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Autore: k_Gio_    26/09/2022    1 recensioni
C'è una nuova arrivata in casa famiglia. Il caos è il loro pane quotidiano e lei ha tutte le carte in regola per diventare il suo inferno personale. Kaz Brekker cerca solo di sopravvivere a questa vita che non gli ha sorriso e l'arrivo di una ragazza Suli potrebbe minare la sua reputazione che ha faticato a costruirsi. Potranno convivere pacificamente o saranno vittime dei loro sentimenti?
Genere: Erotico, Parodia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inej Ghafa, Kaz Brekker
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Kaz


Eccola lì, l’ultima arrivata in quella casa già strapiena di ragazzini problematici. Per Haskell non si era fatto sfuggire l’occasione per accaparrarsi un altro assegno, eravamo una miniera d’oro. Che poi vivessimo ai limiti della decenza poco gliene fregava. Lui ci forniva il minimo, poi per il resto dovevamo arrangiarci noi.
Ed eravamo già un bel numero di teppisti in quelle quattro mura fatiscenti che chiamavamo casa, quindi questa nuova ragazzina, dall’aria un po’ spaurita non sapevo quanto sarebbe durata. Probabilmente poco, poi si sarebbe andata a lamentare con quelli dei servizi sociali e l’avrebbero trasferita. La scomessa con Jesper sentivo di averla già vinta. Un mese non di più.
Ora sedeva ad una delle sedie mezze distrutte in cucina, i capelli lunghi e pettinati in un’ordinata treccia che le cadeva lunga sulla schiena. La testa china sulla sua tazza con i cereali. Era carina, non che mi interessasse. Sarebbe stata l’ennesima ragazza di passaggio in questa casa in cui la prevalenza di maschi in qualche modo frenava l’affluenza dell’altro sesso. Ad Haskell non gliene fregava un cazzo in realtà, semplicemente i ragazzi davano meno rogne, niente ciclo, niente ore passate in bagno e niente rischio di gravidanze. Per quelle che erano rimaste era solo perché le alternative parevano peggiori. Cosa che a Ketterdam non era così assurda. Forse Haskell era il male minore.
Ma tornando a lei, non ci avevo ancora parlato, era stata schiva e si era chiusa a chiave nella sua camera. Saggia ragazza. Ma calamitava il mio sguardo, l’avevo osservata per quel poco che era stata nella sala comune e ne ero rimasto affascinato.
«È la tua sedia?»
E questa era la prima volta che la sentivo parlare, mi voltai per capire se ce l’avesse con me.
«Cosa?»
Alzò la testa guardandomi  e quegli occhi mi inchiodarono lì, rafforzai la presa sul mio bastone.
«Dico, la sedia è tua? Avete sedie assegnate?» domandò e la sua voce era una carezza gentile in quel tugurio di luogo. Tornai in me, cercando di non fare la figura dello scemo, quella ragazzina non poteva farmi un effetto del genere. Nessuno poteva.
«No, siediti dove ti pare.» dissi scostante, non ero gentile e non avrei iniziato ad esserlo con lei, prima lo capiva e meglio sarebbe stato.
Annuì tornando a mangiare. Presi una tazza e ci versai del caffè dentro, appoggiandomi al bancone, cercando di studiarla senza darlo a vedere. La sua pelle ambrata scintillava dove era baciata dal sole, i raggi del primo mattino inondavano la cucina e lei sembrava assorbirne ogni fascio di luce. Pensai che toccarla sarebbe stato possibile e a  quel punto compresi che se continuavo così sarebbe stato pericoloso. Quella sconosciuta non poteva avere quel potere su di me. Forse la stavo osservando con troppa insistenza perché alla fine mi domandò «Ho qualcosa in faccia? Non hai mai visto una ragazza Suli o cosa?»
Tagliente come una lama affilata. Assottigliai lo sguardo, puntandolo nel suo ma cedetti quasi subito. Con il calore scoppiato nel petto e lo stomaco in subbuglio presi la mia tazza ancora piena di caffè e me ne tornai in camera mia sbattendo la porta.

 
«Sei pronta Inej? Non abbiamo tempo da perdere» era chiusa in bagno da dieci minuti, fin troppi e dovevamo uscire.
«In realtà siamo in perfetto orario Kaz, e il cinema è a due fermate di autobus.»
«Stai zitto Jes». Tornai a bussare sulla porta. «Se non ti dai una mossa ti lasciamo qui e il tuo biglietto lo diamo ad Anika. O lo vendiamo a chi offre di più» terminai guardando Jes. Avevamo raccimolato un po’ di kruge e visto che era uscito un film decente avevamo colto la palla al balzo. Nell’operazione per trovare questi soldi Inej aveva aiutato visto che tra tutti in quella casa era risultata la più silenziosa. La prima, e anche ultima, volta che mi aveva colto in fallo era stata la sera stessa in cui avevamo avuto quello scambio in cucina.
Ero sceso in soggiorno per cercare un libro che avevo prestato a Jesper e che lui ,come suo solito, aveva lasciato in giro da qualche parte. Mentre spostavo tutte le cianfrusaglie dal tavolino, in una caccia al tesoro che non avrei vinto facilmente, una voce sommessa era arrivata alle mie spalle. Il cuore era balzato in gola.
«Posso aiutarti?»
Mi girai e la trovai dietro di me, sbucata da chissà dove, con un evidente sorrisetto di vittoria per avermi preso di sorpresa. L’avevo fissata per qualche minuto, ipnotizzato dal luccichio dei suoi occhi che intravedevo anche al buio grazie alla luce tenue e soffusa della luna che entrava dalle finestre.
Quel sorriso rispuntava a tradimento ogni volta che chiudevo gli occhi.
Ma alla fine ero dovuto venire a patti che Inej era una risorsa per le loro piccole operazioni illegali. Se Haskell ci dava il minimo necessario dovevamo trovare modi per toglierci qualche sfizio. E lei era brava anche se all’inizio non si era mostrata molto felice della cosa.
Ma ora se non usciva da quel bagno l’avrei mollata lì e rivenduto il suo biglietto. Bussai un’ultima volta quando alla fine la porta iniziò ad aprirsi.
«Non venderai proprio un bel niente Brekker. Stavo sistemando la treccia, ho notato che ti piace quando è in ordine, o sbaglio?» disse mentre mi passava accanto con un sorrisetto malizioso. Sentii Jesper sghignazzare dietro di me. La mia faccia probabilmente in fiamme.
«Dai andiamo che facciamo tardi» urlò davanti a noi Inej mentre scendeva le scale con la sua grazia innata. Jesper la seguì e infine anche io, dopo un profondo respiro per riprendere una certa stabilità, mi incamminai lungo le scale.
Eravamo arrivati anche in anticipo alla fine, l’autobus che era passato subito. Jes e Inej erano in piedi, c’era  solo un posto per sedersi e dopo che avevo detto che sarei rimasto in piedi, Inej mi aveva messo le mani sulle spalle, il tocco più leggero ma anche deciso che sentivo da anni sul mio corpo, e mi spinse sul sedile. Volevo dirle che la gamba non mi faceva male, che non doveva trattarmi da invalido e che la sua compassione era l’ultima cosa che volevo ma quando stavo per dirglielo lei si era appoggiata al mio fianco mentre l’altra mano si reggeva alla maniglia in alto. La bocca si era fatta improvvisamente secca, nessun pensiero di senso compiuto all’orizzonte, anzi. La ragione sembrava volare via dal mio cervello quando il suo corpo toccava il mio, anche con diversi strati addosso sentivo la pelle bruciare lì dove le sue mani mi avevano toccato le spalle. E il suo ginocchio che toccava la mia coscia mi faceva sentire ubriaco. Mi sarei preso a ceffoni per quella mancanza di autocontrollo. O forse una bastonata con il mio stesso bastone sarebbe stato più efficace.
Rimasi muto per tutto il viaggio che fortunatamente fu breve, perché la mano che teneva dietro il mio schienale cominciò a risalire verso la base del mio collo e poi sempre più su. Ghezen. Jesper sembrava non essersi accorto di niente per fortuna.
Ma doveva smetterla, vivevamo sotto lo stesso tetto, e l’ultima cosa che volevo era fare l’idiota che si innamora e comincia a fare errori perché ossessionato da altro. Se ero sopravvisuto fino a quel momento era per il mio cervello e quindi dovevo preservarlo. Ma quella ragazzina minuta e silenziosa sapeva che effetto avesse su di me, dovevamo parlarne. Non in quel momento però, non quando grazie a quella posizione mi ritrovavo all’altezza del suo petto. Distolsi lo sguardo verso il finestrino finché non arrivammo al cinema.
«Io non mi metto in mezzo»
«E dai Kaz, voglio vedere se questa volta riesco ad indovinare prima io chi è l’assassino.»
«Ed è proprio per questo che non ti voglio vicino Jes. Parli troppo. Ho pagato per vedere il film, non per sentire te»
«Sei proprio uno stronzo»
«Non ti preoccupare Jes, mi ci metto io in mezzo, non mi dai fastidio.»
«Vedi, lei è una brava persona, Kaz»
Sbuffai, come se avessi mai dato l’idea di volerlo essere. Inej se ne sarebbe pentita, tempo al tempo.
Una volta che le luci si spensero e il film partì per un po’ le cose procedettero bene poi come un orologio che non perde un colpo udii Jesper iniziare a confabulare a bassa voce con Inej. C’erano poche persone a quell’ora ma l’ultima cosa che volevo era che ci cacciassero fuori per il rumore.
Mi stavo giusto per sporgere verso Inej per dirle di far sta zitto Jes quando la sua piccola e calda mano atterrò sulla mia coscia. Sprofondai nel sedile, boccheggiando. Ghezen, era inammissibile. Non poteva prendersi queste libertà. Ringraziai i buio della sala, sentivo la faccia in fiamme. Il cuore che galoppava nel petto come volesse uscire. Mi morsi un dito, i guanti sempre al loro posto sulle mie mani attutirono l’affondo dei miei denti.
Dovevo toglierle quella mano da lì, non volevo ma dovevo. Presi coraggio e stavo per raggiungerla quando lei inizò ad andare su e giù, i polpastrelli che accarezzavano il tessuto lasciando sotto di esso una scia infuocata.
Non si era nemmeno voltata, continuava a stare girata verso Jesper che non la finiva di chiacchierare. Come ero caduto in basso, sentivo le gambe molli e il respiro affannato. Neanche una delle numerose fughe dalla Stadwatch mi aveva messo in quelle condizioni.
Mi ero quasi abituato a quella lenta tortura quando le luci si accesero segnando la fine del primo tempo, che la mano di Inej tornò al suo posto, quindi lontano da me. E fu come riprendere aria e le mie facoltà mentali. Mi schiarii la voce.
«Vado a prendere i popcorn, volete qualcosa?»
«Non abbiamo più un soldo Jes» gli ricordò Inej.
«Lo so ma il ragazzo al bancone lo conosco, provo a corromperlo. Nessuno può dire di no a questo faccino» e senza aspettare oltre si era diretto con ampie falcate verso l’uscita.
«Allora, ti sta piacendo il film, Kaz?» mi chiese innocentemente. Gli occhi che brillavano di malizia. Ragazza pericolosa.
«Mmm», già il film. Chi cazzo era riuscito a seguirlo il film.
«Jesper dice che è la moglie ad averlo ucciso. Credo sia troppo scontato, tu che dici» continuò beffarda.
Non sapevo se fidarmi della mia voce, ma stare zitto l’avrebbe fatta solo gongolare ancora di più.
«Se ti dico cosa penso poi tu lo dici a Jesper, e potrebbe indovinare. E non sarebbe più così divertente. Ho notato che ti piace più la sua voce che ascoltare il film. Non è stato zitto un minuto» almeno credevo fosse stato così, le orecchie mi si erano ripempite di ovatta.
Inej mi guardava divertita, «Ah, l’hai notato…io invece ho notato altro, sai?». C’era qualcosa che mi prendeve le viscere ogni volta che mi parlava, quel suo tono gentile di dire le cose che mi faceva desiderare non smettesse mai di parlare. Cosa che decisamente non succedeva con Jesper.
Poi corrugò le sopraciglia, e la malizia sparì dal suo volto. «Ti senti bene Kaz? Sei tutto rosso, non è che hai la febbre?» e prima che potessi impedirglielo la sua mano volò sulla mia fronte.
Ora non sapevo se avrei vomitato o mi sarebbe esploso direttamente il cuore nella cassa toracica. Ma non sentivo nausea, non quella solita che mi prendeva quando qualcuno mi toccava. Era una nausea diversa.
La sua mano era fresca contro la mia pelle bollente, e contro ogni aspettativa mi diede sollievo. Inspirai dal naso e lo vide come un lasciapassare per portare entrambe le mani sulle mie guance.
La stronza lo sapeva dell’effetto che aveva su di me, ora ne ero certo. Quel fottuto, bellissimo e pericoloso ghigno che le era nato sul volto era la prova del nove.
Mi resi conto che mi ero sporto verso di lei, il busto scostato dal sedile, proteso verso di lei. Le sue dita piccole e fresche che creavano piccoli cerchi sulle mie guance. In un breve momento di lucidità pensai alla mia faccia, alla pelle rovinata lasciata da una malattia che mi aveva preso da piccolo. Non mi era mai fregato nulla di quello che la gente pensasse della mia faccia, stare davanti allo specchio più del necessario era uno spreco di tempo e non ne avevo da perdere. Ma ora una parte del mio cervello pensò che se si fosse avvicinata solo un po’ di più l’avrei disgustata. Forse le sue mani già avevano percepito i segni. Non volevo appararirle disgustoso…non più di quanto non le sembrassi grazie al mio modo di fare del cazzo.
Indossai di nuovo la maschera cupa che usavo per minacciare i ragazzi di scuola quando oltrepassavano il limite. La sua faccia confusa dal mio repentino cambio d’umore non le impedì di continuarmi a tenere il volto tra le mani, mi guardò più intensamente e i miei stupidi occhi caddero sulle sue labbra. Stupidi, stupidi occhi.
Come se avesse decifrato finalmente un indovinello, la tessera finale del puzzle che andava finalmente al suo posto, tornò a sorridere e persi definitivamente il senso di ogni cosa quando la vidi avvicinarsi sempre di più alla mia faccia.
Un bacio sulla punta del naso, ecco cosa ottenni. E forse era meglio così, perché subito dopo arrivò Jesper con due confezioni di popcorn e una bibita. Lei tornò seduta composta, ringraziando Jes. Allontanai con un gesto sprezzante della mano i popcorn che Inej mi offrì quando le luci si spensero di nuovo. La sentii sbuffare divertita.
Cosa pensavo, che mi avrebbe davvero baciato? Che una come lei avrebbe baciato uno scarto come me che le rifilava frasi sprezzanti, commenti acidi e che non poteva nemmeno toccarla come un qualsiasi adolescente avrebbe fatto? Idiota, un idiota, ecco cos’ero.
Il film finì e sentii solo di aver perso soldi e la visione di qualcosa di decente visto che per tutto il viaggio di ritorno Jesper e Inej non avevano smesso di parlarne, cercando di coinvolgermi. Mi ritirai nel mio mutismo non rivolgendogli parola.
 

Erano le tre probabilmente, il telefono abbandonato sul cassetto, in carica. La giornata era andata come era andata, la mia testa che continuava a ripercorrere l’intera scena del cinema. Avrei voluto che mi baciasse? Sì. Almeno con me stesso dovevo ammetterlo. Ero sollevato che non lo avesse fatto? Probabilmente sì. Se le nostre labbra si fossero toccate avrei perso completamente il senno. E anche il sonno. Come se ora chiudere gli occhi fosse comunque liberatorio. Era solo un altro modo per torturarsi, lei che mi sorride, lei che fa anche la cosa più banale come spazzolarsi i capelli. Lei e i suoi dannati occhi che mi fissano come per imprigionarmi a lei. Tutte fantasie vive solo nella mia testa, quel cazzo di bacio sul naso ha definito come stanno le cose. Meglio. Niente grilli per la testa.
E poi ecco che la finestra cigolava.
«Brekker, non sei sceso a cena, non hai fame?» ed eccola lì, appolaiata sul mio davanzale con lo sguardo divertito. Averle insegnato a scassinare le serrature implicava visite a sorpresa come quella.
«Perché non sei a dormire?» la sentii sbuffare per la mia non risposta.
«Perché stavo aspettando che si liberasse il bagno ma Pim credo si sia mangiato qualcosa che gli ha fatto male e va avanti e indietro dalla fine della cena.»
«E quindi perché sei qui?» alzai gli occhi dal mio libro e la trovai appoggiata con un fianco alla mia scrivania.
«Hai il bagno in camera»
«Ne sono consapevole, e?»
«E vorrei farmi un bagno. Posso usare la tua doccia?»
L’idea di Inej, nuda, nella mia doccia, a pochi metri da me mi mandò in tilt. Tornai alle mie pagine.
«Fai come ti pare» mormorai con una voce che non riconobbi come mia. L’aria improvvisamente calda tutt’intorno.
Dovevo dirle di prendere il suo accappatoio quando la vidi togliersi la felpa davanti a me. La sua schiena coperta dai capelli sciolti che si dirigeva verso il bagno.  Si era fermata vicino al letto, gli occhi puntati sulla mia mensola, leggendo i titoli dei libri che avevo sistemato lì. Era nel suo reggiseno sportivo, nero come la notte, che le avvolgeva il petto come una seconda pelle. Anche da quella distanza riuscivo a vedere i contorni nitidi dei suoi addominali, scolpiti nella sua pelle bronzea erano uno spetacolo che mi toglieva il fiato ogni volta. Quando avevamo iniziato gli allenamenti di difesa e di combattimento indossava il più delle volte felpe e maglie lunghe che non le intralciassero i movimenti. Ma quando erano iniziate le giornate più calde aveva optato per quei reggiseni quando ci allenavamo o al massimo con Jesper lì nella mia camera. Non l’avevo mai vista con la pancia scoperta in presenza d’altri.
Dovevo essermi imababolato perché la sentii ridere.
«Vedi qualcosa che ti piace, Kaz?»
«Cosa?»
«Dicevo, questo libro è nuovo? Non lo avevo mai visto» dato che non accennava a dirmi di che libro si trattasse mi alzai, pregando che il bastone svolgesse bene la sua funzione di sorreggermi, le gambe non sembravano volerlo fare.
«L’ho preso l’altro ieri in libreria»
«L’hai preso nel senso che lo hai rubato?»
«Cambia qualcosa? Tanto non credo faccia differenza quello che faccio» ora facevo anche la vittima? Ghezen che rammollito.
«Cosa intendi?»  alzò un sopracciglio, incrociando le braccia sotto il seno. Cazzo, mi avrebbe fatto morire. Dovevo allontanarmi.
«Che fai scappi?» mi tirò per la manica, e fu tanto improvviso che persi l’equilibrio sbattendo la schiena contro la porta del bagno.
«Ma…Inej!?»
«Visto che l’unico modo che ho per farmi risponderti è metterti alle strette…Allora Kaz, che volevi dire con quella frase?» era di fronte a me, un braccio fermo al lato della spalla e l’altra mano che leggera come una piuma tracciava percorsi invisibili lungo il mio petto. Lo stomaco che iniziava a formicolare. Indurii la mascella distogliendo gli occhi da lei.
«Ah ah, sono qui, Kaz» e mi prese il mento tra le dita per riportare i miei occhi su di lei. Avevo bisogno d’aria. «Non ti lascio scappare se non mi dici cosa volevi dire con quelle parole»
«Credo di essere in grado di liberarmi di una seccatura piccola come te, Inej» se trattarla male poteva essere un buon incentivo per farla tornare da dove era venuto tanto meglio. Aveva messo ben in chiaro che non era interessata a me. Come darle torto, c’erano ragazzi migliori anche in quella schifo di scuola che frequantavamo.
La mano che teneva sulla porta salì ai miei capelli, stringendo in una morsa tale che persi il controllo del bastone. Fece un suono secco quando toccò il pavimento.
«Parla Kaz»
E quel suo comando mi mandò in pappa il cervello. La stretta tra i miei capelli l’unica cosa che non mi faceva cadere in ginocchio davanti a lei.
«Non fa differenza se mi comporto bene o continuo ad essere un mostro, a te non importa.» soffiai tra le labbra, ma con gli occhi chiusi. La vergogna di averglielo detto a voce alta senza mezzi termini.
La sua mano che era ancora sul mio petto risalì lenta, fino alla mia guancia, il più leggero dei tocchi.
«Che c’è, Kaz? Ci sei rimasto male per quel bacio sul naso? O perché non ti ho toccato anche per il secondo tempo del film? Pensavo fossi più interessato a scoprire l’assassino» soffiò ad un passo dal mio collo. Era sulle punte dei piedi, perfettamente in equilibrio, cosa che non potevo dire del mio.
L’alito caldo mi fece correre brividi lungo la spina dorsale, tutto il corpo che gridava di più.  Sentivo solo lei, niente repulsione o nausea. Ero completamente in suo potere. Cazzo.
«Vuoi che ti baci Kaz? O che ti tocchi?  O magari entrambi.» era sempre più vicina, quindi probabilmente stavo scivolando lungo la parete perché il mio viso era vicino al suo ora. Sentivo il suo odore ovunque intorno a me, la sua voce che echeggiava nelle orecchie.
Volevo tutto.
«Ma forse non ti interessa» e divenni improvvisamente freddo. Si era allontanata di un passo creando quel vuoto e distanza che che avevo sempre messo in chiaro di volere. Il mio corpo, traditore, barcollò in avanti volendola di nuovo vicino.
E lei mi prese, strinse le sue mani sulla mia maglia sorreggendomi. Patetico. Un dannato patetico. Ero già pronto a dirle di andarsene quando mi tirò verso il letto, facendomi sedere sul bordo. Il mio corpo non era più mio a quanto pareva.
«Cosa succede, Kaz? Qui dentro è no ma qui sotto è sì?» mi chiese mentre una mano toccava la mia tempia e l’altra scendeva pericolosamente in basso. Aveva notato qualcosa ai piani bassi ovviamente, notava tutto lei, ecco perché era la migliore.
La mia faccia era ad un palmo di naso dalla sua pelle. Potevo sentire il suo odore. Volevo baciarla, morderla ma sapevo che non potevo, e non volevo sbagliare e farla scappare…anche se quello in difficoltà sembravo essere io.
«Vuoi toccarmi Kaz? Vuoi farmi vedere quanto sono abili le tue mani da ladro?» la sua bocca di nuovo vicino al mio orecchio. Piccole scintille che mi percorrevano la spina dorsale. E poi iniziò a baciare la pelle dietro l’orecchio. La vista mi si annebbiò. Più le sue labbra scendevano lungo il collo più non ci capivo un cazzo. Era tra le mie ginocchia, vicina come non mai. Le mie mani si alzarono prendendo posto sulla sua vita. Era calda sotto i guanti, riuscivo a sentirne il calore anche sotto la pelle spessa. Mi sentii gemere e nello stesso momento percepii il suo sorriso soddisfatto sul mio collo.
Risalì la mia mascella, un percorso di baci e respiri e non mi ricordai più della mia pelle, del mio aspetto e di chi ero. Arrivò all’angolo delle mie labbra, tirando tra i denti il labbro inferiore. Strinsi la presa sui suoi fianchi per quella palese presa in giro.
E poi mi ritrovai sdraiato sulla schiena, ingabbiato da lei e dai suoi capelli che mi circondavano . C’era solo lei.
Non potevo cedere, non potevo fare quella fine. Vivevamo insieme, mi serviva per lavorare non per confodermi le idee. Poi ognuno avrebbe preso la sua strada e quella di Inej era lontanta dalla mia. Le presi i polsi e mi tirai su, con lei che mi sedeva in grembo, la sua faccia in attesa di sentire cosa avevo da dire.
«Non credo sia il caso» potevo dire qualcosa di più fermo e deciso, e invece quello che ne uscì sembrava quasi una supplica. Rammarico forse. Domani mi sarei fatto una scazzottata con Jesper.
Lei mi studiò, con la sua consueta calma. Il suo petto che, ora che lo osservavo, si abbassava ed alzava come stava facendo il mio. Mi sedetti meglio e lei che sedeva sopra alla mia evidente erezione chiuse momentaneamente gli occhi. Inspirò ed espirò.
Si morse il labbro inferiore e poi mi guardò di nuovo «Va bene Brekker. È stata una giornata piuttosto piena oggi. Mi faccio una doccia e poi vado in camera, così puoi andartene a dormire e sognarmi.» e senza che potessi controbbattere mi afferrò di nuovo i capelli spingendo la testa in modo tale da mostrarle il collo e affondò le sue labbra tra l’orecchio e il collo, i segni dei denti che già me li vedevo l’indomani mattina a dover coprire con una felpa a collo alto.


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Ci si vede tra qualche giorno con il Pov di Inej :)
  
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