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Autore: RanmaFanwriters    25/09/2022    6 recensioni
“Si troverà sempre una cosa nell’ultimo posto in cui la si cerca.”
(Arthur Bloch, Il secondo libro di Murphy)
Akane e la ricerca dell’amore. Tre atti per tre autrici: Natural love di Giorgi_b, First love di Moira78, Perfect love di TigerEyes.
Buona lettura!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Soun Tendo, Tofu Ono
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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First Love
di Moira
 
 
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Glossario:
Otōsan: Papà.
Dojo: Luogo dove si praticano le arti marziali.
Daifukumochi: Dolce giapponese composto da riso glutinoso e marmellate di vario tipo, tra cui quella di fagioli rossi detta azuki.
Miso: Condimento ottenuto da semi di soia gialla fermentati.
Kata: Movimenti usati nelle tecniche di combattimento delle arti marziali.
Kami: Divinità della religione shintoista.
Karategi: Divisa per praticare il karate.

 
- § -
 
 
Non sono gelosa di mia sorella. Io non sono gelosa di Kasumi...

Se lo ripeteva nella mente, Akane, mentre si guardava allo specchio e spazzolava i capelli con gesti lenti e meccanici. All'inizio aveva incontrato qualche nodo, ora le setole della spazzola filavano come se fossero divenuti seta.

Tofu era un uomo adulto, eppure era anche un ragazzino. Tofu era il medico integerrimo e affidabile, ma anche l'adolescente insicuro che si emozionava davanti a una ragazza molto più giovane di lui. Tofu era...

Era quello arrivato in città l'anno prima, cui era andata a dare il benvenuto con Kasumi approfittando di una distorsione al polso. Voleva impressionare suo padre, ma aveva colto il suo sguardo terrorizzato quando aveva impilato persino troppe tavolette perché potesse spaccarle lui stesso con un colpo ben assestato. E aveva bevuto, dissetandosi, l'espressione stupita e ammirata nei suoi occhi scuri di solito velati dalla tristezza o dalla malinconia.
Un attimo prima di leggervi l'orrore.

Akane non era riuscita a dissimulare una smorfia di dolore e Otōsan era uscito precipitosamente dal dojo per chiamare Kasumi a gran voce, solo per tornare da lei e controllarle il braccio con le lacrime agli occhi: "Ti fa molto male, piccola mia?".

Piccola. Piccola mia...

Sì, erano bastate quelle parole a farle salire un nodo in gola, perché cominciava a sentirsi di nuovo come quando era piccola e avere l'amore e l'approvazione di Otōsan era il suo unico scopo nella vita. Anche ora, che passava ripetutamente la spazzola e le dita tra le ciocche che ormai superavano le spalle, poteva avvertire quello struggente sentimento infantile. Dolce, come i daifukumochi che mangiavano la domenica; amaro, come il miso che aveva assaggiato una volta in cucina. 

Perché a volte si sentiva strappata in due, quasi i propri piedi tirassero in direzioni opposte: da una parte la sua infanzia, dove la perdita della mamma l'aveva prostrata, ribaltato il suo mondo e convinta a trovare uno scopo nella vita che rendesse orgoglioso suo padre. Dall'altra, la necessità fisiologica di lasciarsi alle spalle quella sorta di porto sicuro per far fronte a quel nuovo, strano sentimento che sembrava agguantarle il cuore ora con l'intenzione di carezzarlo, ora con quella di stritolarlo senza pietà.

E il viso giovanile e al contempo maturo di Ono Tofu si sovrapponeva sempre più spesso a quello di Otōsan, la cui immagine era sempre presente, ma sfumava nei contorni di un affetto paterno. Ciò che sentiva quando il suo medico le sorrideva o le poneva una mano sul capo, invece...

All'inizio aveva davvero pensato che si trattasse di qualcosa di simile all'amore che provava per il papà. E, d'altronde, il buon dottore non la trattava forse con la medesima tenerezza?

La tenerezza...

La tenerezza di quelle mani grandi e calde che potevano farle una fasciatura perfetta come quella che aveva alla caviglia, consentendole di stare in piedi davanti allo specchio come una sciocca a pettinarsi senza provare dolore; la tenerezza che svaniva, quasi come per magia, quando lo guardava di nascosto impegnarsi in qualche kata nel quale quelle stesse mani sembravano voler afferrare l'aria e trattenerla, le gambe si piegavano contraendo ogni singolo muscolo per sostenersi in modi diversi.

La spazzola affondò di più, tanto che la sentì premere contro il cuoio capelluto in maniera quasi dolorosa, afferrò un nodo rimasto in profondità e lo sciolse strappando di certo alcuni capelli al suo passaggio. Le punte ricaddero sulle spalle e Akane le osservò con occhio critico: no, di certo non erano più lunghe di prima, casomai ora erano meno folte, visti i poveri resti che occhieggiavano scomposti tra le setole.

Quel pomeriggio, quando era giunta zoppicando fino al cortile posteriore dove sperava di trovarlo ad allenarsi, era rimasta quasi senza fiato: stava facendo un esercizio che non aveva mai visto fare neanche a suo padre e che lei stessa non aveva mai provato in quel modo.

Ono Tofu, avvolto nel suo solito kimono marrone, stava facendo delle flessioni sostenendosi con il solo dito indice, il corpo teso come un fuso che si alzava e si abbassava, l'espressione algida dietro gli occhiali e neanche una goccia di sudore sulle tempie. Il codino che tratteneva i capelli sembrava a sua volta quasi immobile, come se l'uomo stesse convogliando la sua facoltà di movimento solo al gomito che si piegava costantemente, mentre l'altro braccio rimaneva dietro la schiena.

Era gelata ed era avvampata nello stesso momento, il ghiaccio nelle gambe che si rifiutavano di collaborare e muoversi e il fuoco sul viso. Non aveva mai provato nulla di simile per suo padre. Perché, in quel caso, stava cominciando a maturare in lei l'insana quanto assurda voglia di allungare una mano per toccare il torace di quell'uomo così concentrato solo per accertarsi che i muscoli fossero ben tesi anche lì e sui bicipiti che non poteva vedere e persino sulla coscia che si puntellava grazie alle dita dei piedi ben salde a terra.

Forse aveva emesso un qualche suono di sorpresa, mentre si portava le mani alle labbra, perché quel corpo si era finalmente rilassato e lui le aveva sorriso. E che i kami la fulminassero se capiva come mai avesse adorato e allo stesso momento odiato quel sorriso.

"Ciao, piccola Akane, cosa ti è successo?".

Piccola. Piccola Akane.

"Non sono più così piccola, ho quattordici anni!", disse allo specchio mentre tirava forte un'altra ciocca con la spazzola come se avesse potuto indurla davvero ad allungarsi fino a diventare come quelle di Kasumi. Magari in quel mondo alla rovescia dietro al vetro sarebbe accaduto.

Già, Kasumi.

Da parecchio si era resa conto che Ono Tofu non sorrideva allo stesso modo a Kasumi. Perché con lei rideva, rideva forte, come se la sorella maggiore avesse qualcosa di divertente disegnato sulla faccia o dicesse barzellette tutto il tempo, invece di riservargli un saluto educato prima di spiegare come la piccola Akane si fosse fatta male per l'ennesima volta.

All'inizio aveva riso anche lei, assieme a Kasumi e al medico che pareva trovare nel suo scheletro Betty l'assistente ideale. Oh, aveva metodi davvero molto carini per non spaventare i piccoli pazienti! Come ad esempio disinfettare e mettere le fasciature all'ossuta compagna invece che a lei, oppure cominciare a ballare tenendola come fosse una dama in carne e non solo ossa, vestita di tutto punto.

Akane era stata molte volte sul punto di dirgli che lei ormai era troppo grande per spaventarsi e che non sarebbe stato certo un po' di disinfettante o un batuffolo di cotone a intimorirla. Però le sue visite erano così divertenti che la piccola Akane aveva avuto il sopravvento e si era goduta lo scherzo di quell'uomo che si comportava come un ragazzino, raccontandone le divertenti gesta al suo papà.

E tuttavia, qualcosa si stava incrinando sempre di più man mano che i mesi passavano e tredici anni diventavano quattordici. Aveva cominciato a vedere Kasumi che sbocciava come un fiore, diventando la donna che di certo era stata sua madre alla stessa età. E quando la vedeva accanto a Ono, non le sembrava affatto che la differenza di età fosse così pronunciata: perché lui sembrava più giovane e Kasumi a tratti più grande.

Quasi dovessero incontrarsi a metà strada.

Quella consapevolezza l'aveva travolta una notte di un paio di mesi prima, mentre sognava sua madre. Odiava ammetterlo, ma aveva bisogno di rivedere le poche foto che tenevano in casa per ricordarla: la maggior parte le custodiva suo padre nella propria stanza, quasi palesarle potesse far aumentare troppo il dolore mutandolo in quello del giorno stesso della sua morte.

Eppure, nel suo sogno, la mamma era bella e reale, forse persino più bella di quanto fosse stata davvero. C'era tanta dolcezza nei suoi occhi che guardavano Otōsan, il quale ricambiava nella stessa maniera! In quegli occhi c'era amore allo stato puro, ma un amore profondamente diverso da quello che entrambi riservavano a loro, le tre figlie rimaste orfane di madre troppo presto.

Lo sguardo di una donna a un uomo. Lo sguardo di una madre o di un padre.

Akane si era svegliata nel cuore della notte con gli occhi pieni di lacrime, desiderando afferrare e trattenere la visione bella e vera prima che svanisse. Ma si stava già sciogliendo in stille salate che cadevano sulle coperte e sul pigiama. E virava in un sentimento di consapevolezza che con lei non c'entrava nulla.

Lo sguardo di Tofu per la piccola Akane era quasi paterno.

Perché faceva così male? Lei aveva ancora accanto il suo papà e stava diventando ciò che lui agognava: la sua degna erede! Quindi, perché le importava tanto che un uomo molto più giovane la guardasse in un modo simile? Non le stava certo togliendo qualcosa, né sostituendosi a Otōsan.

Sospirò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi e arrendendosi all'evidenza che i propri capelli non fossero lunghi come quelli di Kasumi, perché per comodità li accorciava spesso e li teneva legati, così da muoversi più liberamente. E non si sarebbero mai allungati come per magia spazzolandoli nervosamente e persino spezzandoli nella foga. Sarebbero rimasti lì, a superare di poco le spalle, e non li avrebbe d'improvviso sentiti ondeggiare sulla schiena: per quello avrebbe dovuto attendere mesi. Forse persino anni.

Nulla in lei era come Kasumi, né Ono Tofu le avrebbe mai rivolto uno sguardo invisibile dietro agli occhiali sempre appannati, come se il tasso di umidità sulla sua faccia aumentasse alla presenza della sorella maggiore. E non rideva neanche come se fosse in preda alle convulsioni. Né si metteva a fare cose strane come volteggiare per lo studio con Betty fra le braccia.

Quel giorno, per la prima volta in un anno, Akane era andata da lui senza Kasumi e ne aveva avuto la prova: il dottore era stato dolce e ineccepibile, però non aveva usato quelli che aveva sempre creduto dei trucchetti per tranquillizzarla.

Perché il motivo di quel suo comportamento goliardico non era lei, ma sua sorella.

"Da dove sei saltata, questa volta? Oh, no, fammi indovinare! Hai tirato un calcio al muro!". Il tono era divertito, ma Ono sembrava un fratello maggiore

o un padre

che tenta di ammonire la sorellina scavezzacollo, con il dito giocoso che si agitava fino a sfiorarle la punta del naso. Inducendola a chiudere gli occhi e desiderando che indugiasse più a lungo.

Impazzita, sono impazzita.

"Io... ho solo cercato di... stavo tentando...". E da quando in qua farfugliava? Davanti al dottor Tofu, poi! Di colpo, le era mancata Kasumi. Si era sentita scoperta lì con lui, vulnerabile come mai le era capitato in sua presenza.

"Non importa, Akane. Ora stendi bene la gamba così che possa fasciarla. Hai avuto un bel coraggio a venire qua da sola, ma sei stata anche un po' incosciente. Sarebbe stato meglio che ti fossi fatta accompagnare da... da...". Aveva cominciato a balbettare, il dottore, inciampando su un nome fin troppo familiare.

Inconsciamente, Akane aveva scoccato un'occhiata a Betty, interrogandosi e rispondendosi quasi subito: senza Kasumi, lo scheletro rimaneva uno strumento didattico in uno studio medico, muto e senza vita. Persino inquietante.

Ono Tofu aveva delle belle mani. Non grandi come quelle di suo padre... o forse sì? Decisamente, però, sembravano più le mani di un pianista che di un medico o di un appassionato di arti marziali. No, guardandole meglio le aveva notate, quelle meravigliose imperfezioni: sì, erano affusolate ed eleganti ma anche maschili. Non era un callo quello sull'indice, vicino al polpastrello? E il pollice della mano sinistra, che stava facendo girare con l'aiuto della destra la benda sulla caviglia, non riportava forse un piccolo cerotto?

"Che c'è, ti sto facendo male?", la voce l'aveva fatta sussultare così forte che il piede si era mosso e lui aveva dovuto posare una di quelle mani sulla gamba perché rimanesse ferma. Il brivido le risalì su, fino all'anca, molto oltre la schiena per soffermarsi dietro al collo. Decisamente, tutto ciò non era normale. Se il dottore avesse notato la pelle d'oca avrebbe fatto una misera figura!

"No, sto bene, era solo... un po' di solletico. La benda mi faceva il solletico". Era stata l'unica cosa di senso compiuto che le fosse passata per la mente.

"Da come la guardavi sembrava che ti stessi avvolgendo intorno qualcosa che non avevi mai visto. Oh, forse perché ho cambiato fornitore e queste sono più scure!", aveva commentato alzando il rocchetto per osservarlo meglio. "Dovrebbero essere più morbide, giusto?".

"Sì", aveva risposto meccanicamente. "Molto... belle... ehm... morbide. Volevo dire... morbide". Kami del Cielo! Aveva detto 'belle' al posto di 'morbide' e quell'aggettivo ne era uscito come una carezza. Perché le sue mani erano morbide come una carezza. Altro che le bende nuove!

Il medico aveva terminato di fasciarle la caviglia e lei sentiva a malapena il dolore nel tamburo che era il suo cuore, martellante nelle orecchie e persino dentro agli occhi. "Prova a scendere, piccola Akane, e dimmi se riesci a camminare".

Piccola. Era bastato quello per sbalzarla fuori dal sogno. Un sogno che era anche un incubo, perché Tofu non aveva dato cenno di comportarsi in maniera anomala, ma era stato professionale e gentile come un medico con un paziente adulto. E senza la presenza di...

"È permesso? La porta era aperta... Akane, sei qui?". Le mani che tanto l'avevano affascinata, per fortuna già lontane dalla caviglia, si erano contratte nell'aria, gli occhiali si erano appannati all'istante ed era avvenuta la trasformazione. Alla fine Kasumi si era accorta della sua assenza e l'aveva seguita.

"Ka... Ka... Ka... suuuumi!? Ma che sorpresa, come mai da... queste parti?!". Ad Akane era parso quasi di sentire un inesistente gemito di frustrazione provenire dal teschio contrariato di Betty, quando il suo padrone l'aveva afferrata e piazzata davanti alla sorella maggiore. "Come vedi la piccola Akane sta benissimo, eh? No, non lei, ma Akane, la caviglia! Ahahahahahaah!".

E l'aria quasi sensuale che lo aveva avvolto nella professionalità impeccabile era stata sostituita dai modi ridanciani e goffi con i quali manovrava Betty, indicava le bende sulla sua caviglia e si teneva la nuca mentre rideva istericamente.

Akane riaprì gli occhi che aveva chiuso, avvicinandosi alla propria immagine come per cogliere il colore preciso delle iridi: "Quindi? Non la fissa certo con lo sguardo adorante che aveva papà nei confronti di mamma! Non riesce neanche a fissarla perché va fuori di testa!".

E tuttavia, era stato quel modo di guardarsi dei suoi genitori che l'aveva fatta sentire per anni in competizione con le due sorelle più grandi, lei, la più piccola, forse il maschio mancato cui papà voleva lasciare la palestra.

Ora di quella competizione non era rimasto nulla: aveva vinto, stava dando all'uomo della sua vita ciò che desiderava: il futuro del dojo, pur senza il suo aiuto. Nonostante la sua richiesta di non preoccuparsene più, infatti, lei non si era arresa e aveva continuato da sola guadagnandosi spesso occhiate e sorrisi che la ripagavano di tutti gli sforzi e le lacrime.

E adesso? Adesso che finalmente stava riuscendo nell'intento si sentiva sconvolta perché Ono, un maschio che non era suo padre, non la guardava come voleva? E da quando le interessava qualcosa di soggetti dell'altro sesso che non fossero Otōsan?!

Da quando si era resa conto che la gentilezza dietro quelle lenti era per lei come una carezza nell'anima; da quando aveva cominciato a chiedersi, non senza imbarazzo, quanto fossero sviluppati i suoi muscoli così forgiati dagli allenamenti; da quando, giusto un'ora prima, si era resa conto che la sua voce calma e la mano sulla caviglia mandavano piccole ma inequivocabili scosse lungo il suo intero essere, scuotendolo al pari di un fuscello al vento.

Akane gettò il viso fra le mani, respirando a fondo, trattenendo a stento la struggente e incomprensibile voglia di piangere, perdendo la presa sull'inutile spazzola piena di capelli strappati: ne udì a malapena il tonfo sul pavimento. Lei odiava gli uomini. Lei aveva passato l'intera vita a cercare di compiacere suo padre quasi si scusasse inconsciamente di essere nata femmina. Lei si stava finalmente redimendo grazie alla sua passione per le arti marziali. E ora... di colpo desiderava... no, anelava la presenza di un ragazzo dolce che la chiamava 'piccola' e che perdeva la testa per sua sorella.

Kasumi, quella perfetta che aveva preso le redini della casa e quasi occupato il posto di sua madre. Kasumi, che aveva almeno dieci anni meno di Ono, ma sembrava perfetta per lui: entro qualche anno, la differenza si sarebbe notata ancora meno.

E lei era sempre l'ultima, quella della competizione impossibile, quella che aveva scelto la disciplina fisica che pure amava per prendere le redini del dojo. Non sarebbe tornata indietro, mai. Anche perché ci sarebbe voluta un'altra vita per diventare femminile e bella come Kasumi: non avrebbe mai mandato in visibilio un uomo come Tofu, al massimo si era guadagnata qualche sguardo timido e sorrisetti affettati da alcuni compagni delle medie che non considerava nemmeno.

E Ono era la versione più giovane di suo padre, realizzò facendo un passo indietro e quasi inciampando sulla spazzola. Perché tentava di renderli più lucidi? E d'improvviso desiderava lasciarli crescere perché fossero come quelli di Kasumi? Lei non era Kasumi tanto quanto Ono non era Otōsan.

Eppure...

Eppure Akane poteva crescere e diventare carina, con la chioma lunga e sciolta quando non si allenava. Eppure Ono si allenava con passione nei momenti liberi come suo padre non faceva da anni. E lei... gli voleva bene. Tanto, tanto bene.

Le braccia si avvolsero intorno al suo corpo e, prendendo un respiro tremulo, immaginò di trovarsi lì, nello studio del buon medico, nel profumo leggero del disinfettante e del tè verde che teneva nel cucinino attiguo. Immaginandolo mentre muoveva giocoso le braccia scheletriche di Betty e le ossa facevano un rumore secco una contro l'altra.
E, per la prima volta in vita sua, Akane pianse per qualcuno che non era sua madre. Pianse per il suo cuore di ragazzina che si sarebbe spezzato lentamente ma in maniera inesorabile. Pianse perché non aveva una mamma con la quale confidarsi. Pianse perché non avrebbe potuto farlo con le sue sorelle. E pianse per quello che non sarebbe mai potuta essere.

Quando il pianto si ridusse a pochi, sparuti singhiozzi, Akane si sentì sciocca e rise di sé asciugandosi gli occhi. Non era da lei comportarsi così, né starsene davanti allo specchio osservando e pettinando i capelli invece di legarli, infilare il karategi e andarsene nel dojo, fosse anche per rompere qualche tavoletta con le mani finché la caviglia non fosse guarita.

Alle sue spalle, dalla finestra entrò un raggio di sole che si adagiò sulla superficie di vetro, illuminando la sua immagine quasi volesse confermare i suoi pensieri: lei non sarebbe stata un semplice riflesso di Kasumi.

Un giorno, sarebbe stata in grado di risplendere di luce propria.

Con quella nuova consapevolezza che la rinvigorì di colpo, Akane infilò le dita nella chioma maltrattata, quasi volesse farle una carezza per scusarsi. La riavviò dolcemente e afferrò l'elastico sul comodino per raccoglierla in una coda alta.

Un giorno... sì, un giorno... forse...

Voltò finalmente le spalle allo specchio, ma concedendosi un ultimo svolazzo malizioso a fior di labbra, come un sorriso sfuggente: tutto sommato, i capelli poteva lasciarli crescere. Cosa ci sarebbe stato di male, alla fine? Sarebbe diventata Akane dai capelli lunghi, non una copia sbiadita di Kasumi. Ed entro tre o quattro anni, Ono avrebbe finalmente notato anche lei...



Un grazie speciale a Tiger Eyes e Giorgi_b per avermi coinvolta in questo progetto: Tofu è sempre stato uno dei personaggi che mi intrigava di più e ho adorato poterlo approfondire un po' grazie a loro. Inoltre, è stato un onore e un divertimento per me scrivere con due Autrici di tale calibro. Grazie di questa bellissima opportunità!
 
 
   
 
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