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Autore: Scarlett Queen    23/09/2022    2 recensioni
In una Londra oscura e surreale, fatta di tenebre e paura, la giovane Alice Liddell, rimasta orfana al seguito di un disastroso incendio, eredita dal padre una serie di innominabili segreti e assieme ad essi, la volontà di fronteggiare gli orrori e i culti che infestano la città e la campagna londinese.
Ma non sarà sola in questa sua discesa nel Paese degli Orrori: un gruppo di individui giunge dal Giappone in seguito alla morte di suo padre e assieme a loro, Alice Liddell inizia una guerra segreta contro i demoni che minacciano la capitale inglese, cibandosi delle sue paura e dei suoi abitanti.
In questo racconto di prova. Alice dovrà recarsi a Badrick, una cittadina nei dintorni di Londra per venire a capo del mistero che grava sulla sparizione di tutti i suoi abitanti e fare i conti con i propri sentimenti, circondata da personaggi surreali e che pure, in un certo modo, potrebbero essere per lei come una nuova famiglia...
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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0 – Prologo
 
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Il ballo in maschera organizzato dall’ereditiera della famiglia Liddell era stato l’evento mondano più chiacchierato a Londra; sia perché la giovane donna raramente si faceva vedere in pubblico dalla morte dei suoi genitori, sia perché ospitava presso la sua magione una delegazione di funzionari del Giappone. Gli invitati vennero accolti con tutti gli onori dal suo maggiordomo e la grandiosità della sala da ballo, pacchiana e vistosa, quasi barocca nella sua abbondanza rimase per qualche tempo il principale oggetto di conversazione.
Ciò che non seppero, fu il fatto di essere parte ad una commedia atta a nascondere la vera natura di quell’invito. In mezzo a tanti sontuosi costumi e sete, all’oro dei candelabri e al marmo delle statue, dopotutto, non era certo strano che la delegazione straniera venisse accolta nei salotti privati di Alice Liddell, tutt’al più che non era affatto un mistero che suo padre intrattenesse rapporti commerciali con l’impero del Sol Levante. Per questa serie di ragioni non fu strano vedere i maggiordomi condurre gli esotici ospiti di sopra mentre l’orchestra suonava e i camerieri camminavano fra gli invitati con i vassoi d’argento.
«Onorevole signorina Liddell, ci rammarichiamo per la vostra perdita, quando ne ho avuto notizia ho temuto che non si trattasse di un comune incidente, nevvero?». La voce di Kishibe era raschiata, gutturale. Dai capelli di un biondo sporco, si reggeva ad un bastone da passeggio dal pomo in argento, coperto da un abito squisitamente occidentale. Davanti a lui e agli altri giapponesi, Alice era seduta su un’ampia poltrona foderata di piume di cigno, osservava il fuoco scoppiettare nel camino. Le sue sottili dita scorrevano sulla schiena del gatto acciambellatole in grembo, emettendo dolci fusa. Kishibe si guardò alle spalle, osservando gli altri ospiti, quasi fosse imbarazzato per quel silenzio.
«So, signor Kishibe, che portate con voi alcuni elementi interessanti – sussurrò la padrona di casa, senza guardarli, contemplando le scintille – sono i vostri accompagnatori?». Girò appena il capo, il volto nascosto dai lunghi capelli neri che le ricadevano morbidamente sulle spalline bianche del vestito. Un fulmine squarciò la piovosa notte ottobrina, le ombre degli alberi spogli si allungarono come figure scheletriche nella stanza scarsamente illuminata. Il gatto miagolò infastidito, agitando la lunga coda. «Immagino che sia così – disse la giovane con un sospiro, alzandosi in piedi e voltandosi verso di loro, aggirando la poltrona – allora lasciate che vi dia il benvenuto nella mia dimora».
Kishibe si tolse il cilindro, chinando il capo così com’era usanza in Inghilterra e si fece da parte, mostrando con un gesto teatrale del braccio i suoi accompagnatori. I grandi, verdi occhi della ragazza indugiarono su ciascuna delle figure mal assortite che aveva davanti. Portava neri guanti in pizzo lunghi sino ai gomiti, una veste che univa la seta al cuoio e stivaletti dai tacchi medi, insieme a calze a righe nere e bianche che sparivano oltre l’orlo inferiore della gonna. Un altro fulmine, un altro boato e la sua ombra venne proiettata sulla parete davanti a lei. «Vi ringrazio per ciò che avete fatto per mio padre, spero che, così come si augurava lui, possiate mettervi al mio servizio come sua unica erede».
Un ragazzo dai capelli neri con una spada al fianco, una ragazza alta, bella e dai lineamenti aristocratici dai lunghi capelli rossi trattenuti in una retina tempestata di piccoli preziosi e un altro, sicuramente un mozzo a giudicare dal suo aspetto meno curato, più lasciato al caso, si potrebbe dire. Li osservò tutti con un’espressione imperscrutabile prima di guardare la figura che se ne stava in un angolo, rannicchiata, con la testa coperta da un ampio cappello a tesa larga. «Ah lei- disse Kishibe in tono di scuse, grattandosi la nuca – lei ha avuto un…incidente come voi signorina, non sopporta i fulmini» aggiunse in un sussurro. Alice annuì impercettibilmente prima di tornare a guardare il gruppo.
«Sapete perché siamo qui allora – sentenziò, camminando verso il camino con passi aggraziati, facendo ondeggiare le lunghe ciocche corvine – mio padre è stato ucciso assieme a mia madre…a mia sorella Lizzy perché aveva scoperto qualcosa – si voltò a guardarli, sollevando un piccolo orologio da taschino – qualcosa sta nutrendosi di Londra, qualcosa di malvagio e innominabile» porse l’orologio a Kishibe, camminando sino al capo opposto della stanza e dal grande armadio accostato alla parete trasse una scatola di mogano istoriata d’argento e, sollevandone il coperchio, mostrò loro cosa conteneva.
«Era tornato da uno dei suoi viaggi nell’America del Sud con questo pugnale, pochi giorni dopo c’è stato l’incendio. È tutto ciò che si è salvato in quella notte». Ripose la scatola, puntando lo sguardo, come per istinto, sulla giovane dai capelli rossi mentre nessuno osava parlare. «Di qualsiasi cosa si tratti, devo scoprirla e fermarla, se mio padre ha messo in gioco le nostre vite, doveva essere collegato con quanto sta succedendo alla città. Per questo ho mandato quell’invito…ho bisogno dei vostri servizi».
La pioggia colpì le tegole del tetto, l’acqua picchiettò con violenti scrosci contro le finestre e le gargolle, gli alberi si piegarono alla furia del temporale. Kishibe restò in silenzio, ma come fece per aprire bocca, la ragazza dai capelli rossi avanzò sui tacchetti nascosti dall’ampia gonna nera, tenendo la maschera da volpe con la mano sinistra e si fermò davanti alla padrona di casa, più minuta eppure…eppure pareva fosse proprio lei a dominare la scena, in un qualche modo. «Kishibe è il membro più anziano, ma sono stata io a riunire queste persone su richiesta di vostro padre…e potete considerarci al vostro servizio» sussurrò inchinandosi appena, prendendole la mano velata dai ricami di pizzo e sfiorandone il dorso con le labbra. Per un attimo gli occhi verdi di Alice e quelli gialli, lucenti della donna s’incrociarono, poi questa fece un passo indietro.
«In definitiva, Lady Liddell – disse Kishibe chinando il capo assieme agli altri della delegazione, tenendo rispettosamente lo sguardo basso – aspettiamo solo il vostro ordine».
 
1 – Arrivo a Badrick
 
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Londra era immersa nel candore dell’inverno. Le strade tinteggiate di bianco dalle nevicate, i tetti come picchi innevati e il Tamigi ricoperto da lastre di ghiaccio che galleggiavano e scivolavano, come zattere alla deriva. Alice osservava la sua città e il fumo tetro delle ciminiere coprire tutto di grigio e nero, spandendo la fuliggine sulla città dal finestrino in vetro della sua carrozza. Le ruote disegnavano solchi nel manto nevoso e i cavalli avanzavano ad un elegante trotto. Seduta davanti a lei, in abiti meno consoni ai ricevimenti e più adatti alla caccia, Makima la osservava da sotto il cappello a tesa larga, ondulato, il corpo avvolto da braghe di pelle e farsetto di cuoio.
«Un intero villaggio scomparso nel nulla – stava dicendo Alice, guardando Londra scorrergli davanti agli occhi – tutta Badrick. Scotland Yard ha mandato degli uomini a perlustrare la zona, ma nessuno di loro ha fatto rapporto…e sono passati già dieci giorni! Cosa aspettavano a rivolgersi all’Istituto?» sbottò con stizza, soffiando infastidita fra i denti. Era passato un anno dalla fondazione dell’Istituto Liddell, per la Caccia delle Creature Sovrannaturali e pure dopo tanto tempo, nonostante le incursioni sempre maggiori dei demoni nella capitale inglese, fin troppi pensavano ad una grande baracconata messa in scena da un’eccentrica ereditiera.
«Sono sfide comuni, Signorina Liddell – disse Makima sistemandosi la treccia cremisi su una spalla, accavallando le gambe nei pantaloni maschili – gli umani preferiscono negare le verità scomode e credere che gli unici mostri siano quelli sotto al letto, da bambini. Ma sappiamo entrambe che sono reali…» e si sporse in avanti, levandosi il cappello e sollevando la rete nera che le ricadeva davanti agli occhi, esibendone il giallo intenso e i sottili, neri cerchi concentrici. «I demoni e gli umani hanno molte cose in comune…solo che i primi non piangono». Alice la osservò con la coda dell’occhio, poggiando il mento contro il palmo e portando l’attenzione sugli edifici altri e stretti della capitale inglese.
La campagna circondò infine la carrozza, le colline si sollevavano e calavano armoniose, le strade ne attraversavano la vegetazione ora fitta e ora rada e un cielo viola e cupo giungeva da settentrione, portando l’odore della pioggia. L’ereditiera chiuse le tendine a quella vista; da qualche tempo sembrava che le tempeste si fossero stabilite sopra i cieli della nazione, che le ciminiere alimentassero il male che viveva nella città e che le sparizioni e le morti nutrissero qualcosa, anche se non direttamente. Suo padre aveva scoperto qualcosa, una pista e per questo aveva pagato…Alice aveva paura, ma non per questo avrebbe ordinato di tornare a Liddell’s Manor. Se per scoprire la verità avrebbe dovuto dannarsi l’anima…lo avrebbe fatto.
Giunsero in vista di Bradley’s Hill sul fare del primo pomeriggio, quando ormai le nuvole erano basse e l’aria si era fatta gelida. La vecchia casa del sindaco era circondata dagli agenti della polizia di Scotland Yard, i tre camini soffiavano fumo verso l’alto e il tetto era appesantito dalla neve. La forma a “L” della struttura seguiva il perimetro dell’alta muratura nella quale si apriva il cancello in ferro battuto, dalle sbarre diritte come lance. La carrozza girò attorno alla casa in mattoni e marmo, seguendo la curva della strada sino a portarsi sul lato rivolto a nord e risalì il versante, dando le spalle alla cittadina di Badrick, nella valle davanti alla magione.
Il signor Bradley era l’unico abitante ancora presente all’arrivo della polizia, li aveva accolti in casa sua, lasciando che la trasformassero nel loro centro operativo e si era ritirato nelle sue stanze, affermando che non desiderasse uscirne fino a quando non sarebbe stata risolta quella sinistra faccenda. Ma il caposquadra inviato sul posto, il giovane Henry Carr aveva solo perso uomini dal suo arrivo e alla fine, era stato deciso di mandare un telegrafo all’Istituto Liddell, richiedendone quanto meno la consulenza. Ed ecco quindi che due agenti di guardia al cancello, con i moschetti ad avancarica assicurati attorno alla spalla sinistra con una cinghia bianca e avvolti da un pesante palafreno scattare sull’attenti e aprire il cancello non appena la carrozza si fermò sul piazzale davanti alla recinzione.
Uno degli uomini di guardia le aprì la portiera, chinando rispettosamente il capo. «Lady Liddell, grazie per essere arrivata con un così scarso preavviso…il caposquadra vuole che sappia che fosse stato per lui l’avremmo chiamata subito, ma il commissario si è opposto fermamente, sino a ieri sera». La ragazza si limitò ad annuire, raccogliendo le mani sul grembo e scese dalla carrozza a testa alta. Teneva i lunghi capelli neri raccolti sulla nuca, con un elegante abito nero, dalle striature verdi e dorate, con un farsetto stretto attorno alla vita. Ci fu un tuono, poi iniziò a piovere con forza. Alice fece un cenno a Makima di seguirla e la donna aprì un grazioso ombrello nero, coprendo sé stessa e la sua signora, avanzando lungo il viale d’ingresso sino alla grande veranda coperta.
«Chi è questo giovane zelante? – chiese la giovane, seguendo l’uomo nell’atrio, ampio e asciutto, osservando il mobilio essenziale ma ben disposto dell’ingresso – e perché non gli è stata data licenza di chiamarci subito? Un intero paese sparisce nel nulla e voi…voi non avete l’accortezza di pensare a nulla di strano. Come se l’ultimo anno non fosse che una favola per bambini».
«Il signorino Scrhödinger è stato da subito convinto dell’innaturalità della cosa ma temo che, a Londra, i piani alti preferiscano non ammettere che lupi mannari e vampiri possano minacciare la popolazione». L’imbarazzo nel tono di voce di quell’agente era lampante e Alice non infierì oltre, nonostante l’astio le covasse dentro. Seguita dalla sua accompagnatrice venne condotta al piano superiore, dove le scale portavano ad una grande sala con dei tavoli da gioco al centro e un grande camino incassato nella parete; attorno ad un altro tavolo, invece, gli agenti della polizia formavano una piccola folla, discorrendo su quella che pareva essere una mappa della cittadina.
«Lady Liddell – la voce, allegra, giovane di uno degli uomini si levò non appena i suoi tacchi risuonarono sul pavimento in legno – perdonatemi se vi ho fatta accorrere qui in una simile giornata ma veramente, ho il terrore che la cosa mi sia sfuggita al nostro controllo». A parlare era stato un ragazzo poco più alto di lei, neanche un metro e settanta, con capelli biondi e grandi occhi…viola? Dietro di lei poté distintamente percepire Makima irrigidirsi appena. Inclinò al testa da un lato, vedendolo avvicinarsi e le porse la mano, che il ragazzo sfiorò con le labbra. «Incantato Milady, incantato da voi e dalla vostra accompagnatrice, immagino che siate…».
«Makima, giunta dal Giappone per aiutare la giovane Liddell» disse lei, con un luccichio negli occhi, inchinandosi e sollevando appena la gonna stringendone due le dita. E accadde allora qualcosa di strano, come se un’aura si scontrasse con un’altra e gli uomini presenti arrossirono davanti alla grazia della fanciulla dai capelli rossi, così in contrasto con la bellezza gotica e malinconica che traspariva dalla giovane ereditiera.
«Vi prego di illustrarmi la situazione, potrebbe essere ben peggiore di quanto possiate immaginare» disse Alice, anticipandolo al tavolo; la sua presenza mise a disagio uomini ben più anziani e grossi di lei che si fecero da parte, borbottando delle scuse, urtandosi con i piedi e scuotendo il capo, passandosi le mani sui baffi. La donna si mise diligentemente alla sua destra, appena più indietro mentre Scrhödinger si portò alla sua sinistra, avvolto nella divisa d’ordinanza e il lungo cappotto, con le mani guantate. «Questa è Badrick giusto? – interrogò Alice, piegandosi in avanti, poggiando le palme al tavolo – l’avete tracciata voi dopo averla esplorata?».
«Ogni magazzino, granaio, casa, bottega, ufficio postale, macelleria, sartoria e raffineria; è semplicemente deserta, senza segni di scontro, danni alle proprietà o alcun cadavere. Però qualcosa Deve esserci, abbiamo perso venti degli uomini mandati a cercare anche nelle zone limitrofe…volatilizzati loro e i cani» ammise con un sorriso imbarazzato. Makima emise uno sbuffo di risa, sollevando il mento sprezzante e la ragazza condivise il suo divertimento, sfiorandosi le labbra con le dita.
«C’è una chiesa, immagino» sussurrò rivolgendosi al caposquadra e questi annuì, indicandole una costruzione al centro esatto delle linee tracciate.
«Deserta, ovviamente, e l’accesso alle cripte e sigillato da secoli, anche li non abbiamo trovato niente».
«Avete notato un dettaglio? Anche il più insignificante che possa renderlo solo sconsacrato?».
A quella domanda gli agenti si guardarono confusi, non sapendo bene come rispondere. Scrhödinger si mise diritto col busto, intrecciando le braccia all’altezza del petto. Per qualche attimo, Alice guardò tuti loro, poi diede le spalle al tavolo e si avvicinò al camino, togliendosi i lunghi guanti e li pose sulla mensola sopra alla bocca fiammeggiante, riscaldandosi le palme delle mani. «Signori, se intendete avere il mio aiuto vi pregherei di prendere la situazione con la massima serietà. Potrebbe essere successo qualcosa di terribile a quelle persone quindi lasciate che io ve lo chieda nuovamente: avete notato qualche dettaglio che non avrebbe dovuto esserci?».
 
2 – Un Paese Fantasma
 
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Qualche corvo gracchiava in cima ai tetti, i loro occhi neri seguivano il gruppo di persone che si era inoltrato nel villaggio, tenendo le lanterne sollevate davanti a sé per rischiarare la lattiginosa foschia che si era levata. Le spirali bianche scivolavano fra i loro piedi, strisciavano sulle pareti delle case, s’insinuavano negli spifferi, rendendo i cani inquieti. Il vento soffiava e le ultime gocce di pioggia cadevano dalle grondaie in lamiera. Le strade ora selciate e ora sterrate s’intersecavano precise e allegre fontane abbellivano qualche piazza, facendo sollevare l’acqua verso l’alto per poi ricadere nella vasca dalla quale si sollevavano i cigni o le carpe.
«Mette i brividi, siete sicure di voler andare di persona?». Scrhödinger camminava accanto a Makima, la signorina Liddell invece avanzava in mezzo agli agenti con le lanterne, spaziando con gli occhi tutto attorno. La sua figura si fondeva in maniera sinistra e allo stesso armoniosa con la cittadina fantasma, con i suoi suoni mancanti, le voci silenziosi e le risate assenti. Alice si voltò un attimo a guardarlo, i suoi grandi occhi verdi ammiccarono ma non rispose, penetrando fra le strade del paese. Ad ogni angolo, ad ogni vicolo si percepiva l’innaturale assenza di esseri umani, soprattutto per quella serie di oggetti che erano stati abbandonati in mezzo alle strade come se i loro proprietari fossero scomparsi durante le naturali attività quotidiane.
Con un sinistro, lugubre cigolio, Alice aprì la porta di una delle case, basse e col tetto in legno, si fece dare una delle lanterne e si addentrò, guardandosi attorno. I cani guairono e si rifiutarono di seguire gli agenti e solo Makima le tenne dietro, armeggiando con i guanti in pelle. «Stavano per mangiare – sussurrò Liddell indicandole il tavolo apparecchiato col cibo dimora di larve di mosche e le file di formiche che andavano e venivano dai piatti – e stavano scaldando lo stufato sul fuoco» aggiunse avvicinandosi al focolare, sollevando il coperchio della cuccuma e mostrandone il rancido contenuto. Scrhödinger ispezionò l’altro ambiente, una grande stanza divisa da una sottile parete, con grandi ragnatele che andavano da un angolo all’altro: gli occhi dei ragni luccicarono nel guardare gli improvvisi ospiti.
«Vi siete già imbattute in fenomeni simili?» chiese con un brivido gelido lungo la schiena, indeciso se nel volere davvero una risposta.
«In America, mi ha raccontato mio padre, un’intera colonia è scomparsa da un giorno all’altro. Nella Vecchia Europa, soprattutto in Romania, non è raro che comunità isolate si perdano fra le montagne…e in America del Sud – aggiunse con una voce gelida, che non le apparteneva – le popolazioni di negri venerano qualcosa di sinistro, pregando a queste entità di strappare i bianchi dai loro letti». Si voltò a guardarlo. Uno dei cani iniziò ad abbagliare impazzito e presto tutti latrarono e ringhiarono. I poliziotti bestemmiarono tentando di tenerli al guinzaglio ma quelli sì agitarono forsennati e, liberatisi, si lanciarono in mezzo alle case, sbavanti.
«Non seguiteli – esclamò Makima, fermando gli uomini sul posto, uscendo in strada, calcandosi il cappello in testa – sono già morti» disse con freddezza e, un attimo dopo, come se le sue parole fossero state una profezia, si levarono i guaiti dei cani, stria di dolore, il rumore della carne lacerata e poi…il silenzio. Una cappa gelida di silenzio scese su Badrick, facendo scorrere sudore freddo sulla schiena dei poliziotti e un vento sibilante, crudele soffiò, ululando con la voce dei fantasmi. Le armi tremarono nelle loro mani e Alice, uscita dalla casa abbandonata, scrutò il villaggio che li circondava. «signorina Liddell, dovremmo andarcene» disse Makima e lei annuì.
«Si…non perdiamoci e tenete sollevate le lanterne. Caposquadra, farebbe meglio a stare vicino a noi». Scrhödinger annuì più felice di andarsene da Badrick di quanto fosse disposto ad ammettere e restando accanto alla ragazza, camminò circondato dai suoi uomini che si guardavano attorno, tremanti come foglie d’autunno, sul punto di staccarsi dagli alberi. Le case e le botteghe scorrevano con lentezza davanti a loro, ancora e ancora, svolta dopo svolta e dopo un lungo camminare, con l’ennesimo incrocio, si ritrovarono sul punto di partenza. Ebbero una vertigine, la cittadina sembrò inclinarsi da una parte e sentirono…un respiro. Un respiro profondo e vasto che giungeva direttamente dalle pareti, dalle finestre, dai tetti.
«Cosa sta succedendo davvero?» il caposquadra afferrò un polso di Alice, costringendola a guardarlo e un secondo dopo percepì un tocco gelido dietro la nuca e due lucenti occhi gialli fissarlo con un’inconfondibile voglia omicida. Makima teneva due dita poggiate contro la sua pelle, gli agenti, instupiditi, levarono le canne delle armi contro di lei, facendo scattare il colpo in canna e con le dite che tremavano, sfiorarono i grilletti. Liddell sospirò, facendo cenno alla donna di abbassare la mano e sollevò lo sguardo al cielo dalle nuvole viola   e nere, sempre più basse e pesanti sulla campagna.
«Il villaggio è stato maledetto, Signor Scrhödinger – disse – e chiunque vi entri, pare, sia costretto a vagare in un cerchio perpetuo sino a perdersi…o impazzire». Si guardarono per un attimo, poi il poliziotto gemette, passandosi una mano sulla faccia. Era come avere decine di occhi puntati addosso, occhi sgranati e folli, occhi di carne che si spalancavano nella nebbia e li fissavano avidamente, occhi dai quali grondavano umori, umori umani. Si portò una mano alla bocca, sconvolto dalla visione e si piegò sulle ginocchia, rimettendo la colazione, attraversato da un altro conato. Si tenne lo stomaco, passandosi il dorso della mano sulla bocca, disgustato dal sapore che aveva in bocca.
«Sta già iniziando vero? – chiese Alice mettendogli una mano sulla spalla, osservando il pallore cadaverico sul suo volto – allora dobbiamo trovare il modo di andarcene, ma non per la strada dalla quale siamo venuti, il villaggio sa come siamo entrati…se vogliamo uccidere la bestia, l’unico modo di farlo quando si viene inghiottiti e colpirla al cuore». Scrhödinger ebbe un sussulto quando comprese di cosa stesse parlando e Makima annuì al suo sguardo interrogativo, sistemandosi i guanti e gettando un’occhiata sarcastica alle armi nelle mani degli agenti di Scotland Yard. Lodevole che avessero prontamente risposto, ma nel momento stesso in cui lo avevano fatto, lei aveva avuto la loro vita nelle proprie mani…dovevano ringraziare la signorina se erano ancora, pateticamente, in vita.  
«Allora immagino che dobbiamo andare alla chiesa – sussurrò pallido il caposquadra, sforzandosi di non tremare e con una piccola risata isterica – ma sul serio, quale…creatura ha un potere del genere?».
«È quello che siamo venute a scoprire, caposquadra. In un anno è la pima volta che mi imbatto in un simile fenomeno, qualsiasi sia il nostro nemico deve esistere…in più di un piano dell’esistenza» e scosse il capo al suo sguardo confuso, scostandosi una ciocca di capelli dall’orecchio sinistro. «Muoviamoci, se non troviamo la creatura prima che faccia dubbio, potremo considerarci tutti…smarriti».
«O almeno voi e i suoi uomini» aggiunse apatica Makima, tenendo il mento alto, seguendo la sua padrona per il nuovo cammino, mentre la nebbia si alzava, si alzava tutto attorno a loro.
 
3 – La Chiesa Sconsacrata
 
La costruzione si ergeva nella piazza centrale del villaggio con un senso di trionfo. Il campanile culminava con una guglia dal gusto gotico, le vetrate ogivali rappresentavano dei santi che piangevano, stringendo delle figure sanguinanti e con il cerchio dorato attorno al capo, le vesti lacere. La nebbia avvolgeva la chiesa a tre navate come un guanto, sollevandosi dal suolo fangoso e umido, contraendosi e spandendosi come fosse il frutto di un respiro. Erano arrivati senza perdersi, la strada era parsa diritta davanti a loro, come se la stessa Badrick indicasse la via giusta da percorrere. «Voleva Noi signorina – disse Makima, tenendo le braccia lungo i fianchi – per questo non potevamo uscire, ma niente ci ha attaccato mentre ci avvicinavamo».
«Cosa vorrebbe dire, cos’ha a che fare questo con lei?» Scrhödinger apparve confuso, fissava il rosone al di sopra dell’alto portone d’accesso i cui battenti in legno erano dischiusi appena. Un alone pallido usciva dalle navate verso l’esterno, curvandosi in maniera…blasfema, contro natura. Tutto, in quel luogo, urlava che tutto era sbagliato, senza senso, violando, anzi, violentando l’operato di Dio. Alice fece un passo in avanti e chiuse gli occhi, distendendo le braccia lungo i fianchi e restò così per qualche tempo mentre gli altri le si stringevano attorno. «Milady…milady cosa sta facendo? Dobbiamo entrare o no?» ma prima che il caposquadra avesse tempo di toccarla, Makima gli colpì la mano, portandosi un indice alle labbra.
Alla fine, la ragazza sgranò gli occhi, incespicando all’indietro e cadendo fra le braccia di Makima, col fiato corto. «C’è qualcosa di terribile qui…qualcosa di davvero terribile» rincarò guardando gli occhi gialli della donna. Questa sollevò lo sguardo sulla chiesa e inclinò la testa, facendo ricadere la treccia da una parte e annuì silenziosamente. «Andiamo – disse Alice, sudando freddo, stringendosi fra le braccia – io la farò uscire…voi abbattetela» sussurrò con un filo di voce, avanzando e ondeggiando ora sulla destra e ora sulla sinistra, come se tentasse di tenere l’equilibrio sul ponte di una nave in balia di una violenta mareggiata.
Salì incerta gli scalini, fermandosi davanti ai battenti e con sospiro vi poggiò le mani, stringendo i denti e spostandoli in avanti. «Al diavolo» borbottò il caposquadra avanzando quasi di corsa, avendo paura di tornare sui propri passi in ogni momento e le si affiancò, aiutandola a spalancare il portone, solo per essere investiti da un miasma di morte putrescente. Gli uomini si fecero avanti spianando le armi da fuoco e Makima sollevò una delle lanterne, seguendo la sua padrona all’interno della chiesa. «È molto più grande di quanto non appaia…e questo odore, da dove viene? Non ci sono cadaveri qui?» sussurrò Scrhödinger ma Alice, a sorpresa gli strinse un gomito, piantando gli occhi verdi in quelli vila di lui.
«Sono tutti qui…tutti sopra di noi e volteggiano nel cielo della bestia» spiegò con un tono di voce meccanico lasciandolo andare. Il gruppo avanzò a ventaglio fra le alte colonne nere, fra le panche disposte in quattro file davanti all’altare…dal crocefisso rovesciato. L’immagine del cristo era stata rimossa…anzi, non era esatto: il simulacro giaceva spezzato in tre parti dietro all’altare, con la testa inchiodata ad una delle travi di sostegno del tetto. «Li sta guardando – sussurrò Alice indicandolo tremante – sta guardando coloro che la Bestia ha dannato…ma la bestia non può esser giunta qui di sua sponte…è stata evocata attraverso le preghiere».
Gli uomini si guardarono inquieti, Scrhödinger portò mano si mosse adagio fra le panche, osservando le ragnatele tese fra le assi e passò un amano su una di esse, osservando la polvere che si sollevava a quel movimento. «Nessuno entra in questa chiesa da settimane – asserì battendo le palme guantate fra loro – era abbandonata da prima che tutti sparissero».
«Perché hanno trovato un altro culto – spiegò Makima a bassa voce, senza staccare gli occhi di dosso dalla figura di Alice – qualcuno è giunto a Badrick, offrendo loro qualcos’altro in cui credere…le preghiere di voi umani sono potenti- aggiunse con un mezzo sorriso sardonico – voi lo ignorate ma alle volte, qualcuno ascolta e risponde…ma chi o che cosa davvero? Pregate senza sapere questa risposta, non c’è da stupirsi se accadono tante cose strane al mondo» e passò oltre, frusciando leggermente portandosi accanto alla sua padrona e mettendole una mano sulla spalla destra. «Potete richiamarla?».
«Si…ma potrebbero morire tutti» sussurrò in risposta.
«Non abbiamo scelta, solo voi potete accedere al suo piano…ma da sola non vi faccio andare. Richiamatela» e si fece indietro. «Caposquadra, allontanatevi» ordinò secca e il giovane, deglutendo a vuoto, fece cenno ai suoi di avvicinarsi all’ingresso. Ci fu uno scintillio metallico, una lama bianca, dagli intarsi in argento apparve nella mano sinistra di Alice e con uno scatto, il pugnale le recise le vene del polso, il sangue sgorgò a terra e la ragazza si chinò sulle ginocchia, tracciando un intricato simbolo di glifi, cerchi e punte, sussurrando una preghiera blasfema con una voce che gli raggelò il sangue nelle vene.
«Cosa sta facendo?» si azzardò a chiedere, percependo la tenzione che saliva e saliva assieme alla nebbia che, alle loro spalle, si levò come una parete davanti all’arco d’ingresso. Le vetrate divennero invisibili, come dietro ad un velo scuro e la debole luce che filtrava dall’esterno si estinse. Gli uomini rumoreggiarono, stringendosi spalla a spalla, sudando freddo e agitandosi nervosi; la loro sanità mentale era appesa ad un filo e il caposquadra si sentiva al medesimo modo mentre il mondo ondeggiava attorno a lui, piegandosi e sibilando e sempre un numero maggior di aprivano, occhi che perdevano liquido amniotico, occhi che si gonfiavano come ventri gravidi, facendo cadere esseri umani piangenti, senza volto e che pure strillavano, agitando le braccia deformi. «Cosa sta facendo, si può sapere?» gridò, lottando per trattenere i nuovi conati.
Ma in quel momento, uno stridio spettrale, acuto e selvaggio fece tremare la chiesa. Alice venne scaraventata all’indietro da un’esplosione oscura e Makima saltò, prendendola fra le braccia e atterrando in piedi su una delle panchine. «Ecco cosa ha fatto…l’ha fatta comparire qui affinché possa essere uccisa!» urlò. Le tenebre ruggirono, pulsarono ed esplosero verso il soffitto, diramandosi in ogni direzione mentre un bagliore sanguigno pulsò li dove un attimo prima era stato disegnato il cerchio di sangue. «Ammirate – urlò la donna – uno dei seguaci delle intelligenze all’opera in questa nazione…uno dei loro preti…un Chierico Belva!». Una massa di muscoli, arti e corna squarciò il pavimento, atterrando sugli arti inferiori, spalancando l’orrida bocca ferina ricoperta di sangue e ruggendo, sollevando con la sola potenza della voce, le panche che andarono a schiantarsi contro il muro alle loro spalle.
«A…aprite il fuoco dannazione, siamo venuti qui per questo!» urlò Scrhödinger, ma i poliziotti fissavano l’orrida bestia emersa dagli abissi, col suo abnorme arto destro ricoperto da un manto sudicio, le grinfie contorte in artigli e un palco di contorte corna in cima alla sua testa, orrendamente simile ad un teschio. Gli occhi mandarono lampi malevoli e quando si mosse, tutti loro si portarono la canna alla bocca e fecero fuoco, facendosi esplodere la testa. Trionfante, la bestia urlò, lanciandosi contro coloro che erano rimasti.
 
4 - Il Chierico Belva
 
[https://youtu.be/ICSk8-pJkX8]

 
Le esplosioni dei fucili si sollevarono nel medesimo istante, il piombo schizzò con ferocia fuori dalla canna, squarciando i loro crani, le cervella e il sangue schizzarono verso l’alto e il mondo, per Scrhödinger, andò al rallentatore. Vide i suoi uomini, due dozzine, cadere pesantemente a terra, flaccidi sacchi senza vita, sentì la sua mente cedere davanti all’orrore che contemplava e cadde in avanti, sulle ginocchia, rimettendo la bile; colse di sfuggita Makima che saltava, tenendo Alice fra le braccia per evitare un colpo della mostruosa zampa della bestia che scavò un cratere lì dove si trovava un attimo prima. Leggiadra, danzando, la donna cadde sulle gambe accanto a lui, deponendo la fanciulla, senza sensi, a terra.
«Ora tocca a me ragazzino…tienila in vita, o sarò io a divorare la tua anima» e senza attendere una sua risposta, camminò in mezzo alla navata, portandosi una mano al cappello e lasciandolo cadere alle sue spalle, portando un piede davanti all’altro, taccheggiando sul pavimento di legno che tremava sotto la carica della creatura. «I cani come te, che ubbidiscono a comando, dovrebbero sinceramente riconsiderare la loro posizione in questo mondo» disse annoiata, sollevando la mano destra, puntando in avanti l’indice e il medio, facendo schioccare la lingua contro il palato. Ci fu un boato, Scrhödinger strinse d’istinto Alice al suo petto, indietreggiando sulle ginocchia e levò lo sguardo.
Il Chierico Belva era stato scaraventato contro il coro, l’altare aveva ceduto di schianto e la polvere si levava verso l’alto per poi poggiarsi, oscillando, al suolo. Makima avanzò con una mano sul fianco, tenendo quella destra puntata in avanti, gli occhi mandavano un bagliore sinistro, ma più che rabbia esprimevano disgusto. L’orrore ruggì, compì un balzo dalla sua posizione, sprizzando icore nero e gorgogliante da una profonda ferita al torace, dal quale sgorgava il suo orrido sangue e calò contro la donna, facendo schioccare i denti. La rossa stette dov’era, muovendo veloce le dita della mano testa e ci fu un’altra esplosione.
Una delle pareti cedette di schianto, la massa vi rotolò attraverso, abbattendo le colonne e schiantandosi all’esterno, circondata da massi e detriti. I vetri si sparsero come fiori scintillanti e con un fragoroso tuono, iniziò a piovere su Badrick. La Bestia si riebbe, sollevandosi sui contorti arti inferiori e sollevò la testa al cielo, inarcando il collo e stridette furiosa. Makima si massaggiò il collo, dando un calcio ad un laterizio e uscì sotto la pioggia, fronteggiando quell’incubo incarnato. «Inutile che ti lamenti…finché non sarà la mia signora a permettertelo, tu sei bloccato qui, con me». Il Chierico si lanciò nuovamente all’assalto, muovendo i due arti superiori come fosse un primate, sollevando ghiacciati schizzi di fango al suo passaggio. La donna restò a guardare, sollevando appena un angolo della bocca e appena l’essere fu a portata, si mosse.
Si portò entro la sua guardia con un solo passo, sollevando la mano destra e contrasse le dita verso il palmo, schiantandole contro il ventre scheletrico e strappandole ogni respiro, fermandone la carica e lasciandola boccheggiante. Quella tentò di indietreggiare, levò il capo e lo abbassò cercando di travolgerla con le corna ma Makima fu più rapida, schivando con una piroetta sulla punta dei piedi, danzando sul posto e calò una mano in mezzo agli occhi della Bestia, bloccandola a terra aumentando la pressione esercitata dal palmo della sua mano, facendole mangiare il fango e l’acqua stagnante che circondava la chiesa. «Ora sei più nel tuo elemento cagnolino, abbaia, abbaia pure se riesci». E la creatura impuntò gli arti a terra, sforzandosi di rialzarsi, di scaraventarla in alto ma ogni suo movimento sembrava bloccato, era come se una forza immensamente superiore pesasse su ogni fibra del suo corpo, bloccandola contro il suolo.
«Non tentare di capire – sussurrò Makima quasi con dolcezza ai suoi padiglioni auricolari – questo mondo è pieno di cose e fenomeni che neanche io comprendo appieno» e, stringendo la presa attorno alle sue corna, le torse il collo con forza, spezzandolo con un vomitevole suono di qualcosa che si rompeva, amplificato dai muscoli che si rilassavano e gli occhi che si giravano nelle orbite. La massa corporea si afflosciò senza vita e appena Makima fece qualche passo indietro, scomparve in un alone tetro che venne assorbito dalla terra quando decine di contorte mani dalle lunghe e scheletriche braccia uscirono dal fango, trascinandola negli abissi dai quali era stata evocata.
«È finita? Lo hai ucciso…così?» Scrhödinger uscì dalla chiesa tenendo Alice con un braccio attorno alle spalle; la giovane Liddell incespicava incerta sulla punta dei piedi e osservò pallida in volto il punto in cui il Chierico Belva era scomparso, scuotendo il capo.
«Era solo un servitore, evocato dalle preghiere…probabilmente aveva assunto forma umana per confondersi fra la popolazione ma rispondeva ad un potere superiore» e si buttò in ginocchio in mezzo al fango, immergendovi le mani e rovistando in mezzo alle pozzanghere, facendo scorrere i liquami fra le dita. «Makima, aiutami a cercarlo. Il Chierico è stato a sua volta chiamato qui, deve esserci il catalizzatore da qualche parte» ma mentre proferiva le ultime parole, con i polpastrelli incontrò una superfice metallica, fredda al tatto e sollevò davanti ai suoi occhi una chiave in bronzo, antica e pesante, attaccata ad una catenella in argento divorata dalla ruggine. La fece ondeggiare davanti agli occhi al pari di un pendolo e si tirò su, lanciandola a Makima. «Stesso materiale e collanina dell’orologio trovato da mio padre…chiunque sia dietro a questi attacchi viene dall’America del Sud».
«La pista di vostro padre era valida signorina – annuì la donna analizzando la chiave – la domanda è chi può averlo seguito sin qui dal Nuovo Mondo…e perché abbia atteso un anno prima di farsi vivo. Sapeva che se il chierico fosse morto avrebbe lasciato questa, e questa è una pista per trovarlo…».
«Ci sta lasciando apposta dei frammenti, una pista da farci seguire. Vuole giocare con me» sbottò alla fine stringendo con forza i pugni, singhiozzando «Ancora gioca, mi osserva e mi studia…lurida canaglia…bastardo senza cuore». Cadde sulle ginocchia, stringendosi negli avambracci, singhiozzando con forza; si udì un tuono, poi un altro e in breve, la pioggia tornò a bagnare il villaggio, rumoreggiando vivacemente tutto attorno a loro. Ancora scosso, Scrhödinger le si avvicinò adagio, togliendosi il cappotto e glielo poggiò sulle spalle con cura, aiutandola ad alzarsi. Non disse nulla, ma assieme a Makima la accompagnarono fuori dal villaggio che, liberato dalla presenza dell’orrore, perse la propria maligna coscienza, lasciandoli liberi.
«Non è finita vero?» chiese, ma né Alice né tanto meno l’altra donna gli risposero e questo bastò per fargli capire che nulla era finito e che anzi, forse per l’Inghilterra quello sarebbe stato l’inizio di qualcosa di terribile, un incubo dal quale forse, nessuno di loro, sarebbe mai riuscito a svegliarli.
 
5 – L’Istituto Liddell
 
Il quartiere di Whitechapel era sporco, malfamato, un nido di ratti, di parassiti e tagliagole; i postriboli si affacciavano sulle sue strade inzaccherate, con i poliziotti che pestavano a sangue i piccoli criminali e gli orfani che trovavano riparo e calore accostandosi alle pareti di qualche fornace. I suoi tetti erano smorti e spogli, i gatti si muovevano ai margini della strada e nella via del mercato l’olezzo del pesce rendeva l’aria irrespirabile. Eppure era nel mezzo di quel quartiere covo di alcolizzati e puttane che era stato costruito l’Istituto Liddell. Si trovava davanti all’arco d’acceso al Whitechapel’s Market.
Era facile distinguerlo dagli altri sudici edifici con i quali condivideva la via; la facciata era stata pitturata di fresco, le lastre di vetro alle finestre apparivano linde e la luce del sole invernale si tuffava fra le stanze dei suoi disgraziati ospiti, sfumando appena col pulviscolo presente nell’aria. Era stato costruito da un antenato di Alice Liddell e lei aveva sempre viso suo padre prendersene cura assieme agli orfani che ospitava e ora che lei stessa condivideva quella condizione, comprendeva davvero cosa volesse dire avere ancora un luogo da chiamare “casa”.
Ma l’Istituto non era solo un orfanatrofio amorevole, anzi, a onor del vero, quella era la facciata. Neanche i bambini che vi trovavano rifugio sospettavano ciò che si celava oltre la cantina con le salsicce, i formaggi, le botti d’acqua e le numerose casse. La verità è che bastava tirare un candeliere in ferro battuto fissato ad una delle umide pareti per far scorrere verso destra una porta mimetizzata nella parete e poi scendere qualche scala per trovarsi in un ambiente del tutto differente. Nella grande stanza sotto all’orfanatrofio difatti si nascondeva un tesoro di grimori, armi, libri e macchinari che la famiglia Liddell raccoglieva da generazioni.
In barattoli riposavano braccia di lupi mannari, teste di vampiri in mistura d’argento, occhi di gorgone e in ogni creatura era incisa la medesima runa: una linea verticale con l’aggiunta di altre due tracciate lateralmente, prima verso l’esterno e poi verso l’interno, con un punto alla base del disegno. Kishibe stesso aveva investigato in quell’anno su quel sigillo che compariva ogni volta che Alice uccideva personalmente una di quelle creature, ma nei grimori e nelle librerie proibire nascoste sotto i ponti di Londra non si trovava nulla a riguardo; aveva concordato con la padroncina che ogni verità doveva esser stata distrutta nell’incendio di Casa Liddell, quella appena fuori città.
«Dovevo andare con, sento che c’è qualcosa di terribilmente marcio». Denji si agitò a disagio su uno dei divani, passandosi una mano sul volto; profonde occhiaie gli segnavano il viso, i disordinati capelli, di un bizzarro arancione ricadevano tutto attorno alla faccia, con gli occhi che si chiudevano da soli. Da quando Makima e Alice erano partite per Badrick, la sera prima, non si era dato pace e a tormentarlo era stato soprattutto il fatto che la Liddell non aveva voluto nessuno con sé, a parte la donna. «Non credete che sia stato un azzardo? È la prima volta da quando siamo arrivati a Londra che agisce in questo modo, di solito si serve di noi per cacciare i demoni».
«L’avresti solo messa in imbarazzo – borbottò Aki sollevando il viso dal dizionario delle rune usate nella stregoneria del diciassettesimo secolo – tu e i tuoi modi da pezzente. La signorina non poteva certi farsi vedere con te». Denji ringhiò a bassa voce, sentendo rizzarsi i peli sulla nuca e digrignò i denti mentre la pelle tremava e si contraeva dolorosamente contro le ossa del braccio destro. Si alzò in piedi, avvicinandosi al compagno con un tic nervoso all’occhio, respirando a stento.
«Chiudi quella cazzo di bocca, anche tu sei stato lasciato qui, chiediti perché…forse non voleva vederti leccare il culo a qualche agente non credi? Hai così tanta merda sulla lingua – aggiunse poggiando lo stivale sul basso tavolo – che la tua puzza avrebbe spaventato qualsiasi cosa ci fosse al villaggio». Hayakawa sollevò gli occhi su Denji, chiudendo il libro con un tonfo di vecchie pagine e sorrise, inclinando un angolo della bocca verso l’alto e si portò alla sua altezza, poggiando la fronte contro la sua, sfiorando l’elsa della katana con la mano sinistra.
«Cerchi di farti uccidere pezzente? Non sai da quanto che aspetto che tu mi dia una scusa» sibilò in risposta. Erano soli in quel momento, Kishibe si era recato dall’avvocato di Alice, il signor Radcliffe e Power, come suo solito, dormiva su una brand attaccata al soffitto, con un braccio che pendeva mollemente verso il basso. In altre parole, i due rivali erano come soli in quella stanza e Denji percepiva distintamente le lame demoniache scorrergli sotto la pelle, i denti farsi acuminati, le ossa spezzarsi per lascar sgorgare il potere della Bestia con la quale aveva redatto il contratto. Ma così come la tensione si era sollevata fra loro, andò scemando nell’istante in cui sentirono la porta al piano di sopra aprirsi.
Sulla branda, Power spalancò un occhio, un occhio giallo con una croce rosa a quattro punte e cadde pesantemente per terra nel tentativo di lanciarsi sulle scale, scalciando con tutti e quattro gli arti per rimettersi in piedi. Denji e Aki si voltarono sentendo i passi sulle scale e con un ultimo sguardo di fuoco si separarono, inchinandosi profondamente appena Alice Liddell fece il suo ingresso nel sotterraneo ma qualsiasi cosa volessero dire venne soffocata dalle feste di Power che le saltò al collo, sbattendola a terra col proprio peso maggiore. «Dove sei stata, dove sei stata? Perché non mi hai portata? Ero in pensiero, cosa ti è successo, stai bene?».
Alice ridacchiò sommessamente quando Power le si gettò addosso, leccandole il volto come fosse un cagnolino finché Makima non la sollevò per la collottola, facendole agitare i quattro arti. Senza pudore, senza un vero rispetto, ogni volta che Power si recava nei sotterranei mandava i vestiti all’aria, lanciandoli ora in un angolo e ora nell’altro, dormendo nuda nella sua branda, senza impensierirsi di ciò che le stava attorno…Neanche Makima era davvero in grado di tenere a bada il suo temperamento, solo Alice riusciva a tenerla buona…era opinione di tutti loro che Power si sarebbe fatta mette al guinzaglio dalla giovane Liddell. «Mettila giù Makima – sospirò la giovane con dolcezza, camminando sino alla grande scrivania in mogano in fondo al salone, passandoci attorno – Denji, Aki, sedetevi per favore».
Si buttò sulla poltroncina con un respiro stanco, massaggiandosi la fronte e sollevano gli occhi smeraldini su tutti loro. Power corse a sedersi sulla scrivania, accavallando le gambe e sorridendo alla signorina, le corna rosse che facevano capolino dai suoi capelli di un rosa chiaro, lunghi sulle spalle. «Non posso aspettare Kishibe, gli riferirò tutto in sede privata – spiegò Alice unendo i polpastrelli a piramide sotto il mento, chiudendo un attimo gli occhi come per raccogliere le forze – credo che ciò che appesta Londra sia un culto antico, estremamente radicato nelle comunità che circondano la città secondo lo stesso modello che mio padre studiava in Sud America… la creatura che Makima ha ucciso lo conferma…è impossibile richiamare un Chierico Belva e spingerlo a indottrinare gli umani senza una presenza già forte nel territorio…Ho il terrore – aggiunse in un sussurro – che tutta Londra faccia parte di una fitta rete di cultisti che operano in tutta la regione e se ho ragione, potremmo essere sulla soglia di qualcosa di terribile…la stessa cosa che ha massacrato la mia famiglia – e sollevò la chiave che portava al collo – cercherà di fare lo stesso con Londra. Ha giocato con noi per un anno e se ora è uscita allo scoperto in questo modo, vuol dire che è pronta».
«Pronta? – Power anticipò le domande degli altri, sdraiandosi di schiena sulla scrivania e la guardò negli occhi, coprendosi il florido seno con le braccia – pronta per cosa?».
Alice poggiò il capo allo schienale della poltrona e puntò lo sguardo davanti a sé, passandosi una mano sul pendente che portava al collo. «Ho visto qualcosa mentre attiravo la creatura nel nostro mondo…una città maledetta dagli Antichi, ho visto gli incubi nutrirsi di quella città…la città che stanno cercando di evocare, sostituendo Londra con essa…La Capitale della paura…Yarnham».
 
6 – Un Coniglio di Pezza (Finale)
 
[https://youtu.be/Jm4KpYqsufA]

Kishibe tornò al tramonto l’aria si era fatta pungente e fredda, Whitechapel rumoreggiava ottenebrata dalla notte e dalla neve, con poche carrozze che transitavano per le vie e i gemiti di piacere, i pianti e gorgoglii delle gole lacerate ad animare i vicoletti bui, sporchi, olezzosi e nascosti agli occhi della grande metropoli. Entrò nell’Istituto togliendosi il cilindro dal capo, portandosi una fiaschetta metallica alla bocca e prendendo tre lunghi sorsi. La casa delle bambole, i soldatini in piombo, i blocchi colorati e gli altri giocattoli erano sparsi sul grande tappeto all’ingresso e sopra le sue teste sentiva la voce della signorina dare la buona notte ai bambini prima di chiudere le porte.  
La attese nel suo piccolo ufficio al piano superiore, dove accoglieva i trovatelli e gli altri ospiti e dove, attraverso le sue…distinte qualità interrogava le coppie che si presentavano dicendosi interessate all’adozione. Salì le scale facendo attenzione a non far scricchiolare i gradini e stette davanti alla vetrata che si affacciava sulla piazza con un pacchetto solo al braccio sinistro. Alice arrivò poco dopo, vestita di nero, col nero attorno agli occhi e un fiore nero fra i capelli corvini; il vecchio chinò il capo in segno di saluto, reggendosi al bastone.
«Radcliffe non ha ceduto di un passo, ho provato a corromperlo ma non si lascia compare…le cose sono due; o non sa niente…oppure sa qualcosa ed è così spaventato da non cedere al fascino delle sterline». Il disprezzo nella sua voce per il grasso, compiaciuto avvocato della famiglia Liddell era palese e Alice lo condivideva appieno. Era convinta che Radcliffe l’avrebbe abbandonata al primo segnale di vero pericolo, o che magari, se non fosse stato per la sua vecchia tata, si sarebbe portato via la sua eredità con qualche sordido escamotage da avvocato. Ma quali che fossero le sue impressioni su quell’uomo, questo non cambiava il succo del discorso: avevano una pista, ma non sapevano da dove iniziare.
«Come sta il vostro amico della polizia? Ho saputo che è rimasto particolarmente scosso…e non tendo a dubitarne o a biasimarlo, certe cose non dovrebbero essere conosciute dagli uomini» disse stanco sedendosi su una delle poltrone davanti alla scrivania e Alice sorrise debolmente, portandosi davanti a lui, nascondendo uno sbadiglio.
«Il caposquadra Scrhödinger ha dimostrato…di essere affidabile, quantomeno. Mi preoccupa invece il comportamento astioso del commissario nei miei confronti, sino all’ultimo si è rifiutato di farci chiamare…finché tutto non era ormai pronto. Più ci penso, più credo che fosse tutto orchestrato grandemente e il caposquadra si è ritrovato nel mezzo del gioco…Forse non era previsto che si salvasse». Abbassò gli occhi verdi, passandosi i neri guanti in pizzo sulla fronte; così come lei, tutto ciò che li circondava rifletteva una personalità tetra, malinconica eppure, in un certo qual modo, dolce.
L’ufficio era decorato coi ritratti di famiglia, con quadri di paesaggi avvolti dalla nebbia e i candelieri sorreggevano candele avvolte in oblunghi coni di vetro che emanavano una luce carezzevole ma funerea, una luce che danzava negli occhi della sua padroncina. «Lo sa, Lady Liddell, non credo di aver voglia di parlare di lavoro questa sera…sono stanco, credo che andrò ad approntare la carrozza per il rientro a Liddell’s Manor – borbottò stupendola ed alzandosi in piedi, poggiando il pacchetto sul ripiano della scrivania – questo è per lei, un “gentile omaggio” da parte di Radcliffe» spiegò, prima di calcarsi il cilindro sul capo dopo un lieve inchino e la lasciò sola, tenendo dischiusa la porta dell’ufficio.
Alice si sporse sul pacco, soppesandolo quasi sospettosa. Le dita sciolsero l’allegro fiocco che vi stava sopra e sollevò il coperchio: vederne il contenuto e sentire un profondo nodo, da qualche parte in fondo alla sua anima sciogliersi furono una cosa sola: davanti a lei c’era un coniglio di pezza, vecchio, con uno dei due bottoni come occhi mancante e pieno di pezze e cuciture. Sentì le lacrime scivolarle dagli occhi e lo sollevò con attenzione, stringendoselo al petto, bagnandolo con le lacrime. “Questo è per te Alice – sentì la voce di suo padre, la sua mano sulla spalla, vide il suo sorriso – un piccolo amico sul quale potrai sempre contare. La vita può essere dura…ma sono certo che col Bianconiglio vicino a te, non dovrai mai temere nulla” e poi, finché starete assieme, io sarò sempre vicino a te…Ti voglio bene, Alice”.
Certo, un tempo quello era un bel coniglio bianco, ma dall’incendio ne era uscito triste, ingrigito, come lei…Sorrise fra le lacrime, soffocando i singhiozzi fra le sue grandi orecchie; «Anche io ti voglio bene…papà».

 
 
 Note dell'autrice: 
Ammetto che era da mesi che lavoravo ad una storia del genere, e se questo piccolo progetto di "presentazione" è venuto alla luce, devo ringraziare assolutamente l'autore Fenris per avermi dato corda per mesi attraverso le role su messanger! Come avrete capito, un un "rip-off" di Hellsing con Alice Msdness Returns come opera principale assieme a Bloodborne e con la partecpiazione del cast principale di Chainsaw Man!
Inltre, un ENORME abbraccio all'autore Tubo Belmont che mi ha spiegato come mettere le immagini nei capitoli e mi ha sostenuto a sua volta in questo folle crossover! Spero questa shot vi abbia incuriositi e che vi farete sentire, un abbraccio a tutti e, mi raccomando, fatevi sentire!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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