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Autore: Simposio    27/09/2022    1 recensioni
Lui rise sonoramente, il cuore di Lisa fece una piccola capriola: “Io so un sacco di cose Lisa Cuddy…facciamo così, io ti dirò come faccio a sapere che menti se tu mi dirai la verità sul mio nome…prendere o lasciare.”
“Stai presumendo che mi interessi davvero conoscere l’origine di queste tue presunte capacità da macchina della verità.”
“Non è così?”
Lisa scrollò le spalle.
“Pardon ma chèrie. Evidentemente mi sono sbagliato su di te, buono studio.” E si voltò di nuovo incamminandosi.
“Gregory House.”
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy | Coppie: Greg House/Lisa Cuddy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Qualche parola alla fine della storia. Qui ci tengo a precisare che né Lisa Cuddy né Gregory House sono miei personaggi (magari...)
Tutti i diritti e bla...bla...bla

NB: Cliccate sul titolo per immedesimarvi ancora di più nel testo.

A Gaia, 
Sempre.




Riguarderò la tua fotografia.

 





“Potresti smetterla di sbattere la matita? Alcuni qui cercano di seguire la lezione.”

Il suono sordo del lapis contro il duro legno del banco si interruppe improvvisamente. La matita a mezz’aria ancora vibrava leggermente, il proprietario del piccolo oggetto seguì con lo sguardo la direzione della voce, i suoi occhi azzurri si scontrarono con altro azzurro, piegò leggermente la testa, improvvisamente interessato alla figura che ricambiava il suo sguardo con l’intensità di un cielo in tempesta.

“Per caso hai visto un fantasma?” Disse ancora con quella voce autoritaria.

Lui la studiò per qualche secondo ancora, perso a sondare quegli occhi elettrici, si rese conto della domanda solo dopo qualche istante, a quel punto accennò un sorriso, lasciò cadere la matita con un tonfo sul banco e si voltò dall’altra parte.



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“Non ti avevo mai visto a lezione, non sei troppo giovane per seguire questo corso?”

Quando, alla fine della lezione, si era voltato e non l’aveva vista aveva temuto di averla persa. Con sguardo clinico aveva osservato gli studenti che si avvicendavano verso l’uscita, a quel punto aveva visto quei ricci svolazzare nella folla e quella piccola sensazione di delusione che si stava insediando nel suo petto era svanita. L’aveva seguita tra i sentieri del campus, mentre i raggi arancioni del tramonto si facevano strada tra il complicato disegno dei rami degli alberi.

Lei non rispose alla sua domanda, non si fermò come lui aveva sperato, anzi, strinse le spalle, irrigidì il busto e aumentò il passo.

“Sindrome di Ménièr o fai semplicemente finta di non sentirmi?”

La sua domanda si perse di nuovo nel vento.

“Ehi, sto parlando con te…” Allungò una mano sfiorandole la spalla per farla fermare, lei si girò di scatto, rigida come un palo, e lo colpì con il rigido raccoglitore che teneva stretto sotto al petto.

“Perché mi segui?” Disse lei.

Il contrasto del vortice di colori rossastri del tramonto contro gli occhi di un azzurro violento di lei lo tramortì per qualche istante.

Per riscuotersi dovette sbattere più volte le palpebre e ingoiare un paio di volte la propria saliva. A quel punto, fece un passo indietro ed alzò le mani. Poi rise.

“Cosa c’è da ridere?” Chiese lei stringendo la presa intorno al suo raccoglitore.

“È buffo che sia tu ad accusarmi di essere uno stalker, quando sono giorni che mi ronzi intorno come una zanzara.”
 
Lei sbatté le palpebre, rilassò solo per un attimo le spalle, regolò il proprio respiro umettandosi le labbra. Poi si voltò ed andò via senza dire una sola parola.
 
“Non mi hai detto neppure come ti chiami!” Urlò lui mentre la sagoma di lei si allontanava nel bagliore del sole.
 


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Aveva dovuto lasciare la sua camera all’alba quella mattina, la sua compagna di stanza dormiva rumorosamente e non riusciva a trovare la giusta concentrazione per studiare quell’immenso tomo di anatomia che ora era in bilico tra le sue gambe.

Aveva camminato apparentemente senza meta, quando era arrivata, la grande quercia a due passi dalla pista di atletica le era sembrata un posto perfetto per studiare nel miglior modo possibile. Si era seduta, le gambe incrociate, le spalle contro il grande tronco scuro, l’erba ancora bagnata dalla rugiada, i dolci raggi dell’alba a carezzarle i lineamenti e ad illuminare le difficili pagine del manuale.

“Cosa studi?” Improvvisamente il cono di luce che la illuminava fu oscurato. Lei sbatté le palpebre un paio di volte, poi alzò pazientemente la testa in direzione della voce. Il suo sguardo dapprima fu catturato dalle goccioline di sudore che formavano un sentiero lungo le braccia muscolose e nude dell’altro, poi si schiantò nel liquido azzurro di altri occhi che la guardavano curiosi.

Le si morse le labbra, indecisa sa rispondere o continuare con il suo inviolabile silenzio. Sospirò impercettibilmente prima di prendere la parola: “Nulla che possa interessarti.”

Lui scrollò le spalle indispettito, si voltò dalla parte opposta ed iniziò ad allontanarsi.

“Lisa Cuddy.” Quasi urlò lei stringendo saldamente il suo manuale.

Lui si fermò, si girò e lei fu irrimediabilmente rapita dal suo enorme sorriso.

“Lisa Cuddy…ora puoi dirmi perché mi segui?”

“Fino a prova contraria, sei tu che mi stavi spiando in questo momento.”

Lui corrucciò la fronte: “Ero qui per correre, come faccio ogni mattina.”

“Non lo sapevo. E comunque, tra i due, quello che conosce il nome dell’altro sei tu, non io.”

Lui piegò impercettibilmente la testa. “Beh, so come ti chiami solo perché me lo hai appena detto.”

“Questo non modifica il concetto.”

Il ragazzo sorrise. “Quindi dovrei credere al fatto che segui corsi che non sono nel tuo programma, ti siedi sempre a non più di tre posti da me, vieni a studiare esattamente nel posto in cui mi alleno e non conosci il mio nome?”

“Wow, sai un sacco di cose per essere uno che dice di non seguirmi, e no, non conosco il tuo nome.”

“Markus Lewis.”

“Cosa?”

“Il mio nome.”

“No, non è il tuo nome.”

“Certo che è il mio nome.”

“No, non lo è.”

“Come fai ad esserne sicura?”

Lei si irrigidì: “Non ne sono sicura.”

“Ah, no?”

Si morse le labbra, i suoi occhi due fessure: “Non mi sembri un Markus Lewis.”

“E cosa ti sembro?”

“Non lo so.”

“Quindi non lo sai…”

“È quello che sto dicendo.”

“Menti.”

“Non sto mentendo.”

“Certo che stai mentendo.”

“Non puoi saperlo.”

Lui rise sonoramente, il cuore di Lisa fece una piccola capriola: “Io so un sacco di cose Lisa Cuddy…facciamo così, io ti dirò come faccio a sapere che menti se tu mi dirai la verità sul mio nome…prendere o lasciare.”

“Stai presumendo che mi interessi davvero conoscere l’origine di queste tue presunte capacità da macchina della verità.”

“Non è così?”

Lisa scrollò le spalle.

Pardon ma chèrie. Evidentemente mi sono sbagliato su di te, buono studio.” E si voltò di nuovo incamminandosi.

“Gregory House.”

Si fermò ancora e tornò a guardarla, fischiando: “Sai un sacco di cose per essere una che dice di non seguirmi.”

“È il tuo turno.”

“Sono la leggenda del campus, tutti mi conoscono…” lui rise, lei corrucciò la fronte, insoddisfatta dalla risposta.

“Quello…e il fatto che hai letto la targhetta con il mio nome quando, un mese fa, sei venuta in biblioteca a prendere esattamente quel libro.” Disse ancora lui indicando con il lungo e affusolato dito il manuale tra le braccia di lei.

“Credevo fossi troppo impegnato a leggere giornaletti per notarmi.”

“Erano fumetti…fumetti Marvel, e risulta difficile ad un uomo non notare quelle due gemelle.” Gli occhi di Gregory scivolarono lungo il corpo di Lisa, soffermandosi sul seno di lei.

Il silenzio aleggiò per qualche istante tra i due, poi Gregory si voltò e, senza dire una parola, se ne andò.



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“Perché non eri a lezione oggi?”

“Ok, adesso mi stai davvero seguendo.” Lisa Cuddy alzò lo sguardo dai suoi appunti. A pochi passi da lei, una mano sul grande tavolo della mensa, l’altra che reggeva un lecca-lecca rosa, stava Gregory House che ricambiava lo sguardo con estrema intensità.

Lui scrollò le spalle prima di parlare: “Sai che qualche volta dovresti davvero alzare la testa dai libri? Soprattutto quando è l’ora di pranzo, il tuo punto vita è sotto i 55 cm e il tuo pasto si sta freddando a pochi centimetri dal tuo naso.”

“Non ho molta fame, e devo studiare.”

Gregory guardò criticamente il vassoio con sopra un piatto di purea di patate, alcune fette di pane e qualche verdurina bollita. “Nemmeno io avrei molta fame al posto tuo.” Succhiò un po’ il suo lecca-lecca mentre la guardava sbattere le palpebre e abbassare lo sguardo senza dire una parola.

“Non hai risposto.”

“Credevo avessimo appurato che quel corso non è nel mio piano di studi.” Disse Lisa senza alzare lo sguardo dai suoi libri.

“Oh.” Esclamò Gregory.

Dal tono di voce, sembrava deluso, questo portò Lisa a lanciargli una veloce occhiata, prima di rituffarsi nei suoi libri come se niente fosse. Lo vide con il lecca-lecca tra le labbra, con quello sguardo di chi è un po’ perso tra i suoi pensieri. Poi, come se potesse sentire lo sguardo di lei, si ridestò, si avvicinò a Lisa, sposto la sedia di fronte a lei, e sprofondò su di essa.

Schioccò la lingua prima di chiedere: “Ancora anatomia?”

Lei si limitò ad annuire.

“Brutta gatta da pelare quella, il professor Dinkleberg sembra un’idiota ma in realtà è un bastardo, gode nel mettere in difficoltà gli studenti.”

“Già.”

Lisa poteva sentire formarsi sulla sua nuca due crateri proprio nei punti dove si posava lo sguardo di Gregory: “Sai, se hai bisogno di una mano, aiuto alcuni studenti a prepararsi per quest’esame…”

“Davvero?” Lisa alzò di scatto la testa, non poté nascondere lo stupore nei suoi occhi.

“No…” Rispose lui.

Lisa socchiuse gli occhi e sospirò.

“Ma se hai bisogno di una mano…”

Lei chinò il capo e si morse il labbro. “Non mi sembri il tipo che fa qualcosa senza ottenere niente in cambio.”

“Hai una così bassa opinione di me?” Lui strabuzzò gli occhi fingendosi ferito.

Lei fece spallucce.

“Argh, forse devo migliorare il mio sguardo da bravo ragazzo…” Succhiò il suo lecca-lecca prima di riprendere a parlare “va beeene, ho una proposta. Io ti aiuto con Dinkleberg” sottolineò il nome con estremo disprezzo “e tu ricominci a seguire il corso e prendi appunti per me.”

“Non mi sembra un accordo equo.”

“No?”

“Per niente. Io dovrei fare un sacco di lavoro per ottenere in cambio un po’ di aiuto per un esame come tanti

“Un po’ di aiuto da parte del migliore studente del college.”

Lisa strinse gli occhi: “Cosa ti dice che io abbia bisogno del tuo aiuto?”

“Oh, no, signorina. È qui che ti sbagli.” Lui sorrise “Io sono sicuro che tu abbia bisogno del mio aiuto.”

“Wow, sei così tanto sicuro di te stesso che faresti impallidire Sherlock Holmes.”

Lui scrollò le spalle, poi si alzò lentamente dalla sedia su cui era seduto.

“Pensa alla mia proposta, ma fai in fretta. Questi slanci di generosità non capitano spesso. “



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Qualche giorno dopo aveva visto i suoi ricci ribelli a lezione, tre banchi più in basso rispetto a dove era seduto lui. Non le aveva staccato gli occhi di dosso per un istante, alla fine l’aveva intercettata mentre uscivano dall’aula.

“Domani dopo l’ultima lezione, c’è un bar a circa due isolati da qui, si chiama Alley Bar, è un posto abbastanza tranquillo per studiare.”
Le aveva sussurrato chinato sul suo orecchio, lei si era fermata giusto per qualche secondo, non si era voltata, aveva proseguito il suo cammino senza neppure un cenno. Il giorno dopo era entrata timidamente nel bar indicato, aveva sondato il luogo con lo sguardo e lo aveva visto seduto nel tavolo più lontano, intento a sfogliare un fumetto. Lo aveva raggiunto a grandi falcate. Lui le aveva sorriso prima che lei si sedesse.
 
La loro amicizia, nata naturalmente, era costellata da battibecchi, giochi di potere ed emanava scintille di tensione sessuale nell’aria ogni volta che i loro occhi si incontravano per più di una manciata di secondi.
A quel punto uno dei due spostava lo sguardo, sopraffatto da un sentimento che aveva paura di provare.
Un pomeriggio, entrambi chini sui libri di testo, lui aveva sospirato, alzato lo sguardo, e le aveva chiesto se volesse andare con lui ad una festa quella sera. Lei aveva sorriso.



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Era una calda serata primaverile, Greg, come amichevolmente lo chiamava lei, era passato a prenderla alle 9, puntuale come un orologio svizzero. Era rimasto a bocca aperta quando l’aveva vista sfilare in un colorato e succinto tubino con lo scollo a barca e lunghe e larghe maniche che la fasciava in tutti i posti giusti.

I suoi occhi azzurro-grigi venivano risaltati dal contrasto con la matita blu notte.

“Sei bellissima.” Aveva detto lui, sinceramente colpito.

Lisa aveva piegato la testa, abituata a commenti più taglienti e volgari, si era lasciata scuotere dallo stupore prima di rispondere, semplicemente: “Anche tu.”

E lo pensava davvero. Gregory portava dei denim stretti, una semplice e aderente maglietta bianca che metteva in risalto tutta la sua muscolatura, i capelli lunghi e ordinati che gli incorniciavano il viso, e portava tra le mani un giacchetto di jeans. Lisa lo trovava irresistibile.
Si erano avventurati nel silenzio dei sentieri del campus prima di arrivare alla residenza dove aveva sede la festa. Era il compleanno di un compagno di squadra di Lacrosse di Greg.

Lisa si stava divertendo, improvvisamente qualcuno fece partire un lento dal giradischi presente nella piccola stanza. Le si avvicinò silenziosamente un tipo a cui era stata presentata ore prima. Aveva detto di chiamarsi Soward…Boward…forse Howard, non ne era sicura. Le aveva cinto le spalle con un braccio, stringendole la spalla con la mano: “Balliamo?” aveva chiesto lui aumentando la pressione sulla spalla di lei.

Lisa sgranò gli occhi, poi iniziò a farli scorrere sulla folla in cerca di aiuto. Non voleva ballare con lui.

Individuò Greg dalla parte opposta della stanza, stava parlando con una biondina in tiro che gli faceva gli occhi dolci, ma non sembrava davvero interessato. Lui girò lo sguardo, la vide e in un attimo fu da lei.

“Lisa, balliamo?” Le aveva detto porgendole la mano.

“Ehy amico, aspetta il tuo turno.” Aveva detto l’altro. “La signorina stava per ballare con me.”

“Sicuro? Non mi sembra molto felice della tua sudicia mano intorno alle sue spalle.” Gli occhi di Greg mandarono lampi.

“Ehy, ehy… non voglio problemi. Te la lascio, è tutta tua.” L’altro ritirò la mano come scottato, e Lisa tornò a rilassarsi.
Gregory guardò l’altro allontanarsi prima di tornare a posare lo sguardo su Lisa e a porgerle la mano: “Beh, balliamo?”

Lei aveva sorriso e lui l’aveva trascinata tra le sue braccia.

Qualcuno aveva scattato una polaroid mentre erano stretti nel loro abbraccio danzante, poi l’aveva consegnata nelle mani di Lisa una volta finita la musica. Avevano riso entrambi osservandola, poi si erano guardati per troppo tempo.

Venti minuti dopo si stavano spogliando famelici in camera di Lisa.

Non erano riusciti ad arrivare neppure al letto la prima volta. Greg, con un gesto della mano, si era sbarazzato di tutto ciò che c’era sulla scrivania di Lisa e l’aveva presa proprio lì, tra i mugugni di piacere e i loro nomi ripetuti come un mantra.

Alla fine, si erano guardati intorno, avevano riso del disastro creato e si erano spostati nel letto per continuare.
 
La mattina dopo di lui non v’era traccia.

Lisa aveva preso tra le mani la polaroid, sentiva gli occhi inumidirsi sempre più mentre con il dito ridisegnava la silhouette dei loro corpi uniti.
Aveva aperto il cassetto più basso della sua scrivania e l’aveva gettata con un respiro spezzato all’interno.
                                                            
 Ma il giorno sai in cui te ne andrai, riguarderò la tua fotografia




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Dinckleberg: Sì, è esattamente quello che state pensando. 
Alley Bar: Oggi esiste davvero ed è a pochi metri dall'università del Michigan. Facciamo finta che esistesse anche negli anni 70.


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Note:
Eccomi qui, come avevo anticipato, qualche doverosa parola.
Anni fa, ho appeso la penna al chiodo. E, francamente, non credevo che sarei mai tornata a pubblicare mai qualcosa di mio. Almeno non dopo che Gaia ci (mi) ha lasciato.
Eppure un istinto promordiale mi ha (ri)portato qui, proprio dove ci eravamo lasciati. 

Se questo Fandom era spento già nel 2016, ora immagino sia completamente senza corrente, ma meglio così, pochi (nessun) lettori, poche critiche, meno ansia. 

L'idea per questa storia è ben più ambiziosa, forse un giorno diventerà una serie seguendo la mia idea iniziale, ma non sono minimamente degna di fiducia, la mia agenda è fitta tra i miei lavori e l'università, quindi non posso assicurarvi niente. Ma chissà...

Il titolo e la frase finale in corsivo sono riprese dalla canzone raggiungibile cliccando il titolo stesso.




 
  
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