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Autore: Enchalott    26/09/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Costrizioni
 
Shaeta sostituì la paglia negli stallaggi dei vradak e posò il forcone con un sospiro.
La ferita era quasi a posto, si faceva sentire quando sforzava la spalla o quando l’allenamento con la spada era particolarmente arduo.
Le giornate scivolavano tra mansioni e incarichi gravosi, concludendosi con le lezioni di lingua: Dasmi era severa e poco paziente, di umore nero da quando aveva ricevuto notizie del futuro marito. Scattava per un nonnulla e le liti con Valka erano frequenti.
Anche le riconciliazioni notturne comunque.
Si terse il sudore dalla fronte e si diresse alla postazione di Fyratesh.
Finito il lavoro, gli allungava una leccornia per tirargli su il morale. Il predatore la inghiottiva e si ritirava nel suo angolo: aveva strillato per giorni, chiamando il suo cavaliere, poi aveva rifiutato il cibo, infine non si era più mosso. Quello era l’unico modo per controllarne il preoccupante stato di salute, persino gli stallieri si erano sorpresi quando aveva accettato il boccone.
Gli avevano invece riso in faccia quando, per tranquillizzarlo, aveva domandato un indumento del Kharnot.
«Non male la tua trovata» considerò bonario Valka «Ma i vradak vogliono interagire, anche Aysah mi cerca quando non volo per un paio di giorni. Immagino come si senta Fyratesh ad aver assistito all’agonia del Šarkumaar. Lui non sa di averlo salvato ed è troppo lontano per avvertire il suo miglioramento.»
«Mahati è vivo?»
Il reikan annuì, appoggiandosi alla traversa della staccionata. Lo sguardo solitamente spensierato era cupo, il rubino delle iridi virava al ruggine e il sorriso smaliziato era una piega triste.
Shaeta aveva pensato fosse in lutto per la perdita del principe: non aveva mai scorto i Khai tanto abbattuti e se n’era meravigliato. Se però era sopravvissuto, le ragioni dell’infelicità del suo tutore risiedevano altrove.
«Perché non è così per Dasmi e Nusakan? Perché l’ha disarcionata?»
«Quell’esemplare ha tutte le carte in regola, non saprei.»
«Forse percepisce che lo ritiene inferiore e si sente offeso.»
«E questa da dove esce?»
«Me l’ha detto lei.»
«Da quando sei il suo confidente?»
La voce del guerriero era una lama di ghiaccio.
«N-non è come pensi, aveva un libro e…»
«Se ti reputi in piena ragione, mandami all’inferno, Minkari. Ai Khai non piacciono le discolpe, stridono come unghie su uno specchio.»
Lui considerò che rispondere per le rime gli avrebbe assicurato un fytarei o una carica di botte, ma ipotizzare un demone intento a giustificarsi collocò il consiglio nella giusta dimensione. Sperò valesse per i sottomessi.
«Impiccati, Valka» ribatté incerto.
«Ecco, già meglio» sogghignò questi «Attestato ciò, se non l’hai fraintesa, sono sconcertato. Un cavaliere del cielo che disprezza il suo vradak è un’incongruenza, non guadagnerà mai la sintonia su cui è basata la sella.»
«Ha parlato di obbedienza passiva.»
Il reikan scosse la testa, bofonchiando tra le zanne la parola “caparbia”.
«Accompagnami da Nusakan» propose Shaeta «È sempre rinchiuso, non vola mai. Mi fa compassione quando gli porto il pasto.»
«Credi di avere tempo da sprecare? È ora che ti batta con la spada, muoviti!»
«Tu ne sai più di me, voglio solo avvicinarlo e fargli compagnia. Altrimenti proverà a sfogarsi quando Dasmi lo monterà e sarà un disastro per entrambi.»
Valka soppesò la possibilità e ne convenne.
«Non sei così incapace, ragazzino. Sta bene, ma niente sconti sulla pratica odierna.»
Fiancheggiarono gli alloggiamenti fino a quello desiderato: abituati all’odore dello straniero che li cibava, i predatori sollevarono i rostri in attesa di un extra. Nusakan saltò dal trespolo e si avvicinò all’entrata con un pigolio malinconico.
«Chla» ordinò Valka, tenendo la rete bassa per non aizzarlo.
Shaeta lo seguì cauto all’interno della recinzione. Quando vide l’animale obbedire, si avvicinò e gli allungò un pezzo di carne fresca.
«Nemmeno oggi è stato spazzolato» constatò amareggiato.
«Dammi qua» bofonchiò il demone agguantando la striglia.
Il fatto che venisse trascurato lo indignò. Solo i reikan avevano un assistente ai recinti, gli altri se ne occupavano come parte dell’apprendistato, ma non era raro che i cavalieri del cielo svolgessero la mansione in prima persona. Adoravano i compagni alati, li accudivano e li facevano volare al di là dei turni di servizio.
Il principe minkari ammirò la sicurezza con cui il guerriero si rapportava a un vradak non suo e con la fama di scostante e aggressivo.
Dopotutto va d’accordo con Dasmi.
«Continua tu» comandò Valka.
«I-io non so se il capitano gradirebbe.»
«Allora dovrebbe prendersi cura del suo pennuto. Le farò un discorsetto a proposito di responsabilità, mi toccherà esibire i nodi sulla spalla per farmi ascoltare. Tsk, prevedo baruffa anche oggi. Prendi!»
Il tono non lasciava adito a discussioni e Shaeta impugnò la spazzola. Captando la sua insicurezza, Nusakan arruffò le piume e raspò la terra, ma non si ribellò. Rimase buono alla razione imprevista di attenzioni, socchiudendo gli occhi e abbassando le ali.
«Sembra contento.»
«Lo è. Sono animali straordinari, hanno una sensibilità fuori dal comune. Sa che hai paura di lui, ma non ti dilania perché gli usi premura.»
«Essere stato assalito per anni da quelli della sua specie non mi agevola» borbottò Shaeta «Eppure aver intascato una beccata da Fyratesh non mi ferma. Non parlerei di paura, è solo bizzarro. Come per te montare a cavallo.»
«Perché no?» rise il reikan «Ho notato come ti studiano le giovani shitai quando passi in groppa allo stallone. L’uomo in sella al quadrupede piace, ne terrò conto.»
«C-che? Mi guardano perché porto la vostra uniforme e… lascia in pace le Minkari!»
«Mai assaggiata una, se ti preme saperlo.»
«Potrebbe venirti voglia!»
«Di sicuro, alcune ci provocano apposta.»
«È una tua interpretazione!»
«Vivi sulle nuvole, ragazzino! Khai non significa prevaricatore, non siamo tutti uguali. Ci sono casi in cui una prigioniera compie il primo passo. Non ci vedo nulla di male.»
«Non ti sfiora il cervello che sia l’effetto del trauma subito?»
«Ti riferisci alla sindrome da ostaggio?» lo gelò Valka «Difficile, se nessuno le ha mai toccate. È tanto faticoso pensare che quello sia il modo più semplice di conoscersi e di scoprire qualcosa di positivo nel nemico? Non solo per sentirsi vivi o scaldarsi la notte. Impara a non essere di parte, se miri a diventare un sovrano equo! Per quanto mi concerne, trovo riprovevoli le costrizioni, specie se indirette.»
Shaeta rimase di stucco all’argomentazione ineccepibile, ma l’immagine di Evlare in preda alla disperazione bruciava parecchio.
«Tu non hai delle dorei
«Ovvio che sì. Non significa che mi sia infilato a forza tra le loro gambe.»
«Perché?»
Shaeta si portò una mano alla bocca, accorgendosi tardi della propria inopportunità. Valka non stava mentendo, per lui non aveva senso negare una regola di guerra per guadagnare la fiducia di un ostaggio o chissà cosa. Inoltre la richiesta pareva volta a estorcergli una dichiarazione di fedeltà nei confronti di Dasmi o peggio, l’ammissione di un sentimento radicato. Interpretò così il lampo d’ira che transitò negli occhi rubino che lo fissavano.
«Se non le sbatti a terra lavorano meglio. È il segreto per un pasto decente e per avere l’uniforme in ordine» ironizzò Valka «Ma, tornando a monte della questione, per te non sarebbe lo stesso.»
«Come?»
«Le shitai sono tue conterranee, non si sentono certo obbligate. Se ti sbavano dietro, è perché piaci. Perché non ne scegli una e lasci che il resto venga da sé?»
«I-io non potrei… e poi, sempre sia vero, sono attratte dal mio titolo, non da me!»
«Il problema non sussiste. Quaggiù non conti un bel niente. E, per metterla sulle sdolcinature care alla tua gente, come troverai la tua preziosa se non provi?»
«Non voglio approfittarne, sono così… fragili e spaurite!»
Il demone alzò gli occhi al cielo.
«Beata innocenza! Stai attento che non siano loro ad approfittarne!»
Shaeta lo guardò imbambolato.
«Le erbe contraccettive» specificò l’altro «Mettere al mondo un figlio è un attimo e nel tuo caso sarebbe l’erede dell’Irravin. Lo condanneresti all’asservimento, sempre che non ti venga tolto.»
«Minkar non è vinta! Comunque la questione non si pone, non corteggerò una ragazza solo per sapere com’è passare la notte con lei! Sarebbe un’offesa!»
«Quante moine! Una Khai non si sentirebbe oltraggiata da un uomo che le va a genio, anzi gradirebbe l’offerta.»
Shaeta arrossì fino alla radice dei capelli. Abbassò il viso senza ribattere e ricominciò a spazzolare Nusakan.
«Non mi dire» sogghignò l’altro «Ti piacciono le nostre guerriere, sei un intenditore.»
«Vai all’inferno!»
«Tsk! E io che avrei messo una buona parola per te.»
«No grazie! Mi basta quel che ho visto!»
«Stai di nuovo generalizzando. Non sono tutte aspre come Dasmi.»
«Buon per voi! E poi non mi riferivo a lei.»
«Meglio. Lei è già… promessa.»
C’era infinita mestizia nell’aggettivo. L’irritazione del principe sfumò nell’empatia.
«Ecco fatto» borbottò posando la striglia «Le piume più lucide del regno. C’è altro che possiamo fare?»
«Mh, proverei a sellarlo. Non so se si lascerà montare alla prima, ma vale la pena tentare. Ti insegno a mettere i finimenti.»
Il vradak li guardò diffidente, ma dopo un paio di approcci si lasciò bardare senza elargire beccate. Provò a tirarsi via la sella, poi si rassegnò con uno stridio seccato.
«È normale che strattoni?» chiese Shaeta.
«Non dovrebbe, ma considerando che è sempre fermo appare un po’ indietro. Lo riporterò in pari.»
«Lo fai per Dasmi?»
«Macché. Un predatore alato deve volare, detesto vederlo costretto a terra.»
«Ma se lei ottenesse i gradi, potrebbe rifiutare il matrimonio?»
«Non con un membro di spicco di quel clan. Kayran, oltre ad avere l’approvazione di Taygeta, l’ha adocchiata da quando le ha fatto scendere il veleno negli artigli, non mollerà la preda.»
«Oh, credevo fossi stato tu a…»
«Non sono reikan da molto e il mio clan non è altrettanto influente. È logico che la figlia di due generali abbia scelto un suo pari per consacrarsi a Belker. Lui è belloccio, potente e pieno di sé.»
Valka abbandonò il discorso sgradevole. Lasciò sgranchire Nusakan e lo fece levare in aria con la corda, rimandando il volo vero e proprio con l’augurio che fosse la sua compagna a portarlo fuori dal recinto.
«E ora pensiamo alla spada. Ti sei esercitato?»
Shaeta mugugnò un assenso, avvertendo il peso della giornata e tranciato dalla prospettiva di un riposo molto lontano.
Percorsero in silenzio il sentiero da cui erano venuti, tra i margini di neve spalata. Quando raggiunsero la postazione di Fyratesh, Valka diede un’esclamazione.
Il vradak era libero e strofinava il capo contro la spalla del suo cavaliere, pigolando come se avesse ritrovato la voce e la voglia di vivere. Mahati gli carezzava il dorso, sussurrandogli parole rassicuranti, accettando l’irruente manifestazione d’affetto.
Senza il dorcha il suo pallore era evidente: indossava molteplici strati di pelliccia, appariva affaticato dai gesti semplici e le volute di vapore che si levavano dalle sue labbra erano ravvicinate. Bastò un attimo e vacillò. Si sorresse alla giovane straniera che era rimasta poco discosta, passandole il braccio intorno alle spalle e cercando di non pesarle addosso.
Lei fu pronta ad accoglierlo, scuotendo la testa come se avesse previsto l’esito. Unì un sorriso al gesto amorevole, gli si agganciò al gomito e attese che si congedasse da Fyratesh. Il principe ascoltò quanto gli sussurrò all’orecchio e si volse, l’attenzione fagocitata da lei: le sfiorò il dorso della mano con un bacio e si allontanò dagli steccati a passi lenti, cingendole il fianco.
«È così giovane il Kharnot?» balbettò Shaeta, ipnotizzato dalla scena.
Non l’aveva mai visto senza ornamenti di guerra e la spossatezza che emanava lo privava dell’aura marziale. Accanto alla sua promessa sposa sembrava un ragazzo comune, il cui futuro era stato deciso da quando era venuto al mondo.
Uno come me.
«Cosa saresti disposto a fare?» mormorò Valka, fissando la strada vuota «Perché io mi venderei l’anima.»
«Per cosa?»
«Per essere guardato così.»
 
Se udire Valka pronunciare quella frase lo aveva stupefatto, la sua mestizia era risultata illuminante, pur non avendo compreso a chi si fosse riferito.
Mi è parso che quello colpito al cuore fosse Mahati. I Khai non amano, ma certo rispetta la sua futura sposa.
Shaeta si trascinò alla tenda, estenuato dall’allenamento.
Dasmi era impegnata in un’animata discussione con l’amante: dalla negligenza con Nusakan all’imminente arrivo di Kayran fu tutto un urlarsi contro, finché il reikan, esasperato, non la sbatté contro il tramezzo e la baciò con scarso romanticismo per poi passare al resto.
Considerò che darsi battaglia tra le coperte avrebbe spostato - non risolto - il problema, però comprendeva lo stato d’animo del suo tutore e la difficoltà di indurre a miti consigli una testa calda. Il concetto khai di legame invece rimase un mistero.
Si lavò e si cambiò, pensando che quella sera avrebbe evitato di scrivere paginate di segni incomprensibili. Si sbagliava: Valka uscì poco dopo, allacciando la casacca.
«Te ne vai?» domandò sorpreso «Non resti a cena?» si corresse all’occhiataccia.
«Ti ho detto che non sopporto le costrizioni.»
Era evidente che non alludeva al rapporto carnale, bensì a qualcosa che lo aveva offeso nel profondo. Gli dispiacque, era un nemico ma più spesso appariva come un rigoroso fratello maggiore e l’ostilità nei suoi riguardi era sparita.
Quando Dasmi entrò nell’ambiente principale, era un simulacro di freddezza: l’alterco non l’aveva coinvolta al di là della collera e, di primo acchito, nemmeno l’approccio passionale del compagno. Pareva che nulla potesse scalfirla.
Gli ordinò di prepararsi alla lezione, incurante dell’ora. Shaeta sciolse l’inchiostro sulla lastra di pietra e attese istruzioni. Lei scarabocchiò in testa al foglio e lo girò dalla sua parte.
«Ralaki. Verità. Scrivi che cos’è.»
La fissò sbalordito, non solo per la difficoltà oggettiva ma anche perché era la prima volta che non gli assegnava righe e simboli da ricopiare. Provò a ragionare nella sua lingua, ma la guerriera se ne accorse e gli appioppò una manata sulla nuca.
«Non ci ho mai riflettuto!» si lamentò «Puoi aspettare un attimo prima di alzare le mani?»
Alla contestazione Dasmi incrociò le braccia sul seno, ma non rincarò la dose.
«Se fossi davanti a un’asheat, ti saresti già bruciato» lo schernì «Sei nato incapace e sei senza speranza.»
Lui si astenne dal rinfacciarle che con i vradak, a differenza sua, era in sintonia, poiché il concetto di prova di coppia lo incuriosiva.
«Il tuo promesso sposo verrà per sostenerla?»
«Una vera seccatura.»
«Cerchi un’idea da me?»
«Pensi che abbia problemi con una futilità del genere? La prova mi distoglierà dal volo d’addestramento, a te non chiederei di disegnare un cerchio con una coppa!»
Shaeta scosse la testa: se le fosse importato superare lo scoglio, avrebbe montato Nusakan tutti i giorni, dunque la verità era distante. A meno che non vantasse ragioni diverse dal disinteresse.
«Il tylid è una sciocchezza?» ribatté «Che risponderesti se Kayran chiedesse quanto sei lieta di sposarlo?»
«I Khai non pongono domande stupide!»
«Che fortuna! Sarebbe la prima che ti rivolgerei, visto il matrimonio combinato. Colpa del mio cervello minkari, chiedo venia.»
«Attento a non irritarmi, moccioso!»
«Sto obbedendo ai tuoi stimoli e mi alleno a pensare come uno di voi. Il concetto di felicità è escluso dalle nozze a favore dell’utile?»
Dasmi rimase interdetta.
«Non è un problema tuo! E nemmeno mio, la domanda sarebbe sul perché accetto, il contorno è una disgustosa sdolcinatura, distante dalla nostra mentalità.»
«Sono l’erede dell’Irravin, è un problema eccome! Quando siederò sul trono, vincitore o sconfitto, non avrò voce in capitolo sulle mie nozze. La prospettiva asettica di un Khai potrebbe favorirmi nell’accettare la cosa, mentre chiedere alla donna scelta per me da un altro “perché mi stai sposando?”, no.»
«Sei lontano dalla disposizione corretta!»
«Rispondere tirando in lizza la forza o la nobiltà è pura diplomazia.»
«Questa è l’idiozia più colossale che… tsk, sentiamo, che domanda porresti?»
«Se ha già qualcuno che le è prezioso.»
«Risponderei di no» ribatté lei spiazzata.
«Sempre? E se ci fosse una persona invece? Mentiresti?»
«Non è il mio caso.»
«Valka non la pensa così.»
«E tu che ne sai?!»
«Odia le forzature, certo non lo afferma in astratto.»
«Valka è il re del dramma! Il matrimonio non lo riguarda e non necessita di essere difeso da te! Finisci il compito o passerai la notte in bianco!»
Shaeta borbottò fra sé e chinò il capo, tutt’altro che soddisfatto. Che gli avesse troncato la parola con le minacce lo convinse di averla punta sul vivo, non solo perché aveva orecchiato stralci della litigata. Si concentrò sullo scritto, unica possibilità di far valere il proprio punto di vista.
Dasmi si passò le dita tra le ciocche petrolio, innervosita dall’inconsueto alzare la cresta del ragazzino. Con onestà vagliò che non l’aveva contraddetta per polemica o per un malumore adolescenziale: era coinvolto emotivamente, le sue ragioni erano degne di attenzione e molto acute.
Se avessi il desiderio di interessarmi al suo stupido berciare.
Valka era stato altrettanto schietto. Il fatto che si fosse occupato di Nusakan l’aveva infastidita, ma era conscia che si era recato ai recinti per sollecitudine e non per biasimo. L’aveva spronata, si era offerto in supporto per il volo, ma lo aveva mandato al diavolo come d’abitudine. Lo trattava come un imbecille perché non eccelleva e non mirava in alto, ma la sua autenticità era fuori discussione.
Era uscito dai gangheri quando gli aveva chiesto di farsi scoprire a letto con lei da Kayran. I Khai non si curavano delle relazioni precedenti, ma il promesso sposo non avrebbe tollerato un affronto all’atto di ufficializzazione del fidanzamento. Specie se l’avesse “sorpresa” in una posizione indegna di una guerriera di rango. Il piano non aveva fatto i conti con Valka, che aveva rifiutato di prestarsi.
 
«Ti occorro in ragione del clan inferiore cui appartengo o come animale da monta?!»
«Entrambe. Ma anche perché ci conosciamo e non ti imbarazzerebbe.»
«No infatti! È che ti sia venuta in mente un’idea simile che mi imbarazza! Mi rifiuto di contribuire alla creazione di un’immagine abietta di te o di noi!»
«È quello che voglio! Non dirmi che all’improvviso ti è sorta l’ambizione e non vuoi compromettere la carriera!»
«E se fosse? Mi credi disposto a trascinare il nome della mia famiglia nel fango per evitarti la responsabilità di un no?»
«Oggi è la giornata delle prediche, a quanto pare! Troverò una scusa che ti scagioni, se è il tuo dilemma!»
Valka l’aveva guardata fuori di sé.
«Il mio problema è che non ti rendi conto! Non t’importa di nessuno, meno che mai della tua vita! Il mio problema è che mi sono fatto carico di te, sarei disposto a tutto per vederti felice! Invece vorresti usarmi per i tuoi interessi in un subdolo gioco di strategia! Perché non mi chiedi di portarti via da qui?»
«Ragioni da codardo!»
«Non sono io quello che non prende posizione! Se potessi, sfiderei Kayran in fytarei
«Ti batterebbe in due mosse e sarebbe inutile! Smettila di vantare pretese su di me!»
Il reikan aveva spalancato gli occhi, rubini di rabbia e di frustrazione, per la doppia ingiuria. Aveva abbassato le braccia, emettendo un sospiro desolato.
«Non mi presterò al tuo squallido siparietto. Se non vuoi Kayran, rifiutalo.»
«Mi rivolgerò a un altro.»
All’affermazione si era rivestito in un silenzio tombale, andandosene senza voltarsi.
 
Dasmi si arrovellò sul perché l’avesse presa così male e su chi lo avrebbe sostituito. I guerrieri con nomea di virilità non mancavano, la infastidiva cercarsi un altro allo scopo e istruirlo su una motivazione diversa dal piacere.
«Fa’ vedere!» sbraitò al ragazzino minkari, che stava per addormentarsi sulla pagina.
Quello trasalì e le passò lo scritto: una lettera per la madre.
La ragazza lesse con insospettabile coinvolgimento. Mai accaduto che poche parole la trasportassero a un punto tale da lasciare il segno.
«Dove sarebbe la verità?» lo apostrofò brusca.
«In ogni goccia d’inchiostro.»
«È solo un biglietto svenevole e sgrammaticato.»
Shaeta agguantò il foglio che lei aveva lasciato cadere.
«La verità è che sto diventando un uomo» interpretò «Per la prima volta so come vorrei essere. Senza i lividi e le ferite mi sarei idealizzato, avrei imitato gli uomini che ritenevo intrepidi o saggi e sarei divenuto la loro copia fallata. La verità è che ho paura, ma senza tremare non sarebbe coraggio. La verità è che non capisco, ma senza domande non esisterebbe intelletto. La verità è che sono grato ai Khai: a corte ero protetto, qui sono affidato a me stesso e comunque sono sereno. La verità è che un giorno ti riabbraccerò adulto, ti dirò che non dovrai preoccuparti per me, che so scegliere, che so difendere, che so come si muore ma soprattutto come si vive.»
Dasmi recuperò la compostezza e sogghignò maligna.
«Peccato non consegnare una missiva così sentita.»
«Perché no?»
«La reggente non la riceverebbe. Uno dei nostri l’ha portata via.»
Il principe scattò in piedi rovesciando la sedia. Gli occhi erano spalancati, prossimi alle lacrime, la fiammella della lampada rischiarava il volto tirato.
«È una bugia!»
«Stiamo parlando di verità» tranciò lei priva di compassione «Fatti passare lo sfizio» lo avvisò, osservandolo fissare l’uscita «Se provi a scappare, servo la tua testa al Kharnot! E poi, con il gelo di queste settimane, non conterei su un ritrovamento.»
«Settimane!?» la rabbia superò l’angoscia e la voglia di piangere «Chi è con lei?»
«Non ne ho idea. Chiunque sia, sarebbe tornato al campo se fosse vivo.»
«Taygeta è uno dei generali, lo sa di sicuro!»
«Già, ma non la scomoderò per qualcosa che non mi riguarda.»
Il ragazzo si augurò che la madre fosse con uno del calibro di Valka. Avrebbe chiesto quale vradak mancava all’appello, ma non avrebbe avuto la certezza che l’assenza fosse dovuta a quella ragione.
«Cosa vuoi in cambio?»
Dasmi lo squadrò minuziosa. Da quando era lì, era cresciuto in altezza e aveva perso parte dell’aspetto disgraziato. Le spalle si erano allargate a furia di lavori pesanti e l’uniforme non sortiva l’effetto grottesco di prima. Certo rimaneva gracile, agli antipodi della mascolinità khai, per non citare le iridi scure che gli illanguidivano lo sguardo e i capelli ondulati che gli ricadevano sulla fronte come se temesse di mostrarsi.
È talmente patetico che potrebbe funzionare.
«Una cosa ci sarebbe. Se farai saltare le mie nozze, ti darò una mano.»
Shaeta raggelò. Sfidare un cavaliere del cielo e farsi ammazzare erano sinonimi.
«In che modo?»
«Semplice. Verrai a letto con me.»
20220924-133116
   
 
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