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Autore: Vento di Levante    25/09/2022    0 recensioni

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Una piccola storia in un universo alternativo di Our Flag Means Death.
Le sirene esistono.
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Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Stede Bonnet
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Submarine | seconda parte

 

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Il tempo trascorso da quell'alba fatidica non era passato oziosamente, per Edward Teach.
 

Con l'andare dei mesi e degli anni, un pezzo alla volta, nei recessi della sua cabina si erano andati accumulando diari, mappe, cimeli e reliquie raccolti da ogni angolo dei Caraibi.
 

La sua collezione lo aveva reso esperto in un ambito piuttosto inusuale: nessuno infatti, almeno da quel lato dell'oceano, era in possesso di un tale numero di reperti e testimonianze su sirene e uomini marini.


Ad ogni modo nessuno avrebbe potuto, anche volendo, giovarsi di questa eccezionale competenza: era una mania di cui il capitano Edward Teach non parlava mai a nessuno, e della quale nessuno era a conoscenza.

 

Dopotutto, fin da ragazzo aveva amato circondarsi di strani trofei e chincaglierie esotiche, e di certo i mezzi per procurarseli non gli mancavano.

Se poi qualcuno del suo entourage aveva notato una piega curiosa nelle sue mire di collezionista, non aveva dato mostra di preoccuparsene.

Anche perché le sue capacità di capitano non ne avevano sofferto; al contrario.

Da quel giorno, Edward Teach era stato animato da uno slancio e una risolutezza che sembravano essere andati perduti insieme ai suoi vent'anni.

Non era mai stato più presente, più profondo nel giudizio, più fulmineo nelle decisioni; il suo secondo Izzy Hands aveva smesso di sudare sette camicie per buttarlo giù dal letto al mattino o strapparlo ai suoi lunghi periodi di apatia.

 

Blackbeard era cambiato, o forse era tornato se stesso.

In realtà, però, una sola cosa era diversa, da dopo quel mattino.

Edward Teach voleva vivere.
 

.

 

Chi va per mare sa che ogni tempesta potrebbe essere l'ultima.

Una nave è in fondo una ben piccola cosa, un limite molto sottile fra il mondo del respiro e le sterminate profondità marine; appena un mucchietto di legno, pece e tela a fare la differenza fra la vita e la morte.
 

Non per nulla i marinai sono le più superstiziose fra le creature; e i pirati sono i più superstiziosi fra i marinai.


Ci fu dunque più di un qualcuno, in seguito, pronto a dire che era stato lo stesso Blackbeard ad attirare la tempesta su di sé: il contrappasso per essere stato il flagello che aveva incendiato il mare e devastato la terra; per aver sfidato la benevolenza di re e divinità; per essersi venduto l'anima in cambio di venti anni di dominio sulla vita e sulla morte.
 

Qualcuno diceva che il diavolo stesso l'aveva reclamato, strappandolo scalciante e urlante dal ponte della nave; che nello scandalo le acque si erano aperte, che le onde si erano ritratte per non toccarlo; e che soltanto quando, già cadavere, si era sfracellato sul fondale roccioso il mare era tornato a richiudersi e la tempesta si era placata di colpo.
 

Naturalmente, i più ridevano di queste fole; rispondevano che la fortuna aveva semplicemente messo in pari i conti, che niente più che il caso aveva permesso a Teach di toccare le stelle, e che sempre il caso l'aveva scaraventato nelle fauci dell'abisso.

 

Di solito, quando queste cose venivano dette, chi era stato con Blackbeard il giorno della tempesta abbassava gli occhi in silenzio, nascondendosi in un boccale di birra o sotto la falda del cappello; e si stringeva nelle spalle per potersi raccontare che era il freddo, e non l'inquietudine, a farlo rabbrividire.

Edward Teach era stato un grande capitano; nel cuore della più spaventosa tempesta a memoria d'uomo aveva tenuto il timone finché non si era spezzato; la sua voce aveva continuato a sovrastare l'urlio delle vele lacerate finché nulla era stato più udibile sopra il rombo delle onde e lo strepito dell'albero che andava in pezzi.


Edward Teach voleva vivere, ma dopo che l'onda più alta si era abbattuta sul ponte, facendolo scomparire in un'esplosione di schiuma, nel giro di pochi attimi il vento era caduto e il sole aveva fatto capolino fra le nubi.
 

Ma questo nessuno, neppure chi allora era presente, lo avrebbe saputo spiegare.

 

.

Un attimo prima era aggrappato all'ormai inutile timone della propria nave, e subito dopo era scaraventato in un caos di acqua e vento e sale e freddo senza poter più distinguere il cielo dal mare. 

Aveva avuto ancora il tempo di pensare, prima di essere definitivamente strappato alla vita dalla forza dell'onda, che annegare era in fondo la minima parte, che andare a fondo è la cosa più facile, che a ucciderci davvero è la disperazione di non poter concepire la vastità della tempesta; e che se solo si potesse abbracciare tutta l'inesprimibile desolazione di quel caos, contenere in sé la dolorosa solitudine del cielo e del mare, la morte allora non avrebbe più alcun potere.

.
 

...Curiosamente, quando qualcosa in lui capì di essere ancora vivo, si ritrovò ancora preso in quella stessa matassa di pensieri, con la sensazione confusa di averne afferrato un capo e di non saperlo lasciare andare.
 

Sentiva la lingua premere sul palato e la schiena premere sulla sabbia e la stanchezza premergli sulle palpebre, e intanto girava intorno all'idea di aver passato la vita a tendere l'orecchio, cercando di capire cosa il mare avesse in serbo per lui.
 

Sentiva il rumore gentile della risacca e gli pareva che nascondesse un messaggio; cercava di trattenerlo fra le dita, come qualcosa trovato in un sogno, una rivelazione vividissima e brillante, che però ad ogni istante si allontanava più rapida, ritraendosi come la marea.

La risposta era stata proprio là; ma ormai gli era inaccessibile.

Mentre sentiva un raggio di sole accarezzargli il volto, qualcosa in lui la rimpianse come la fine di un amore.
 

E poi tutto si dissolse di colpo, spazzato via dalla sensazione meravigliosa di acqua fresca sulle labbra.

Edward smise di pensare e iniziò a bere avidamente, sentendosi più se stesso sorso dopo sorso; finché finalmente trovò la forza di aprire le palpebre.

 

Un paio di occhi color ambra gli restituì lo sguardo da molto, molto vicino.


La reazione di Edward fu così immediata che prima ancora di capire cosa succedeva era già balzato a sedere soffocando un grido, le dita affondate nella sabbia bagnata.
 

Davanti a lui c'era la creatura di tanto tempo prima.
 

Si reggeva sulle braccia al limite del bagnasciuga, la lunga pinna arenata sul fondale basso e gli occhi tondi di sgomento fissi su Edward.
 

Per alcuni lunghi istanti nulla si mosse eccetto le lente onde verdi.


Si trovavano in quello che sembrava un cenote, una sorta di immensa caverna in cui era nata vegetazione come in un giardino nascosto, con un cerchio di cielo in alto e una piccola spiaggia quieta, illuminata dal sole.
 

Su quella spiaggia si era risvegliato Edward Teach, redivivo e ritrovato dalla creatura che non aveva mai smesso di cercare.
 

Era la stessa di quel giorno, non c'era dubbio. La stessa coda screziata di arancio, gli stessi occhi.
Assordato dal battito del proprio cuore, Ed non osava quasi respirare.

 

Dopo qualche momento di tesa immobilità, e senza smettere di tenere lo sguardo fisso su Edward, la creatura mosse una mano; seguendo il gesto Edward si accorse che sulla sabbia in mezzo a loro era posata una gigantesca conchiglia di tridacna, colma d'acqua fino all'orlo.


Un attimo dopo Edward aveva tuffato la faccia nell'acqua più dolce mai piovuta dal cielo.
Ne bevve a sazietà, sentendosi rinascere; quando alzò di nuovo gli occhi, si accorse che l'essere marino lo osservava con quella che non si sarebbe potuta definire altro che divertita soddisfazione.

 

"...grazie," bofonchiò Edward asciugandosi la barba.
Non era sicuro che la creatura potesse comprendere le sue parole, ma al suono della sua voce sembrò animarsi, sporgendosi vivacemente verso Edward.


Doveva aver trascorso un certo tempo fuori dall'acqua, perché i suoi capelli erano asciutti e brillavano alla luce come oro filato. Sul naso e sulle spalle aveva una sfumatura rosa di sole.

Guardava Edward con occhi accesi. Aprì la mano, tendendola nella sua direzione, e poi verso di sé; posò le dita sulle proprie costole, sulle branchie ora ben chiuse, dove biancheggiava la cicatrice irregolare prodotta dalle corde della rete.

 

"Certo che mi ricordo," balbettò Ed, sentendosi invadere da una bizzarra emozione. Sollevò l'avambraccio su cui era ancora visibile il segno del morso. "Vedi?"

La creatura avvicinò il viso, la vivacità di un istante prima stemperata in un'attenzione assorta.
Lì sulla terraferma, priva della forza poderosa delle sue pinne e costretta a respirare aria, appariva goffamente impacciata, quasi vulnerabile.
Un'impressione che si stemperò in fretta quando sfiorò il braccio di Ed con una delle forti dita munite di artigli.

 

La creatura toccò la cicatrice, ripercorrendone la forma; ma poi la sua attenzione sembrò catturata dagli altri segni sulla pelle di Ed, e in particolare dal disegno dei tatuaggi.
 

Li sfiorò con cauta curiosità; sotto le unghie, i polpastrelli delle sue dita erano caldi e morbidi. Edward rimase immobile, trattenendo il fiato mentre il tocco di quella mano seguiva le tortuose spire del serpente che si snodava lungo tutto il suo braccio destro.
 

Quando arrivò alla sirena tatuata vicino alla sua spalla, la creatura si illuminò; cercò gli occhi di Edward, aprendo la bocca da cui non uscì suono, e mosse la coda, lasciando emergere dall'acqua il ventaglio della pinna.
 

"Ah. Ne ho altri. Più belli," mormorò Edward, sentendo montare un'emozione irragionevole.

Si sfilò la maglia e voltò le spalle.
 

Negli anni aveva istoriato il proprio corpo con ogni tipo di disegni, fra cui creature marine, pesci e onde; e, naturalmente, sirene.
La più grande era proprio al centro della schiena, lungo la spina dorsale; ed era quella che esibiva ora, con il cuore che batteva insensatamente forte, mentre dava le spalle a una creatura che avrebbe potuto facilmente ucciderlo.

 

Che lo aveva ripescato, disse una voce speranzosa in fondo alla sua mente.
 

Hai mai sentito parlare di esca viva, replicò un'altra voce che suonava sospettosamente come quella di Izzy Hands.


Il breve monologo interiore si interruppe di colpo quando avvertì il calore del palmo di una mano sulla pelle indifesa delle spalle, simile alla carezza del sole.
 

Edward fu percorso da un lungo brivido che lo scosse fino alla radice dei capelli, lasciandosi sfuggire un piccolo gemito; il contatto cessò bruscamente.
 

Edward si voltò e vide la creatura ritrarsi con gli occhi pieni di contrita confusione.


"No, ah-" senza pensarci Ed protese la mano a propria volta, ma non osò toccare la pelle candida, appena arrossata dal sole. "...è ok," mormorò; e con un gesto che sperò eloquente aprì le dita della mano destra e se le premette sul cuore.
 

Poi si avvicinò ginocchioni sulla sabbia, e raccolto tutto il proprio coraggio afferrò delicatamente la mano ancora sollevata della creatura e per guidarla sul proprio petto, proprio sopra il battito disordinato del cuore.
 

"...è ok," ripeté, con voce rotta da un'emozione senza nome.


Gli occhi color ambra erano divenuti immensi.

Anche dopo che Ed la lasciò andare, la mano sopra il suo petto rimase al suo posto, premendo calda sulla sua pelle. Al di sotto, il cuore di Edward martellava con tutta la propria forza.

 

Solo dopo un tempo che parve molto lungo, e durante il quale nessuno dei due si mosse, la mano della creatura lasciò lentamente il petto di Edward; scivolò verso la sua mano e in un gesto speculare la guidò sul proprio torace.


Sotto le dita, Edward poté sentire un battito profondo e regolare, lento come il respiro del mare e altrettanto forte.

.

 

 

 

NdA

Scusate :'3 
Questa seconda parte è interamente non necessaria, e ha preso una piega completamente diversa da quello che pensavo. Credevo di avventurarmi nelle torbide lande dello smut sottomarino, e invece è venuta una cosa un po' verbosa sulle rinascite, e sulle seconde possibilità. 
Forse è meglio così X')

   
 
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