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Autore: Sinnheim    26/09/2022    0 recensioni
Un padre farebbe di tutto per salvare il proprio figlio. Gli era stato detto che, in cima alla montagna, c'era un tempio nel quale gli dèi avrebbero ascoltato le sue preghiere ed esaudito il suo desiderio: riportare indietro il suo immobile bambino. Chissà se quella era la verità, ma ormai non importava più.
Genere: Drammatico, Horror, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ACHERON 

 

 

 

L'acqua del fiume era gelida e gli lambiva le caviglie nude, donando sollievo e dolore ai piedi scalzi che scalavano il sedimento.

Scorreva placido a valle con un suono rilassante, del tutto in contrasto con l'orrore che era costretto ad affrontare per salvare il suo povero figlio, tanto immobile da non percepire il suo respiro.

L'uomo dalla bocca cucita lo trasportava sulla schiena, osservando con la coda dell'occhio appena abbozzato le sue braccia penzoloni, troppo lasciate a loro stesse per definirle vive.

Egli guardò in basso, cercando di intravedere il viso del suo bambino nel riflesso dell'acqua, ma non riuscì a scorgere nulla in quello specchio torbido: oscuro era il fiume e oscura era l'aria, così come era oscuro il suo cuore. E non solo quello.

Le sponde erano costeggiate da alberi che si estendevano per miglia, ricoprendo interamente il lato della montagna che stava scalando con grande fatica, mentre il cielo era privo di stelle e non forniva alcuna luce per illuminare il cammino.

Più di una volta si era fermato, esausto, allungando il collo verso l'alto, nella speranza di scorgere la cima e, con essa, il sole del mattino, ma puntualmente veniva deluso.

Chissà se la luce avrebbe sciolto il suo corpo nero come la pece, lungo e sinuoso come le ombre a mezzogiorno, dove persino i suoi occhi non erano che scarabocchi bianchi disegnati dalla mano di un bambino, forse il suo bambino, e la bocca sigillata per non poter proferire parola.

Ma egli non era lì per sé stesso, no: aveva iniziato quel viaggio per suo figlio, la marionetta inanimata e bianchissima che si trascinava dietro come una croce, credendo che, davvero, potesse iniziare a respirare da un momento all'altro.

La foresta osservava ogni suo passo, così come i suoi abitanti. Su un piccolo cumulo di detriti, un semibusto fissava l'uomo con occhi senza palpebre.

«Non è lontano, fratello. Il tempio è proprio lì, sulla cima: ti stanno aspettando» disse quello con voce metallica. «Sei proprio sicuro che tuo figlio abbia perso l'anima?»

Appena pose quella domanda, aprì la piccola bocca meccanica ed emise un lungo e basso allarme.

Era certo che avrebbero provato a fermarlo: dopotutto, ingannare la morte non era un compito facile, e chi era senza vita non tollerava che fosse restituita.

A quel segnale fecero eco versi più acuti e striduli che risuonavano tutt'intorno, come se fossero ovunque nella foresta. L'uomo si sentì circondato e abbandonò il letto del fiume per correre verso la sponda di sinistra, trovando rifugio tra gli alti alberi dalla corteccia grigia.

Si accovacciò prestando massima attenzione ai suoni: il fogliame era in fermento non troppo lontano, segno che numerosi inseguitori gli stavano dando la caccia. Doveva fare in fretta.

Sentendosi affine con l'oscurità della notte e, pertanto, sicuro di risultare invisibile, valutò di rimettersi in cammino entro qualche minuto, quando il rumore di un ramo spezzato lo fece girare di scatto: una bambola di porcellana alta quanto lui, vestita di rosso e dal viso eroso apparve all'improvviso, tendendo le braccia verso l'uomo che, preso dal terrore, non poté far altro che lasciare andare il suo bambino e buttarcisi sopra per proteggerlo col suo corpo.

Le ombre potevano sanguinare? Egli sperava di non doverlo scoprire ma, quando sentì il tocco gelido dell'automa, pensò che il sangue, perlomeno, aveva calore e sapeva di vita.

Oltre ogni previsione, la bambola lo abbracciò dolcemente e strofinò la guancia di ceramica sulla schiena di lui, per poi accarezzare il suo ventre e scendere giù, verso zone che l'uomo percepiva come intime, facendolo tremare come una foglia.

Egli non osò girarsi, ma gli parve di aver intravisto un microfono incastrato male nella bocca, o meglio, nel foro che aveva per bocca, e infatti il suono gracchiante di una voce disturbata cercava di sussurrare al suo orecchio.

«Sei davvero bello, amore mio. Stasera ci divertiamo» disse quella in modo inquietante. «Perché non porti nostro figlio a giocare fuori? Sarà così stanco da dormire tutta la notte».

La piccola marionetta bianca che stava proteggendo non reagì a quelle parole, ma se il padre voleva salvarla, doveva comunque stare al gioco: annuì deciso, si liberò della gelida stretta della bambola e si rimise in marcia col figlioletto sulla schiena, non guardando mai e poi mai in faccia quella cosa.

Tornò a camminare nel fiume, almeno per un po'. Perlomeno avrebbe visto arrivare chiunque nella sua direzione, anche se il dolore ai piedi si faceva sempre più intenso a causa delle pietre che calpestava.

I versi che sentiva intorno a lui erano alti e minacciosi, ma finché nessuno lo avesse attaccato avrebbe continuato ad avanzare. Fu proprio dopo qualche minuto, oppure ora, di marcia, che in lontananza vide una figura che giudicò umana; vestita di un candido camice e seduta su una sedia di legno nel bel mezzo del letto del fiume, sembrava che stesse attendendo qualcosa, o qualcuno.

Era totalmente incurante del luogo in cui si trovava, ma l'uomo era disperato e quello pareva non ostile. Quando gli fu vicino, come tutti in quel bosco maledetto, notò che il volto era sbavato e irriconoscibile, come se qualcuno avesse passato la mano sugli acquarelli.

«Eccola, finalmente! Stavo iniziando a preoccuparmi» disse quello con enfasi nella voce, ma nessuna espressione facciale a supportarlo. «Ha subìto un brutto incidente, non dovrebbe andare in giro a zonzo così. Venga, si sieda qui».

Era un medico, o almeno questo era ciò che dimostrava essere. Forse il tempio in cima alla montagna non era l'unica soluzione, d'altronde chi avrebbe mai immaginato di incontrare un dottore in mezzo a un fiume?

L'uomo fece scendere con delicatezza suo figlio dalla schiena, lo afferrò sotto le ascelle e glielo mostrò, supplicandolo con i movimenti di un povero muto disperato. La piccola marionetta bianca oscillava tra le mani del padre, pesante come il corpo morto che era, ma il medico sembrò non vederla nemmeno.

Egli allora batté il piede nell'acqua creando un tonfo, frustrato, e quasi gli mise tra le braccia il suo povero bambino, ma agli occhi di quello, semplicemente, non esisteva.

«Su, su, lo so che è agitato, ma devo visitarla. Ha preso una bella botta dietro la testa, sa? Probabilmente c'è emorragia cerebrale. Non sono questioni che possono attendere» disse il dottore incrociando le braccia.

L'uomo non poteva cambiare la forma dei suoi occhi, ma se avesse potuto li avrebbe sgranati, spaventato. Scosse la testa, stringendo suo figlio al petto, per poi toccarsi appena sopra il collo con la mano: una grossa e dolorosa frattura era comparsa dietro il cranio, poteva sentire chiaramente dei pezzi mancanti con i polpastrelli.

Pur senza volerlo, aveva risposto alla domanda che si era posto poco prima: a quanto pare, le ombre non sanguinano.

In preda al panico, l'unica cosa sensata che gli venne in mente fu quella di non indugiare oltre e scappare, correre via veloce verso il tempio in cima alla montagna, verso il luogo in cui avevano assicurato la salvezza del suo bambino. Almeno, ciò era quello che gli avevano detto. Chi glielo aveva detto? Ormai non importava più.

Strinse con forza il corpicino tra le braccia, poi fece forza sulle gambe per muoversi il più velocemente possibile nell'acqua che, a man mano che risaliva la corrente, diveniva sempre più nera e melmosa. Non aveva alcun senso, ma ormai non importava più.

«Aspetti! Non può andar via nelle sue condizioni!» gridò il dottore a gran voce.

L'uomo non si voltò nemmeno: raggiunse la sponda sinistra e continuò la corsa sui ciottoli, ferendosi i piedi più e più volte.

Un boato dietro le sue spalle lo fece sussultare e incespicare fino a cadere a terra, aveva sentito l'onda d'urto rimbombare nel suo petto: quello che prima si era presentato come una figura benevola, aveva spalancato la fessura che aveva per bocca e aveva urlato fortissimo, forse per richiamare altri abomini. Ma, ormai, non importava più.

Se egli avesse potuto urlare altrettanto forte il suo terrore, probabilmente li avrebbe spaventati tutti a morte e fatti allontanare, invece non poté fare altro che correre via da quel delirio che voleva suo figlio. Dalle frasche sbucarono tre esseri dal corpo lunghissimo e flessibile come gomma, pallidi e senza volto.

L'uomo non era certo di possedere un cuore funzionante, ma in quel momento qualcosa stava pestando furiosamente il torace. Ogni passo degli esseri erano tre dei suoi, li percepiva dietro il collo e sapeva di non potercela fare: si lanciarono su di lui come sacchi vuoti, lasciando che la loro stessa consistenza schiacciasse il suo corpo al suolo.

Si dimenò con tutta la forza che poteva, ma non servì a nulla e fu costretto a lasciare andare il bambino dalle sue braccia. Un piccolo lamento vibrò nella gola dell'uomo, intrappolata proprio come lo era lui.

Rassegnato, si fece trasportare indietro, dove il dottore lo stava attendendo: lo fecero sedere di peso sulla piccola sedia mezza marcia, e lo tenevano fermo con le loro mani abnormemente lunghe.

«Grazie al cielo è tornato! Ha rischiato davvero molto comportandosi in questo modo, è da sconsiderati! Per fortuna che l'hanno convinto a ripensarci».

L'uomo lo guardò con occhi ridotti a fessure, scuotendo la testa e cercando di far capire che no, quello che diceva non era vero, che niente in quel posto lo era davvero.

«Faremo in fretta, ok? Tu, vieni pure qui» disse ad una delle melme pallide. Quella si sistemò proprio davanti lui, immobile. «Mi può dire se la riconosce?»

Quello scosse la testa, sospirando forte e con il forte istinto di piangere.

«Quest'altra, invece?» domandò indicando l'altro essere dietro di lui.

Erano solo dei maledetti ammassi tutti uguali, come avrebbe mai potuto distinguerli? Perché gli stava facendo questo? Scosse di nuovo la testa, stavolta con più frustrazione.

«Ah... capisco. Capisco, sì» sussurrò il medico.

Chiamò a sé la terza melma, parlandole a bassa voce come si fa per non turbare i pazienti.

«Avverti lo specialista, è abbastanza grave. Sì, non riconosce nemmeno i suoi cari».

Un'altra menzogna! Non era vero nemmeno quello, perché suo figlio era poco lontano che lo attendeva, ed era solo colpa loro se aveva dovuto lasciarlo.

Incollerito tentò di nuovo la fuga, ma un'altra minaccia si era fatta largo nelle torbide acque del fiume: un mostro enorme, quadrupede e peloso, dal volto bianco di porcellana e le zampe sostituite da stampelle, era sbucato dal cuore della foresta, forse attratto dal chiacchiericcio, e aveva caricato le melme con tutto il suo peso.

Mentre le calpestava sul fondo dell'acqua, il dottore cadde a pezzi all'improvviso, come se gli avessero staccato la corrente, e in quel momento l'uomo scattò via nella direzione dove aveva lasciato il figlioletto.

Egli non aveva idea di che bestia fosse, se si cibasse di carne oppure erbe, ma il suo fuggire la invogliò a inseguirlo: era incredibilmente veloce su quelle protesi che la sorreggevano.

Stavolta, l'uomo non ricadde nella trappola: afferrato il bambino per un braccio, se lo mise sulla spalla destra e si precipitò verso un albero, scalandolo con non poche difficoltà.

La creatura si scontrò contro il tronco per farlo cadere, senza successo, così provò a scalare la corteccia con quelle anomale zampe artificiali.

L'uomo avrebbe voluto gridare, piangere e maledire il creato, ma non potendolo fare si concentrò su cosa era invece in grado di fare, ovvero reggersi forte.

Dopo qualche minuto, la bestia si fermò, ma lo sventurato non poteva sapere che intenzioni avesse: il volto della creatura era inespressivo, una maschera di porcellana su cui vi erano incisi due cerchi per rappresentare gli occhi e una piccola fessura per la bocca.

Semplicemente, quella si stancò, e tornò nella foresta. L'uomo, dal canto suo, era terrorizzato a morte da tutto ciò che aveva intorno, ma da quell'altezza poteva vedere il tempio non troppo lontano dalla sua posizione.

Insieme a quello, notò anche movimento in mezzo agli alberi, ombre che strisciavano e strani esseri umanoidi che cercavano lui, illuminandosi la strada tramite luci che uscivano dalle mani.

Baciò e accarezzò il figlioletto per un po', fino a decidersi di scendere e percorrere quell'ultimo tratto di strada, l'ultima fatica verso la fonte del fiume.

Con ogni passo verso l'alto, il cielo si faceva sempre meno oscuro, segno che l'alba era vicina, e di questo ne fu sempre più grato.

Il tempio non era altro che una vecchia casupola di legno, preoccupando profondamente l'uomo, ma ormai aveva raggiunto la sua meta e non poteva tirarsi indietro.

L'interno era spoglio, disabitato da molto tempo e con solo un tavolo decadente al centro esatto della stanza; le pareti erano tappezzate di fogli, documenti legali a giudicare dal contenuto, e seduta a terra sulla destra c'era lei, la bambola in rosso.

L'uomo ricordò il suo gelido tocco e rabbrividì, tentato di fuggire via di nuovo; si chiese come aveva fatto a raggiungere quel posto, ma nel momento in cui fece un passo nella sua direzione, quella mosse il collo e la testa, tendendo di nuovo le braccia verso di lui.

«Dammelo» disse la bambola con la solita voce gracchiante, indicando il bambino. «Non può rimanere con te ora che sei malato. Devo portarlo via».

Senza capire bene perché, l'uomo si avventò su di lei e la prese a calci, per poi sfondarle la testa contro il muro: ella, a differenza di lui, sanguinava.

Disgustato, adagiò il figlioletto sul tavolo sporco e si gettò in ginocchio unendo le mani in preghiera, ma non accadde niente. La bambola, avendo ancora il microfono incastrato in gola, riuscì a parlare per l'ultima volta prima di spegnersi definitivamente.

«Sei tu l'anima da riparare, non lo capisci?»

L'uomo batté i pugni a terra, esausto, non sapeva cosa fare. Da fuori, le urla si fecero più vicine: sapevano dove si trovava, e lo stavano raggiungendo.

Si portò le mani sul viso, sulla bocca cucita, e si convinse che gli dei non lo stessero ascoltando perché non poteva parlare.

Doveva salvare il suo povero figlio. Trovò una vecchia accetta per tagliare la legna in un baule accanto al camino polveroso e decise che la bocca se la sarebbe fatta da solo.

 

 

Un'ombra lunga e sinuosa entrò dalla porta cigolante, guardandosi intorno con aria afflitta. L'uomo cercò nascondiglio dietro il tavolo, dapprima spaventato, poi incuriosito da quella figura così simile a lui. 

Provò a parlagli con la nuova bocca che si era scavato nel volto, felice di poter finalmente interagire con qualcosa di familiare, ma non si era potuto fare la lingua per articolare le parole: anche se da quella rudimentale fessura non uscirono che versi incomprensibili, erano comunque sufficienti per farsi notare.

Almeno, ciò era quello che sperava. Non solo l'entità non lo degnò di uno sguardo, ma, a differenza sua, la lingua l'aveva eccome, e non perse tempo nell'usarla.

«Porca puttana» esclamò quello proprio accanto all'uomo. 

Un altro, simile alla cosa appena entrata, arrivò pochi secondi dopo.

«Merda. Ma... è morto?» chiese al compagno piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato. Tornato in sé, si precipitò dal bambino. «Grazie a Dio, il ragazzino è vivo!»

«Chiamo subito i soccorsi, anche se c'è quel diavolo di orso a valle che ci sta creando un sacco di problemi. È ferito?»

«No, è solo privo di conoscenza. Penso lo abbia drogato».

«La stessa roba che si è preso questo bastardo qui?»

«Non credo: gli avrà dato le benzodiazepine per farlo stare buono mentre lo portava in questa baita. Abbiamo trovato la boccetta insieme alle sue medicine» disse quello mentre ispezionava l'ambiente. «No, questo qui si sarà calato degli acidi prima di ammazzare la moglie per l'affido del figlio».

Quando finalmente egli comprese, il suo cranio rotto prese a ripararsi da solo, pezzo dopo pezzo, ricordo dopo ricordo. Tuttavia, non lo accettò. Non poteva essere lui quell'immagine sbiadita con i vestiti imbrattati di sangue.

L'uomo uscì fuori dalla catapecchia, e notò che l'alba non era ancora sorta. Il mondo era calato in un crepuscolo eterno, dove eterni automi continuavano ad attenderlo nel buio.

Si portò le mani al viso in cerca della fessura che si era creato per pregare i falsi dèi promessi: tendeva a sgocciolare e a rimarginarsi in fretta, come la cera delle candele usate.

Con una pietra trovata in terra, continuava incessantemente a tenere aperto quel buco vuoto, cosa che, a quel punto, non era più di nessuna utilità: tutto ciò che desiderava era urlare, e urlò, fortissimo, senza sosta.

Il mezzobusto che aveva incontrato a valle era impiccato a un ramo proprio lì accanto, guardandolo stavolta con una parvenza di giudizio nel volto immobile.

«Non dovresti gridare così: ti sentiranno tutti, anche chi non vorresti mai incontrare» disse con voce metallica. «Forse era tutto nella tua testa, o forse è accaduto davvero, ormai non importa più. Povero bastardo... Dio non ama chi arriva qui, fratello. I morti non perdonano».

  
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