto. «Non c’è niente da ridere» sbottò. «Hai ragione: sono stato un incosciente e uno sconsiderato. Non avrei mai dovuto fare una cosa simile.» La nausea dei sensi di colpa rimontò lo stomaco. «Non sarei mai dovuto scappare.»

«Questo è poco ma sicuro. Allora…» Alberto spinse il pugno sulla guancia, reclinò il capo e corrugò un sopracciglio, di nuovo serio. «Mi spieghi che t’è preso?»

Luca si pizzicò il labbro fra i denti e schivò lo sguardo inquisitorio di Alberto. «Niente» si affrettò a rispondere. «Non mi è preso niente. È stato solo…» Era stanco, le parole gli si impastavano sulla lingua, ed evocare quei pensieri non faceva altro che gravare il peso che gli tremava sulle spalle doloranti. Il conflitto che lo aveva spinto alla fuga infatti era ancora lì che lo tormentava e che gli brontolava sopra la testa come il temporale che lo aveva quasi inghiottito, ecco perché Luca non riusciva ancora a pentirsi di quella fuga. Sapeva che la paura che lo aveva spinto a scappare non era ancora estinta. «Senti, lasciamo stare, d’accordo?» disse. «Ormai non è più importante.»

«Ma a me sì che importa» insistette Alberto. «E tanto, anche.»

«Ti ho detto che adesso non ne voglio parlare.»

«E quando avrai intenzione di farlo?»

«Non lo so.» Luca stropicciò la coperta fra le dita. «Domani?» Arricciò le spalle. «Uh, forse? Anche se…» Contraendo i muscoli della schiena, gli piombò addosso tutto il peso della fatica appena passata. D’improvviso, si sentì esausto e svuotato. E l’ultima cosa che desiderava era rivivere quei momenti terribili. «Ti prego, Alberto.» Esalò un lungo sospiro di sconforto. «Non ne parliamo e basta.» Raccolse le pieghe della coperta, se le sprimacciò attorno alle gambe rannicchiate. «Fammi solo dormire, così domani me ne ritorno a Portorosso, e poi a Genova, e allora potremo tutti dimenticarci di questa storia assurda.»

«Dimenticarcene fino a quando?» Il tono di Alberto si ammorbidì, senza però riuscire a rasserenarsi. «Solo fino a quando tu non troverai un’altra occasione per renderti partecipe di una follia simile?» Spalancò un braccio fuori dalla finestra. «Fino a quando non troverai una seconda occasione per covare una fuga come questa?»

«Ti ho già detto che non lo rifarò mai più.»

«E allora spiegami perché lo hai fatto adesso. Dammi un motivo per crederti.» Scivolò giù dal cornicione. «Uno solo.» Compì un passo, seguito dall’allungarsi della sua ombra rossiccia. «Dammi anche solo un motivo per fidarmi di te e per lasciarti tornare a Genova senza farmi credere che un giorno ti ritroverò alla deriva come oggi.»

Luca schiuse le labbra e si sforzò di snocciolare una risposta, una qualsiasi giustificazione. Paura e vergogna gli frenarono le parole sulla lingua. «Io non…» Si prese la faccia fra le mani e scosse la testa. «Io non credo di avercelo.» Respirò pesantemente e tornò a farsi piccolo, incapace di sollevare lo sguardo da terra. «Non credo di avere alcun motivo di credere che una cosa del genere non tornerà a succedere.»

L’espressione di Alberto si rattristò, come se si fosse sempre aspettato quel genere di risposta. «E questo dovrebbe tranquillizzarmi, secondo te?» Dalle sue parole non trasparì nessun tono accusatorio. Non sembrava arrabbiato, solo tremendamente preoccupato. «C’entra forse qualcosa la scuola?»

«N…» Luca si strofinò il naso e tornò a scuotere il capo. «No.»

«C’entra qualcosa quello che…» Alberto strinse i pugni, sopprimendo una fitta di amarezza. «Che hai detto a Giulia?» Non poté fare a meno di bruciare di gelosia, sapendo che Luca si fosse confidato con Giulia anziché con lui.

Luca compì uno scatto col capo. «A Giulia?» squittì. «Ma come…» Sgranò gli occhi che finalmente si erano scollati dal pavimento. «Tu come fai a sapere che…» Esitò con un sussulto. «Voglio dire…» Scosse il capo e si riprese, perché ormai era trascorso il tempo dei segreti. Ritrovando una spinta di coraggio, si levò le coperte di dosso, raddrizzò le gambe ignorando lo scricchiolio delle ginocchia e le fitte ai muscoli, e si alzò in piedi. Anche la sua ombra si allargò sulla parete, rendendo l’ambiente più buio, i suoi occhi più tetri. «Cosa ti ha detto Giulia?»

Alberto sbuffò. «Non quanto avrei voluto.» Rimase impassibile, per nulla intimidito dall’improvviso scatto di Luca. «Ma mi ha detto che il tuo umore è decisamente peggiorato dopo Natale, e anche che hai quasi del tutto smesso di parlarle, mentre almeno prima eri in grado di confidarti se c’era qualcosa che non andava.»

Luca si grattò le braccia infreddolite e si affrettò a rispondergli senza però riuscire a guardarlo negli occhi. «Ma non c’è niente che non va.»

«E tutte quelle fisime sul fatto di essere un pesce in mezzo agli umani?» lo rimbeccò Alberto. «Sul fatto di non sentirti più parte del mondo in superficie? Tutte quelle paranoie che anche l’estate scorsa ti hanno spinto a tenerti lontano dal mare e dall’acqua?» Lontano da me, ecco cosa avrebbe voluto dirgli. Tutte quelle paure che ti hanno spinto a tenerti lontano da me. «Perché non me l’hai detto, Luca? A Natale…» Compì un altro piccolo passo che fece scricchiolare il pavimento sotto i suoi piedi. «Tutti quei giorni trascorsi assieme…» E quello gli apparve davvero come un altro tempo. Una bolla di ricordi custoditi sotto una campana di vetro cristallizzata dalla neve, appannata dal dolce profumo di mandorle caramellate, colorata dalle luminarie e illuminata dalle risate di loro tre assieme. «Avevi mille occasioni per confidarti.»

Azzannato da un freddo e nauseabondo crampo di sensi di colpa, Luca fece fatica persino a sbirciare in direzione di Alberto, a decifrare la sua espressione. «Sei arrabbiato?»

«No» rispose Alberto. «Deluso però sì. Perché non mi hai detto niente, Luca? Potevamo parlarne. Potevo aiutarti.»

Luca scosse la testa e guardò alle sue spalle. «Non mi avresti capito.»

«Io?» sbuffò Alberto, e ora tutta quella delusione gli si specchiò in faccia. «Secondo te io non sarei stato in grado di capirti?»

«No» confessò Luca, «perché tu non hai mai avuto i miei stessi problemi. Tu una casa l’hai trovata, sai già a quale mondo appartieni.» Gli si annacquò la vista, gli pizzicarono le palpebre, e il cuore si strinse, come strozzato da un nodo. «Non hai più nessun bisogno di continuare a sforzarti per adeguarti al mondo degli umani.»

Alberto corrugò la fronte. «E secondo te per me è stato facile adeguarmi?» sbottò. «Guadagnarmi questa casa? Guadagnarmi questa sicurezza?»

«Guadagnarti?» Luca strusciò un pugno sugli occhi, e il suo sguardo arrossato cadde sul braccio destro di Alberto, sul suo tatuaggio. Fissò il disegno, l’intreccio di significati che si celava dietro quei simboli – l’arpione, lo scorpione alla base e la rete sbrindellata dalla punta –, e ritrovò una spinta di audacia. «Tu non sei come me, Alberto.» Lo disse pianissimo, quasi fra sé e sé. «Per te è stato fin troppo facile rinunciare alla parte di te che viene dal mare.»

Alberto trasalì, tirò indietro il capo e sgranò le palpebre, schiaffeggiato dalla crudeltà di quelle parole e rimpicciolendosi sotto le sfumature rossastre della lanterna. Le labbra gli tremarono, mute e paralizzate. Raccolto un respiro e riguadagnato fiato, serrò i pugni e tornò a infiammarsi, a provare il bruciante desiderio di esplodergli addosso. Ma pazientò. Concesse a Luca il beneficio di spiegarsi, l’occasione di rimangiarsi quello che aveva appena detto. «Ma cosa stai dicendo?»

«Sto dicendo che io e te non siamo uguali.» Luca gli scagliò addosso quell’estraneo sguardo di accusa. «Non fingere di capire quello che sto provando, perché non è vero. Tu non ti sei lasciato niente alle spalle, non hai rinunciato a nulla quando sei venuto a vivere in superficie, perché non hai mai avuto niente da perdere.»

Questa non gliela perdonò. «Luca…» La penombra si addensò attorno ad Alberto, il calore della lanterna gli bruciò sulla pelle e sembrò trasformarlo. Gli occhi di un verde acceso, feroce e fiammeggiante. La fronte aggrottata, i denti digrignati, i pugni tremanti incollati ai fianchi, e le unghie conficcate nella carne. Non sarebbe stato in grado di simulare una faccia così sconvolta e imbufalita nemmeno se Luca gli avesse mollato un pugno sul naso. «Guarda, Luca, bada a come muovi la bocca o qui finisce male, ti avviso.»

Ma Luca non si spaventò affatto. Non aveva paura di Alberto, né del suo lato umano né del suo lato da pesce. «E secondo te non ho ragione?» gli rispose. «Tu non hai avuto nessuna difficoltà a rinunciare a quello che eri pur di rifarti una vita in mezzo agli umani.»

«Io non ho rinunciato proprio a un bel niente, razza di imbecille.» Alberto si picchiò una mano sul petto. «Io non ho mai rinunciato alla parte di me che viene dal mare. Non mi faccio prendere dal panico ogni volta in cui tocco l’acqua o che mi affaccio al mare. È di questo che si è trattato, secondo te?» Si accostò di un passo a Luca, ingigantendosi. Un’ombra scura gli calò sul volto. «Credi davvero che io abbia rinunciato a quella parte di me solo perché adesso vivo fra gli umani?» Slanciò il braccio tatuato a indicare una parete della torre. «Solo perché mi sono disfatto del nome di un bastardo che mi ha scaricato quando ero piccolo, quando non avevo niente e nessuno su cui contare?» I suoi occhi luccicarono, trattennero roventi lacrime di rabbia e risentimento. «Solo perché se non avessi imparato a cavarmela da solo ora non sarei nemmeno qui a raccontarlo?»

«Per te è sempre stato facile.» Sembrava che Luca non stesse nemmeno a sentirlo. «Perché non hai mai avuto nessuna consapevolezza dei rischi che correvi. E se ora puoi vivere fuori dall’acqua senza pericoli, in mezzo agli umani, è solo perché sei stato pescato da Massimo.»

«No, Luca.» Il tono di Alberto fu fermo e glaciale. «Nessuno mi ha pescato. Io sono uscito dall’acqua da solo, perché non ho avuto scelta. Tu sei quello che sei stato pescato da me, altrimenti non avresti mai avuto nemmeno il coraggio di mettere il naso fuori dal mare.» Socchiuse le palpebre. «Non te lo dimenticare.»

«Be’» farfugliò Luca, trafitto da quello sguardo, «e io non ti ho…» Superato l’attimo di incertezza, Luca strizzò i pugni e ingrossò la voce. «E io non ti ho mai chiesto di farlo, se proprio la metti così. Perciò non provare a farlo passare come un gesto altruista.»

«Cosa…»

«Tu non l’hai fatto per me, Alberto.» Gli occhi di Luca bruciavano attraverso l’oscurità della torre, riflettevano anch’essi la calda luce traballante della lanterna. «L’hai fatto solo per te stesso, solo per disfarti della tua solitudine. Anche tu saresti rimasto per sempre qui sull’isola, se non ci fossi stato io a correrti dietro.»

Sui due ragazzi precipitò un silenzio spettrale. I sibili del vento penetrarono gli spifferi delle pareti, la fiamma della lanterna si rimpicciolì, e le ombre si allungarono. Un gorgoglio delle nuvole gettò una violenta zaffata di pioggia contro il fianco della torre. Le assi del tetto tremolarono e le onde ingrossate schiaffeggiarono la spiaggia, venendo poi di nuovo risucchiate in mare.

Ci fu un fruscio, un acquietarsi del cielo notturno foderato di nubi, e anche il lumino della lanterna si rinvigorì.

Di nuovo in luce, gli occhi di Alberto vacillarono, ancora un po’ annacquati dal principio di pianto che lo aveva quasi tradito poco prima, durante la sfuriata. L’oscurità gli scivolò di dosso, le grinze della fronte si distesero, e il suo sguardo scivolò sul pavimento, sconfitto e frustrato come quello di un guerriero costretto a deporre la spada e a inginocchiarsi sul suolo di guerra. «Bene.» Abbassò le palpebre e raccolse un lungo respiro dal naso, arricciando una smorfia di disgusto. «D’accordo, allora. Se è così che finisce fra noi, allora la facciamo finire qui e tanti saluti.» Si girò, dando la schiena a Luca, si spolverò una spallina e si mise a braccia conserte. «Non rivolgermi mai più la parola.»

Luca mozzò un gemito fra i denti, reprimendo un gelido conato di nausea che precipitò con un tonfo in fondo allo stomaco.

Vedendo Alberto voltargli le spalle, allontanarsi, chiudersi nella sua solitudine sguainando la promessa di tranciare per sempre il loro legame, Luca si rese conto di quanto orrore gli provocasse la prospettiva di una vita senza di lui. Si rese conto che parlargli in quel modo fosse stato uno degli errori più madornali della sua vita, peggio che scappare a nuoto da Genova.

«No, aspe…» Luca sollevò una mano e compì un passetto, nella speranza di raggiungerlo. «Alberto…» Ma non ci fu verso di destarlo. «D’accordo, d’accordo» insistette Luca, sdrucciolando su quell’appiglio. «Mi dispiace, non intendevo dire così. Non te la prendere.» Avrebbe tanto desiderato rimangiarsi quello che aveva appena detto, ma già anni addietro aveva imparato che certe parole non possono essere cancellate. «Ascolta, mi dispiace, va bene? Mi dispiace, non volevo accusarti in quel modo. Non è con te che ce l’ho.»

«Ah, no?» Alberto voltò lo sguardo da sopra la spalla. Mostrò una faccia nera e adirata, le zanne serrate e le unghie conficcate nelle braccia conserte. «Ma adesso io ce l’ho con te

Luca arretrò di un sobbalzo, scottato da quell’accusa. «Ehi» esclamò. «Ora non farmi passare come il cattivo della situazione.»

«Ah, chiaro» ribatté Alberto. «Perché sono io il cattivo in tutta questa situazione, ovvio. Perciò scusami tanto, Luca.» Si posò una mano sul petto e tirò su il mento, sarcastico. «Scusami tanto se ti ho tirato fuori dall’acqua, e scusami tanto se ti ho offerto un’alternativa alla grandiosa vita che facevi prima.»

Luca avvampò – il viso in fiamme, gli occhi ardenti, e un rauco ringhio gutturale serrato fra i molari. «Ma tu che ne sai?» strillò, sull’orlo delle lacrime. «Che ne sai di com’ero prima di incontrare te? Non hai mai saputo niente di niente della mia vita.»

«Non fare finta di non capire di cosa sto parlando.» Alberto gli puntò il dito contro. «Ti sei sempre e solo lamentato della vita che facevi prima di conoscere la terraferma.»

«Pe-perché…» Luca gettò lo sguardo ai suoi piedi. «Perché la davo per scontata.» E il ricordo dei giorni sereni e felici della sua infanzia trascorsa sott’acqua lo avvolse in un freddo e inaspettato abbraccio di nostalgia. «Se io fossi rimasto a vivere in mare almeno mi sarei risparmiato tutto questo. Invece guardami: ora non so più chi sono, non so più in cosa sto sperando, non so più dove sto andando e non so più che cosa fare della mia vita. L’unica cosa che sono in grado di fare è dare infinite preoccupazioni ai miei genitori, a Giulia, e…» Ed tutta colpa di Alberto. Quel pensiero gli pulsò nelle tempie. Un bollente e doloroso fiotto di rabbia. «E tutto questo non sarebbe mai successo se tu mi avessi lasciato dov’ero!»

«Lasciato dove, di preciso?» sbuffò Alberto. «Lasciato a una vita che ti avrebbe comunque spinto a chiederti per sempre come sarebbe stato decidere di prendere coraggio e di salire in superficie?»

«Forse…» Luca si strofinò un pugno sugli occhi accecati dall’ira. Ancora niente lacrime. «Forse mi sarei sempre chiesto come sarebbe stato vivere in superficie, è vero, ma almeno non avrei sofferto tanto.» La sua voce mutò in un flebile mormorio pregno di sensi di colpa. «E soprattutto non avrei fatto soffrire anche…»

«E invece sì.» Alberto non stette nemmeno a sentirlo. «Tutto questo patire e rimpiangere ti sarebbe comunque arrivato addosso. E lo sai perché, Luca?» Compì un altro passo. La luce della lanterna gli bruciò attorno come un fuoco e accentuò l’oscurità che gli segnava il volto. «Perché uno come te i problemi se li crea da solo, a prescindere.»

«S…» Luca si strinse le mani al cuore, rintanandosi. «Stai zitto.» Quell’accusa gli crollò addosso come una sassata. Non si sarebbe mai aspettato una tale crudeltà da parte di Alberto.

Ma Alberto inveì. Scovato il solco nelle difese di Luca, vi si tuffò a capofitto, come aveva fatto quando si era trattato di domare le onde della tempesta. «Dentro o fuori dall’acqua…» Scosse il capo. «Non sarebbe cambiato proprio niente.»

Luca si girò e si strinse nelle spalle. «Stai zitto.» Si afferrò il polso tremante per trattenersi dal gettarsi su Alberto e dallo stampargli un cazzotto sui denti. «Zitto.» Un primo velo di lacrime risalì la vista e lo accecò.

«Quelli come te non cambiano!» Le accuse di Alberto continuavano a cadere e a ferirlo, fredde e pungenti come grandine. «Saresti lo stesso rimasto un codardo fin troppo preso dalle sue paure per trovare il coraggio di cambiare qualcosa.»

Il cuore di Luca si frantumò ed emise un eco sordo che gli ghiacciò il petto. Ormai spezzato, incapace di trattenere tutto quel dolore, Luca rovesciò il capo all’indietro, e la sua voce si lacerò in un lamento straziante. «Lo so.» Singhiozzò senza controllo. Lasciò che le lacrime sgorgassero abbondanti, che sbrodolassero lungo il profilo delle guance e che gocciolassero dal mento, frammentandosi fra le ciglia come scaglie di acquamarina.

Alberto esitò, spiazzato e senza più fiato da gettare. Sperava che Luca si arrabbiasse, sperava di scuoterlo e di vederlo reagire, ma non voleva che accettasse così facilmente tutte quelle accuse. E di certo non era sua intenzione farlo piangere.

Rintanato nel suo angolino di ombre e dolori, Luca avvolse un braccio attorno agli occhi e continuò a lacrimare e a singhiozzare. I suoi gemiti riempirono il silenzio della torre. Le sue lacrime si accavallarono come onde e si sciolsero sul viso squamato, creando quell’effetto tragico e allo stesso tempo meraviglioso.

Le sbavature della pelle verde-acqua riflessero la luce della lanterna che stava continuando a brillare indisturbata sul davanzale della finestra. Luca aprì entrambe le mani sulla faccia, tirò su col naso, passò ripetutamente i pugni sotto le palpebre traboccanti, ma le lacrime non si fermarono e non si asciugarono. Mutarono anche gli occhi. La dolce e calda sfumatura nocciola delle iridi si accese di rosso, la pupilla si allungò dilatandosi nel giallo che aveva sostituito il bianco. «Lo so che sono un codardo.» Pur singhiozzando fra un respiro e l’altro, la voce di Luca suonò incredibilmente forte e ferma. «E lo so che non…» Si diede un’altra stropicciata alle palpebre annacquate. «Che non ce l’avrei mai fatta senza di te. Per questo so che non potrò mai cavarmela da solo se io e te dovessimo…» Un ennesimo singhiozzo ricacciò indietro le sue parole. «Se saremo distanti e se non dovessimo mai più…» Si sentì di nuovo sprofondare nel buio ripensando alle accuse di Alberto, al modo in cui gli aveva dato le spalle minacciandolo di non rivolgergli mai più la parola. «Mai più…» Luca tornò a coprirsi la faccia ricominciando a versare lacrime e singhiozzi sulla prospettiva di quell’incubo.

Una vita senza Alberto era un’immagine fin troppo spaventosa da affrontare. Forse era proprio quella la paura da cui Luca era scappato. Forse era per quello che il suo cuore lo aveva spinto a fuggire da Genova e dai cambiamenti che sarebbero giunti con il termine della scuola. Non si era trattata di una fuga verso Portorosso. Era sempre stata una fuga verso Alberto.

Ma Luca di certo non avrebbe mai potuto confessargli quella verità. Di certo non avrebbe potuto confessargli che, quando si era ritrovato in procinto di annegare, il suo ultimo pensiero era volato verso il ricordo di Alberto, invocandolo come una preghiera. Quante cose Luca non avrebbe mai trovato il coraggio di dire e confessare! La vita pretendeva davvero troppo da un pesciolino fragile e pauroso come lui.

Avrei dovuto saperlo, pensò Luca con rammarico. Avrei dovuto immaginare che non sarei mai stato all’altezza della vita che mi sono scelto.

La tempesta, dal mare, aveva finito per soffiare e scaricarsi all’interno della loro cara torre. A gocciolare sul pavimento non era più la pioggia sbilenca, ma le lacrime di Luca; a scuotere le pareti non erano più i brontolii dei tuoni, ma i suoi singhiozzi inconsolabili.

Nemmeno Alberto sapeva cosa fare per uscire da quella burrasca. Un formicolio di disagio gli chiuse lo stomaco, e il cuore gli si strinse di paura davanti all’immagine di Luca che piangeva così disperato, senza freni. Luca stava piangendo per qualcosa che lui gli aveva detto. Alberto lo aveva fatto piangere di dolore anziché rassicurarlo e proteggerlo dalle sue paure, come si era sempre promesso di fare.

Com’è possibile che siamo arrivati a questo? A causarci tanto male reciproco? «Luca…» Roso dal rimorso, Alberto si approcciò a Luca con cautela. «Mi… mi dispiace, non volevo dirti quelle cose.» Scosse il capo. «Non avrei dovuto. Ascolta, prima ero solo arrabbiato, ma adesso non lo sono più.» Tese una mano e riuscì a raggiungerlo, a sfiorargli il viso, desiderando solamente asciugare tutte quelle lacrime. «Non piangere, su.» Le lacrime di Luca scottavano. Toccandogli la guancia, anche Alberto si bagnò, e le punte delle sue dita si spolverarono di squame blu e viola. «Si sistemerà tutto, te lo prometto.»

Luca fece scivolare un pugno dalla guancia squamata, socchiuse gli occhi che ora, al pensiero di avere Alberto di nuovo così vicino, luccicavano di speranza. Forse non era ancora tutto perduto?

Luca prese fiato fra le labbra umide e tremolanti, libero di respirare a pieno petto. Reclinò leggermente il capo, sciolse la tensione delle spalle lasciando che la mano di Alberto si distendesse sulla sua guancia, gli sfiorò il palmo con la punta del naso, e fece scivolare lo sguardo sulle dita bagnate dalle sue stesse lacrime. Solo in quel momento si accorse di come anche la mano di Alberto fosse mutata, di come le squame bagnate stessero luccicando per aver raccolto il peso del suo pianto.

Gli venne un colpo.

Quel contatto, quella trasformazione, rappresentò per Luca il culmine della loro natura, quel lato del legame con Alberto che non avrebbe mai cessato di esistere e che in quel momento gli faceva tanta paura.

Sei un pesce, Luca, gli suggeriva la vista delle squame, e tale rimarrai, anche se ti sforzerai di apparire umano. Ecco cosa significava quella vicinanza con Alberto che, invece di confortarlo, lo angosciava.

Attanagliato da quei pensieri, Luca si strappò la mano di Alberto dalla guancia e gemette, come se ne fosse rimasto ferito. Arretrando, inciampò sul grumo della coperta rimasta sul pavimento, urtò lo spigolo del tavolo da lavoro, rimbalzò per non cadere, e si rintanò nell’ombra. «Spiegami una cosa.» Riguadagnata un po’ di rabbia, Luca si strusciò il fianco della mano sulla guancia, sbavando le squame sullo zigomo, e riassorbì il flusso delle lacrime. «Perché a Natale mi hai chiesto di venire con te? Di tornare a Portorosso?»

Alberto si ritrovò con la mano bloccata a mezz’aria. Lo sguardo scosso di stupore si proiettò nei mesi passati, ritornò alle memorie di quel giorno alla stazione di Genova. «Perché eri in condizioni improponibili.» Abbassò il braccio, avvilito dal ricordo di quel triste, grigio e nebuloso pomeriggio d’inverno. «Come potevo accettare di lasciarti da solo in quel modo?»

«Però alla fine l’hai fatto.»

«Ehi!» protestò Alberto, parandosi con un gesto delle mani. «Ora non rifilare la colpa su di me. Sei stato tu a non volermi seguire.»

«Perché non eri davvero tu quello che mi voleva portare via.»

«Cosa...»

«È stata Giulia a chiedertelo, non è vero?» lo accusò Luca. «È stata lei a chiederti di portarmi via con te, e a cercare di farla sembrare una tua idea.» Riportò alla mente tutti gli sguardi e i sussurri di complicità che Alberto e Giulia si erano scambiati durante le vacanze di Natale. Segnali a cui Luca non aveva dato importanza, nonostante i sospetti, e che solo alla fine aveva saputo collegare, decifrandone il significato, la malignità del tradimento. «Credevate che non me ne fossi reso conto, quando per tutte le vacanze non avete fatto altro che complottare alle mie spalle?»

«Io…»

«Anche tu hai confidato a Giulia un mucchio di segreti che invece a me hai tenuto nascosti.»

«Ma quelli non…» Alberto alzò gli occhi al soffitto e fu costretto ad arrendersi con un sospiro. «Okay, va bene, va bene, lo ammetto.» Mise le mani avanti. «L’idea di riportarti a Portorosso è stata di Giulia, ed è stata lei a dirmi di chiedertelo. Ma alla fine te l’ho proposto, no?» Allargò le braccia. «Che differenza fa di chi è stata l’idea? La possibilità di seguirmi te l’ho data comunque.»

«Ma non lo volevi per davvero.»

«No.»

Luca sentì quel “no” esplodergli addosso come un gavettone ghiacciato, come lo schianto di una delle onde che aveva dovuto combattere per attraversare la tratta di mare. Rimase tramortito. Gli occhi gialli infossati nel nero dell’ombra, le labbra tremule, e il petto raggelato.

Alberto scosse il capo e non faticò a portare avanti quella dichiarazione. «No, hai ragione» gli confessò. «Non volevo che tu tornassi a Portorosso con me. Ma non per il motivo che credi tu, Luca. Non lo volevo perché sapevo che in fondo non lo volevi nemmeno tu. Pensa a tutti i tuoi sacrifici, a tutto il tuo impegno, a tutto il tuo lavoro e a tutto quello che hai studiato negli ultimi anni… come avrei mai potuto aiutarti a mandare a monte tutto questo? Sapevo che riportandoti a casa avrei solo assecondato una tua stupida paranoia e che sarebbe stato solo un modo per aiutarti a…» Gesticolò a mezz’aria per pescare le parole più adatte. «Ad auto-sabotarti. Magari sul momento mi avresti ringraziato, ma alla fine mi avresti odiato per avertelo permesso, credimi.»

Luca non stette nemmeno ad ascoltare la giustificazione di Alberto. Le sue parole erano un fischio lungo e penetrante, e alla prima botta di sbigottimento si sostituì una lenta e dilaniante afflizione. Gli era bastato quel “no” rimbombante per farlo sentire di nuovo disperso e abbandonato, in balia della tempesta e soffocato dal buio degli abissi. Allora è così? si disse. Alberto mi sta sul allontanando? Con la complicità di Giulia, per di più? Le lacrime riaffiorarono. «Lo sapevo.»

Alberto si accorse del suo sguardo di nuovo umido, della sua voce fioca e spezzata dal respiro soffocato. Si affrettò a giustificarsi. «Ma di certo non stavo cercando di allontanarti da me. Luca…» Come a voler sottolineare la veridicità delle sue parole, si avvicinò di un passo. «Se non ti ho voluto riportare a Portorosso è stato perché ho sempre avuto fiducia in te. Io sapevo che saresti stato comunque in grado di superare le tue ansie, di dare gli esami e di finire la scuola, anche senza il mio aiuto. Io so che tu sei più forte di quello che credi, Luca. Infinitamente più forte. E anche Giulia lo sa, e pure i tuoi genitori. E non riesco a credere che tu rimani l’unico che non è ancora in grado di rendersene conto, anche dopo tutte le difficoltà che hai affrontato e tutti gli ostacoli che hai superato.»

«Be’, a quanto pare…» Luca strinse le braccia al petto, si grattò la pelle d’oca e tirò su col naso. «A quanto pare io non sono così forte. Non sono mai stato forte come credevate tutti, e questa ne è la prova.» Girò lo sguardo alla parete, incapace di guardare Alberto negli occhi. «Quindi avete sempre sbagliato a credere in me.»

Alberto si rimangiò un ringhio, spazientito. «Sei proprio…» Si spalmò una manata sulla faccia, si grattò la testa e tornò a mettere le mani avanti, ormai arreso. «Guarda, se ti sta bene continuare ad autocommiserarti per il resto della tua vita allora fa’ pure. Arrangiati. Ma non t’azzardare a darmi la colpa per quello che è successo a Natale o per quello che avrebbe potuto succedere dopo. Non è di tornare a Portorosso che avevi bisogno.»

Luca schiacciò i pugni ai fianchi, inspirò un violento fremito fra i denti serrati, ed esplose in un pianto furioso. «Ma avevo bisogno di te

Un ultimo tuono spaccò il cielo annuvolato e si schiantò in mare. Una sferzata di vento si abbatté sul fianco della torre, investì la lanterna e ne inclinò la luce, facendo calare il buio.

Alberto si ritrovò assorbito dall’ombra. Perse ogni sicurezza, rimpicciolendosi davanti a Luca che invece si era innalzato nel suo ruolo di accusatore.

La rabbia di Luca sgorgò in un pianto irrefrenabile e incontrollabile, solcò la sua espressione segnata da un dolore profondo. Gli occhi accesi come la fiaccola della lanterna che, rinvigorita, era tornata a illuminare le pareti e ad allungare le ombre della torre. Il respiro arrochito dai singhiozzi soffocati, il volto mezzo mutato, e lo splendore delle squame color acquamarina in contrasto al bronzo delle iridi.

Luca scosse il capo – un gesto rassegnato. «Perché, Alberto?» Le lacrime continuarono a scendere e a colorargli le guance, ma lui non si preoccupò di asciugarle. Le più grosse caddero fra i suoi piedi nudi – plic, plic, plic – chiazzando il pavimento di legno. «Perché sei salito sul treno? Perché sei partito? Perché mi hai lasciato solo? Non hai avuto il minimo ripensamento, neanche dopo avermi chiesto di tornare a Portorosso.» Sfregò le mani sulle guance e si tappò gli occhi. «Non hai fatto neanche uno sforzo a separarti da me.» Non riuscì a raccogliere le lacrime che, sciogliendosi fra le dita, scesero a squamargli pure le braccia. «Perché per te è sempre così facile dirmi addio?»

Alberto sussultò, tramortito da quell’accusa, e si affrettò a scuotere la testa. Gli occhi traboccanti di un dolore inconsolabile. «No, Luca, no…» Gli si avvicinò. Sentì il bisogno di raggiungerlo, di allontanare da Luca quell’idea folle, di spiegargli che non era vero, che non era mai stato così e mai lo sarebbe stato.

Luca gli diede le spalle per non guardarlo avvicinarsi. Arretrò fino alla parete per non farsi impietosire dal suo sguardo, per non cascare nell’ennesimo tranello dei suoi occhi da cui si era lasciato ingannare fin troppe volte. Non voleva ascoltarlo. Ne aveva abbastanza delle sue giustificazioni. «Perché sei tornato a Portorosso senza nemmeno guardarti indietro?»

L’ombra di Alberto si allargò su di lui. «Luca, zitto e guardami.» Un altro passo accompagnò quell’ordine secco e intransigente.

Luca affondò le mani fra i capelli e si strinse la testa ribollente di rabbia. Il suo pianto straziato rimbombò fra le pareti della torre. «Perché per te è così facile fare a meno di me

Alberto compì l’ultimo passo che li separava. Afferrò Luca per le guance bagnate di lacrime, lo costrinse a girarsi, e sbatté le labbra sulle sue.

Luca compì un saltello e spalancò gli occhi, paralizzandosi come se avesse preso la scossa. E quella scossa gli trafisse il cuore, ne arrestò il battito, e spalancò un lampo di luce che lo abbagliò, riempiendogli la vista di scintille scoppiettanti.

Un’intensa sensazione di bruciore si propagò lì dove le sue labbra arricciate si erano scontrate con quelle di Alberto. Quella chiazza di calore così intenso si arrampicò sul viso di Luca, gli rese le guance incandescenti, raggiunse le orecchie facendole diventare paonazze. Il battito del cuore accelerò, galoppò sfrenato nel petto e gli ronzò nel cranio. I suoi occhi mutati, ancora gonfi di lacrime, si riempirono di una luce traballante dentro cui si specchiò il riverbero rossiccio della lanterna, una tinta di un intenso rosso granato che ravvivò la sua iride marina.

Cos’era successo?

Luca rattrappì le mani incollate ai fianchi, strizzò gli occhi e trattenne il fiato, rigido, assordato da un rumore bianco che aveva preso a fischiargli nelle orecchie.

Fu Alberto ad allentare la pressione dei palmi attorno alle sue guance e a separare il bacio per primo.

Libero, ma ancora incredibilmente confuso, Luca ingoiò una sorsata di fiato e riprese a singhiozzare, straziato dalla disperazione. Provò un’intensa fitta di dolore al petto da cui però zampillò qualche battito di piacere – una spruzzata di acqua fresca sulla pelle febbricitante. Luca continuò a piangere, e le sue lacrime rotolate sul viso bagnarono le mani squamate di Alberto ancora avvolte a coppa attorno alle sue guance.

Alberto inspirò, chiuse gli occhi e tornò a baciarlo. Questa volta fu diverso. La sua lingua gli scivolò fra le labbra, schiuse con naturalezza il lucchetto della sua bocca, e risucchiò ogni singhiozzo del suo fiato, bevendosi tutto il suo dolore. Si mescolò un intreccio di sapori, tutta l’acqua di mare che Luca aveva ingoiato durante la traversata, ma anche il gusto dolciastro e delizioso delle sue lacrime.

Alberto mosse la bocca sulla sua – lo stesso gesto che faceva quando affondava una leccata al suo cono gelato –, e trasmise a Luca una scossa di terrore e di piacere che lo tenne paralizzato, evocando in lui un’altra copiosa colata di lacrime.

Luca si sciolse nel caldo turbine di quel bacio. Un grumo di brividi gli torse lo stomaco, le ginocchia tremarono, le gambe divennero molli come gomma e cedettero, trascinandolo verso il pavimento.

Alberto lo sostenne, impedendogli di squagliarsi a terra, e lo spinse contro il muro.

Luca sbatté un colpo di reni non contro la pietra, ma contro qualcosa che gli scricchiolò sulla schiena. Le braccia pietrificate lungo i fianchi, le dita rattrappite, il viso raccolto fra le mani di Alberto, e la bocca appesa alla sua. Si ritrovò in balia di un fuoco che, dalle labbra, scese a sciogliersi nella pancia e a bruciargli nel petto, continuando a sgorgare e a sfogarsi attraverso il flusso delle lacrime che accentuava la sensazione di soffocamento, di estasi e di ebbrezza. Era una sensazione troppo sfiancante da sostenere per il suo cuoricino già abbastanza strapazzato.

Muoio. Fu il pensiero più ovvio, il più lampante e razionale. Muoio, muoio, muoio… sto morendo.

Eppure, nonostante stesse morendo fra le braccia di Alberto, mai si era sentito così vivo.

Alberto affondò un altro bacio. Respirò su di Luca urtandogli la punta del naso, e fu come se con quel bacio gli stesse bevendo il fiato dalla bocca, succhiandogli il dolore dall’anima, liberandolo dal peso di tutta quell’agonia che lo tormentava. Il suo fiato gli attraversò il cuore, gli donò la sua aria e lo salvò dal nero che altrimenti lo avrebbe inghiottito.

Luca divaricò le mani per aggrapparsi alla parete su cui era schiacciato, e di nuovo spremette fra le dita quello scricchiolio cartaceo su cui aveva sbattuto. Non ebbe bisogno di girarsi o di aprire gli occhi per capire di cosa si trattasse. Era il poster della Vespa, perché da lì lui e Alberto erano partiti e lì erano tornati, sempre guidati dalla parola “Libertà” che pulsava attraverso la carta. E la libertà ritratta nel loro poster era la stessa che Luca stava assaporando in quel momento, attraverso il bacio di Alberto. Era la libertà che aveva sempre inseguito dal primo momento in cui era corso dietro al lampeggiare blu guizzato dalle sue squame, al verde di quegli occhi scaltri che non gli avevano lasciato scampo.

Le loro labbra si separarono emettendo uno schiocco molle e umido.

Luca inghiottì una lunga boccata di fiato che gli bruciò la gola. Respirò ad affanni, rallentò, e il flusso di lacrime cessò, smettendo di rotolare fra le dita di Alberto.

Le loro bocche erano ancora vicinissime. Lo strofinio dei nasi, il leggero contatto fra le loro fronti, i respiri mescolati – quello di Luca ancora singhiozzante –, le ciglia sfarfallate sulle palpebre dell’altro, e gli occhi che finalmente riuscirono a incontrarsi attraverso la penombra.

Alberto gli tenne il volto sorretto, non se lo lasciò sfuggire, e gli ripeté una delle prime cose che gli aveva detto il giorno in cui si erano incontrati, il giorno in cui lo aveva tirato fuori dall’acqua. «Respira.» Le sue nocche gli carezzarono le guance squamate, raccolsero le lacrime che erano gemme di mare. «Respira» ripeté. «Respira, va tutto bene. Tranquillo.»

Luca fu finalmente in grado di risollevare lo sguardo. Non annegò più nel mare delle sue lacrime, ma nello sguardo di Alberto. Riscoprì lo stesso senso di meraviglia ed estasi – e anche un filino di paura – del giorno in cui aveva messo per la prima volta il naso fuori dall’acqua, quando aveva respirato il suo primo sorso di aria della superficie. Un respiro nuovo e rigenerante. La stessa sensazione che aveva provato baciando Alberto.

Sprofondando nel verde dei suoi occhi, Luca fu attraversato da un palpito elettrico, il sospiro d’incanto che aveva tratto la prima volta in cui aveva osservato il cielo fuori dall’acqua. La forma bianca e spumosa delle nuvole, le sfumature smeraldine degli alberi smossi dal vento, il volo dei gabbiani e la luce del sole.

Fu grazie al calore di quello sguardo e di quei ricordi che Luca si rese conto che non c’era nulla di sbagliato in quello che stava succedendo. Andava tutto bene. Andava sempre tutto bene quando Alberto era affianco a lui. La fiaccola di Lucignolo era tornata a risplendere. Il suo scoglio sicuro era emerso dalle acque della burrasca e gli avrebbe offerto un appiglio al di fuori di quella tempesta. Ma spettava solo a Luca decidere di aggrapparsi e di affidarsi al suo aiuto, senza più alcun timore.

Guidato da uno slancio d’amore spontaneo e irrefrenabile, Luca si scollò dal muro, saltò sulle punte dei piedi, tuffò le braccia attorno alle spalle di Alberto, gliele allacciò al collo, e lo baciò di sua iniziativa. Fu il suo modo per ringraziarlo di averlo portato in superficie e di avergli regalato la possibilità di un’altra vita.

Nell’istante in cui le loro bocche tornarono a unirsi, quando i battiti dei loro cuori s’intrecciarono, l’ambiente della torre esplose e si riempì di un’acqua tiepida, amniotica e impalpabile, nella quale i loro corpi abbracciati galleggiarono assieme, circondati da sciami di meduse bioluminescenti, proprio quelle che erano solite popolare i sogni di Luca, trasportarlo in una dimensione dove non esistevano dolori e angosce, dove i suoi occhi potevano riempirsi di una luce eterea e di una meraviglia sconfinata. Anche Luca si sentiva così: leggero e impalpabile come una medusa, libero di fluttuare in un cielo-mare in cui sguazzavano banchi di acciughine bioluminescenti, tutte radunate attorno al pesce-Luna padrone di quella dimensione che apparteneva solo a lui e ad Alberto.

Alberto gli si aggrappò ai fianchi, inspirò forte dal naso, affondò i denti nella carne delle sue labbra e lo baciò con avidità, senza più vincoli o timidezze a contenere il bruciore del suo desiderio.

Sbilanciandosi all’indietro, inciamparono entrambi sulle pieghe della coperta che ancora giaceva sul pavimento.

Separarono il bacio con uno schiocco. Alberto guardò all’indietro, sgambettò per mantenere l’equilibrio, «Who-ooh!», strinse Luca a sé, ed entrambi precipitarono a terra.

Sbatterono le fronti. «Ouch!» L’incantesimo delle meduse si spezzò, e i loro corpi fluorescenti esplosero, dissolvendosi in un luminoso vortice di bolle polverose. Si ricompose l’ambiente della torre. La tiepida luce della lanterna che traballava sulle pareti di pietra, i poster appiccicati al muro, il tavolo da lavoro cosparso di bulloni e chiodi, infiniti barattoli e cassoni riempiti con gli attrezzi di Alberto, e la pioggia che non aveva mai cessato di frusciare fuori dalla finestra aperta.

Ripresosi dalla botta alla fronte, Luca scosse la testa e si diede una strofinata. Si accasciò sul petto di Alberto e si abbandonò a una ridacchiata euforica, circondato dalla luce delle meduse e dei pesci-stella che ancora gli galleggiavano attorno come farfalle.

La risata di Alberto si unì immediatamente alla sua. «Oh, diamine.» Gli strofinò la fronte, lì dove si erano scontrati. «Stai bene?»

Luca gli rispose ridendo. Riprese fiato sentendo il petto di Alberto sobbalzare assieme al suo.

Oh, sì.

Adagiò la guancia su di lui, chiuse gli occhi, e si beò della sensazione delle braccia di Alberto che lo circondavano, proteggendolo. Si godette il semplice fatto di avere l’orecchio poggiato sul battito accelerato del suo cuore, di essere avvolto dal suo forte profumo di mare e di legno laccato. Sorrise, imprimendo per sempre nella sua mente uno dei ricordi più felici della sua vita.

Mai stato meglio.

Luca gli scivolò giù dal petto, si girò sul fianco, rannicchiandosi, e lasciò che Alberto lo circondasse in un abbraccio e che intrecciasse le mani alle sue. La schiena aderente al suo torso, le gambe accavallate e aggrovigliate alla coperta sgualcita, il respiro di Alberto fra i capelli, e le carezze delle sue dita a strofinargli le nocche.

Nella torre regnava la pace più assoluta. La pioggia cadeva dritta e regolare, il vento si era acquietato e aveva cessato di scuoterne le mura. Le onde si accavallavano sulla spiaggia, ne carezzavano le rocce e si ritiravano, evocando l’immagine di una morbida coperta che viene fatta scorrere su un materasso. Il riverbero rossiccio della lanterna traballava indisturbato sul davanzale della finestra, riempiva le pareti della torre e ne illuminava l’ambiente come un fuocherello innocuo e gentile che scaccia le ombre malvagie e che protegge dall’oscurità.

La pelle di Alberto era ancora più lucente e bronzea, baciata dalla fiaccola che pareva alimentata dai battiti del suo cuore. Luca fece scorrere lentamente il tocco sulle braccia di Alberto che lo tenevano avvolto, gli carezzò l’avambraccio destro, indugiò sul tratto scuro del tatuaggio che pulsava di vita propria, mosso dal ritmo lento dei suoi respiri. La rete arpionata, le chele dello scorpione aggrappate alla base dell’asta, il pungiglione della coda arrotolato al polso solido e carico di vene. Luca aveva ormai smesso di percepire quell’immagine come una minaccia.

Il luogo da cui proviene e il luogo in cui è stato pescato. In qualche modo, anche Luca sentì di essere stato protagonista di un miracolo simile a quello di Alberto. Anche lui era stato pescato da quelle stesse braccia che ora lo tenevano avvolto, più sicure di qualsiasi spiaggia e di qualsiasi porto.

Ritrovato quel calmo senso di pace che tanto gli era mancato, Luca realizzò quanto negli anni quel desiderio fosse cresciuto dentro di lui. Si rese conto di quanto avesse sperato in un abbraccio diverso da quelli di addio e di bentornato che lui e Alberto erano soliti scambiarsi sulla piattaforma della stazione. Aveva sempre fatto in modo di tenerlo nascosto, non aveva mai osato crederci, eppure ecco che si era realizzato. Luca era grato di quel legame ritrovato. Sentiva di trovarsi nel luogo più sicuro del mondo, come quando Alberto lo aveva salvato dalla tempesta, solo qualche ora prima, e come quando da piccolo si stringeva a lui per farsi coraggio durante le corse in bici o durante i salti in Vespa dalla scogliera. Nulla poteva fargli del male, né mare, né cielo, né terra. Le stelle sarebbero potute piovere dal cielo, le nuvole avrebbero potuto scatenare un putiferio tale da spazzare via alberi e città, i mari avrebbero potuto ingrossarsi a tal punto da sommergere le montagne, e Luca non avrebbe comunque avuto paura di nulla finché avrebbe tenuto le mani strette a quelle di Alberto.

Dalle braccia, Luca fece scivolare i polpastrelli lungo i polsi e dentro i palmi di Alberto. Con delicatezza li schiuse, intrecciò le dita alle sue, strofinò il tocco fra le nocche dure e incallite, simili a nodi di corteccia. Mani ben diverse dalle sue, sciupate solo dallo sfogliare dei libri. Quelle di Alberto erano consumate dallo strofinio dei guanti, sfregiate dalle cicatrici lasciate degli ami da pesca e dai coltelli con cui ogni tanto si tagliuzzava. Luca percorse i segni bianchi delle cicatrici, indugiò sui calli rugosi annidati fra le falangi, e meditò su quante volte lui stesso avesse fatto affidamento su quelle mani, su quante volte si fosse agganciato alla loro presa, lasciandosi sempre guidare nella direzione giusta, quella che lui da solo non avrebbe mai avuto il coraggio di percorrere.

Alberto respirò fra i suoi capelli. Il petto si gonfiò e si sgonfiò aderendo alla schiena di Luca, e le sue dita strinsero quelle più bianche e sottili che lo stavano carezzando. «Le mie mani sono molto interessanti?»

Luca sorrise. Accostò le labbra alle sue nocche, ne percepì il profumo salmastro e delizioso. «Mi piacciono tanto le tue mani.»

Una risata vibrò lungo il torso di Alberto. «Così mi ingelosisco.»

Arrotolandosi fra le sue braccia, Luca si girò sull’altro fianco e seppellì il viso nella spalla di Alberto. Le sue carezze fecero su e giù lungo la schiena, risalirono il collo distribuendo una scia di caldi brividi sulla pelle nuda, e si arricciarono alle ciocche di capelli, solleticandogli l’orecchio.

Luca soffiò un mugugno di piacere. Avvolse le braccia attorno ai fianchi spigolosi di Alberto, intrecciò le gambe alle sue, sollevando il ruvido strofinio dei jeans asciutti, e sfregò i piedi nudi fra le sue caviglie.

Un altro profondo respiro da parte di Alberto. «Scusa» gli mormorò all’orecchio. «Ho i piedi freddi?»

Luca scosse la testa. Non era mai stato tanto al caldo in tutta la sua vita.

Fuori dalla torre, i nuvoloni di maltempo singhiozzarono gli ultimi brontolii di temporale, ma i due ragazzi nemmeno se ne accorsero.

Luca chiuse gli occhi, sollevò il mento sulla spalla di Alberto, fece scivolare il naso nell’incavo del suo collo, socchiuse la bocca e respirò le note dolci e acerbe di tutti quei profumi che gli erano appartenuti anche quando era più piccolo. Gli stessi profumi che Luca aveva respirato l’estate prima, in mare, quando Alberto lo aveva attirato a sé con la coda; gli stessi che gli avevano stretto lo stomaco e fatto girare la testa la notte in cui Alberto lo aveva avvolto nella coperta sul tetto della loro torre.

Luca scoprì il profumo del mare d’inverno, aspro e freddo – lo stesso sapore che avevano le sue labbra, ripensò con un pizzico di emozione gorgogliato in fondo alla pancia. Però notò anche l’odore ferroso di garage, di benzina, di olio antiruggine, e poi i profumi più dolci e familiari della cucina di Portorosso, il basilico e il rosmarino, i pomodori freschi e l’impasto di pane all’olio. Alberto era tutte queste cose messe assieme: era il mare selvatico e impetuoso, era la libertà e la ribellione dei motori, ed era la rassicurante familiarità della cucina di casa. E questo lo portò a pensare che…

«E adesso?» mormorò Luca, avvilendosi con un sospiro.

Alberto rabbrividì fra le sue braccia, ma un ghigno salì a incrinargli le labbra. «Non dirlo a Daniela.»

Luca rise a bassa voce.

«No, no, sul serio, non sto scherzando» disse Alberto. «Se tua mamma viene a saperlo mi uccide. Sarebbe anche capace di tagliarmi la coda.» Fece roteare lo sguardo. «Per non dire qualcos’altro.»

Ma Luca non se ne preoccupò, incapace di visualizzare una scena simile. «Stai tranquillo» lo rassicurò. «La mamma non ti farebbe mai del male. Ti vuole troppo bene.»

Ridacchiarono assieme, a cuor leggero, senza più imbarazzo e nervosismo, e Luca tirò su col naso sbarazzandosi degli ultimi residui di lacrime. A pianto passato, lo pervase una calma tiepida che gli riempì la testa di una nebbia bianca e innocua, seppur pesante. I pensieri ancora sconnessi e la vista ancora disturbata dal luccicare delle stelle scoppiettanti. Fu come scendere dall’ambiente vacuo e gassoso di una nuvola. Fu difficile orientarsi e ritrovare un equilibrio. «Ma tu credi che sia sbagliato?»

«Che cosa?» gli fece Alberto. «Tagliarmi la coda? Certo che è un crimine.»

«No, no, intendo…» Luca strinse le braccia e stropicciò le dita sulla maglietta di Alberto. «Quello che abbiamo fatto. Questa…» Arrossì come se la fiamma della lanterna gli fosse bruciata sulle guance. «Questa cosa.» La parola “bacio” era ancora troppo irreale se associata all’idea di lui e Alberto assieme. «Sicuro che vada tutto bene?»

Alberto strinse le spalle in uno scatto. «Perché non dovrebbe?»

«Sai cosa voglio dire» disse Luca. «Non piacerà a tutti, se dovessero scoprirlo. Non tutti saranno disposti a… ad accettarci.» Assurdo: sembra davvero di essere tornati all’epoca della caccia ai mostri marini. «Penseranno che sia sbagliato. Che io e te siamo sbagliati.»

«E cosa ci importa di quello che pensano gli altri?» Alberto non sembrò nemmeno sfiorato da quella preoccupazione. «Ci è mai importato che agli altri non andasse bene quello che facevamo? Ci siamo mai fatti fermare da quello che pensavano di noi?»

«N…» Luca corrugò un sopracciglio. «No.» Anche se, detta così, quella frase non aveva per nulla un suono incoraggiante. «No, effettivamente no.»

Alberto fece spallucce e gli sfregò un’altra carezza sulla schiena. «E allora sarà così anche stavolta. In fondo non stiamo facendo niente di male, ti pare?»

Luca scosse la testa, ma non ne fu del tutto sicuro. «Perché io e te dobbiamo sempre trovare il modo di crearci tutte queste difficoltà?» sospirò. «Perché finiamo sempre per cacciarci in guai simili?»

«Cacciarci nei guai?» esclamò Alberto, con tono stridulo e indignato. «Vivere la propria vita non è cacciarsi nei guai. Non siamo noi che ci complichiamo la vita. Sono gli altri che si inventano dei motivi squallidi e assurdi per complicarla a noi.» Accostò la guancia a quella di Luca. «E poi il senso del proibito è sempre stata la nostra specialità.» Gli sorrise, spavaldo. «Siamo o non siamo il Gatto e la Volpe?»

«Lucignolo e Pinocchio» puntualizzò Luca. «Io e te siamo Lucignolo e Pinocchio, non il Gatto e la Volpe.»

«Sicuro?» Alberto gli pizzicò la punta del naso. «Guarda che non puoi dire le bugie, sennò ti si allunga il naso.»

Risero tutti e due, tornando bambini, e finalmente i loro occhi scintillanti di gioia si incontrarono nella penombra offuscata dal colore rossiccio della lanterna.

Alberto abbassò lo sguardo e tossicchiò. Per un attimo sembrò arrossire pure lui, rabbrividire di disagio, come se la situazione fosse diventata troppo seria. «Ma a te…» Con il pollice strofinò piccole carezze sulla guancia di Luca. «Ma a te sta bene? Intendo…» Si morse il labbro. «Questa cosa» balbettò. «Quello che è successo…» Scosse il capo e riguadagnò una spinta di sicurezza. «Perché se agli altri non piace e non sta bene non m’importa un accidenti, ma se a te non è piaciuto allora non dobbiamo per forza…»

«No!» Luca sussultò, stupito di quella reazione così spontanea. «Cioè sì, io…» Annuì e posò lo sguardo sulle loro mani di nuovo intrecciate. «A me sta bene, sul serio. Anzi, credo…» Strinse più forte le dita fra quelle di Alberto e soffiò un sospiro rassegnato. «Credo che prima o poi sarebbe successa per forza una cosa simile. Era inevitabile.»

Alberto impennò un sopracciglio. «Sul serio?» Incollò il petto al suo, gli fece scivolare le braccia attorno ai fianchi e gli fece il solletico. «Ma allora lo ammetti che un po’ ci speravi, eh, vecchio furbastro?»

Luca torse la schiena, difendendosi dal solletico, e spinse le mani sul petto di Alberto. «M-ma certo che ci speravo.» Si morsicò la lingua, bruciando di imbarazzo. «Cioè, uhm…» Tornò ad arrotolarsi, a dargli la schiena, e sbirciò Alberto da sopra la spalla. Lo stomaco chiuso in un nodo di aspettativa. «Tu invece no?»

«Secondo te?» Alberto poggiò la fronte fra i capelli di Luca e si strinse forte a lui. «Oh, Luca, Luca» sospirò, sconsolato ma anche sollevato. «Perché non me l’hai detto prima? Ci saremmo risparmiati tante di quelle rogne e di litigate inutili. E tu avresti anche fatto a meno di stare così male per tutto questo tempo.»

Luca scosse il capo. Un pensiero simile gli sembrava ancora troppo assurdo. «Come potevo dirtelo? Come potevo…» Però poi pensò anche a quanto dolore gli avesse causato il semplice fatto di averlo tenuto nascosto. «Come potevo confidarti una cosa del genere?»

«E a chi altri avresti dovuto dirlo?»

«Avevo troppa paura.» Luca tornò ad aggrapparsi alle braccia che Alberto aveva incrociato sulla sua pancia. «Non riuscivo nemmeno a capire se stessi davvero desiderando qualcosa di simile o se la stessi semplicemente confondendo con l’ennesima confusione. Se poi tu avessi, non lo so…» Strinse le spalle. «Se tu fossi rimasto disgustato da me e mi avessi detto “Luca, questa cosa è sbagliata e abominevole” sarebbe stato l’ennesimo dolore. Gli insulti e le minacce degli umani possono anche starmi bene, ormai credo di averci fatto l’abitudine, ma un tuo rifiuto o un tuo abbandono…» Di nuovo si fece piccolo e fragile nell’abbraccio di Alberto, succube di un pensiero straziante. «Perdere te sarebbe stato troppo.»

«E ti ho forse mai dato l’impressione di volerti allontanare?» disse Alberto. «Luca, anche se io non avessi voluto questo», strinse più forte le braccia, «non sarei mai potuto essere disgustato da te. Ti avrei detto “No, grazie” e morta là.»

Luca si consolò con un sorrisetto. «Non ci credo.» Socchiuse una palpebra e sbirciò di nuovo all’indietro. «Queste cose non sono mai così semplici. È impossibile risolverle con un semplice “Morta là”.»

«Ma tu che sei infinitamente più sveglio di me avresti dovuto capire già da un pezzo che non aspettavo altro che questo» rispose Alberto. «Ti ho dato un milione di indizi.»

«Indizi?» Luca s’incuriosì, così tornò ad arrotolarsi sull’altro fianco per guardare Alberto dritto in viso. «Tipo quali?»

«Tipo a Natale, la sceneggiata sotto il vischio.» Alberto alzò gli occhi e simulò un sospiro melodrammatico. «Ma tu sei stato così crudele da respingermi.»

«Ma quello…» Luca sgranò gli occhi, incredulo. «Che cosa?» esclamò. «Tu volevi seriamente baciarmi? E comunque non era nemmeno vischio, era agrifoglio.»

«Fa lo stesso.»

«Pensavo fosse uno scherzo.»

«Io ti avrei baciato per davvero.»

«Ma eravamo in mezzo alla strada, e c’era tutta quella gente.»

«Che m’importa?» sbottò Alberto. «Te l’ho detto che non m’interessa quello che gli altri pensano, soprattutto se si tratta di me e te.»

«Guarda che a me non sarebbe andato bene baciarti in mezzo alla strada nemmeno se tu fossi stato una ragazza.»

Alberto fece roteare lo sguardo, ignorò quell’ultimo commento. «E poi c’è stato anche quel giorno dell’incidente dello scoglio, quando eravamo fuori in mare.»

«E quando?» domandò Luca. «Quando poi siamo andati al bar e mi hai portato il disinfettante?»

«No, prima» specificò Alberto. «Quando eravamo ancora in acqua e io ti ho circondato con la coda.»

Luca aprì la bocca ma ammutolì, sbigottito. «Pensavo stessi solo giocando.»

Alberto sbuffò. «Se per te quello è giocare» commentò. «E comunque, tanto per essere chiari, non c’è verso che io sia disgustato da te, in nessuna situazione.»

Luca sentì il petto stringersi per l’emozione, attraversato da un battito più intenso del suo cuoricino che era singhiozzato di gioia e di sollievo. «Sul serio?»

Alberto annuì due volte di seguito. «Sul serissimo.» Gli passò una nocca lungo la curva del viso che, seppur gonfio e arrossato, era tornato asciutto. «Nemmeno adesso che hai la faccia di chi ha appena pianto l’intero Mar Mediterraneo.»

Luca si nascose dietro la mano di Alberto ma ridacchiò. «Sono così orribile a vedersi?»

«Be’» rise Alberto. «Almeno adesso hai chiuso i rubinetti.» Raccolse con il pollice l’ultimissima lacrima appena zampillata dalle sue ciglia. Il suo tocco fresco indugiò sulla guancia di Luca, alleviò il rossore. Lo guardò negli occhi e fu uno sguardo così dolce e appagante. Trasmise a Luca tutta la serenità e la quiete di cui aveva bisogno. «Ti senti un po’ meglio, ora, sì?»

Luca sorrise. «Sì.» Strofinò un pugno sugli occhi ancora umidi, ma tornati al loro aspetto umano. «Sì, in effetti sì.» Piangendo e sfogandosi, aveva rigurgitato tutto quel dolore come catarro cattivo. Ma a consolarlo c’era anche il calore di quel bacio che ancora gli bruciava sulle labbra, dolcissimo, e che gli batteva nel petto come un secondo cuore. Luca posò la mano su quella che Alberto gli aveva aperto sulla guancia, e ripensò a tutto quello che gli aveva detto. Tutti i segnali che non aveva colto, tutte le volte in cui Alberto aveva provato ad avvicinarsi in quel modo senza che Luca se ne fosse accorto, e tutto il tempo che entrambi avevano trascorso nell’ombra di quella sciocca incomprensione. «Quindi anche tu ci speravi davvero?» Scottato da un’improvvisa vampata di timidezza, Luca strinse la mano su quella di Alberto e si nascose dietro. «Speravi in questo, uhm, almeno un po’?»

Il viso di Alberto si distese, riempiendosi di una luce placida e rilassata, come se anche lui si fosse finalmente liberato di un peso insopportabile. Si accostò a Luca e gli posò le labbra sulla fronte. «Non hai idea di quanto.»

Luca chiuse gli occhi e adagiò la guancia sul suo braccio. «Allora anche tu avresti potuto dirmelo chiaramente, invece che tenerlo segreto.»

«Forse…» Le mani di Alberto tremarono e s’irrigidirono, come per timore di farsi sfuggire la presa, di perdere Luca in un’altra burrasca. «Forse anche io ho sempre covato il terrore di perderti per sempre.»

Sorprendentemente, Luca si sentì rincuorato da quella dichiarazione così inaspettata. Adesso era lui quello a sostenere Alberto, a consolare i suoi timori e a scacciare le sue ombre. «Lo sai…» Soffiò una risata dolce e leggera. Spostò le gambe fra quelle di Alberto e gli solleticò i piedi nudi. «Lo sai che questa è la prima volta?»

Alberto sbirciò dalla penombra. «Prima volta di cosa?»

«Che lo ammetti» rispose Luca. «Che ammetti ad alta voce di avere paura di qualcosa.» E scoprì di amare quel lato più fragile e vulnerabile di Alberto, tanto quanto amava il suo lato più forte, intrepido e spavaldo.

Alberto lo strinse in un abbraccio. «Ora è passato.» Arricciò le labbra sulla sua guancia, il suo respiro gli trasmise una scia di brividi tiepidi e piacevoli dietro l’orecchio. «Ora non ce l’ho più.»

Anche se al sicuro fra le braccia di Alberto, Luca provò una scossa al cuore, la stessa che lo aveva trafitto quando si era svegliato fuori dal mare, accorgendosi che comunque la tempesta non era cessata, e che tornando a Genova le nuvole si sarebbero di nuovo addensate sopra di lui, facendo ricominciare tutto daccapo. Se solo fosse stato possibile per lui e Alberto rimanere così, abbracciati nella sicurezza della loro torre per il resto dei loro giorni. «Io però ho ancora paura, Alberto.»

«E di cosa?» gli domandò lui. «Sai che non devi avere paura di niente se ci sono io che ti proteggo.»

«Ma non so se…» Luca strinse i pugni sulla maglietta di Alberto. Dentro di lui formicolò il desiderio di confessargli tutto quanto, ogni dubbio e ogni paura, nonostante la vergogna. «Non so se qualcuno sarebbe mai capace di proteggermi da una cosa come questa.»

«E non vuoi dirmi di cosa si tratta?»

Luca seppellì il viso contro il suo petto ed esitò, rigido e rattrappito proprio come un piccolo paguro nella sua conchiglia. Lo sfogo di quel pianto però gli aveva sciacquato la testa, ripulendola da tutto il fango che l’aveva inquinata, e adesso era più facile affacciarsi al lago dei suoi pensieri senza rischiare di rimanere con i piedi incollati nel fondo di una palude sporca e limacciosa. La superficie era tornata limpida, piatta come uno specchio. E se c’era qualcuno che si meritava una spiegazione, se c’era qualcuno in grado di affacciarsi a quel lago e di comprenderne le ansie più profonde e nascoste, era proprio Alberto. «Va…» Luca si arrese con un sospiro. «Va bene, io… io te lo dico. Però…» Sgusciò fuori dal suo abbraccio e si mise seduto. «Però tu in cambio mi prometti che non riderai? Che non mi prenderai in giro e che la prenderai seriamente?»

Alberto alzò la mano in segno di giuramento. «Croce sul cuore.» Si sedette pure lui e si segnò il petto. «Parola di pesce, di pescatore, e di tutto quello che vuoi.»

Luca annuì, si strinse il braccio e si grattò fin sotto la manica della camicetta. «D’accordo.» Guardò in basso. Deglutì, nonostante la bocca asciutta. «Io…» Chiuse gli occhi, strizzò le unghie sulla stoffa della manica, raddrizzò la schiena e raccolse un lungo e incoraggiante respiro dal naso. «Io sono l’ostrica, Alberto.»

Alberto compì un saltello sulle ginocchia su cui era seduto e scrollò il capo. «Eh?» Strabuzzò lo sguardo come se fosse di colpo diventato sordo. «Tu sei…» Usò il mignolo per sturarsi l’orecchio. «Che cosa?»

«Io sono l’ostrica.» Luca si posò la mano sul petto, lì dove il peso di quella paura lo tormentava come un chiodo conficcato fra le costole. «L’ostrica di Verga, quella dei Malavoglia. Sono nato su uno scoglio ed è lì che sarei dovuto rimanere, perché non c’è altro modo per me di sopravvivere. Ho creduto di essere un pesce più grande di quello che sono, mi sono buttato in una corrente che alla fine mi ha rigettato, e ora non so più a quale mondo appartengo.»

Alberto sollevò le sopracciglia, socchiuse le labbra ma rimase zitto, disperso in una nuvoletta di confusione che gli aveva appannato lo sguardo e aggrottato la fronte in un’espressione perplessa. Fece per parlare, ma gli riuscì solo una spernacchiata simile a uno starnuto. Si tappò la bocca e le sue guance si gonfiarono. Cominciò a ridere piano, un gemito dopo l’altro, poi si torse in avanti e, non riuscendo più a trattenersi, scoppiò in una fragorosa risata liberatoria.

Luca avvampò di imbarazzo e indignazione. «Alberto!» E gli aveva anche promesso di non ridere!

Ma Alberto lo ignorò. Si schiaffeggiò la mano sulla fronte e continuò a ridere come un allocco. «Una…» Si ribaltò all’indietro. «Un’ostrica…» Cadde di schiena, si strinse la pancia, si arrotolò finendo aggrovigliato nella coperta, e rise ancor più forte. «Oh, diamine.» Si asciugò le lacrime. «E io che per un attimo ho davvero creduto che si trattasse di qualcosa di serio.»

«Ma è davvero una faccenda seria» ribatté Luca, «e non c’è niente da ridere. Io ho deciso di lasciare il mare e Portorosso per andare in cerca della vita che ho sempre sognato, ed è per questo che ho così tanta paura di tornare indietro. Perché ho il terrore di scoprire che sarei sempre dovuto rimanere qui, invece che fuggire verso una vita che non mi appartiene. Ma ho anche paura di abbandonare per sempre il mare, di dimenticarmi del luogo da cui provengo, e di ritrovarmi così senza alcuna sicurezza e senza più un appiglio.»

Alberto sollevò un lembo della coperta che gli si era incagliata attorno alle spalle. «Ma le scorse estati tu non sei mai…»

«Le scorse estati eravamo piccoli e ingenui, Alberto» disse Luca. «Era facile andare avanti e indietro perché ci bastava fare affidamento l’uno sull’altro per sentirci al sicuro e per poter credere di avere l’intero mondo sotto controllo. Ma adesso, se saremo separati e io…» Di nuovo quella paura gli strinse lo stomaco e gli raggelò le guance. «E io non so più se potremo…» Ora che torneremo a separarci, ora che la scuola finirà, ora che io sarò ancora più distante da te, ora che forse sarò costretto a dire addio per sempre a Portorosso. E a dire addio pure a te. «Se potremo ancora…» Sentì riaffiorare le lacrime. Si toccò la guancia e le labbra, dove ancora formicolava il calore dei baci di Alberto e delle sue carezze. Sarò sul serio in grado di dirti addio dopo tutto questo? Perché la vita deve essere così ingiusta con noi due? «Lo vedi perché è così complicato? È da quando me ne sono reso conto che non riesco a trovare una soluzione.»

«Trovare una soluzione a questo?» Alberto si rimise seduto. Il suo sguardo si fece serio, ogni sbavatura di risata svanì dalla sua voce. «Luca, per mille mozzarelle, tu…» Si spalmò una manata sulla fronte. «Tu non sei un’ostrica. E nemmeno una cozza o una vongola, se è per questo. Si può sapere chi è che ti ha messo in testa un’idea assurda come questa?» Ma la risposta era fin troppo lampante. «Non è che lo hai letto in un libro e da lì non sei più riuscito a togliertelo dalla testa? Non sarebbe la prima volta.» Si picchiettò un dito fra i capelli. «Te l’ho detto che se leggi troppi libri poi ti va in pappa il cervello.»

Luca sussultò. Il suo animo era davvero così trasparente e facile da leggere? O era Alberto quello fin troppo perspicace nei suoi confronti? «Be’» farfugliò. «Sì. In effetti sì, però… però non è solo il libro, credimi» si affrettò ad aggiungere. «È tutto quanto, capisci? È il modo in cui è cambiata la mia vita, tutto quello che ho imparato sulla superficie e sugli umani, tutte quelle cose che ora mi fanno vedere il mondo in maniera diversa.» Spostò lo sguardo lungo le pareti della torre e si soffermò sul poster della Vespa, quello più prezioso. «Sento che è come se questo destino non aspettasse altro che venirmi incontro, come se mi avesse teso un agguato per tutti questi anni, come per impartirmi una sorta di punizione per essermi allontanato dal mare e dalla mia casa. Insomma, guarda come sono cambiato.» Allargò le braccia. «Guarda come la mia vita è cambiata da quando mi sono trasferito a Genova, da quando ho cominciato a nuotare per conto mio. E se un giorno dovessi finire per nuotare così in là da non avere più la forza di tornare indietro, quando avrò bisogno di aiuto?» Com’è successo oggi, dopotutto. «Cosa ne sarà di me? Non potrò sempre contare sul fatto che ci sarete tu e Giulia a venirmi a ripescare.»

«Ma sì che potrai, invece.» Ogni traccia di ironia era svanita dallo sguardo di Alberto. Anche lui era più serio che mai. «Certo che potrai fare sempre affidamento su di noi, Luca. Io e Giulia ci saremo sempre quando avrai bisogno di qualcuno che ti sostenga e che ti…» Sventolò una mano in direzione della finestra. «Che ti faccia da scoglio nel caso dovessi andare alla deriva come oggi. E poi tu non sei affatto come un’ostrica.» Scosse il capo con decisione. «Non sei uno che rimane fermo sullo scoglio a fare la muffa. Non lo sei mai stato.»

Luca inarcò un sopracciglio, strinse le braccia al petto in un gesto protettivo e puntò lo sguardo sul pavimento. «Ma prima tu hai detto che…»

«Lascia perdere quello che ho detto prima» lo interruppe Alberto. «Prima ero arrabbiato. Lo sai che mi instupidisco sempre quando mi arrabbio.»

Ma Luca affondò una mano fra i capelli, per nulla consolato. «Io non so più chi sono, Alberto.»

«Te lo dico io chi sei» gli rispose Alberto. «E di sicuro non sei un’ostrica. Piuttosto sei…» Andò a posargli le mani sulle spalle. «Sei un paguro.» Gli diede due energiche pacche alle braccia e annuì, sempre più convinto. «Ecco, sì, sei proprio come un paguro che decide di cambiare conchiglia quando quella vecchia gli sta troppo stretta. Magari non troverai subito una nuova e perfetta, e quindi certe volte ti capiterà di non avere nessuna protezione sulla schiena. Ma è proprio in casi come quelli che io, e Giulia, e i tuoi genitori, e tutti gli altri, ti staremo vicini per proteggerti e per farti da scudo nel caso ti trovassi in pericolo.»

Luca sbatacchiò le ciglia. Rifletté a fondo su quella similitudine, sul significato di quelle parole. «Un paguro?» Non lo dice solo perché è anche il mio cognome, no?

Tornò indietro al suo primo ritorno a Portorosso, alla prima estate trascorsa in paese dopo la sua partenza per Genova. Lui e Alberto erano tornati sulla torre, erano saliti fino in cima e Luca aveva spalancato lo sguardo sul tramonto che stava calando sul mare, tingendo la costa di un tenue rosso pastello. Qualcosa gli aveva toccato la mano, qualcosa di piccolo. Luca aveva schiuso le dita e aveva accolto il piccolo paguro sul suo palmo. Era rabbrividito, aveva interpretato quell’incontro come un brutto presagio, era convinto che gli avrebbe portato sfortuna, che il mare stesso avesse inviato quella piccola creatura per metterlo in guardia. Un piccolo paguro fuori dal mare. Il paguro che avrebbe cambiato conchiglia, come Luca aveva spiegato a Giulia il giorno in cui avevano allestito l’acquario per Bruno. Adesso tutto stava cominciando a riavere un senso.

«Alberto, mettiamo caso…» Luca raccolse le mani che Alberto gli aveva battuto sulle spalle e le tenne strette a sé. Adesso non temeva più il suo giudizio. Si diede dello sciocco per averlo temuto in primo luogo. «Mettiamo caso che io continui sul serio a vivere quassù in superficie, assieme agli umani, ma lontano da Portorosso. E mettiamo caso che io però non riesca a trovare quello che stavo cercando quando me ne sono andato.»

«Lo troverai, ne sono sicuro.»

«Ma questa è un’ipotesi, sto cercando di prepararmi psicologicamente al peggio, quindi lasciami finire.» Luca si schiarì la voce. «Se io mi ritrovassi lontano da qui, in un mare di guai da cui sento di non poter uscire da solo, come oggi…» Si chiuse nelle spalle, proteggendosi da un’improvvisa vampata di gelo e paura. «Se dovessi sentire che tutto sta andando male, se dovessi sentire un forte bisogno di tornare a casa perché altrimenti mi sentirei schiacciare dal dolore e dalla nostalgia e dalla solitudine… cosa dovrei fare? Come si risolve un problema del genere?»

«Io correrei da te, proprio come ho fatto oggi.» Alberto rise e indicò fuori dalla finestra. «Magari prima di permetterti di avventurarti in una bufera. Verrei da te, ti consolerei rassicurandoti sul fatto che i momenti bui capitano a tutti ma che alla fine si risolvono. Ti aiuterei a trovare una soluzione e ti starei vicino fino a che non saresti di nuovo in grado di riprendere a nuotare per conto tuo.»

«Ma…» Luca corrugò un sopracciglio. Non era ancora convinto. «Come faresti a raggiungermi sempre? Insomma, se io mi trovassi a Genova, o a Trieste, o addirittura fuori dall’Italia…»

«Con la Vespa ci arriverei in un baleno.»

«Lo vedi che non mi ascolti? Ti sto dicendo che…»

«Sei tu che non ascolti me.» Alberto scosse il capo. «Non posso credere di star per dire una cosa del genere, ma su questa faccenda Giulia ha proprio ragione: dovresti essere tu quello intelligentone fra noi due, ma di queste cose non capisci proprio un tubo.»

«Ehi!»

«Quanto ti ci vuole per capire che io ti raggiungerei anche sulla Luna, se tu dovessi avere bisogno di me?» Alberto strinse più forte le mani di Luca ancora custodite fra le sue. Chinò il capo, nascondendo lo sguardo nell’ombra. Parlò con tono più basso. «Quanto ti ci vuole per capire che tu per me sei la cosa più…»

«Non potrei mai chiederti una cosa simile, Alberto.» Luca sfilò le mani dalle sue, richiamò le ginocchia al petto e strinse l’abbraccio attorno alle gambe piegate. «Qui a Portorosso hai Massimo, hai il tuo lavoro, hai tutte le tue responsabilità con il meccanico, e con gli altri pescatori, e persino con i bambini da sorvegliare in spiaggia. Hai tutta la tua vita. Non potrei mai chiederti di mollare la tua vita per correre a risolvere un problema solo mio.»

«Ma anche tu sei parte della mia vita, Luca.»

Quella frase attraversò il petto di Luca come una carezza, rimbombò in fondo al cuore e gli trasmise una potente fiammata di emozione.

Sei parte della mia vita…

Ebbe un effetto incredibile su di lui, talmente toccante che quasi lo fece di nuovo scoppiare in lacrime.

Lo sguardo di Alberto era aperto e sincero. «Non dovrai mai credere che per mantenere la nostra amicizia io dovrò per forza rinunciare a qualcosa. Non dovrai mai pensare che il nostro legame sia solo un peso, perché non lo è.» Fece un sospiro. «Per questo sono venuto a cercarti, Luca. Per questo ripeterei anche un milione di volte quello che ho fatto oggi, ed è per questo che non avrò mai paura di niente se si tratterà di doverti tirare fuori dai guai.» Raccolse le guance di Luca fra le mani. Il riverbero della lanterna a colorare i loro volti e a danzare nelle profondità dei loro occhi. «Io voglio che tu continui per sempre a far parte della mia vita, a prescindere da dove ci troveremo e da quanto distanti saremo.» Sorrise. «Tu non vuoi?»

Gli occhi di Luca scintillarono, commossi più che mai. «S-sì. Anche…» Luca ricacciò indietro le lacrime. «Anche io…» Sorrise, e le sue guance si spolverarono di rosa. «Anche io voglio che tu continui a fare parte della mia vita. A prescindere da quello che farò e da quello che succederà.» Sovrappose la mano a quella che Alberto gli aveva posato sulla guancia, deciso a non lasciarla mai più. «Questa è l’unica certezza su cui sento di poter contare.»

Alberto gli rivolse uno sguardo rassicurante. «Potrai contarci per sempre, te lo prometto.» Gli scostò i capelli dalla fronte. Le ombre tratteggiate dalle sfumature della lanterna donarono al suo volto dei tratti più incisi e cresciuti. «Ti prometto che terrò per sempre accesa questa lanterna per te.»

Luca socchiuse una palpebra. «Per tutta la vita?»

Alberto alzò il mento, spinse il petto all’infuori e annuì, più solenne che mai. «Per tuuutta la vita.»

«Ma allora…» Luca chinò lo sguardo, schiacciato dal rimorso e dall’eco di tutte quelle cattiverie che gli aveva sputato addosso durante la litigata. «Allora non è vero?»

Alberto sembrò non capirlo. «Che cosa?»

Luca si aggrappò alla mano di Alberto, si rintanò dentro il suo palmo e si morse il labbro per contenere un doloroso singhiozzo di pianto. «Non è vero che per te è facile fare a meno di me?»

La faccia di Alberto assunse l’espressione di chi non sa se ridere di sollievo o se piangere di disperazione. Così Alberto fece l’unica cosa in suo potere. Travolse Luca in un abbraccio, ed entrambi finirono di nuovo accasciati, sulla coperta, uniti come un corpo solo, i battiti dei loro cuori intrecciati nella più splendida e triste delle melodie. Già una volta si erano abbracciati provando tanto dolore, durante la loro prima separazione, quando avevano sperimentato per la prima volta la paura di non rivedersi mai più.

Luca si appese all’abbraccio di Alberto, scacciò tutto quel dolore sopprimendo un sospiro vibrante contro la sua spalla. Decise di non preoccuparsi di quello che sarebbe successo il giorno dopo. Per una notte, i suoi sogni non sarebbero stati tormentati dal pensiero della scuola, degli esami, e di tutto quello che sarebbe venuto dopo. Quella notte sarebbe appartenuta solo a lui e ad Alberto. Quella notte, il loro mondo era tutto lì, nella loro torre e nella loro isola, dove tutto era cominciato.

Alberto gli strofinò la schiena. «Ti fa ancora male tutto?»

Solo ora che glielo faceva notare Luca si rese conto che sì: i muscoli pizzicavano come se fossero stati imbottiti di aghi e le ossa scricchiolavano scaricando piccole scosse di dolore ogni volta in cui piegava un ginocchio o ruotava un polso. «Sì.» Stropicciò una smorfia. «Parecchio.»

Alberto raccolse la coperta su cui si erano accasciati e gliela rimboccò attorno alle spalle. «Fa’ la nanna sotto le coperte, allora.» Gli grattò una carezza fra i capelli. «Domani dovrai essere in forze per nuotare fino a Portorosso. Ma vedrai che la tempesta sarà passata. Anche adesso non tira più vento.»

Provando ad allungare lo sguardo fuori dalla finestra, Luca si accorse di come l’abbraccio di Alberto fosse talmente stretto da impedirgli di sollevare le spalle. Lo intenerì quella sua indole tanto premurosa. «Non serve che mi stai così appiccicato.»

«Scherzi?» Alberto tornò a sfoderare quel suo tono stridulo e scandalizzato. «Sei ancora convalescente. Conciato come sei, devo essere io quello pronto a proteggerti in qualsiasi istante.»

«Proteggermi da chi?»

«Come da chi?» Alberto rattrappì le mani ad artiglio e sguainò un sorriso aguzzo da guancia a guancia. «Dai mostri marini in agguato.» Tempestò Luca di solletico, ed entrambi risero rotolandosi nel loro abbraccio.

Le gambe intrecciate, le mani giunte, lo strofinio delle carezze, e lo sguardo di Luca tornò a posarsi sulle braccia di Alberto che lo circondavano, sul tatuaggio che ora gli trasmetteva un senso di libertà e di protezione. Sentì che era stato proprio lo scocco di quell’arpione a venirgli incontro e a pescarlo nella sua rete. Sentì che quel simbolo ora apparteneva un po’ anche a lui.

«Alberto?»

Alberto respirò a fondo, già quasi assopito, nonostante i buoni propositi di rimanere sveglio a fare la guardia. «Mhm?»

Luca si strinse a lui. «Grazie per avermi salvato.» Tornò a commuoversi, a sentire gli occhi inumidirsi e pizzicare di emozione. Il cuore gonfio di amore e gratitudine. «Grazie per avermi tirato fuori dall’acqua.» Nemmeno a lui fu chiaro se si stesse riferendo a quel giorno stesso o al loro primo incontro. Ma non era importante.

Alberto gli attraversò i capelli con una carezza, gli soffiò un piccolo e tenero bacio sulla fronte, strofinò il naso sul suo, e strinse più forte l’abbraccio.

Prima di crollare addormentato, Luca riuscì ad adocchiare un’ultima volta il poster della Vespa che ora gli si palesava sotto una luce del tutto differente, proprio come il tatuaggio di Alberto.

C’era stato un tempo in cui Luca aveva creduto che l’amicizia fra lui e Alberto non sarebbe potuta durare perché era nata come un atto di ribellione e tale sarebbe rimasta, costando loro dolori e sacrifici. Ma non era vero. La loro amicizia non era mai stata un atto di ribellione, ma un puro e semplice desiderio di libertà, per questo era destinata a durare per sempre.

Rassicurato da quell’ultimo pensiero, Luca si addormentò, e immediatamente dopo si addormentò anche Alberto. Si addormentarono abbracciati, protetti dalle mura della loro torre dentro la quale viveva ancora il ricordo dei due bambini che erano stati e che ancora si tenevano per mano. Vegliati dalla fiaccola della lanterna, attesero assieme l’alba del giorno dopo, quando il sole sarebbe tornato a splendere sul loro cammino.

   
 
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