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Autore: Koa__    24/09/2022    1 recensioni
Un anno e mezzo dopo il suo matrimonio, Magnus Bane vive una vita felice come Sommo Stregone di Alicante e marito dell’inquisitore Alec Lightwood. Ha una vita perfetta, un lavoro appagante e un uomo accanto che ama da morire. Da quando Clary ha riacquistato la memoria, poi, le cose non potrebbero andare meglio di così. Un giorno, però, mentre svolge il proprio lavoro di inquisitore presso l’istituto di Stoccolma, Alec scompare nel nulla. Magnus, Jace, Clary, Isabelle e Simon si recano in Svezia per indagare, ma una volta giunti lì si rendono conto che il mistero è ben più fitto di quanto non si aspettassero. Nel bel mezzo di una discussione, il gruppo riceve un messaggio nel quale si dice che, per ritrovare Alec, serviranno il Coraggio e la Magia, le abilità di Jace e Magnus dovranno quindi unirsi. Se inizialmente i due non fanno che discutere su come sia meglio agire, rinfacciandosi le cose a vicenda, a un certo punto si renderanno conto che saranno costretti ad andare d’accordo per il bene di Alec.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Viaggio attraverso la foresta incantata













 

“Non è tanto per la sua bellezza che una foresta resta impressa nei cuori degli uomini, quanto per quel sottile qualcosa, quella qualità dell’aria che emana dai vecchi alberi, che così meravigliosamente cambia e rinnova uno spirito stanco"
Robert Louis Stevenson






 

La Magia



 

L'ultima volta che aveva visto Alec, Magnus era stato sin troppo sbadato. Una disattenzione che avrebbe maledetto nei giorni a venire; non ricordava come fosse vestito, quali fossero state le sue ultime parole e non gli aveva dato nemmeno un bacio di arrivederci. Erano malapena le otto del mattino e già stava tardando, la console Penhallow lo aveva convocato prestissimo nella sua abitazione privata per rinforzare le difese e poi sarebbe dovuto andare subito a New York. Nonostante vivesse ad Alicante da più di un anno, negli Stati Uniti aveva ancora tantissimi clienti che richiedevano i suoi costosi servigi, ragion per cui aveva comprato un bilocale lì a Brooklyn che aveva adibito a ufficio e dove riceveva tre volte a settimana. Quel giorno aveva l'agenda piena di appuntamenti, ma siccome si era svegliato troppo tardi aveva salutato Alexander di corsa, aprendo per lui un portale per Stoccolma e poi scappando via come un fulmine. Suo marito doveva infatti andare all'Istituto di lì per controllare la situazione, pareva infatti che stessero capitando eventi molto strani, forse a opera di un demone superiore.
«È una faccenda complicata» gli aveva detto la sera precedente a cena, aggiungendo che sarebbe dovuto andarci l’indomani. Sarebbe stato un viaggio molto breve, probabilmente di un paio di giorni. Per questo, quando la sera era rientrato e non lo aveva trovato, non si era preoccupato: neanche il suo silenzio era insolito e poi c’era una forte differenza di fuso orario, ci stava che se ne fosse dimenticato. Capitava che si perdesse nel lavoro per ore senza rendersi conto del tempo che passava, soprattutto se si trovava lontano da Idris. Quindi Magnus, esausto per la giornata, si era messo a dormire e non ci aveva più pensato. Aveva iniziato davvero a preoccuparsi la notte successiva, Alec non soltanto non aveva ancora fatto ritorno dalla Svezia, ma non si era neanche mai fatto sentire. Questa era una cosa che proprio non succedeva, ovunque si trovasse ogni giorno gli mandava almeno un messaggio, anche se breve e soltanto per fargli presente che era vivo e stava bene. Neppure quella sera arrivò un messaggio dal suo cellulare. Verso la metà del mattino successivo, Magnus aveva iniziato ad andare nel panico, Alexander non chiamava da tre giorni, era chiaro che in quella missione qualcosa fosse andato storto. Dopo un rapido controllo nel suo ufficio ad Alicante e aver avuto la certezza che neppure con i suoi assistenti si era fatto sentire, aveva fatto un rapido giro di telefonate. Aveva chiamato qualche stregone suo amico che abitava in Norvegia e tutti lo avevano indirizzato verso il sommo stregone di Stoccolma. 

«Mio marito non risponde al telefono e non riesco nemmeno a localizzarlo con la magia» aveva detto, senza lasciar trapelare l’agitazione così come evitando che la voce tremasse in maniera eccessiva. «È l'inquisitore degli Shadowhunters, sarebbe dovuto venire da voi per un’indagine su strani eventi. Forse a opera dei demoni.» 
«Non so niente di attacchi demoniaci» aveva mormorato quello in risposta, lasciando Magnus confuso e spaventato. «Ti conviene parlare con il direttore dell’Istituto, è il solo a poterti dare delle risposte concrete. Se vuoi venire qui a cercarlo sappi che per me non c’è alcun problema, quando sarai qui chiama se hai bisogno di me.» Magnus non poteva proprio dire di non aver apprezzato la sua disponibilità, non erano molti gli stregoni così aperti nei confronti dei Nephilim e tra la sua gente erano ancora in troppi quelli che guardavano con differenza il figlio di Lilith che ne aveva addirittura sposato uno. Aveva anche trovato il suo suggerimento di chiamare il direttore dell’istituto di Stoccolma piuttosto saggio, quasi si era ritrovato ad alzare la cornetta, ma all’ultimo aveva desistito dal farlo. Era vero che avevano firmato gli accordi, che i rapporti tra i Nascosti e gli Shadowhunters erano migliorati al punto che adesso anche Idris aveva un proprio Sommo Stregone, ma non tutti i figli dell’angelo erano aperti e disponibili nei suoi confronti e lui, il direttore dell’Istituto di Stoccolma, non lo aveva mai neanche visto. Il lavoro che lui e Alexander stavano facendo in questo senso era una paziente opera di convincimento. Il mondo, così come gli aveva detto una volta il suo dolce confettino, non lo si cambiava in un pomeriggio. Ragion per cui, prima di fare alcunché, era andato a Brooklyn perché se c’era una cosa che negli ultimi due anni aveva imparato era che durante una crisi niente era meglio che affidarsi alla propria famiglia. Il fatto che la suddetta famiglia fosse composta per la maggior parte da Nephilim e che uno di loro fosse addirittura il Parabatai di Alec, andava ovviamente a suo vantaggio. Certo, non poteva dire che la prima cosa che avesse fatto fosse stata quella di usare le risorse degli Shadowhunters per cercare suo marito, in effetti la prima era stata litigare con Jace. 


«Saresti dovuto venire qui come prima cosa e invece scopro che mio fratello è sparito da ben tre giorni» lo aveva rimproverato quel biondino supponente, lanciandogli un’occhiata truce. Erano sempre andati più o meno d’accordo, anche se non avevano stretto un vero rapporto di amicizia. Qualche volta avevano discusso, ma non avevano mai davvero litigato, non come avevano fatto in quei primi minuti di accesa discussione. Fu Magnus il primo a gettare la spugna, alla fine Jace aveva ragione, sarebbe dovuto andare da loro molto prima. Se non l’aveva fatto era stato soprattutto perché non voleva fare la figura del marito paranoico che appena gli capita di non sentire l’uomo che ama per ventiquattr’ore, va nel panico. Non era un qualcosa che faceva parte del suo carattere, anche perché nell’ultimo anno e mezzo era successo che i rispettivi lavori assorbissero lui e Alec al punto da costringerli a trascorrere del tempo separati; aveva fatto l’abitudine ai suoi viaggi in giro per il mondo. Questa volta però era diverso, se aveva paura era anche colpa della strana sensazione che gli faceva formicolare la nuca e che non prometteva niente di buono. A tutti gli stregoni capitava di fare sogni premonitori o di avere delle visioni che consentivano di vedere più chiaramente il futuro, ma in questo caso se chiudeva gli occhi e si concentrava non vedeva un accidenti di niente e nessun sogno popolava il suo riposo. Non faceva che ripetersi che in realtà il suo non aver avuto premonizioni fosse un aspetto positivo, di solito le visioni di uno stregone preannunciavano eventi infausti, ma se invece erano i suoi poteri ad avere qualcosa che non andava? Magari era per questo che non riusciva a localizzarlo. Il suo potere non derivava dalle rune, come per gli Shadowhunters, ma dalla magia dei demoni. Nulla era davvero in grado di impedirgli di trovare qualcuno, neanche le rune di blocco. Probabilmente era l’ansia a rendere più fiacca la sua magia. D’altronde era talmente agitato che neanche riusciva a stare fermo, non dormiva da più di trenta ore, aveva mangiato poco o niente e neppure giunto all’Istituto, con Isabelle che controllava quei fastidiosissimi schermi, era stato in grado di calmarsi.
«Quando l’hai visto l’ultima volta?» aveva domandato Izzy, armeggiando con una tastiera. Stava facendo ricerche su casi di attacchi demoniaci in Svezia, ma sino ad allora non era uscito niente di rilevante.
«L’altra mattina» aveva risposto Magnus, lasciandosi cadere su una sedia e affondando il volto tra le mani. Tremavano e anche la voce era fastidiosamente roca, si sentiva un perfetto idiota incapace di controllarsi. Ma si trattava di Alexander, come poteva non preoccuparsi? Inspirando lentamente e mettendosi meglio a sedere, riprese a raccontare, doveva essere preciso se voleva aiuto: «Eravamo entrambi in ritardo, dovevo andare dalla console Penhallow per rinforzare le sue difese, ho aperto un portale per Alec, avrebbe dovuto portarlo di fronte all’Istituto di Stoccolma. Mi ha salutato e lo ha attraversato. Non lo sento e non lo vedo da allora.»
«Magari è semplicemente molto impegnato» aveva osservato Simon, intanto che Clary annuiva concorde. Magnus la guardò con affetto, ancora non si era abituato al suo ritorno e di tanto in tanto si stupiva quando se la trovava davanti. Era stata senza memoria per un anno, durante il quale aveva vissuto un’esistenza da mondana, frequentando la scuola d’arte di New York. Poi un giorno le era tornata la vista, ovvero la capacità di vedere attraverso gli incantesimi e con il passare dei giorni aveva iniziato a ricordare, da allora lei e Jace non si erano più lasciati. Era felice per loro e anche per Simon e Izzy che ormai erano una coppia consolidata. Ci pensò per un istante o due, salvo poi venire nuovamente dominato dall’agitazione.
«Non Alec!» negò, vibratamente rimettendosi in piedi e scrollando il capo con vigore. «Persino quando è andato in Brasile, con tutti i problemi che avevano laggiù, trovava il tempo di chiamarmi, anche solo per la buonanotte. Vi dico che è successo qualcosa, non è da lui sparire così.»
«Dai dati che ho trovato non risultano eventi significativi che giustificherebbero la presenza dell’Inquisitore. Se esistono, i file sono secretati» li informò Isabelle. Magnus non riuscì a non notare che, nonostante l’impedimento alle sue ricerche, non sembrava contrariata. Stranamente pareva orgogliosa, di suo fratello per la precisione. Quando avevano proposto la carica di Inquisitore ad Alec, la seconda più alta di Idris, erano stati tutti molto fieri di lui. E il suo adorato fiorellino era molto rigoroso nel proprio lavoro, quindi di ciò che faceva in ben pochi ne erano a conoscenza.
«E quindi che si fa?» mormorò Clary, dondolando sui talloni intanto che giocherellava con il proprio stilo come se fosse stato una matita.
«Semplice: chiamo il direttore dell’Istituto di Stoccolma e vedo cos’ha da dirmi, nel caso organizziamo una missione di ricerca.» Izzy non ci aveva impiegato molto per prendere il telefono e fare quella chiamata, era stato sufficiente andare nel proprio ufficio, perché in quel modo avrebbe avuto ancora più privacy. Ci aveva messo ancor meno tempo per iniziare a inveire contro il suddetto direttore. Sembrava infatti che Alec non fosse mai arrivato e che nessuno avesse pensato di avvisare Idris.
«Credevamo avesse altro da fare» aveva risposto quello, intanto che Isabelle inveiva con ancora più determinazione, urlando e sbattendo i pugni sul tavolo. Anche lui era arrabbiato, in effetti era a dir poco furioso. Quando mai il suo fiorellino aveva mancato alla parola data? Sapeva che lui e quel Nephilim, di cui ignorava il nome, avevano parlato al telefono la sera prima che Alec partisse per la Svezia, restandoci per una buona mezz’ora; quindi perché non avvisare? Magnus se lo stava domandando intanto che vedeva Clary prendere stilo e telefono e attivare la runa di localizzazione. Non era pratico al cento per cento delle rune degli Shadowhunters, sapeva distinguerle perché Alec glielo aveva insegnato, ma il suo interesse era più che altro legato al fatto che suo marito avesse il torace interamente ricoperto di quei segni e che ognuno di essi fosse particolarmente sensibile al tocco. Sapeva che, se attivate, certe rune conferivano maggior forza o abilità, altre invece servivano per localizzare. Osservando le espressioni di Clary farsi largo attraverso i suoi occhi chiusi, non gli ci volle molto per capire che non stava funzionando a dovere. Era tutt’altro che confortante.

«Qualcosa non va, biscottino?»
«Non riesco a trovarlo» replicò lei. «Può essere perché sta dall’altra parte del mondo. Adesso prova Jace a localizzarlo, nessun legame è più forte di quello dei Parabatai» aveva spiegato lei, annuendo con un sorriso dolce, che Magnus trovava anche tanto rassicurante. Jace aveva afferrato il proprio stilo e lo aveva passato sulla runa che condivideva con Alec. Il loro legame era il più forte di tutti, Clary aveva ragione e Magnus questo lo sapeva bene dato che il suo confettino era quasi morto per via di quella stupida faccenda dei Parabatai. Però almeno riuscivano a trovarsi con molta più facilità. Se soltanto Jace non fosse stato così odioso e se non ce l’avesse avuta ancora con lui, come se il suo obiettivo fosse quello di farlo sentire in colpa, magari avrebbe anche potuto ringraziarlo per essersi offerto di cercarlo. Decise invece di tacere e appoggiare il sedere su una scrivania che ben conosceva, in effetti ci avevano anche fatto sesso là sopra. In quel momento si trovavano infatti tutti quanti nell’ufficio di Isabelle, lo stesso che un tempo era stato di Alec, Jace era seduto in poltrona davanti a un camino acceso e scoppiettante, teneva gli occhi chiusi e le labbra serrate. Forse quel biondino aveva ragione a odiarlo, aveva aspettato troppo e non era neanche riuscito a spiegare perché i suoi poteri avessero fatto cilecca. Magnus non volle pensarci in quel momento, così come evitò di soffermarsi sulle possibili conseguenze del suo indugiare in certi pensieri negativi, in quel momento non gli importò neanche delle liti con il fratello di Alec, sperava solo che funzionasse.

 

In effetti si ritrovò ad ammettere che era merito di Jace se non era ancora andato nel panico. Suo marito era letteralmente svanito nel nulla, non dava notizie di sé da quasi tre giorni e non era mai neanche arrivato in Svezia. Era in ansia, anzi molto più di questo, era spaventato a morte, ma i Parabatai potevano sentirsi a vicenda e Jace era stato molto chiaro a riguardo: Alec era vivo. Una delle ragioni per cui non si era allarmato, gli aveva detto tra un insulto e l’altro, era perché non aveva percepito nulla di particolarmente preoccupante provenire dall’altra parte del legame. Stando a quanto diceva, oltretutto, stava anche bene.
«Lo sento» aveva detto a un certo punto, spezzando il silenzio di quella stanza. Ansiosi, gli occhi di tutti si spostarono su di lui. «Percepisco paura, incertezza e… non so mi sembra assurdo.»
«Che cosa?» lo incalzò. «Che succede ad Alexander?»
«Ho la strana sensazione che sia felice, molto felice in realtà. Felice come dopo la sua prima volta o dopo il matrimonio, quel tipo di felicità.» Magnus serrò i denti, stringendo i pugni. Lo aveva già detto che era snervante tutto quello? Già trovava imbarazzante l’idea che quando facevano l’amore, il suo Parabatai lo intuisse da chissà che cosa, ma ora doveva pure quantificare la loro felicità?
«Non ha molto senso in effetti» arguì Isabelle, meditabonda, forzandolo a tornare al presente. La sua osservazione era corretta, non aveva granché senso che Alec stesse bene. Se era stato rapito si presumeva che fosse spaventato, giusto?
«Magari l’hanno drogato» osservò Simon, con fare saggio «alcune droghe danno una sensazione simile. Credetemi, mi sono strafatto di plasma una volta.»
«Se gli hanno dato qualcosa, questo non lo so» se ne uscì invece Jace, alzandosi dalla poltrona con uno scatto agile. «Si trova però in Europa, ne sono sicuro. Dove, non ne ho idea. Direi di iniziare a cercare andando a Stoccolma, una volta attraversato l’oceano sarà più facile per me localizzarlo. Sono sicuro al cento per cento che non sia nulla di grave, per quel che ne sappiamo lo stesso direttore potrebbe averci mentito.» Questo poteva anche essere in effetti, non ci aveva pensato finora perché era vero che gli Shadowhunter tendevano a essere omertosi e a nascondere certe cose ai Nascosti, ma in questo caso si trattava dell’Inquisitore mandato da Idris. Anche se Magnus non si fosse allarmato tanto presto, la console Penhallow e il Clave avrebbero voluto avere notizie di lui e avrebbero mandato degli agenti a indagare. Qualunque cosa stessero facendo lassù, non gli pareva un piano ben congegnato.
«Qualunque cosa sia successa io vado» proruppe Magnus, agitando le mani come a voler fare un incantesimo. Avrebbe fatto apparire una borsa per il viaggio e si sarebbe cambiato d’abiti perché ricordava che a Stoccolma in quella stagione faceva piuttosto freddo. All’ultimo momento, però, la voce di Isabelle lo interruppe.
«Noi veniamo con te!» esclamò, decisa, intanto che tutti quanti annuivano. Oh, non se ne stupiva affatto.
«Sei sicura di poterti allontanare, mia cara?» domandò rivolgendosi direttamente a Izzy.
«L’edificio non crollerà se mi assento qualche giorno, lascerò il comando a Underhill e comunque sarò a un portale di distanza. Ora la mia priorità è scoprire cos’è successo a mio fratello e in ogni caso non ce la faresti mai da solo, ti servirà uno Shadowhunter per entrare in Istituto. Non daranno accesso a uno stregone qualsiasi spuntato dal nulla.»
«Ehi!» si inalberò, lisciandosi la giacca e sollevando il mento come a volersi dare un tono. «Io non sono uno stregone qualsiasi, sono il Sommo Stregone di Alicante, che è la città degli Shadowhunter.»
«Va bene, Sommo Stregone dei miei stivali» ironizzò Jace, sedando la discussione. «Tagliamo corto e prepariamoci a partire. Il mio Parabatai è disperso e per quello che ne so potrebbe anche essere nelle mani di un sadico bastardo in questo momento.» Magnus evitò di ribattere e fargli presente che voleva trovarlo tanto quanto lui, forse persino di più. Perché in effetti quel biondino saccente aveva ragione: trovare Alec era la priorità al momento e non dovevano perdere tempo in chiacchiere. Quindi scelse di tacere e pensare al proprio equipaggiamento. Anche dopo che rimase solo, una volta che gli Shadowhunter e Simon si erano dispersi così da darsi appuntamento entro un quarto d’ora, evitò con tutto quanto se stesso di cedere alla paura. Non faceva che ripetersi che Alec era vivo, che era quella la cosa più importante. Sapeva che, essendo immortale, un giorno avrebbe dovuto dirgli addio e rimanere solo, ma non era ancora il momento. Era troppo presto, prima avrebbero dovuto vivere una vita felice uno accanto all’altro. Erano sposati da appena un anno, non poteva perderlo di già. Lasciandosi cadere sul divanetto dell’ufficio di Isabelle, Magnus affondò il volto tra le mani, percepì il freddo del metallo degli anelli sulla pelle accaldata del viso. Si ricordò della sua fede nuziale, di tanto in tanto si ritrovava ad accarezzarla, a girarla attorno al dito più e più volte, era un gesto che lo calmava. Quel giorno, chiudendo gli occhi, cominciò ad accarezzare l’anello di famiglia dei Lightwood, nella speranza che facesse il miracolo. Non riuscì davvero a calmarsi, ma non era soltanto per via della scomparsa di suo marito, c’era qualcosa nell’aria di molto insolito. Percepiva un’elettricità strana, era come se avesse la sensazione che stesse per succedere qualcosa di importante, ma non aveva idea di cosa potesse essere. In passato gli era capitato di provare cose simili, di fare sogni premonitori o percepire formicolii strani, ma erano sempre state sensazioni negative. Questa stranamente era positiva. Magnus non riuscì a darsi una spiegazione valida e, cambiatosi d’abito, si ritrovò a percorrere i corridoi senza più voler pensare a niente.

 

 

Il direttore dell’istituto di Stoccolma era un omaccione con una chioma di capelli biondi legati da un elastico a formare un codino, una folta barba dello stesso colore e due occhi azzurri freddi come il ghiaccio, che li avevano squadrati uno per uno dopo che aveva spalancato il pesante portone della chiesa. Si chiamava Erik o così aveva dichiarato Isabelle, aveva una costellazione di minacciose rune che gli impreziosivano le braccia scoperte e aveva abbaiato un mezzo insulto a denti stretti quando si era trovato quel folto gruppo di Shadowhunters alla porta, accompagnati da uno stregone e un vampiro.
«Tu sei il diurno?» aveva chiesto, scrutando Simon con sospetto. Non si erano materializzati direttamente dentro l’Istituto, Izzy aveva detto che era da maleducati entrarci senza essere stati invitati prima. Quindi Magnus aveva scelto come punto di arrivo l’esterno della chiesa Cattolica dove questo era situato. Come sempre gli Istituti dei Nephilim erano costruiti dentro antichi edifici religiosi, questo si affacciava sul mar Baltico e aveva una spettacolare vista del sole che si rifletteva sulla superficie dell’acqua, creando stupefacenti giochi di luce. Quell’Erik doveva aver capito tutto riguardo Simon, a vederlo era chiaramente un vampiro e considerato che era pieno giorno e che lui se ne stava sotto al sole di metà mattina… Beh, ci sarebbe arrivato chiunque.
«Sono io, signore» mormorò Simon, deglutendo a fatica intanto che non distoglieva lo sguardo da quel tizio alto due metri.
«Ho sentito parlare di te» borbottò e aveva un modo di fare rude e spiccio, una voce roca e profonda che incuteva timore. Quando dopo qualche istante posò gli occhi su di lui, squadrandolo da capo a piedi e addirittura inarcando un sopracciglio nel notare la capigliatura a porcospino, Magnus sentì un qualcosa di spiacevole agitarsi dentro lo stomaco. Era come se lo stesse giudicando e non gli piaceva affatto.
«Tu invece sei il marito dell’Inquisitore?» gli chiese poco dopo e forse era soltanto paranoia, ma non stava usando un tono accusatorio? Sapeva che i tempi erano cambiati anche per i figli dell’angelo e che ormai l’omosessualità era vissuta in maniera più aperta, anche grazie al suo confettino e al suo coming out che aveva ispirato moltissime persone, ma quello pareva quasi avercela con lui. Furono i secoli di esperienza che aveva alle spalle, a evitare uno scontro. Aveva imparato che era più saggio non sfidare uno Shadowhunter quando questi sembra avercela con te e poi non aveva tempo da perdere: doveva trovare Alec.
«Magnus Lightwood Bane, Sommo Stregone di Alicante» si presentò, sorridendo in maniera affabile, chinando il capo intanto che fingeva una leggerezza che non aveva.
«Siete tutti Lightwood?» domandò questi. In risposta alzò gli occhi al cielo, ma come si faceva a non conoscerli? Erano forse gli Shadowhunters più famosi del mondo!
«Lightwood» disse indicando Izzy che lo salutò con un sorriso tirato, agitando le dita a mezz’aria. «Questa tutta ginger che ha l’aria di chi vuole farti un ritratto a carboncino, è una Fairchild mentre il biondo dall’aria scema è un Herondale. Presente no?» continuò, sarcastico. «Bellocci, sguardo che uccide… Hanno paura delle anatre!»
«Gli Herondale hanno paura delle anatre?» domandò Erik, scettico, probabilmente pensava che lo stesse prendendo in giro, ma era la pura verità.
«Oh, per Lilith, ma certo che sì! Una volta Will Herondale ha…»
«Tutto questo è molto interessante» lo fermò Jace, frapponendosi tra loro. «Ma noi siamo qui per trovare Alec Lightwood, l’Inquisitore. Il mio Parabatai.» Erik non rispose, continuò a fissarlo assottigliando lo sguardo e dopo qualche attimo di silenzio si scostò dall’ingresso, lasciandoli passare. Non li invitò neppure ad accomodarsi, semplicemente fece loro strada attraverso i corridoi senza aggiungere altro. Non era certo simpatico o accomodante, persino i Nephilim parevano a disagio di fronte a un comportamento così scostante e loro erano cresciuti con Maryse, che per la maggior parte della sua vita era stata fredda come il ghiaccio. Non appena oltrepassò l’ingresso le sue attenzioni vennero catapultate nel luogo in cui si trovavano, Magnus non aveva visitato molti Istituti in vita sua. Era stato una volta in quello di Londra, per via degli Herondale e di Tessa, ma il solo motivo per cui aveva fatto così tanto avanti e indietro da quello di New York era perché si era innamorato di Alec e all’epoca della guerra contro Valentine e Jonathan li aveva aiutati ogni volta che ne avevano bisogno, ma in passato gli era capitato di andarci solo per rinforzare le difese e venire pagato. Il suo vivere ad Alicante non aveva cambiato molto le cose, ogni grande città aveva il proprio Sommo Stregone e, per intrattenere i rapporti con i direttori dei vari Istituti, ci pensavano gli stregoni locali. Per questo motivo si stupì nel trovare un luogo tanto silenzioso e austero, era abituato a enormi sale formicolanti di persone. Qui invece c’erano infiniti corridoi che si snodavano su e giù per lunghe scalinate che percorsero per minuti e minuti in religioso silenzio rotto unicamente dai ticchettii delle loro scarpe, sino a quando non arrivarono in una stanza con molti schermi e diversi computer. Non era granché diversa rispetto a quella di Brooklyn, la differenza era che questa era deserta.
«Non molto popolato questo posto, eh» scherzò Simon, trasudando imbarazzo da tutti i pori e guardandosi attorno con l’aria di chi sta maledicendo se stesso per essere entrato in un luogo del genere. Era un po’ l’effetto che ai Nascosti facevano i luoghi sacri dei Nephilim, trasudavano potere angelico da ogni mattonella e su di loro di tanto in tanto aveva un effetto straniante, era come se l’istinto ti suggerisse costantemente di scappare.
«Ho fuori due squadre» li informò Erik, toccando uno degli schermi e facendo apparire una mappa davanti a loro. Riportava in maniera piuttosto fedele, o almeno così aveva detto quel tizio, ogni metro di quell’Istituto.
«Una di queste sta cercando l’Inquisitore, anche se con scarso successo.»
«Avete raccolto qualche indizio?» domandò Jace, mentre sullo schermo un punto preciso si illuminava di un’intensa luce rossa. «Quando ho ricevuto la vostra telefonata ho fatto subito una ricerca. Le telecamere esterne hanno fatto in tempo a riprendere questo» disse, toccando un secondo schermo, sul quale immagini registrate mostravano un portale che si apriva e Alexander che ne usciva sano e salvo. Almeno non era sparito nel limbo, era già un’ottima cosa. Non che questo lo preoccupasse di meno o non lo facesse sentire più in colpa, al contrario aveva ancora l’impressione che tutti lo accusassero di essere il solo responsabile di quanto accaduto.
«L’inquisitore è effettivamente arrivato, ma dopo qualche istante le telecamere sono saltate. Ho fatto partire una diagnostica, ma ci vorrà del tempo per avere delle risposte. Grazie all’angelo i sensori perimetrali hanno retto e allora ho visto questo, c’è stato uno sbalzo di energia esattamente qui» disse, toccando lo schermo sopra al quale c’era la mappa dell’Istituto, facendo apparire un altro punto luminoso, questa volta molto più intenso rispetto al precedente.
«Eravamo tutti fuori a caccia» disse, indicando l’esterno della chiesa. «I due uomini di guardia non si sono resi conto di niente. Il primo sbalzo di energia è più modesto ed è senz’altro di un portale che…»
«Il mio portale» puntualizzò Magnus, incrociando le braccia al petto. «Ha funzionato correttamente, ma guardate» disse, indicando l’esterno della chiesa, toccando uno schermo che sfarfallò appena. «Lo stesso punto si illumina di nuovo qualche attimo più tardi, ne è stato aperto un altro e molto più potente dei miei. Forse quella luce è quella che ha fatto saltare le vostre telecamere.»
«Quindi Alec è arrivato e poi è andato via di nuovo?» domandò Isabelle, confusa.
«E dove? Ma soprattutto, un portale aperto da chi?» intervenne Jace, stava facendo tutte le domande giuste. Le stesse che anche Magnus poneva a se stesso, quelle alle quali aveva una folle paura di rispondere. «A parte gli stregoni non sono molte le persone che possono aprire un portale di quelle dimensioni, ma l’avete visto? L’energia che ne è scaturita è incredibilmente potente, neanche Magnus sarebbe capace di una cosa simile. L’essere che ha rapito il mio Parabatai è un qualcuno contro il quale scontrarsi potrebbe essere molto pericoloso, se non letale.» Tralasciando il fatto che gli dava fastidio il modo in cui aveva sminuito i suoi poteri, neanche fosse stato uno stregonuccio di poco conto e non il figlio di un Principe dell’Inferno, proprio mentre parlava però era stato accarezzato da un’idea. Una un po’ folle e senz’altro assurda, ma era la sola spiegazione che aveva in quel momento di grande confusione. E poi non avevano altre alternative, la verità era che Jace non aveva affatto torto. Ancora mal tollerava il modo in cui lo guardava, neanche lo stesse incolpando di qualcosa e la sola idea gli faceva saltare i nervi. Però doveva ammettere che aveva ragione su un punto: chi aveva fatto scaturire tutta quell’energia era un qualcuno di incredibilmente potente, molto più di uno stregone. C’era una sola cosa che poteva fare giunto a quel punto, quindi vorticò su se stesso e si incamminò in direzione dell’uscita.
«Dove crede di andare quello?» tuonò Erik «ehi, stregone!» Quando si sentì chiamare in quel modo, Magnus si voltò indietro e vide gli occhi di tutti puntati su di lui.
«Fuori!» esclamò «a controllare le linee di energia. Non sapremo chi ha rapito Alexander fino a che non capiremo che cos’è quella luce.» A quel piano nessuno parve obiettare, nemmeno Erik che, annuendo, fece loro strada in direzione dell’uscita. Una fortuna, pensò Magnus, considerato che aveva la sensazione di trovarsi in una sorta di labirinto.


 

Scoprirono che le linee di energia presenti all’esterno della chiesa per una parte erano quelle tipiche della magia degli Asmodeo, ovvero la stessa grazie alla quale Magnus aveva aperto e chiuso il portale, ma per un’altra parte si trattava di un qualcosa di completamente diverso. Gli intrecci erano molto chiari e non fu per niente difficile distinguere i suoi incantesimi da quelli altrui, a essere incredibile era il fatto che quel qualcosa di sconosciuto che si accavallava alle sue linee di energia sembrava non appartenere a nessun demone nello specifico. Ed era questo a essere strano, oltre che impossibile. In quattrocento anni di vita aveva imparato a riconoscere i Principi dell’Inferno o tutti coloro in grado di aprire dei portali, questi non erano poi molti alla fine dato che la maggior parte finiva sulla terra usando passaggi già aperti. Quando Alec gli aveva parlato di strani eventi a Stoccolma, Magnus si era fatto un’idea un po’ vaga, ma ora che analizzava quelle insolite linee di energia si rendeva conto che non poteva esserci niente di più diverso da un demone infernale. Era sicuro che non fosse niente del genere aver rapito Alec, anzi, per certi versi… Cielo, era assurdo, ma tutto quello gli ricordava i portali che Clary era in grado di aprire grazie alle sue rune speciali. Come giustificare una cosa simile? Non ne aveva davvero idea. Sconfortato, non appena ebbe finito di praticare quell’incantesimo, le mani gli ricaddero lungo i fianchi e le fiammelle blu di magia smisero di formicolargli tra le dita. Guardava fisso nel vuoto intanto che, martellante, un pensiero si faceva largo nella sua testa. Alec aveva parlato in maniera molto generica, ma non aveva spiegato molto sul perché dovesse andare in Svezia. Che problemi avevano in quell’Istituto?
«Allora?» lo incalzò Jace, distogliendolo dai propri ragionamenti. Magnus sollevò lo sguardo su di lui, soffermandosi forse per un istante di troppo a fissarlo: era agitato e faceva di tutto pur di non darlo a vedere. Fra tutti, quel biondino petulante era probabilmente il solo a capirlo davvero. Il suo nervosismo lo si intravvedeva chiaramente nelle maniere ancora più spicce che usava. Forse per istinto, teneva salda la mano sull’elsa della spada angelica che aveva agganciata in vita e i suoi sensi erano in allerta. Era evidente che stesse cercando di trattenersi dal radere al suolo quel posto per trovare suo fratello, ma non ne era poi così sorpreso. Lo aveva già visto prima, Jace e Alec in questo senso erano due Parabatai esemplari. Detestavano di per sé l’idea di rimanere separati a lungo, anche per questo Jace li veniva a trovare spesso ad Alicante oppure era Alec ad andare a New York. Quando capitava che la separazione fosse forzata, come in questo caso, entrambi diventavano insopportabili.
«Perché avete richiesto l’aiuto dell’Inquisitore?» domandò inaspettatamente Magnus, rivolgendosi direttamente a Erik e provocando in Jace un certo disappunto. Come la maggior parte degli Shadowhunter, Alec compreso, detestava essere ignorato.
«Un demone superiore? Un attacco?»
«Beh, in effetti nessuno di noi ha capito di cosa si trattasse. Tuttora io non ne ho idea» mormorò l’uomo, abbassando il capo con fare colpevole. Sembrava aver abbandonato i modi di fare rudi di poco prima, lasciando spazio a un imbarazzo palpabile. Si stava grattando la nuca, stava sulle spine, era agitato e forse si sentiva anche un po’ responsabile di quanto successo. Magnus conosceva quel mondo fin troppo bene, sapeva che ora la console avrebbe potuto anche levargli il posto di direttore. A lui, però, non fregava un accidenti di niente considerato che suo marito era sparito senza lasciare traccia.
«Ci sono stati dei furti» riprese Erik, dopo qualche attimo di indugio. «Alcune armi sono state rubate, ma non sappiamo chi sia stato o perché. E poi anche strani eventi: gli allarmi che suonavano inutilmente, oggetti spariti e cose simili.»
«Armi di che genere?» indagò Isabelle, attenta. Anche lui se l’aveva trovata una cosa strana, le armi nei Nephilim erano ben conservate e loro vi tenevano particolarmente perché era ciò che utilizzavano per compiere la loro missione sulla terra ovvero tenere lontano il male. Era impossibile che queste svanissero nel nulla.
«Spade angeliche, un paio di mazzafrusti, diverse spade corte, un arco e parecchie frecce. Tutto scomparso quattro giorni fa. So per certo che non è stato nessuno dei miei Shadowhunters, le spade che prelevate vengono regolarmente registrate e se anche l’Adamas si incrina, le portiamo dalle Sorelle di Ferro perché vengano riforgiate. Siamo molto attenti in questo senso.» 

«Non può essere stato qualche Nascosto?» indagò invece Simon, anche questa era una possibilità, sebbene molto remota.
«Possibile» annuì Clary, sebbene non sembrasse pienamente convinta. «Ma chi ha sangue di demone nelle vene o ha una malattia o una maledizione demoniaca, come vampiri e lupi mannari, non può usare le spade angeliche come facciamo noi, quindi che senso avrebbe rubarle? Secondo me è stato un altro Shadowhunter e chiunque sia ha fatto sparire nel nulla anche Alec; sei d’accordo, Magnus?»  
«Direi di sì, biscottino» annuì, regalando un sorriso amaro. «Mi sembra chiaro che i due eventi siano collegati. Inoltre c’è la faccenda delle linee di energia.» Non aveva ancora una risposta a questo, si era fatto qualche idea, ma ognuna di esse pareva insensata o forzata. Il guaio era che ogni persona che si ritrovava a fronteggiare in quel momento pretendeva da lui una chiarezza che non poteva dare.
«Parla, Magnus» lo esortò Isabelle, dura e spiccia, ricordandogli tanto la Maryse dei primi tempi. Si somigliavano in maniera incredibile, ma quando Izzy diventava determinata a ottenere qualcosa, sembravano ancora più simili. «Cos’hai scoperto?» Beh, non molto a dire il vero e si ritrovò a dirglielo, rilasciando al contempo un grande sospiro.
«Le linee di energia sono chiare: c’è una magia sconosciuta che si sovrappone alla mia e non si tratta di niente di demoniaco.»
«Ma se non sono i demoni chi può essere stato?» borbottò Simon, senza capire. «Forse sono state le fate, anche se la nuova Regina Seelie sembra essere più ben disposta della precedente nei confronti degli Shadowhunters.»   
«Lo escludo, conosco i loro incantesimi» negò Magnus, scrollando il capo. «Questo è diverso e, so che può sembrare assurdo, ma l’energia che ho trovato assomiglia a quella dei tuoi portali, Clary.» A fronte di quella rivelazione, nel gruppo scese il silenzio. Magnus notò il modo in cui anche Erik aveva sollevato lo sguardo in direzione della ragazza dai capelli rossi, fissandola come se soltanto allora si fosse reso conto di chi avesse davanti. Tutti gli Shadowhunters sapevano del suo straordinario potere legato alle rune, aveva anche riferito al consiglio le sue abilità, mostrandole a chiunque glielo chiedesse. Molte di quelle che aveva creato, come la runa anticoncezionale, * erano diventate parecchio famose e molte Nephilim la utilizzavano. Presto però era diventato evidente che l’abilità di creare portali e quella di irradiare pura luce angelica dalle mani fosse un qualcosa che soltanto lei riusciva a fare, probabilmente aveva anche fare con il sangue di Ithuriel che le scorreva nelle vene.
«Cosa stai cercando di dire? Io non…»
«Lo so, biscottino» mormorò Magnus, comprensivo. Per un istante venne dominato dall’istinto di abbracciarla e darle conforto, o cercare in lei un sostegno di cui aveva un disperato bisogno. Invece serrò i pugni e si limitò a farsi avanti di un passo, parlando con voce chiara: «Non penserei mai che tu possa fare qualcosa ad Alexander, dico solo che l’energia che ho trovato era angelica e questo può voler dire qualsiasi cosa. Anche che la tua teoria sullo Shadowhunter sia corretta. So che finora tu sei stata la sola a riuscire a creare portali da una runa, ma magari qualcuno è stato in grado di aprirne uno e forse questa stessa persona ha un piano che comprende molte armi e l’Inquisitore. Può essere tutto in questo momento.»
«Va bene, qualunque cosa sia, la cosa importante adesso è capire dov’è finito Alec» tagliò corto Jace, piazzandosi nel mezzo di quel piccolo capannello che avevano formato sul sagrato della chiesa e agendo come se volesse prenderne il comando. Non che la cosa lo sorprendesse, nonostante avesse rifiutato la direzione dell’Istituto per darla ad Alexander, aveva sempre avuto l’indole di agire di testa propria e trascinare tutti quanti con sé.
«Cos’hai in mente?» chiese Erik.
«A New York non riuscivo a rintracciarlo, se non ha attivato la runa di blocco dovrei riuscire a capire dove si trova.» Jace estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni il proprio stilo e lo passò sulla runa di localizzazione, aveva evitato di usare il legame Parabatai perché sapeva che poteva essere pericoloso e ancora stentava ad utilizzarlo. Alec era quasi morto una volta ed entrambi avevano giurato che non avrebbero mai più rischiato di spezzare il legame in quel modo, ma che avrebbero trovato sempre un’altra strada. Eppure Jace fremeva per fare quel passo, non lo diceva, ma riusciva a percepire la sua tensione, la frustrazione di non riuscire a essere di aiuto. La stessa che lo portò a gettare a terra lo stilo con stizza poco dopo. Anche in questo poteva capirlo, i suoi tentativi di capire dove fosse continuavano a fallire miseramente.
«Non sento niente!» sbottò, arrabbiato con se stesso.
«Jace, sai bene che questo può voler dire che ha attivato la runa di blocco. Non cerchiamo strane spiegazioni, se non riusciamo in questo modo, useremo i computer, quell’energia sarà riapparsa da qualche altra parte nel mondo.» Clary aveva perfettamente ragione e mutamente, Magnus ringraziò il suo buonsenso e l’innata capacità che aveva di pensare in maniera razionale e trovare sempre la soluzione giusta a ogni problema che le si parava davanti. Dovevano soltanto seguire l’energia e avrebbero trovato anche Alec.
«E se così non fosse?» replicò Jace, agitando le mani in aria come se fosse impazzito. «Quello che abbiamo visto non era un comune portale, magari lui è qui, ma non è qui.» Magnus riuscì a capire quello che stava dicendo soltanto perché era il più vecchio di tutti e aveva la mente abbastanza allenata da essere in grado di afferrare anche i più contorti ragionamenti.
«Stai forse suggerendo che Alexander sia in un’altra dimensione?» gli domandò con voce incredula. «Perché è semplicemente ridicolo. Esistono dimensioni demoniache e in una siamo anche stati, ma non esistono “Altre dimensioni”» borbottò Magnus, incrociando le braccia al petto. E se anche fossero esistite non aveva la minima idea di come arrivarci, era Ragnor l’esperto di portali dimensionali, non lui. ** Ma quel cetriolo andato a male aveva pensato bene di farsi ammazzare! La risposta a quel problema non era così tragica, se c’entravano gli angeli era più probabile che Jace fosse confuso, che la loro magia interferisse con rune e il rintracciamento, anche con il legame Parabatai a dirla tutta.
«So quello che sento» si intestardì Jace, indurendo le espressioni del volto.
«Quello che senti ora come ora potrebbe non valere un accidenti di niente» gli fece presente Magnus, alzando la voce. Lo stava facendo proprio infuriare! «Se ci sono gli angeli di mezzo, Dio solo sa perché, allora potrebbero interferire con le tue preziosissime rune e il tuo santissimo e intoccabile legame Parabatai dei miei stivali!» Non avrebbe voluto essere tanto acido e neanche avrebbe dovuto prendersela con Jace, in fondo avevano lo stesso obiettivo e come aveva detto si rendeva conto di quanto fosse spaventato. Il fatto però era che quel biondino lo irritava, pensava sempre di avere ragione e non accettava critiche di alcun genere né tollerava di essere contraddetto. E comunque sapeva benissimo che gli stava dando la colpa di quello che era successo, forse non lo aveva ancora espresso a parole, ma era dall’inizio di quella brutta faccenda che gli lanciava strane occhiate. Era colpa sua e come poteva non esserlo? Aveva aperto il portale, probabilmente lo aveva spedito chissà dove senza rendersene conto. E poi aveva aspettato tre giorni prima di allarmarsi, avrebbe dovuto muoversi prima, forse avrebbe potuto salvarlo, forse… Forse non si sarebbe sentito così terribilmente in colpa e spaventato. Lo sapeva già da solo, questo, non era il caso che arrivasse uno Shadowhunter a ricordarglielo. Proprio per questo non riuscì a essere comprensivo e accomodante, sebbene si rendesse conto del fatto che Jace fosse spaventato tanto quanto lui e vivesse nell’incertezza, aveva come una rabbia che gli ribolliva nello stomaco e che non era capace di trattenere.
«Tu dici così solo perché sei geloso del rapporto che ho con lui, lo sei sempre stato» proruppe Jace mentre Clary accanto a lui alzava gli occhi al cielo e Isabelle già si frapponeva per sedare una, ormai piuttosto probabile, discussione.
«Io geloso di te?» rise, forzando un divertimento che non aveva. «Io? Il sommo Magnus Bane geloso di un ragazzino petulante e saccente? Ma per favore, casomai è vero il contrario. Fin dal giorno in cui ho conosciuto tuo fratello non mi hai mai sopportato.»
«E facevo bene a detestarti!» esclamò lui, rabbioso. «Guarda che hai combinato, il mio Parabatai è scomparso a causa tua. Tu hai aperto il portale, tu lo hai spedito chissà dove.»
«Ma come ti permetti? Tu, brutto idiota, brutto…» Magnus non aveva mai usato la propria magia contro un qualcuno che non gli avesse fatto un torto o che non avesse tentato di ucciderlo, non era quel tipo di stregone. In quel momento però la rabbia che nutriva nei suoi confronti era talmente tanta, che non soltanto mentre parlava aveva esibito il marchio da stregone e un paio di stupendi occhi da gatto avevano dato bella mostra di sé, ma aveva chiaramente sentito un formicolio tra le dita. Stupido Nephilim! Come osava accusarlo di gelosia? Come si permetteva di far ricadere tutta quanta la colpa su di lui? Non aveva fatto niente di fuori dall’ordinario, ma ciò che faceva ogni giorno ovvero aprire un portale e aveva funzionato, Alec era arrivato a Stoccolma tutto intero, solo che qualcuno lo aveva rapito, che colpa aveva di questo? Come se non fosse già abbastanza insopportabile il pensiero che l’uomo che amava con tutto quanto se stesso fosse sparito nel nulla, e che magari in quel preciso momento qualcuno lo stesse torturnando con l’intento di ucciderlo lentamente. Il giorno in cui lo aveva sposato aveva promesso a se stesso che avrebbe protetto il suo amore a costo della vita e il pensiero che Alexander gli fosse scomparso da sotto gli occhi senza che se ne rendesse conto… Beh, non c’era bisogno di Jace e dei suoi giudizi lapidari, Magnus già si sentiva sufficientemente responsabile da sé. Era un idiota, ma era un idiota arrabbiato ed era sicuro che se un fulmine non fosse caduto dal cielo a pochi metri da dove si trovavano, facendogli venire per altro un infarto, probabilmente avrebbe sfoderato un qualche incantesimo, finendo con il trasformare Jace in un rospo.

 

Fu Simon il primo a farsi avanti, tipico della sua personalità l’essere terrorizzato da un qualcosa, ovvero un fulmine che cadeva in un cielo perfettamente sereno e privo di nubi, ma l’andare comunque avanti. Subito dietro di lui c’era Clary con le sue due spade dalle lame corte e Isabelle, che aveva sfoderato la frusta e pareva pronta a farla schioccare. Jace invece teneva in mano una spada angelica, ora illuminata. Erik era invece rimasto indietro, anche lui aveva l’arma sguainata, ma si guardava attorno con fare circospetto come se da un momento all’altro si aspettasse un attacco di qualche tipo. Il fulmine era caduto al centro della piazza antistante la chiesa, a pochi metri dal portone. A Magnus era venuto istintivo guardare verso il cielo, sebbene sapesse che quel lampo di naturale avesse ben poco. Era stato talmente potente d’aver lasciato una bruciatura sulle mattonelle del sagrato, al cui centro c’era una macchia più chiara, che scoprirono essere un foglio nell’esatto momento in cui Simon si chinò per prenderlo in mano. Era un messaggio di fuoco, o la sua versione angelica e parecchio scenografica perlomeno.


 

“Solo la Magia e il Coraggio potranno oltrepassare il ponte. Appianando le divergenze e unendo le loro forze, la Lealtà verrà salvata e ciò che egli protegge al mondo verrà svelato.”








 

Continua



 

*Per chi fosse arrugginito con i libri, ricordo che questa runa viene creata per davvero. Se ne fa menzione in Dark Artifices.
**Nei libri viene detto che Ragnor è un esperto di portali dimensionali.

 

Note: La storia è ispirata alla puntata 3x08 della serie TV “Merlin”, intitolata “The Eye of the Phoenix”. In quell’episodio Arthur deve superare alcune prove per recuperare un oggetto di grande valore, ma per farlo gli viene detto che dovrà servirsi anche della forza (rappresentata da Gwaine) e della magia (rappresentata invece da Merlin), lui invece personifica il coraggio. Ci saranno alcune similitudini, sebbene nessun Re Pescatore e nessun Tridente magico da recuperare.

 

Mi è stato fatto notare da un utente che ha recensito la mia traduzione a questa storia su AO3, che avevo commesso un errore: avevo scritto che Stoccolma si trova in Norvegia, quando è invece in Svezia. Ovviamente lo sapevo, è stato un lapsus micidiale del quale mi scuso. Dovrei averlo corretto ovunque.
Koa

 
   
 
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