CENERENTOLA
Principato di Monaco, 1956
"
La manina, all'indice della quale luccica un preziosissimo brillante (l'unico gioiello che
porta) accarezza la testa ricciuta
del barboncino nero, fedele compagno dei giorni del suo esilio. Incredibilmente,
è ancora bella, la Granduchessa,
nel nero degli abiti che ricordano
tempi passati, la figura dritta, lo sguardo acuto, i folti, argentei
capelli..."
Non saprei
se definirle lusinghe o
falsità: comunque,forse esagererei
in entrambi i casi. La verità è che spesso ai cosiddetti cronisti
mondani l'ispirazione vien meno, soprattutto quando il soggetto da
prendere in esame è
una vecchia principessa in
esilio, una nonnina di ottant'anni
passati, certo meno
pittoresca della fauna mondana che popola questo angolo di mondo
chiamato Montecarlo: divi del cinema, principi orientali pieni di
gioielli, di mogli e di boria,armatori
greci dai modi volgari e dal passato
ambiguo.
E
continuano a scrivere perfino che son bella: vogliono lusingarmi, e ciò non mi
dispiace, in fondo: una donna è donna anche ad ottant'anni, quando ciò che
conta sono i ricordi e la poca salute che rimane per affrontare in serenità
i giorni che restano, tutti uguali: il conforto della Messa la mattina,
la passeggiata, un pranzo sciapo, un
concerto di musica da camera. O le telefonate a quei nonni che mi ostino a chiamare ragazzi, che vivono lontani e
neppure si ricordano di essere principi. Sarebbero tre, se Klaus
non lo avesse portato via il tifo
a quattro anni. Il suo ricordo è ancora vivo, dolce e triste come
quello dell'uomo che ho amato e che non c' è più: l'anello che porto è
il ricordo del nostro amore, non certo
un'ostentazione di ricchezza o di potere: quello che ho mi basta a soddisfare le mie esigenze, ed è sufficiente, ci
credano o no quelli che scrivono sui
rotocalchi e quegli altri che i rotocalchi li leggono.
Hanno
scritto che Moffy è il compagno
silenzioso del mio esilio e questo è, in parte, vero. Dico in parte perché il
piccolo Moffy è tutt'altro che silenzioso e anche perché, purtroppo, è
stato preceduto da altri, nel
suo compito. Uno dei pochi
difetti che possiamo
rimproverare a questi nostri amici è
l'assurda brevità della loro vita.
Ma
quando non si sa come riempire una
pagina di giornale, si scrivono anche di questi luoghi comuni. Oh, c'è poco da
scrivere, ormai, sul conto della Granduchessa Elena di Zerlandia! Il pubblico
divora con molta maggiore golosità i capricci dei divi del cinema o le
peripezie sentimentali degli armatori
levantini. E solo quando questi
signori hanno esaurito il
repertorio delle follie, ecco spuntare per incanto dal
passato e dalle favole la vecchia principessa solitaria che divide l'esilio con Proust, Musil,
Mozart e un barboncino nero che ha l'argento vivo addosso. Ma forse è per commentare quel che accadrà domani,che mi hanno cercata: già, domani è
il gran giorno. Domani, Sua
Altezza Serenissima sposerà
l'attrice americana...Ma i principi non sposano soltanto le principesse, da che
il mondo è mondo? Oh, io sono la prova vivente che esistono eccezioni a
questa regola, e che i principi
s'innamoravano per davvero anche
quando le donne non avevano
ancora accorciato i capelli e le sottane e le strade non erano state
ancora invase da quegli aggeggi
sporchi, maleodoranti e rumorosi che si
chiamano automobili.
*
L'estate del
1893 volgeva al termine: avevo
compiuto da poche settimane
i diciotto anni e, strano ma vero,non mi aspettavo granché dalla vita. Per una
ragazzina di quell'età, ero un tipo piuttosto pragmatico, capace di
vedere aldilà dei
sogni quali erano le mie reali condizioni: morendo, mio padre mi
aveva lasciato un vitalizio e
una piccola dote; la dipendenza della
casa grande era a mia completa disposizione e la dividevo con Hans, il
giardiniere, e sua moglie Helga: brave persone non più giovani, devotissime alla
memoria di mio padre, che sopportavano con
degnazione "le intruse della
casa grande", come le chiamavano: la vedova Krause e
le sue figliole, Effi e
Trudi.La mia matrigna e le mie sorellastre.
Che sia
stata maltrattata o angariata da queste persone è pura leggenda: ciò che provavano nei miei
riguardi era indifferenza soltanto:
a volte, passavano settimane senza che
le vedessi. Non me ne dolevo
più di tanto: la mia matrigna
era una donna gelida e le ragazze due scioccherelle petulanti. Chi dice che
l’indifferenza può ferire più dell’odio, in realtà non dice nulla.
Sapevo che Frau Krause non si preoccupava
minimamente del mio avvenire: probabilmente, sapendomi devota, nutriva la segreta speranza che prendessi i voti, così da
liberarla onorevolmente della mia presenza.
Ma io non desideravo affatto seppellirmi in un convento: il mio
sogno era quello di
avere una famiglia, dei figli. D'altra parte, ero
perfettamente al corrente
della mia situazione e mi
rendevo conto che un desiderio tanto umano e non certo impossibile a
realizzarsi, per una come me poteva essere l'equivalente di chiedere la luna.
Sono,
per parte di padre, una Von Fulger:
questa famiglia era, a quanto si dice, perfino più
antica e più nobile di quella
dei Granduchi che regnavano su Zerlandia. Ma mia madre era una qualunque, anzi, peggio: era una cavallerizza del circo, un'ungherese di origine
tzigana. Pare fosse bellissima: bruna di capelli
e di carnagione,con grandi occhi
verdi. Mi somigliava, penso. Anch'io ero
bruna e " scura come un
tizzo", stando a sentire
quell'invidiosa della mia sorellastra
Trudi. Ma debbo accontentarmi di credere a ciò che mi dicono perché non
l'ho mai conosciuta: è morta mettendomi
al mondo.
Quel che è stato
tra lei e mio padre era amore, ne sono
convinta: era troppo buono e gentile,lui, per approfittare dell'ingenuità
di una ragazzina sprovveduta. Avrebbe
addirittura voluto sposarla, ma i suoi, ovviamente, si opposero,e non era
abbastanza coraggioso da ribellarsi. Ma lo fu il tanto che bastava per
impormi, e i miei illustri signori nonni dovettero accettarmi, finendo
addirittura con l'affezionarsi a
me,finché vissero.
Mio padre
non mi fece mai mancare nulla: ebbi il suo affetto, il suo nome, potei studiare in ottime scuole, avere
tutto ciò che una bimba potesse
desiderare. Non fosse stato
per le Krause, avrei avuto
anche il suo titolo e il suo
patrimonio e forse il
mio destino sarebbe stato diverso,chissà.
Nell'estate del 1893
anche le mie sorellastre avevano
compiuto i diciotto anni: malgrado non si somigliassero affatto, Genoveffa,detta Effi, e Gertrude, detta Trudi, erano
gemelle.
Effi
era bruna, alta e magra come sua madre, ma non aveva il suo portamento altero. Frau Krause non era brutta, malgrado gli occhi gelidi e il naso aquilino. Effi
invece...Beh, Effi era curva di spalle, piatta come un'asse e il suo
profilo ricordava non troppo
vagamente quello adunco della Befana. Trudi era alta anche lei, ma grassa e
butterata. Si somigliavano,le mie sorellastre,solo nella miopia disperata che
le affliggeva e nel rifiuto testardo di portare gli occhiali che, a sentir
loro, le avrebbero terribilmente imbruttite.
Mio padre
aveva conosciuto Frau Krause a
Salisburgo e aveva subito visto, nella giovane vedova
con due gemelline, bella e di modi
compiti, la madre giusta per me. Gli uomini soli hanno la deprecabile
abitudine di voler a tutti i costi
cercare una madre sostituta ai loro figli e il rimedio si rivela spesso
peggiore del male. In realtà, quella
donna ambiziosa e di modeste origini
aspirava al titolo e ai beni di mio
padre e l'idea di farmi da mamma non l'aveva mai sfiorata neppure
per sbaglio. Io, insomma, non dovevo
aver niente a che fare con lei,
non mi ci volle molto a capirlo. Mio padre continuò ad amarmi come mi aveva sempre amata prima
ma, disgraziatamente, morì all'improvviso senza avere il tempo di
lasciare alcunché di scritto, sicché le
Krause ebbero tutto, io solo le
briciole.
*
L' annuale
Ballo delle Debuttanti era l'occasione
mondana più attesa dalle ragazze di Zerlandia e dalle loro madri. In
questa circostanza, le fanciulle
di buona famiglia potevano mettersi in
mostra agli occhi di interessanti partiti zerlandesi o stranieri. Io consideravo l'intera faccenda una sorta di mercato tutto sommato abbastanza squallido
ma, sotto sotto, mi dicevo da me sola
che era l'invidia a farmi
ragionare così. Sapevo che
non avrei mai potuto partecipare a uno di quei balli e, se
proprio ci tenevo ad avere un marito, dovevo accontentarmi di
qualcuno di condizione modesta: ero
troppo povera per un borghese e un
nobile non mi avrebbe accettata a causa della mia origine illegittima.
D' altra parte, l'educazione ricevuta non mi permetteva di accasarmi con qualche rozzo contadino.
Insomma, benché molto graziosa, ero destinata a
restare zitella, e a
guadagnarmi da vivere
facendo l'istitutrice o la maestra di scuola. Non ero tagliata per la
solitudine, ma il destino me la imponeva e dovevo rassegnarmi ad accettarla.
Le mie
sorellastre avrebbero
partecipato al Gran Ballo, loro sì; e non stavano nella
pelle,come le altre
giovani invitate, dacché avevano saputo della presenza del Principe Ereditario:
venticinque anni, biondo, bello e, soprattutto, scapolo. Era la prima volta che accadeva, dopo i lunghi
anni trascorsi dal Principe Manfred a Vienna per completare i
suoi studi e la sua istruzione
militare. E la segreta speranza di quel branco
di giovani oche...beh, non era poi così segreta.
Tutto
questo trambusto mi lasciava abbastanza indifferente: e non perché invidiassi alle altre quel che
non avrei mai potuto avere e fingessi
di sdegnarlo, come la
volpe della favola. In realtà, conoscevo il Principe:
ed eravamo buoni amici.
L'avevo incontrato per la prima volta nel
bosco, all'inizio della
primavera. Era a cavallo, in abiti da
caccia, e lo precedeva un levriere irlandese da lupi: non avevo mai
visto un cane così grosso. "E'molto docile", mi aveva detto
"Non dovete temere".
Ma
io non temevo né il suo cane né lui.
Sapevo chi era, ma non mi fece, per la
verità, una grande impressione. Alto, robusto. A trent'anni sarebbe
stato sicuramente grasso, mi dicevo. E, probabilmente,anche calvo: aveva i capelli biondi,
lisci e sottili e la fronte alta Gli occhi
erano belli, azzurri e profondi come è difficile che lo siano degli occhi
così chiari. I suoi lineamenti, regolari e dolci, erano
appesantiti da un paio di baffoni alla Franz Joseph che lo invecchiavano e non gli donavano affatto.
Il
Principe era un giovane intelligente e colto, dai modi timidi e gentili:
simpatizzammo subito e ci incontrammo spesso, da allora, in quel luogo che a
entrambi era così caro. Lui stava bene con
me, io con lui, anche se negavo di essermene innamorata, ero troppo
giudiziosa per cascare in una trappola di quel genere. Lui, invece...Si
incantava a guardarmi, e si era perfino
tagliato quegli orribili baffi, quando
aveva saputo che non mi piacevano proprio. E mi parlava di
sè come ad un vecchio amico, se mai ne aveva avuti. Il padre insisteva
perché si accasasse, per un futuro regnante è un dovere, ma lui non si sarebbe mai sposato senza amore: mi raccontava
dell'Arciduca Rodolfo e di Maria Vetsera,del loro amore senza speranza
e della loro tragica fine; e di
Elisabetta, che i suoi sudditi chiamavano affettuosamente Sissi, moglie
infelice dell'Imperatore, prigioniera
in una gabbia d'oro. "Non credo che commetterò mai simili sbagli." mi diceva "Dovessi pure rinunciare
al trono."
Io assentivo e
non solo per educazione: la
pensavo esattamente come lui. Ci rivedemmo ancora, molte altre volte.
Senza baffi sembrava davvero
più giovane. E c'era
una luce diversa, nei suoi
occhi, mentre mi guardava e mi parlava.
Insisteva, al solito, che non si sarebbe mai
sposato senza amore, a costo
di rinunciare ai suoi diritti dinastici. Non l'avevo mai visto tanto determinato. Ne fui colpita, come mai
pensavo potesse accadermi. Anch'io cominciavo
a vederlo diversamente da come
l'avevo sempre guardato, a provare una fitta al cuore per la nostra
storia senza futuro.
Mi lusingavano, i fiori raccolti per me in
mezzo all'erba, il fatto che
mi chiamasse baronessa. Avevo protestato debolmente,ricordandogli che quel titolo non mi competeva.
"E a
chi competerebbe, se non a
voi?" m'aveva risposto,
quasi risentito "Siete l'unica,a quanto mi risulta, nelle cui vene scorra
il sangue dei Von Fulger. Quella volgare mercantessa e
le sue brutte figliole non
potranno mai privarvi di ciò che è vostro per diritto naturale."
Non
me la sentii di controbattere, anzi, quel suo voler prendere ad ogni costo le mie difese, come un antico cavaliere, mi aveva commossa. Non ero mai stata corteggiata da un ragazzo e che
il primo fosse proprio il nostro Principe, bello,
giovane e romantico, mi riempiva d'orgoglio.
Vivevo per
quelle passeggiate nel bosco e
non m'importava di sapere
in anticipo come sarebbe finita:
il Principe si sarebbe arreso alla ragion di stato e avrebbe portato all'altare una di quelle nobili di Zerlandia "bianche
e rosse come le contadine". In fondo
era ciò che tutti,dal Granduca all'ultimo dei sudditi, si
aspettavano da lui.
"Quando verrà
il momento, sarò io a scegliere
la mia sposa. Perfino mio
padre, ormai, si è rassegnato. Sarà bella...E intelligente, spiritosa. Sarà un'amica con
la quale poter dividere tutto.Proprio come
voi...Leni."
Mi aveva chiamata col vezzeggiativo del mio
nome, proprio come faceva mio padre
quand'ero bambina, come avrebbe fatto un fratello grande, se lo avessi avuto.Ma
non c'era nulla di fraterno, nel suo
sguardo febbrile, nelle sue braccia che mi cingevano, nelle sue
labbra che cercavano le mie. Stornai il viso,offesa.
"Sono una giovane timorata, Altezza..."
"Lo so: non
mi sto prendendo gioco di voi." mi rispose, infilandomi al dito il suo anello di famiglia: era
enorme, e io pensai che sicuramente lo
avrei perso.
"Vi aspetto
domani al Ballo
delle Debuttanti. E sia
ben chiaro...Baronessa: questo
non è un invito del vostro amico
Manfred: è un ordine del vostro futuro sovrano."
*
Dopo aver trattenuto le lacrime perché
l'orgoglio mi impediva di scoppiare a piangere dinnanzi a loro, mi ero
chiusa nella mia stanza e, gettatami sul letto, avevo dato sfogo a
tutto il mio dolore. Pensavo che le Krause mi avrebbero
portata con loro, ero anch’io
una della famiglia, invece...Le ragazze, pronte a salire sulla
carrozza,
impennacchiate come galline, mi avevano riso in faccia. "Tu? Al Ballo? Ma sei matta! Non hai niente di decente da
metterti!" "Vorrà
leggere la mano a tutta la Corte, la
nostra Zingarella!"
Ma più
dei sarcasmi di quelle
ragazze brutte e sciocche,
era stato il silenzio gelido di Frau Krause, il suo sorriso di scherno
inquadrato nel finestrino della carrozza, a ferirmi a morte.
Stavo piangendo tutte le mie
lacrime da venti
minuti buoni, quando sentii sulla spalla il tocco amichevole della
grande mano di Helga. Mi
lasciai cullare dalle sue
braccia come una bambina, quindi diedi
libero sfogo al mio dolore: le
raccontai tutto.
"Non si
possono trasgredire impunemente
gli ordini del Principe." mi disse lei,apparentemente
imperturbabile "Voi andrete al ballo."
La vidi
estrarre da un grosso baule
un bellissimo costume turco, riassettarlo amorevolmente
con le grosse mani ruvide. Capii
che sarei andata al Ballo indossando
quel costume, che mio padre aveva portato
da Istanbul quando, in gioventù,era
stato legato d'ambasciata in
quell’affascinante città. Mi
avrebbe accompagnata Hans:
intabarrato in un costume moresco sarebbe stato un perfetto giannizzero e un bel paio di baffi finti lo avrebbero reso irriconoscibile: il buio della notte avrebbe fatto il resto, trasformando in un equipaggio
lussuoso una vecchia carrozza in disuso e un malandato ronzino.
Il costume turco, oltre a valorizzare la
mia bellezza bruna, mi camuffava
stupendamente, lasciando
intravedere solo gli occhi:
Manfred sarebbe stata l'unica persona dalla quale mi sarei fatta riconoscere, e poi gli zerlandesi erano abbastanza
provinciali da credere che le turche, invece di starsene segregate negli harem,
andassero alle feste e ballassero il
valzer...Pensassero quel che volessero, io ero felice: forse era l'idea di
stare dove non dovevo, di essere per
tutti Fatima o Sherazade invece che Leni la Zingarella o
di costituire l'oggetto dell'invidia di tutte le damigelle presenti, visto che
il Principe, quella notte, danzò con me
e con nessun'altra.
Quando mancavano
ormai pochi minuti alla mezzanotte, lo vidi avvicinarsi al Granduca, confabulare con lui pacatamente,
ma senza tuttavia riuscire
a nascondermi del tutto i sentimenti
che lo agitavano. Avrei giurato di poter notare un diffuso pallore,sul
volto del nostro Sovrano,e ne aveva ben donde,dopo aver ascoltato le parole di suo figlio!
"A
mezzanotte in punto" mi sussurrò
poco dopo, nei volteggi del
valzer “farò un importante
annuncio: riguarderà me. E voi.”
Mi sentii
travolgere dal panico,a quelle parole
che potevano significare tutto o niente. Divincolatami dalla sua stretta, fuggii. Persi una delle mie preziose
babbucce di capretto, calpestai e lacerai i miei veli di seta, fui lì
lì per ruzzolare dallo scalone…Ma il panico era decisamente più forte della paura di coprirmi di ridicolo.
Trovai rifugio in una piccola anfrattuosità
nel parco e, quando mi
ritrovarono, scalza, con i
capelli sciolti e gli abiti rovinati, avrei voluto scomparire.
“Coraggio,mia diletta,”mi
rassicurò Manfred,
sfoderando il più seducente dei
sorrisi “Mio padre si è già rassegnato ad una
nuora turca.”
*
Com'è ovvio, Helga e Hans furono i più felici
della piega imprevedibilmente fortunata
che aveva preso
il mio destino: del resto, senza la loro collaborazione, forse le cose
sarebbero andate diversamente. Le Krause masticarono amaro,poi si
rassegnarono: la mia matrigna e
le sue figliole se ne tornarono nella
natia Austria e scomparvero
dalla mia vita con la massima discrezione.
Il
matrimonio fra me e il Principe ebbe
inizio, com'è prevedibile, con una
fastosa cerimonia e proseguì felicemente per molti anni,
attraversando indenne il
tempo, i dolori che la vita
ci riservò in sorte, il tumulto del mondo che cambiava.
Zerlandia
non fu sfiorata che dall'eco dei
cannoni della Grande Guerra. Vivemmo la
tragedia di perdere un figlio bambino, attraversammo insieme i conflitti politici
e sociali che scuotevano anche il
nostro tranquillo angolino
di mondo, appoggiandoci l'uno
all'altra come vecchi amici. E amandoci come quando c'eravamo incontrati per la
prima volta nel bosco.
Quando l'esercito
di Hitler invase e occupò Zerlandia, mi trovavo in Inghilterra con i
nostri due figli. Manfred,che aveva intuito il pericolo, ci aveva costretti ad
andarcene: lui era rimasto.
Morì in un lager, ed io credetti che non sarei riuscita a
sopravvivergli.
Invece eccomi
qui, sopravissuta a lui, e anche al Granducato di Zerlandia, la cui esistenza è stata cancellata dalla
guerra. Il mondo è cambiato, i miei figli neppure si ricordano
di essere principi, vivono in America, da ricchi borghesi qualsiasi. La mia vita è piena di
solitudine e di ricordi, ma c'è
sempre lui, Manfred, nel mio cuore: il giovane romantico con cui
passeggiavo nel bosco, l'uomo al
quale avevo giurato fedeltà
eterna dinnanzi all'altare,
il signore di mezza età grasso
e calvo dei nostri ultimi
anni insieme.