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Autore: lalla    24/05/2005    5 recensioni
La mia rivisitazione di un'altra celebre fiaba
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CENERENTOLA

CENERENTOLA

Principato di Monaco, 1956

 

 

" La manina, all'indice della quale luccica un preziosissimo  brillante (l'unico gioiello  che  porta) accarezza la testa ricciuta  del  barboncino  nero, fedele compagno  dei giorni del suo esilio. Incredibilmente, è ancora bella, la  Granduchessa, nel  nero degli abiti che ricordano tempi passati, la  figura  dritta, lo sguardo acuto, i folti, argentei capelli..."

 

Non  saprei  se  definirle lusinghe o falsità:  comunque,forse  esagererei  in entrambi i casi. La verità è che spesso ai cosiddetti cronisti mondani l'ispirazione  vien  meno, soprattutto quando il soggetto da prendere in  esame  è  una vecchia  principessa in esilio, una nonnina di ottant'anni  passati, certo  meno pittoresca  della fauna mondana che   popola questo angolo di  mondo  chiamato Montecarlo: divi del cinema, principi orientali pieni di gioielli, di  mogli e di boria,armatori greci dai modi volgari e dal  passato ambiguo.

E continuano a scrivere perfino che son bella: vogliono lusingarmi, e ciò non mi dispiace, in fondo: una donna è donna anche ad ottant'anni, quando ciò che conta  sono  i ricordi e la poca salute che rimane per affrontare in  serenità  i giorni che restano, tutti uguali: il conforto della Messa la mattina, la  passeggiata, un pranzo sciapo, un concerto di musica da camera. O le telefonate a  quei nonni che mi ostino a chiamare ragazzi, che vivono lontani e neppure si  ricordano  di essere principi. Sarebbero tre, se Klaus non lo avesse portato  via  il tifo  a quattro anni. Il suo ricordo è ancora vivo, dolce e triste  come  quello dell'uomo che ho amato e che non c' è più: l'anello che porto è il ricordo  del nostro amore, non certo un'ostentazione di ricchezza o di potere: quello che  ho mi basta a soddisfare le mie esigenze, ed è sufficiente, ci credano o no  quelli che scrivono sui rotocalchi e quegli altri che i rotocalchi li leggono.

Hanno scritto  che Moffy è il compagno silenzioso del mio esilio e questo è, in parte, vero. Dico in parte perché il piccolo Moffy è tutt'altro che silenzioso e anche  perché, purtroppo, è  stato preceduto da altri, nel  suo  compito. Uno  dei pochi  difetti  che possiamo rimproverare a questi nostri  amici  è  l'assurda brevità della loro vita.

Ma quando non si sa come  riempire una pagina di giornale, si scrivono anche di questi luoghi comuni. Oh, c'è poco da scrivere, ormai, sul conto della Granduchessa Elena di Zerlandia! Il pubblico divora con molta maggiore golosità i capricci dei divi del cinema o le peripezie sentimentali degli armatori  levantini. E solo  quando  questi  signori hanno esaurito il  repertorio  delle  follie, ecco spuntare per incanto dal passato e dalle favole la vecchia principessa solitaria  che divide l'esilio con Proust, Musil, Mozart e un barboncino nero  che  ha l'argento  vivo addosso. Ma forse è per commentare quel che accadrà  domani,che mi hanno cercata: già, domani è il gran giorno. Domani, Sua   Altezza  Serenissima sposerà l'attrice americana...Ma i principi non sposano soltanto le principesse, da che il mondo è mondo? Oh, io sono la prova vivente che esistono  eccezioni a  questa  regola, e che i principi s'innamoravano per davvero anche  quando  le donne non avevano ancora accorciato i capelli e le sottane e le strade non erano state ancora  invase da quegli aggeggi sporchi, maleodoranti e  rumorosi che si chiamano automobili.

*

L'estate  del  1893  volgeva al termine: avevo compiuto da  poche  settimane  i diciotto anni e, strano ma vero,non mi aspettavo     granché dalla vita. Per una ragazzina  di  quell'età, ero un tipo piuttosto pragmatico, capace  di    vedere    aldilà    dei     sogni quali erano le mie reali condizioni: morendo, mio  padre mi  aveva  lasciato un vitalizio e una piccola dote; la  dipendenza  della  casa grande era a mia completa disposizione e la dividevo con Hans, il giardiniere, e sua moglie Helga: brave persone    non  più  giovani, devotissime  alla  memoria  di   mio padre, che  sopportavano  con degnazione "le  intruse  della  casa grande", come   le   chiamavano: la   vedova  Krause   e   le   sue figliole, Effi e Trudi.La mia matrigna e le mie sorellastre.

Che  sia  stata maltrattata o angariata da queste persone è  pura leggenda: ciò che provavano nei miei riguardi era      indifferenza soltanto: a  volte, passavano settimane senza che le vedessi. Non me  ne  dolevo  più  di  tanto: la  mia  matrigna  era  una  donna gelida e le ragazze  due scioccherelle petulanti. Chi dice che l’indifferenza può ferire più dell’odio, in realtà non dice nulla.

Sapevo   che Frau Krause non si preoccupava minimamente  del  mio avvenire: probabilmente, sapendomi  devota, nutriva la segreta  speranza che prendessi i voti, così da liberarla onorevolmente  della mia  presenza.   Ma io non desideravo affatto seppellirmi  in  un convento: il  mio  sogno  era quello  di  avere  una  famiglia, dei figli. D'altra  parte, ero  perfettamente  al  corrente  della  mia situazione  e  mi rendevo conto che un desiderio tanto umano e non certo impossibile a realizzarsi, per una come me poteva essere l'equivalente di chiedere  la luna.

Sono, per  parte  di padre, una  Von Fulger: questa  famiglia  era, a quanto  si  dice, perfino più antica e più nobile  di  quella  dei Granduchi che regnavano su Zerlandia. Ma mia madre era una  qualunque, anzi, peggio: era  una cavallerizza del  circo, un'ungherese  di origine  tzigana. Pare  fosse  bellissima: bruna di  capelli  e  di carnagione,con grandi occhi verdi. Mi somigliava, penso. Anch'io ero   bruna  e " scura come un tizzo", stando a sentire  quell'invidiosa della mia sorellastra   Trudi. Ma debbo accontentarmi di credere a ciò che mi dicono perché non l'ho mai conosciuta: è morta  mettendomi al mondo.

Quel  che è stato  tra lei e mio padre era amore, ne sono  convinta: era troppo buono e gentile,lui, per approfittare dell'ingenuità di  una ragazzina sprovveduta. Avrebbe addirittura  voluto sposarla, ma  i suoi, ovviamente, si opposero,e non  era  abbastanza coraggioso da ribellarsi. Ma lo fu il tanto che bastava per impormi, e i miei illustri signori nonni dovettero accettarmi, finendo addirittura con  l'affezionarsi a me,finché vissero.

Mio  padre  non mi fece mai mancare nulla: ebbi il suo  affetto, il suo nome, potei studiare in ottime scuole, avere tutto ciò che  una bimba  potesse  desiderare. Non fosse stato  per  le  Krause, avrei avuto  anche  il suo titolo e il suo patrimonio e  forse  il  mio destino sarebbe stato diverso,chissà.

Nell'estate  del 1893  anche le mie sorellastre avevano  compiuto i  diciotto  anni: malgrado  non  si  somigliassero  affatto, Genoveffa,detta Effi, e Gertrude, detta Trudi, erano gemelle.

Effi era  bruna, alta  e magra come sua madre, ma non aveva il  suo portamento  altero. Frau Krause non era brutta, malgrado gli  occhi gelidi  e  il naso aquilino. Effi invece...Beh, Effi era  curva  di spalle, piatta  come  un'asse  e il suo  profilo  ricordava non troppo vagamente quello adunco della Befana. Trudi era alta anche lei, ma grassa e butterata. Si somigliavano,le mie sorellastre,solo nella miopia disperata che le affliggeva e nel rifiuto testardo di portare gli occhiali che, a sentir loro, le avrebbero terribilmente imbruttite.

Mio  padre   aveva conosciuto Frau Krause a  Salisburgo  e  aveva subito visto, nella giovane   vedova  con due gemelline, bella e di modi  compiti, la  madre giusta  per me. Gli uomini soli hanno la deprecabile abitudine  di voler a tutti i costi cercare una madre sostituta ai loro figli e il rimedio si rivela spesso peggiore del  male. In realtà, quella donna ambiziosa e di modeste  origini aspirava  al titolo e ai beni di mio padre e l'idea di  farmi  da mamma non l'aveva mai sfiorata neppure per sbaglio. Io, insomma, non dovevo  aver  niente a che fare con lei, non mi ci volle  molto  a capirlo. Mio  padre continuò ad amarmi come mi aveva sempre amata  prima  ma, disgraziatamente, morì all'improvviso senza avere il tempo di lasciare alcunché di  scritto, sicché le Krause ebbero tutto, io  solo le briciole.

*

L'  annuale  Ballo delle Debuttanti era l'occasione  mondana  più attesa  dalle ragazze di Zerlandia e dalle loro  madri. In  questa circostanza, le  fanciulle di buona famiglia potevano mettersi  in mostra   agli   occhi  di  interessanti  partiti   zerlandesi   o stranieri. Io  consideravo l'intera faccenda una sorta di  mercato tutto sommato abbastanza squallido ma, sotto sotto, mi dicevo da me sola  che  era l'invidia a farmi ragionare  così. Sapevo  che  non avrei  mai  potuto partecipare a uno di quei balli  e, se  proprio  ci tenevo  ad avere un marito, dovevo accontentarmi di qualcuno  di condizione modesta: ero troppo povera per un borghese e un  nobile non mi avrebbe accettata a causa della mia origine illegittima. D' altra parte, l'educazione ricevuta non mi permetteva di  accasarmi con  qualche  rozzo contadino. Insomma, benché  molto  graziosa, ero destinata  a  restare  zitella, e a guadagnarmi  da  vivere  facendo l'istitutrice o la maestra di scuola. Non ero tagliata per la solitudine, ma il destino me la imponeva e dovevo rassegnarmi ad  accettarla.

Le  mie   sorellastre  avrebbero partecipato al  Gran  Ballo, loro sì; e   non   stavano   nella   pelle,come   le   altre    giovani invitate, dacché avevano saputo della presenza del Principe Ereditario: venticinque anni, biondo, bello e, soprattutto, scapolo. Era  la prima volta che accadeva, dopo i lunghi anni  trascorsi dal  Principe Manfred a Vienna per completare i suoi studi  e  la sua  istruzione militare. E la segreta speranza di quel branco  di giovani oche...beh, non era poi così segreta.

Tutto questo trambusto mi lasciava abbastanza indifferente: e  non perché invidiassi alle altre quel che non avrei mai potuto  avere e   fingessi   di  sdegnarlo, come  la   volpe   della   favola. In realtà, conoscevo il Principe: ed eravamo buoni amici.

L'avevo   incontrato   per la prima  volta  nel  bosco, all'inizio  della primavera. Era   a cavallo, in abiti da caccia, e lo  precedeva un  levriere irlandese da lupi: non avevo mai visto un  cane  così grosso. "E'molto docile", mi aveva detto "Non dovete temere".

Ma io non  temevo né il suo cane né lui. Sapevo chi era, ma non  mi fece, per la verità,  una  grande impressione. Alto, robusto. A  trent'anni  sarebbe stato    sicuramente    grasso, mi    dicevo. E, probabilmente,anche calvo: aveva i capelli biondi, lisci e sottili e la fronte alta Gli occhi  erano belli, azzurri e profondi come è difficile che lo siano  degli occhi  così chiari. I suoi lineamenti, regolari  e  dolci, erano appesantiti da un paio di baffoni alla Franz Joseph che lo invecchiavano e  non gli donavano affatto.

Il Principe era un giovane intelligente e colto, dai modi timidi e gentili: simpatizzammo subito e ci incontrammo spesso, da allora, in quel luogo che a entrambi era così caro. Lui stava bene con  me, io con lui, anche se negavo di essermene innamorata, ero troppo giudiziosa per cascare in una trappola di quel genere. Lui, invece...Si incantava  a guardarmi, e si era perfino tagliato quegli orribili  baffi, quando aveva  saputo  che non mi piacevano proprio. E mi parlava  di  sè come ad un vecchio amico, se mai ne aveva avuti. Il padre insisteva perché si accasasse, per un futuro regnante è un dovere, ma lui non si  sarebbe mai sposato senza amore: mi  raccontava  dell'Arciduca Rodolfo e di Maria Vetsera,del loro amore senza speranza e  della loro tragica fine; e di Elisabetta, che i suoi sudditi chiamavano affettuosamente Sissi, moglie infelice  dell'Imperatore, prigioniera in una gabbia d'oro. "Non credo che commetterò  mai simili sbagli." mi diceva "Dovessi pure rinunciare al trono."

Io  assentivo e  non solo per educazione: la  pensavo  esattamente come  lui. Ci rivedemmo ancora, molte altre volte. Senza baffi  sembrava   davvero  più  giovane. E  c'era  una   luce diversa, nei    suoi    occhi, mentre    mi    guardava    e     mi parlava. Insisteva, al  solito, che  non  si  sarebbe  mai   sposato    senza amore, a costo di rinunciare ai suoi diritti dinastici. Non l'avevo mai visto  tanto determinato. Ne fui colpita, come mai pensavo potesse accadermi. Anch'io cominciavo  a vederlo  diversamente da come l'avevo sempre  guardato, a  provare una fitta al cuore per la nostra storia senza futuro.

Mi  lusingavano,   i fiori raccolti per me in  mezzo  all'erba, il fatto    che    mi    chiamasse    baronessa. Avevo     protestato debolmente,ricordandogli che quel titolo non mi competeva.

"E  a  chi competerebbe,  se non  a  voi?" m'aveva  risposto, quasi risentito "Siete l'unica,a quanto mi risulta, nelle cui vene scorra il  sangue  dei Von Fulger. Quella volgare mercantessa  e  le  sue brutte figliole non potranno mai privarvi di ciò che è vostro per diritto naturale."

Non me la  sentii  di controbattere, anzi, quel suo voler  prendere ad  ogni  costo le mie difese, come un antico  cavaliere, mi  aveva commossa. Non  ero  mai stata corteggiata da un ragazzo e  che  il primo  fosse  proprio il nostro Principe, bello, giovane  e  romantico, mi riempiva d'orgoglio.

Vivevo  per  quelle  passeggiate nel bosco e non  m'importava  di sapere  in  anticipo come sarebbe finita: il Principe  si  sarebbe arreso  alla ragion di stato e avrebbe portato all'altare una  di quelle nobili di Zerlandia "bianche e rosse come le contadine". In fondo  era ciò che tutti,dal Granduca all'ultimo  dei  sudditi, si aspettavano da lui.

"Quando    verrà   il   momento, sarò  io  a  scegliere   la   mia sposa. Perfino  mio  padre, ormai, si  è  rassegnato. Sarà  bella...E intelligente, spiritosa.     Sarà  un'amica  con  la  quale  poter dividere tutto.Proprio come voi...Leni."

Mi  aveva chiamata  col  vezzeggiativo del mio nome, proprio  come faceva mio padre quand'ero bambina, come avrebbe fatto un fratello grande, se lo avessi avuto.Ma non c'era nulla di fraterno, nel  suo sguardo  febbrile, nelle  sue braccia che mi  cingevano, nelle  sue labbra che cercavano le mie. Stornai il viso,offesa.

"Sono  una giovane timorata, Altezza..."

"Lo  so: non  mi sto prendendo gioco di voi." mi rispose, infilandomi  al dito il suo anello di famiglia: era enorme, e io pensai  che sicuramente lo avrei perso.

"Vi    aspetto  domani  al  Ballo  delle  Debuttanti. E  sia   ben chiaro...Baronessa: questo  non è un invito del vostro amico  Manfred: è un ordine del vostro futuro sovrano."

*

Dopo    aver trattenuto le lacrime perché l'orgoglio mi  impediva di  scoppiare a piangere dinnanzi a loro, mi ero chiusa nella  mia stanza  e, gettatami  sul letto, avevo dato sfogo a  tutto  il  mio dolore. Pensavo che le Krause mi   avrebbero  portata con loro, ero anch’io  una della famiglia, invece...Le ragazze,                                          pronte a salire   sulla    carrozza,       

impennacchiate   come galline, mi  avevano riso in faccia. "Tu? Al Ballo? Ma sei  matta! Non hai  niente  di decente da metterti!"  "Vorrà leggere  la  mano  a tutta la Corte, la nostra Zingarella!"

Ma  più  dei  sarcasmi di quelle ragazze  brutte  e  sciocche, era stato il silenzio gelido di Frau Krause, il suo sorriso di scherno inquadrato nel finestrino della carrozza, a ferirmi a morte.

Stavo   piangendo    tutte  le  mie  lacrime  da   venti   minuti buoni, quando sentii sulla spalla il tocco amichevole della grande mano  di  Helga. Mi  lasciai cullare dalle sue  braccia  come  una bambina, quindi  diedi  libero sfogo al  mio  dolore: le  raccontai tutto.

"Non   si   possono  trasgredire  impunemente  gli   ordini   del Principe." mi disse lei,apparentemente imperturbabile "Voi  andrete  al ballo."

La  vidi  estrarre   da un grosso  baule  un  bellissimo  costume turco, riassettarlo amorevolmente con le grosse mani  ruvide. Capii che  sarei andata al Ballo indossando quel costume, che mio  padre aveva  portato  da Istanbul quando, in gioventù,era  stato  legato d'ambasciata  in  quell’affascinante città. Mi  avrebbe   accompagnata Hans: intabarrato in un costume moresco sarebbe stato un  perfetto giannizzero e un bel paio di baffi finti lo avrebbero reso  irriconoscibile: il  buio della notte avrebbe fatto il  resto, trasformando in un equipaggio lussuoso una vecchia carrozza in disuso e un malandato ronzino.

Il  costume turco, oltre a valorizzare la mia  bellezza  bruna, mi camuffava   stupendamente, lasciando   intravedere  solo gli occhi: Manfred sarebbe stata l'unica persona dalla quale mi  sarei fatta riconoscere, e poi gli zerlandesi erano abbastanza provinciali da credere che le turche, invece di starsene segregate negli harem, andassero alle feste e  ballassero il valzer...Pensassero quel che volessero, io ero felice: forse era l'idea  di  stare dove non dovevo, di essere per  tutti  Fatima  o Sherazade invece che Leni la Zingarella o di costituire l'oggetto dell'invidia di tutte le damigelle presenti, visto che il  Principe, quella notte, danzò con me e con nessun'altra.

Quando  mancavano   ormai pochi minuti  alla  mezzanotte, lo  vidi avvicinarsi al Granduca, confabulare con lui pacatamente, ma  senza tuttavia  riuscire  a nascondermi del tutto i sentimenti  che  lo agitavano. Avrei  giurato di poter notare un diffuso  pallore,sul  volto del nostro Sovrano,e ne aveva ben donde,dopo aver ascoltato    le parole di suo figlio!

"A mezzanotte in punto" mi sussurrò      poco dopo, nei volteggi     del valzer “farò un importante               annuncio: riguarderà me. E voi.”

Mi  sentii   travolgere dal panico,a quelle parole  che  potevano significare  tutto o niente. Divincolatami dalla sua  stretta, fuggii. Persi una delle mie preziose babbucce di capretto, calpestai e lacerai i miei veli di seta, fui lì lì per ruzzolare dallo scalone…Ma il panico era  decisamente più forte della paura di coprirmi di ridicolo.

Trovai  rifugio in una  piccola anfrattuosità  nel  parco e, quando  mi  ritrovarono, scalza, con  i capelli sciolti e gli abiti rovinati, avrei voluto scomparire.

“Coraggio,mia  diletta,”mi  rassicurò  Manfred, sfoderando   il più seducente dei sorrisi “Mio padre si è già rassegnato ad una  nuora turca.”

*

Com'è  ovvio, Helga e Hans furono i più felici della piega  imprevedibilmente  fortunata  che  aveva  preso  il  mio   destino: del resto, senza la loro collaborazione, forse le cose sarebbero andate diversamente. Le Krause masticarono amaro,poi  si  rassegnarono: la mia  matrigna e le sue figliole se ne tornarono nella  natia  Austria e scomparvero dalla mia vita con la massima discrezione.

Il matrimonio  fra me e il Principe ebbe inizio, com'è  prevedibile, con  una  fastosa cerimonia e proseguì felicemente  per  molti anni, attraversando  indenne  il  tempo, i dolori che  la  vita  ci riservò in sorte, il tumulto del mondo che cambiava.

Zerlandia non  fu sfiorata che dall'eco dei cannoni della  Grande Guerra. Vivemmo la tragedia di perdere un figlio bambino, attraversammo insieme i conflitti politici e sociali che scuotevano anche il   nostro     tranquillo  angolino    di    mondo, appoggiandoci l'uno all'altra come vecchi amici. E amandoci come quando c'eravamo incontrati per la prima volta nel bosco.

Quando  l'esercito  di Hitler invase e occupò Zerlandia, mi trovavo in Inghilterra con i nostri due figli. Manfred,che aveva intuito il pericolo, ci aveva costretti ad andarcene: lui era rimasto.

Morì in un lager, ed  io credetti che non sarei riuscita a sopravvivergli.

Invece   eccomi  qui, sopravissuta a lui, e anche al Granducato  di Zerlandia, la  cui  esistenza è stata cancellata  dalla  guerra. Il mondo  è  cambiato, i miei figli neppure si  ricordano  di  essere principi, vivono  in America, da ricchi borghesi  qualsiasi. La  mia vita  è piena di solitudine e di ricordi, ma c'è  sempre  lui, Manfred, nel  mio cuore: il giovane romantico con cui passeggiavo  nel bosco, l'uomo  al  quale  avevo giurato  fedeltà  eterna  dinnanzi all'altare, il  signore di mezza età  grasso  e calvo dei  nostri  ultimi  anni insieme.

                                            

 

                             

                          

 

  

                  

         

 

 

 

   
 
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